di Daniela Cosentino
Quando ero piccola come tutti i bambini frequentavo le lezioni di catechismo. La signorina delle “cose di Dio” ci raccontava delle storie affascinanti sulla creazione dell’uomo.
Io immaginavo Dio che modellava l’uomo dal fango a sua immagine e somiglianza. La parte della storia che mi interessava di più era quando Dio prendeva questo “pupazzo” e gli soffiava dolcemente sul viso; da quel momento non era più “fango”, perché era diventato un essere vivente, un uomo,.
Ho imparato, diventando più grande, che quel soffio vitale, quell’anima Dio se la riprende e la stessa ritorna a Lui nell’attimo in cui l’uomo esala l’ultimo respiro.
Questo associare l’anima al vento è un’idea che ho ritrovato studiando la letteratura greca. I greci chiamano il vento “anemos”, niente di più appropriato. E’ l’anemos, che rende vive cose inanimate. E’ il vento che muove i panni stesi al sole e li dondola, li sbatte, li attorciglia in una danza senza tempo. E’ il vento che rende vivo il mare e lo spinge contro la sabbia e la scogliera in un alternarsi di abbracci e carezze, ora dolci ora brutali. E’ il vento che modella le dune del deserto e ne scolpisce la forma cambiandola eppur lasciandola sempre uguale. Il vento, l’anemos, l’anima del mondo. E noi uomini, pervasi da questa scintilla divina, tentiamo a volte di ripetere ciò che Lui ha fatto con noi. Cerchiamo di dare la vita ad oggetti inanimati e ci riusciamo… sentendoci per un momento creatori e non solo creature.
Il dialetto è a volte più espressivo dell’italiano e per indicare che un orologio è funzionante dice “sta camina”, quando non funziona “s’è firmatu”. Di tutti gli oggetti che ci circondano l’orologio è sicuramente uno tra i più affascinanti. Ho un ricordo di mio padre che ogni sera prima di andare a letto dava la corda al suo orologio da polso. Gli dava “l’anima” per farlo camminare un giorno intero. Le sensazioni dell’infanzia rimangono per sempre nel cuore e ne risvegliano altre: i rintocchi di una pendola in casa di una vecchia zia, l’orologio a cipolla con lo scatto, proprietà di un distinto signore, i rintocchi dell’orologio della piazza.
Piazza Salandra, il cuore di Nardò. E in una notte d’estate, con le finestre aperte, la mia mente registra lentamente un suono, un altro ed un altro ancora. I rintocchi dell’orologio della piazza scandiscono la mia notte insonne e mi fanno compagnia. Poi , come nella migliore tradizione, l’alba mi consegna nelle braccia di Morfeo. Al risveglio, i rintocchi dell’orologio, così chiari nel silenzio della notte, sono svaniti con la luce coperti dai rumori.
Un’idea si fa strada nella mia mente: parlare con chi per anni ha dato pazientemente vita a quest’orologio che fa parte di me, di noi tutti.
E’ Aldo Spano la persona che voglio incontrare. Il motore dell’orologio, il suo anemos. Preparo l’incontro. Mi annuncio con una telefonata. Prendo un