Il prezioso carciofo salentino, nel quale si avvantaggiano equamente gusto e salute

di Massimo Vaglio

Il carciofo (Cynara scolimus L), è una specie botanica appartenente alla famiglia delle composite. E’ pianta perenne e si coltiva per la produzione delle infiorescenze che, costituiscono la parte primaria, commestibile della pianta. In Puglia, vengono inoltre consumati anche i polloni che la pianta emette in esubero, detti carducci. Questi, opportunamente selezionati, vengono avviati al consumo in quanto tradizionalmente adoperati alla stregua di come altrove si fa con i cardi propriamente detti, Cynara cardunculus.

La coltivazione del carciofo, derivato dal carciofo selvatico con abili operazioni d’ innesto, nasce, pare, intorno al XIII secolo in Medio Oriente, ma diverse fonti attribuiscono già nel XV secolo grandi meriti all’abilità degli orticoltori italiani, che già avevano selezionato numerose varietà, così descritte nel 1557da Andrea Mattioli: “Veggonsi a tempi nostri i carciofi in Italia di diverse sorti imperochè di spinosi, serrati e aperti e di non spinosi ritondi, larghi, aperti e chiusi se ne ritrovano”.

Terra, particolarmente vocata per questa coltivazione, grazie al clima mite e alla presenza di vaste e fertili pianure alluvionali, la Puglia conta circa 20 mila ettari di carciofeti che la pongono al primo posto in Europa. La varietà maggiormente coltivata  è il Locale di Mola discendente  dal carciofo Catanese.

Nel Leccese, seppur a livello familiare, si coltiva una pregevole, antica varietà tardiva localmente molto apprezzata, distinguibile per la colorazione viola scuro e le brattee, divaricate all’apice, questi carciofi, sono molto ricercati e apprezzati per la loro delicatezza che li rende particolarmente idonei ad essere gustati crudi.

Raro trovare un prodotto che, come il carciofo, coniughi  le a dir poco straordinarie qualità organolettiche con altrettanto straordinarie proprietà nutrizionali e salutari. Digeribilissimo, privo di controindicazioni rilevabili in molti altri pur nobili ortaggi e dal gusto estremamente grato, il carciofo meriterebbe un’utilizzazione molto più ampia. D’altronde basterebbe ricordare la raccomandazione di Esculapio: siano gli alimenti i vostri farmaci, e quale alimento può concorrere per salubrità con il carciofo? Vera e propria farmacia della natura, quella che i tedeschi chiamano Apotheke Gottes (farmacia di Dio).

I carciofi, hanno pochissime calorie perché la maggior parte dei carboidrati è presente sotto forma di inulina, un polisaccaride che l’organismo non utilizza come gli altri zuccheri per la produzione dell’energia. Ciò rende i carciofi estremamente utili ai sofferenti di diabete, poiché l’ inulina, migliora il controllo dello zucchero nel sangue. La cinarina, un altro principio attivo presente nei carciofi ha una lunga tradizione nella terapia di molti disturbi del fegato che proteggono e rigenerano.

Inoltre, hanno effetti coleretici, vale a dire che stimolano il flusso della bile, favoriscono la decongestione nel fegato sofferente e abbassano i livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue.

Infine, è stato accertato che consumando regolarmente carciofi freschi si rilevano sensibili miglioramenti  nei casi di artrite reumatoide, di azotemia, di anemia e di stipsi ostinata. Un ortaggio prezioso quindi, di cui si avvantaggiano equamente gusto e salute.

 

 

Carciofi fritti

Nettate i carciofi che devono essere molto freschi e teneri e divideteli in senso longitudinale in quattro otto spicchi e poneteli in acqua acidulata con succo di limone. Con acqua e farina 00 e sale q.b. approntate una pastella liscia ed omogenea, immergetevi quindi gli spicchi di carciofo e friggeteli in olio di frantoio ben caldo. Potete prepararli anche fritti dorati, passandoli prima nella farina 00 e poi nell’uovo sbattuto e salato.

 

Minestra di carciofi e fave verdi

Estraete le fave verdi dai baccelli, nettate i carciofi e i cipollotti, quindi ponete sul fuoco una casseruola con due dita d’ acqua, olio e sale; unite le verdure e lasciate cuocere a fuoco lento con la sola aggiunta di qualche fogliolina di menta. In ultimo aggiustate di sale se necessario e  servite. Questa minestra tipicamente primaverile può essere gustata anche fredda.

Parmigiana di carciofi

Nettate i carciofi, divideteli longitudinalmente in spicchi, e friggeteli. Preparate un sugo di pomodoro dalla consistenza piuttosto blanda, versatene un mestolo in un tegame e acconciatevi sopra ben serrati gli spicchi di carciofi fritti, copriteli con mozzarella fior di latte tagliata a fette, cospargete a piacere con parmigiano o con pecorino grattugiato e  infine con altro sugo e avendone la possibilità con qualche fogliolina di basilico fresco. Ripetete l’operazione una o più volte e terminate con sugo e formaggio grattugiato. Ponetela in forno caldo per circa un quarto duro e comunque il tempo sufficiente a rendere filante la mozzarella. Volendo, si può arricchire la farcitura aggiungendo delle polpettine di manzo fatte secondo la ricetta classica e delle uova sode affettate che però acquisiranno un’insolita colorazione.

Tortino di Carciofi al forno

È un piatto d’antica tradizione preparato con piccole varianti  in tutta la Puglia.

Ingr.: 8 carciofi, 400 grammi di mozzarella, 4 fette di pane casereccio, 100 grammi di pecorino dolce grattugiato o parmigiano, quattro uova, latte, olio extravergine d’oliva, burro, pane grattugiato, prezzemolo, sale, pepe nero q.b.

Bagnate nel latte le fette di pane casereccio e adagiatele in una teglia imburrata e cosparsa uniformemente di pane grattugiato. Distribuite su di queste la mozzarella tagliata a dadini e sopra i carciofi nettati lessati al dente e ridotti in spicchi o affettati. Versate sul tutto, le uova diligentemente battute e il formaggio. Cospargete con un composto di pangrattato, pepe nero macinato al momento e prezzemolo fresco tritato. Spruzzate la superficie con acqua e olio extravergine d’oliva e fate gratinare in forno per circa un quarto d’ora e comunque sino a quando la superficie avrà acquisito una bella colorazione dorata.

Carciofi ripieni

Nettate i carciofi, rasate i gambi in modo che possano rimanere ritti, accorciate le brattee e allargatele in modo da poter accogliere il ripieno. Preparate quindi il ripieno, unendo a delle uova, pangrattato, pecorino grattugiato, capperi, aglio finemente tritato (facoltativo), prezzemolo e pepe nero macinato al momento. Amalgamate diligentemente il tutto, riempite i carciofi, sistemateli ben serrati in un tegane e irrorateli con un filo d’ottimo olio extravergine d’ oliva. Versate acqua fredda sino a raggiungere la metà dell’altezza dei carciofi, ponete sul fornello e fate cuocere a fiamma bassa, sino a quando l’acqua non sarà quasi completamente consumata. Passateli quindi in forno caldo, sino a quando la loro superficie avrà assunto un’invitante colorazione dorata.

Polpette di carciofi

Prendete una decina di carciofi, nettateli per bene e lessateli in acqua salata, quindi dopo averli ben sgocciolati passateli al passa verdure incorporate alla purea due etti di formaggio vaccino grattugiato, altrettanto pangrattato, tre o quattro uova, una manciatina di prezzemolo tritato, pepe e sale. Amalgamate bene il composto, formate delle polpette e friggetele in abbondante olio. Si possono gustare tali ben calde oppure dopo averle passate per una ventina di minuti in una blanda salsa di pomodoro alla cipolla.

Carciofini sott’olio

Costituiscono una delle conserve tradizionalmente più diffuse in Puglia sia a livello familiare che industriale, la produzione dei carciofi qui  si protrae dall’autunno sino alla primavera inoltrata, periodo in cui le piante danno luogo all’emissione di un grande numero di capolini di piccole dimensioni che non hanno quindi le caratteristiche merceologiche per essere avviati al consumo diretto. Vengono perciò impiegati nella produzione di conserve,  in particolare nella produzione dei  carciofini sott’olio, particolarmente apprezzati come antipasto.

Preparazione:

Nettate i carciofi, accorciando loro le brattee ed eliminate completamente quelle più esterne, e ponetgeli man mano, onde evitare che anneriscano, in un recipiente contenente acqua acidulata con aceto o limone. Quindi, a seconda delle dimensioni; lasciateli interi, oppure divideteli a metà o a quarti, e metteteli a bollire in acqua salata e acidificata con aceto di vino, metà acqua e metà aceto. Una volta cotti al dente, scolateli, disponeteli in vasi di vetro intervallandoli a piacere con foglioline di menta  o prezzemolo e con rotelline di aglio. Ricopriteli infine, d’olio extravergine d’oliva e serbate i vasi ben sigillati in ambiente fresco e possibilmente buio.

Polpette di carciofi

Prendete una decina di carciofi, nettateli per bene e lessateli in acqua salata, quindi dopo averli ben sgocciolati passateli al passa verdure incorporate alla purea due etti di formaggio vaccino grattugiato, altrettanto pangrattato, tre o quattro uova, una manciatina di prezzemolo tritato, pepe e sale.

Amalgamate bene il composto, formate delle polpette e friggetele in abbondante olio. Si possono gustare tali ben calde oppure dopo averle passate per una ventina di minuti in una blanda salsa di pomodoro alla cipolla.

Straordinari carciofi!

di Massimo Vaglio

Il carciofo (Cynara scolimus L), è una specie botanica appartenente alla famiglia delle composite. E’ pianta perenne e si coltiva per la produzione delle infiorescenze che, costituiscono la parte primaria, commestibile della pianta. In Puglia, vengono inoltre consumati anche i polloni che la pianta emette in esubero, detti carducci. Questi, opportunamente selezionati, vengono avviati al consumo in quanto tradizionalmente adoperati alla stregua di come altrove si fa con i cardi propriamente detti, Cynara cardunculus.

La coltivazione del carciofo, derivato dal carciofo selvatico con abili operazioni d’ innesto, nasce, pare, intorno al XIII secolo in Medio Oriente, ma diverse fonti attribuiscono già nel XV secolo grandi meriti all’abilità degli orticoltori italiani, che già avevano selezionato numerose varietà, così descritte nel 1557da Andrea Mattioli: “Veggonsi a tempi nostri i carciofi in Italia di diverse sorti imperochè di spinosi, serrati e aperti e di non spinosi ritondi, larghi, aperti e chiusi se ne ritrovano”.

Terra, particolarmente vocata per questa coltivazione, grazie al clima mite e alla presenza di vaste e fertili pianure alluvionali, la Puglia conta circa 20 mila ettari di carciofeti che la pongono al primo posto in Europa. La varietà maggiormente coltivata  è il Locale di Mola discendente  dal carciofo Catanese.

Nel Leccese, seppur a livello familiare, si coltiva una pregevole, antica varietà tardiva localmente molto apprezzata, distinguibile per la colorazione viola scuro e le brattee, divaricate all’apice, questi carciofi, sono molto ricercati e apprezzati per la loro delicatezza che li rende particolarmente idonei ad essere gustati crudi.

Raro trovare un prodotto che, come il carciofo, coniughi  le a dir poco straordinarie qualità organolettiche con altrettanto straordinarie proprietà nutrizionali e salutari. Digeribilissimo, privo di controindicazioni rilevabili in molti altri pur nobili ortaggi e dal gusto estremamente grato, il carciofo meriterebbe un’utilizzazione molto più ampia. D’altronde basterebbe ricordare la raccomandazione di Esculapio: siano gli alimenti i vostri farmaci, e quale alimento può concorrere per salubrità con il carciofo? Vera e propria farmacia della natura, quella che i tedeschi chiamano Apotheke Gottes (farmacia di Dio).

I carciofi, hanno pochissime calorie perché la maggior parte dei carboidrati è presente sotto forma di inulina, un polisaccaride che l’organismo non utilizza come gli altri zuccheri per la produzione dell’energia. Ciò rende i carciofi estremamente utili ai sofferenti di diabete, poiché l’ inulina, migliora il controllo dello zucchero nel sangue. La cinarina, un altro principio attivo presente nei carciofi ha una lunga tradizione nella terapia di molti disturbi del fegato che proteggono e rigenerano.

Inoltre, hanno effetti coleretici, vale a dire che stimolano il flusso della bile, favoriscono la decongestione nel fegato sofferente e abbassano i livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue.

Infine, è stato accertato che consumando regolarmente carciofi freschi si rilevano sensibili miglioramenti  nei casi di artrite reumatoide, di azotemia, di anemia e di stipsi ostinata. Un ortaggio prezioso quindi, di cui si avvantaggiano equamente gusto e salute.

 

 

Carciofi fritti

Nettate i carciofi che devono essere molto freschi e teneri e divideteli in senso longitudinale in quattro otto spicchi e poneteli in acqua acidulata con succo di limone. Con acqua e farina 00 e sale q.b. approntate una pastella liscia ed omogenea, immergetevi quindi gli spicchi di carciofo e friggeteli in olio di frantoio ben caldo. Potete prepararli anche fritti dorati, passandoli prima nella farina 00 e poi nell’uovo sbattuto e salato.

 

Minestra di carciofi e fave verdi

Estraete le fave verdi dai baccelli, nettate i carciofi e i cipollotti, quindi ponete sul fuoco una casseruola con due dita d’ acqua, olio e sale; unite le verdure e lasciate cuocere a fuoco lento con la sola aggiunta di qualche fogliolina di menta. In ultimo aggiustate di sale se necessario e  servite. Questa minestra tipicamente primaverile può essere gustata anche fredda.

Parmigiana di carciofi

Nettate i carciofi, divideteli longitudinalmente in spicchi, e friggeteli. Preparate un sugo di pomodoro dalla consistenza piuttosto blanda, versatene un mestolo in un tegame e acconciatevi sopra ben serrati gli spicchi di carciofi fritti, copriteli con mozzarella fior di latte tagliata a fette, cospargete a piacere con parmigiano o con pecorino grattugiato e  infine con altro sugo e avendone la possibilità con qualche fogliolina di basilico fresco. Ripetete l’operazione una o più volte e terminate con sugo e formaggio grattugiato. Ponetela in forno caldo per circa un quarto duro e comunque il tempo sufficiente a rendere filante la mozzarella. Volendo, si può arricchire la farcitura aggiungendo delle polpettine di manzo fatte secondo la ricetta classica e delle uova sode affettate che però acquisiranno un’insolita colorazione.

Tortino di Carciofi al forno

È un piatto d’antica tradizione preparato con piccole varianti  in tutta la Puglia.

Ingr.: 8 carciofi, 400 grammi di mozzarella, 4 fette di pane casereccio, 100 grammi di pecorino dolce grattugiato o parmigiano, quattro uova, latte, olio extravergine d’oliva, burro, pane grattugiato, prezzemolo, sale, pepe nero q.b.

Bagnate nel latte le fette di pane casereccio e adagiatele in una teglia imburrata e cosparsa uniformemente di pane grattugiato. Distribuite su di queste la mozzarella tagliata a dadini e sopra i carciofi nettati lessati al dente e ridotti in spicchi o affettati. Versate sul tutto, le uova diligentemente battute e il formaggio. Cospargete con un composto di pangrattato, pepe nero macinato al momento e prezzemolo fresco tritato. Spruzzate la superficie con acqua e olio extravergine d’oliva e fate gratinare in forno per circa un quarto d’ora e comunque sino a quando la superficie avrà acquisito una bella colorazione dorata.

Carciofi ripieni

Nettate i carciofi, rasate i gambi in modo che possano rimanere ritti, accorciate le brattee e allargatele in modo da poter accogliere il ripieno. Preparate quindi il ripieno, unendo a delle uova, pangrattato, pecorino grattugiato, capperi, aglio finemente tritato (facoltativo), prezzemolo e pepe nero macinato al momento. Amalgamate diligentemente il tutto, riempite i carciofi, sistemateli ben serrati in un tegane e irrorateli con un filo d’ottimo olio extravergine d’ oliva. Versate acqua fredda sino a raggiungere la metà dell’altezza dei carciofi, ponete sul fornello e fate cuocere a fiamma bassa, sino a quando l’acqua non sarà quasi completamente consumata. Passateli quindi in forno caldo, sino a quando la loro superficie avrà assunto un’invitante colorazione dorata.

Polpette di carciofi

Prendete una decina di carciofi, nettateli per bene e lessateli in acqua salata, quindi dopo averli ben sgocciolati passateli al passa verdure incorporate alla purea due etti di formaggio vaccino grattugiato, altrettanto pangrattato, tre o quattro uova, una manciatina di prezzemolo tritato, pepe e sale. Amalgamate bene il composto, formate delle polpette e friggetele in abbondante olio. Si possono gustare tali ben calde oppure dopo averle passate per una ventina di minuti in una blanda salsa di pomodoro alla cipolla.

Carciofini sott’olio

Costituiscono una delle conserve tradizionalmente più diffuse in Puglia sia a livello familiare che industriale, la produzione dei carciofi qui  si protrae dall’autunno sino alla primavera inoltrata, periodo in cui le piante danno luogo all’emissione di un grande numero di capolini di piccole dimensioni che non hanno quindi le caratteristiche merceologiche per essere avviati al consumo diretto. Vengono perciò impiegati nella produzione di conserve,  in particolare nella produzione dei  carciofini sott’olio, particolarmente apprezzati come antipasto.

Preparazione:

Nettate i carciofi, accorciando loro le brattee ed eliminate completamente quelle più esterne, e ponetgeli man mano, onde evitare che anneriscano, in un recipiente contenente acqua acidulata con aceto o limone. Quindi, a seconda delle dimensioni; lasciateli interi, oppure divideteli a metà o a quarti, e metteteli a bollire in acqua salata e acidificata con aceto di vino, metà acqua e metà aceto. Una volta cotti al dente, scolateli, disponeteli in vasi di vetro intervallandoli a piacere con foglioline di menta  o prezzemolo e con rotelline di aglio. Ricopriteli infine, d’olio extravergine d’oliva e serbate i vasi ben sigillati in ambiente fresco e possibilmente buio.

Polpette di carciofi

Prendete una decina di carciofi, nettateli per bene e lessateli in acqua salata, quindi dopo averli ben sgocciolati passateli al passa verdure incorporate alla purea due etti di formaggio vaccino grattugiato, altrettanto pangrattato, tre o quattro uova, una manciatina di prezzemolo tritato, pepe e sale.

Amalgamate bene il composto, formate delle polpette e friggetele in abbondante olio. Si possono gustare tali ben calde oppure dopo averle passate per una ventina di minuti in una blanda salsa di pomodoro alla cipolla.

Tutto sull’origano e sui suoi utilizzi nella cucina salentina

di Massimo Vaglio

Sotto la generica denominazione di origano (Origanum spp L. 1753), si identificano delle piante appartenenti alla famiglia delle Labiate, il cui genere è costituito da una ventina di specie, quasi tutte aromatiche, alcune con caratteri erbaceo-perenni, altre costituite da arbusti sempreverdi o a foglie semi-permanenti.

I fiori sono allungati a forma di imbuto, generalmente riuniti in piccoli mazzetti e vanno a formare delle spighe; caratteristica del genere è anche la vistosa presenza di brattee che sovente accompagnano la fioritura, che avviene nella tarda primavera ed in autunno. Le foglie sono, quasi per tutte le specie, di forma ovale. L’altezza della pianta varia a seconda della specie; quelle arbustive possono raggiungere anche gli 80 centimetri di altezza, mentre quelle erbacee, sono generalmente alte dai 25 ai 50 centimetri.

Il nome Origanum, deriva dal greco oros” (monte) e gànàos” ( ornamento), alludendo al fatto che queste piccole labiate costituiscono un ornamento per le alture più aride e rocciose. Secondo alcune civiltà l’origano ha un’origine sacra; nell’Estremo Oriente era sacro a Shiva e Visnù e le sue piante caratterizzavano le adiacenze dei grandi templi buddisti. Come pure la presenza di un vaso di origano sulla soglia di un’abitazione era il segno che in

Salento a tavola. La patata novella Sieglinde di Galatina

di Massimo Vaglio

La patata (Solanum tuberosum), benché introdotta in Europa dall’America nel XVI secolo, sarà per circa due secoli coltivata come curiosità botanica e a scopi medicinali, rigorosamente per uso esterno, come lenitivo per piaghe e scottature. Solo le carestie del Settecento, e la promozione effettuata dai governi dell’epoca, rimossero i gravi pregiudizi che la attorniavano, e questo strano tartufo bianco, come spesso veniva indicata, cominciò ad essere accolto nei campi e sulle mense. Sulla scorta delle rape venivano lessate e condite con olio, aceto e sale, oppure con olio, aglio, pepe, e prezzemolo.

Nel Salento, grande impulso alla sua coltivazione, ed al suo uso, venne dato dall’oritano Vincenzo Corrado, che nel suo famoso libro di cucina, Il Cuoco Galante, include un Trattato sulle patate o pomi di terra, ove egli consiglia l’uso della fecola di patate per confezionare il pane, mescolandola al 50% con la farina di grano; e ne rivela oltre cinquanta modi diversi d’impiego gastronomico.

La patata novella Sieglinde di Galatina, è una pregiata varietà orticola di patata. Presenta tuberi di forma ovale allungata, del peso medio di 80-100 grammi, buccia di colore giallo intenso, brillante e pasta gialla. Nel Salento, e in particolare nella parte Sud Occidentale dello stesso caratterizzata dalla presenza della cosiddetta sinopia, ovvero, della terra rossa, ha trovato un ambiente particolarmente congeniale e sviluppa ineguagliabili caratteristiche

Gastronomia. La lectio di Massimo: tutto sulle frattaglie

Pieter Aertsen Butcher’s Stall with the Flight into Egypt; Oil on wood panel

FRATTAGLIE, RIGAGLIE & CO.

di Massimo Vaglio

Sono sempre più le persone che sentendo parlare di frattaglie arricciano il naso. Quasi sempre si tratta di un’antipatia preconcetta, completamente scollegata  da quelle che sono le caratteristiche organolettiche e nutrizionali delle stesse; un pregiudizio che, come spesso avviene, è originato da una scarsa conoscenza dei prodotti in questione e da una certamente scarsa cultura gastronomica. Ne è riprova la circostanza che vi sono frattaglie molto apprezzate in alcune località e ignorate o comunque poco consumate in altre. Può così capitare di trovarle in vendita, a seconda dei luoghi, a prezzi infimi o molto sostenuti.

Quello delle frattaglie è comunque un argomento molto ampio con implicazioni che vanno ben oltre la gastronomia, la loro valorizzazione rappresenta un virtuoso esempio di utilizzo razionale delle risorse messeci a disposizione dalla madre terra, un dovere morale, che asseconda il principio: utilizzare tutto, per nutrire tutti.

Oltre all’animalismo in senso stretto, la motivazione che spinge molte persone a diventare vegetariane è di carattere etico, in quanto, se si considera che un ettaro di terreno coltivato a cereali produce il quintuplo delle proteine di un ettaro utilizzato per la produzione di carne.

Che i legumi producano dieci volte quelle proteine e i vegetali a foglia quindici volte le proteine per ettaro di terreni di pari dimensioni destinati alla produzione di carne, si comprende come la produzione di carne sia la principale causa dell’ingiusta distribuzione delle risorse alimentari del

l’acqua e sale

di Massimo Vaglio

Acqua e sale, acquassale, ciallèdda, ciatèdda, cialatèdda, ciardèdda, sono queste alcune delle denominazioni con cui viene appellato un fresco piatto salentino. Si tratta di un’umile preparazione che al pari delle più aristocratiche friselle, costituisce un piatto quasi esclusivamente serale ed estivo, la risposta dei salentini alla canicola spesso insopportabile della loro terra.

A dispetto della sua estrema semplicità l’acqua e sale è un’opera d’arte culinaria che riassume mirabilmente lo stile alimentare di questa subregione: preparare con pochi semplici ingredienti qualcosa di estremamente leggero e salutare, ma allo stesso tempo appagante e gustoso. Un piatto, che in mancanza di termini più appropriati, non ci resta che definire una zuppa rinfrescante, che estingue la sete e fornisce all’organismo sali minerali tanto necessari in climi così caldi. Inutile dire, che oggi nell’era del Gatorade, questo piatto ha perso la sua originaria funzione ed anche a causa della maggiore praticità d’uso delle friselle è in forte declino, tanto che rimane pressoché esclusivo appannaggio delle famiglie più tradizionaliste.

ph Angelo Arcobelli
ph Angelo Arcobelli

Qualche rigo sopra l’ho giusto, per esemplificare, definito una zuppa, ma zuppa è esattamente la cosa che questo piatto, se ben preparato non deve assolutamente diventare: il pane infatti, che è l’ingrediente base, attraverso un perfetto dosaggio dell’acqua e dell’olio deve, a differenza del gazpacho andaluso (questo si una zuppa), conservare una marcata consistenza e allo stesso tempo presentare una voluttuosa morbidezza. Qualcuno obbietterà che le due caratteristiche sono in antitesi e a me non resta che rispondere, come mi è capitato di fare nel descrivere altre arcaiche semplici preparazioni contadine, che per preparare questo piatto occorre possedere una buona dose di cromosomi di: massaro, di alàno, di contadino, o di bracciante…  in mancanza di questo peraltro non raro patrimonio genetico, non vi resta che farvelo preparare da una brava massaia salentina che ne sia ben dotata e state sicuri che constaterete le sopraccitate caratteristiche e ne serberete a lungo il ricordo come un’esperienza gastronomica di non poco conto. Facile ipotizzare, che questa preparazione, vista la somiglianza con il gazpacho, sia di origine spagnola, frutto di una contaminazione culturale avvenuta durante la secolare dominazione aragonese. Potrebbe rafforzare questa ipotesi la presenza in Spagna della jeringuilla, un tempo il pasto dei braccianti giornalieri andalusi che costituisce una versione più semplice di gazpacho, ove gli ingredienti, invece di essere ridotti in purea, vengono mischiati gli uni agli altri ottenendo così un risultato molto vicino a quello della nostra acqua e sale.

Ma torniamo decisamente all’acqua e sale nostrana, per prepararla occorre il pane di grano duro esclusivo del Salento cotto in uno degli ancora numerosi forni di pietra alimentati con ramaglia di ulivo.

Questo, che deve essere ben raffermo, viene tagliato a cubetti di circa tre centimetri di lato e posto in un piatto reale (questa è la denominazione dei grandi piatti rustici salentini), deve essere irrorato copiosamente d’olio di frantoio e rigirato per bene, quindi bagnato abbondantemente con  acqua fresca che deve essere fatta defluire a filo da una brocca, condito strizzando sopra un bel po’ di pomodorini indigeni ricchi di semi e aggiungendo cipolla Barlettana cruda tagliuzzata, precedentemente messa qualche ora ad attutire l’acredine in aceto di vino, origano e sale. Si rimesta quindi il tutto e si serve. Si può completare con l’aggiunta di origano, capperi, rucola.

Come spesso avviene, esistono numerose versioni da quelle più arcaiche, precolombiane, insaporite solo con cipolla e origano a quelle più recenti, decisamente molto più ricche, ove possiamo trovarvi inseriti peperoni cornetti verdi, peperoncini piccanti, meloncelle, finocchio di mare o caruselle sottaceto, sott’oli e sott’aceti vari.

Una versione molto semplice si faceva in quasi tutte le famiglie in occasione della preparazione casalinga della salsa, e prevedeva come condimento solo lu criddhru o riddhru, ossia i semi dei pomodori ancora avvolti nella loro placenta, recuperati  durante una fase della preparazione della salsa. Questi, venivano semplicemente conditi con olio, sale e aromatizzati con spicchi d’aglio fresco contusi, quindi aggiunti copiosamente all’acqua e sale. Come avrete notato, sono stato costretto a coniugare quest’ultimo periodo al passato, infatti, la salsa nelle famiglie si fa sempre di meno e ove la si continui a fare, i pomodori che vengono utilizzati, meraviglia del progresso, non hanno più lu criddhru.

Comunque si andranno ad evolvere la società ed il gusto, ad immortalare ad imperitura memoria l’acqua e sale, resteranno gli splendidi versi (che umilmente segnalo), di questo grande poeta salentino:

L’acqua e sale

Ci si fita cu ffazza l’acqua e sale

co queddhra ca facìa lu tata mia…!

parìa ’nu patre ca sta cunsacrava

nu sacerdote ca messa ticìa:

 

spizzàa lu pane ’mpruscinutu e tuestu

’ntra lu piattu minzanu lu punìa

poi ’nci spandìa ti sobbra sale e prestu

l’acqua filandu ti lu qualu issìa;

 

russi li pummitori a ddhoi spaccava

stringìa lu criddhru e intra lu mintìa

cu lu tìscitu l’uegghiu mmisurava

quarche stizza ti citu puru scia.

 

Mo’ no’ ’ndi saggiu cchiù ti ddhri sapuri

no pare veru, ma ci vo pinsandu

scopru ca ddhr’acqua e sale mi sapìa

ti cuntintezza e di llavoru tantu.

Elio Marra

 

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danilomusci@gmail.com

La dieta mediterranea e il “Mal di Prostata”

La dieta mediterranea cura anche il “Mal di Prostata”, parola di andrologo

 

di Lamberto Coppola*

Il Mal di Prostata” contrariamente a quanto si può pensare, non è solo una prerogativa della “terza età”, ma affliggere l’uomo nelle varie età della vita.

La prostata è una ghiandola dell’apparato genitale maschile che normalmente ricorda, per dimensioni e forma, una piccola castagna.

È situata alla base della vescica, anteriormente all’ultimo tratto dell’intestino retto, nel punto di incrocio tra le vie urinarie e le vie seminali. Infatti essa è attraversata dall’uretra, che costituisce l’ultima porzione delle vie urinarie, e dai dotti eiaculatori che costituiscono l’ultimo tratto delle vie seminali. La prostata è quindi una ghiandola che per l’uomo riveste un’importanza particolare in quanto permette di mantenere una giusta acidità all’urina,

La dieta Mediterranea è entrata nel patrimonio culturale immateriale dell’Unesco

 

ROMA (16 novembre) – La “dieta Mediterranea” è entrata nel patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. L’ok è arrivato questo pomeriggio all’unanimità da parte del comitato intergovernativo dell’Unesco riunito a Nairobi, in Kenya.

«Il risultato sperato è arrivato: l’Unesco ha definitivamente proclamato la dieta mediterranea quale Patrimonio culturale dell’umanità. Questo prestigioso successo mi riempie d’orgoglio e di soddisfazione e rappresenta un traguardo storico per la nostra tradizione alimentare e per la

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