Muro Leccese. Santa Marina. Uno sguardo verso Oriente

di Massimo Negro

Con questa nota inizia “casualmente” un percorso  composto da brevi note che riguardano il culto di una santa, Santa Marina, giunto nel Salento secoli e secoli addietro sulle barche che portarono nelle nostre terre la religiosità e l’arte di Bisanzio. Quando l’occidente era avvolto da una grigia coltre e le stelle ad oriente brillavano luminose, i loro riflessi giungevano sino a noi.

smarina-

Casualmente, perché nei primi siti da me visitati vi ero andato con altre intenzioni, diverse da quelle di descrivere la vita di questa Santa e le sue numerose tracce nel Salento, così profonde da essere fonte di tradizioni e credenze popolari a me sconosciute.

Devo essere sincero. Di questa santa avevo letto su alcuni libri, anche un po’ vecchiotti, nei quali sono descritti i principali insediamenti rupestri o antiche fondazioni di monaci basiliani nella nostra terra. Ma non pensavo, professo la mia ignoranza, che il culto di questa Santa fosse ancora vivo e partecipato anche ai giorni nostri.

Così quasi senza volerlo, iniziando il mio percorso a Muro Leccese, dove a dire il vero vi andato per i resti messapici presenti in questa cittadina, e grazie a qualche dritta di un caro amico giornalista, mi sono ritrovato a Ruggiano prima e poi a Miggiano. Ma non mi sono fermato qui e con l’occasione ho fatto una capatina a Carpignano Salentino ad una cripta in cui si ricorda il culto della santa. Sempre sulle orme di Santa Marina. Ma a quel punto era diventata una vera e propria ricerca, pur se praticata con i miei limitati mezzi riguardo le fonti storiografiche.

Prima tappa di questa sorta di pellegrinaggio (in fin dei conti parliamo di una Santa) a Muro Leccese, antico centro messapico, ma non solo. Infatti a Muro è presente la piccola ma bellissima chiesetta dedicata a Santa Marina, che viene festeggiata dalla comunità locale nel mese di luglio.

A questa santa si ricorre per diversi motivi. Con questa nota, vi racconto le notizie che ho raccolto per l’occasione della visita a Muro; nelle prossime, seguendo il corso delle mie tappe per il Salento vi racconterò anche di altro e delle credenze popolari che ruotano attorno al culto della santa.

Santa Marina di Antiochia di Pisidia, come tutti i santi sicuramente non ha avuto una vita facile, ma quanto è giunto sino a noi della storia della sua vita sicuramente risente di una certa libertà di prosa da parte della fantasia popolare e della stessa chiesa di allora, che ne ha esaltato le virtù eroiche di martire.

Marina sarebbe stata figlia di un sacerdote pagano. Rimasta orfana della madre, il padre l’affidò ad una nutrice cristiana che la istruì nella fede e poi venne battezzata.
Mentre pascolava il gregge della famiglia che l’aveva adottata, la sua straordinaria bellezza colpì il governatore della provincia, Olibrio, che voleva sposarla. Subito Marina si dichiarò cristiana. Olibrio ben presto la minacciò e infine la sottopose ad una serie di tormenti, facendola rinchiudere in un carcere buio. Qui fu anche tormentata da visioni diaboliche che la martire dissipò con un segno di croce. Il demonio tornò a tormentarla sotto forma di drago che l’inghiottì viva. Marina, servendosi della croce, squarciò il ventre della bestia e uscì indenne. Da questo episodio della fantasia nacque la devozione a Marina quale protettrice delle donne incinte per avere un parto facile. Infine, fu decapitata.

La chiesa è stata eretta intorno al X e- XI secolo, utilizzando dei blocchi trasportati dalle vicine mura messapiche. Al suo interno la presenza di antichi affreschi risalenti al periodo basiliano, alcuni dei quali rinvenuti sotto l’intonaco che era stato utilizzato nel lontano passato per ricoprirli con nuove decorazioni e immagini risalenti al tardo ‘500.

La chiesa ha una sua particolare importanza in quanto al suo interno si trova (o per meglio dire quello che ne resta) il più antico ciclo di affreschi sulla vita di San Nicola di Myra. Alcuni studi fanno risalire la committenza all’Imperatrice Zoe, sposa di Costantino IX Monomaco (1043) come ex voto al Santo di Myra per la sconfitta di un nemico. La chiesa quindi sorge dedicata a San Nicola e solo più tardi, accanto a San Nicola si affianca il culto di Santa Marina, sino a prenderne il posto. Infatti oggi la chiesa è conosciuta come chiesa di Santa Maria.

Nei calendari orientali la sua festa è segnata il 17 luglio. A Muro Leccese, la martire orientale viene festeggiata la seconda domenica di luglio, anche se il calendario occidentale la riporta il 18 dello stesso mese.

Le foto sono state scattate il pomeriggio della festa, passato a gironzolare tra la Chiesa Madre, in attesa dell’uscita della processione, e nei pressi della Chiesa di Santa Marina, ingannando il tempo a veder giocare a “padrone” un nutrito tavolo di signori del luogo. Visto il contesto e qualche ricordo di gioventù che mi era tornato alla memoria rivedendo quel gioco, cari amici, una birretta era d’obbligo.
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Seguendo il link il video con le immagine di quel pomeriggio di luglio
http://www.youtube.com/watch?v=ZmgX5_TjsI4

fonti:
“Santa Marina. Tra Oriente ed Occidente” a cura del Comune di Muro Leccese.

http://massimonegro.wordpress.com/2011/12/06/muro-leccese-santa-marina-uno-sguardo-verso-oriente/

 

La cripta della Madonna del Gonfalone a Tricase

ph Alessandro Bianco

di Alessandro Bianco

Un cimelio d’ interesse storico – archeologico del Basso Salento è senza dubbio l’antica cripta basiliana della Madonna del Gonfalone, in agro di S. Eufemia di Tricase, precisamente sulla strada che conduce per Alessano.

La cripta è costituita da un ampio locale in cui gli interventi e le trasformazioni hanno stravolto l’originale aspetto; infatti quasi tutte le pareti sono in muratura come i diciannove pilastri presenti nell’invaso. 

E’ impossibile, se non con degli approfonditi saggi di scavo, risalire all’originaria conformazione della cripta o delle cripte, proprio perché dietro la muratura oggi esistente vi è una zona di riempimento che si nota in presenza di alcuni fori nella parete e che nasconde lo scavo originale.

Nella zona centrale è presente un recinto, contenente la zona presbiteriale costituito, su tre lati, da pilastri ottagonali, sempre in muratura, quadruplicati agli angoli e legati da una balaustra scandita da pilastrini, anch’essi ottagonali.

All’interno di questa struttura è l’attuale altare d’intonazione barocca, orientato a Nord, ai cui lati, due piccole cappelle contengono dei ripiani d’appoggio.

I rimanenti pilastri sparsi per la cripta senza un benché minimo ordine sono di forme diversificate. Il pavimento è tutto in terra battuta, escluso quello della zona recintata che è invece in mattoni; il soffitto, di altezza media di m. 2,18, è quasi del tutto piano e presenta, in corrispondenza della zona presbiteriale, una vasta apertura che corrisponde, all’esterno, alla struttura già descritta; sono inoltre presenti nel restante soffitto numerosi fori.

Sulla parete alle spalle della “cantoria” è scavata una nicchia, con un altare a credenza di tipo devozionale, vicina ad un’altra oggi murata; poco distante si notano i resti d’un altare addossato alla parete; completano gli arredi litoidi due acquasantiere.

  

Nei pressi dell’attuale ingresso si notano tracce di decorazione parietale; sulla nicchia con altare a credenza si vedono invece i resti di due affreschi palinsesti, rappresentanti un Cristo che sale il Calvario e una Crocifissione. Il Cristo che porta la croce, con tunica bianca è accompagnato da due uomini, uno dei quali soffia una lunga tromba; i resti dell’affresco sottostante appartengono ad una scena non più decifrabile.

Nel secondo affresco, il Crocifisso ha ai due lati la Vergine e San Giovanni; nello strato sottostante s’intravedono i resti di un altro affresco sullo stesso tema.

Il gruppo di affreschi più interessanti, su duplice strato, è sulla parete nord. In essa lo strato inferiore è diviso in quattro riquadri rappresentanti una Santa, due scene più grandi in parte coperte dall’intonaco superiore e un’altra Santa.

La prima figura in grandezza naturale, tiene nelle mani un calice, chiuso superiormente da un coperchio conico, probabilmente è S. Maria Maddalena che porta il cofanetto della mirra. Una fascia bianca a righe scure separa questo dipinto dalla scena successiva in cui s’intravedono quattro volti con aureole siglate (le uniche leggibili sono  una FI e una A) che probabilmente si riferiscono a figure di apostoli, l’immagine di un papa, che regge in mano un libro e con l’altra benedice una figura nimbata distesa, di cui si intravede soltanto un abito monacale; ai suoi lati altre figure in atteggiamento orante, mentre sul pavimento a scacchiera si nota una figura nimbata, forse un angelo, che regge in mano un calice-calamaio. Da tutti questi particolari ci sembra di poter dedurre che l’affresco rappresenti la morte di San Bonaventura, avvenuta durante il Concilio di Lione nel 1274.

ph Alessandro Bianco

Del terzo riquadro non rimane nulla perché completamente coperto dall’affresco superiore, mentre ben visibile è l’ultima figura femminile, che indossa una tunica stretta  in vita e una veletta che le orna il collo, regge in una mano la palma del martirio mentre con l’altra protegge un castello circondato da un paesaggio campestre.

Lo strato superiore, che ricopre solo i due riquadri centrali del polittico sottostante, è diviso in due parti e nelle intenzioni dell’autore, doveva integrarsi con le due Sante, già descritte, poste ai lati. Sull’affresco della morte di S. Bonaventura vi sono resti di una scena non più leggibile, vi è rappresentato un Vescovo nell’atto di benedire con l’aspersorio, con intorno alcune figure dai lineamenti orientali, mentre nella parte alta è rappresentata una piccola figura femminile a mezzo busto con alle spalle il volto di Cristo. Il riquadro che delimita quest’ affresco è leggermente più grande di quello sottostante; una banda bianca lo divide da quello successivo in cui è rappresentata una figura a grandezza naturale, di essa si riconosce solo parte dell’abito e del mantello dai toni scuri.

Le restanti pareti perimetrali mostrano qua e là cenni di decorazione che affiorano sotto lo strato d’intonaco a calce; anche sulla maggior parte dei pilastri vi sono tracce di decorazione, perlopiù a carattere floreale; racchiusi nel medaglione sovrastante l’altare barocco,  vi sono i resti di una Madonna con Bambino.

Come datazione di massima possiamo indicare il XIV-XV sec per l’affresco del S. Bonaventura, mentre quello superiore lo si può ricondurre al  XVI sec.[1].

Recentemente sono stati effettuati interventi di restauro.


[1] FONSECA, Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Galatina, 1979, pp. 189-193.

ph Alessandro Bianco

Taranto. La cripta del Redentore

   

di Daniela Lucaselli

Un’emergenza archeologica: la cripta del Redentore, la più antica sede del culto cristiano di Taranto, situata nel Borgo Nuovo, dopo circa trent’anni in stato di abbandono,  è stata aperta alla cittadinanza nel mese di dicembre 2010, grazie all’impegno di associazioni cittadine, storici ed archeologi.

L’antico monumento post-classico, ubicato in Via Terni, è una pregevole testimonianza delle origini cristiane, un  prezioso documento e bene del patrimonio storico artistico della  città bimare.

La piccola chiesa ipogea necessita di un consistente ed urgente intervento di consolidamento e restauro, per rinsaldare la ormai compromessa staticità. La volta è purtroppo sfondata e invasa da tubature di servizio.

Fonti letterarie del IV secolo attestano che Taranto, città portuale, fu proprio in questo periodo aperta ad ogni innovazione in campo religioso e il Cristianesimo trovò il terreno fertile per affermarsi. La cripta in esame rappresenta a proposito un primo esemplare monumentale.

Originariamente la cripta ipogeica era  una tomba a camera di età  classica, situata esattamente dove prima sorgeva la grande necropoli della Taranto greco-

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