1784. Un fatto di pirateria barbaresca sulla costa calabra raccontato da un gallipolino

Grano e Corsari

 

di Antonio Faita

Scrivere sui corsari Barbareschi, presenta ancora oggi notevole difficoltà, poiché mancano degli studi che tengano conto delle fonti turco-arabe. Nonostante ciò, esiste ormai una cospicua letteratura basata sulla documentazione “cristiana”, prodotta da numerosi storici occidentali[1].

La storia dei corsari, come anche della pirateria, è intimamente legata alla storia della navigazione, dell’esplorazione e della colonizzazione. Diversi fattori contribuirono a creare la pirateria nel Mediterraneo come la povertà, che spinge individui con pochi scrupoli a procurarsi i mezzi di sostentamento nel modo più semplice, cioè togliendoli a chi già li possiede. Si deve inoltre tener conto della particolare configurazione geografica del Mediterraneo, che determinava la superiorità dei trasporti marittimi rispetto a quelli terrestri, offrendo al contempo basi di appoggio e luoghi propizi agli agguati corsari, rappresentando lo scenario ideale per la pratica della pirateria. Infatti di questo tipo di pirateria furono protagonisti i Barbareschi, eredi dei corsari turchi, che nella prima metà del XVI secolo si insediarono nell’Africa settentrionale, soppiantando le dinastie regnanti, dando vita alle città-stato (Algeri, Tunisi, Tripoli), la cui attività primaria era costituita dall’esercizio della corsa.

Fin dal Medioevo le nostre coste esprimevano la loro naturale destinazione

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