Clemente Antonaci e Il cittadino leccese (terza ed ultima parte)

di Maria Grazia Presicce e Armando Polito

Conclude il ciclo di puntate dedicate all’argomento un altro “stornello” pubblicato nel n. 5 (anno secondo) del 29 marzo 1862 del settimanale leccese. Rispetto al precedente la struttura metrica appare più “popolare” con i versi, sempre endecasillabi, a rima baciata.

Stornello

Era un mese d’autunno allor che il nido

Va la rondine a porre in altro lido

E mi disser venivi; intesi il core

Come quel tempo che fu primo amore.

E mi vestii color dell’amaranto1

Ed in famiglia ti si attese tanto:

Poi l’altro dì vestii color di neve

E ad incontrarti feci via non breve:

Poi l’altro dì vestii color del mare

Clemente Antonaci e Il Cittadino Leccese (seconda parte)

Albert Anker – La lettura del giornale

di Maria Grazia Presicce e Armando Polito

Dopo l’encomio funebre della puntata precedente presentiamo oggi un’altra poesia di Clemente Antonaci  pubblicata nel n. 13 (anno primo) del 12 ottobre 1861 de Il cittadino leccese.

Questa volta il tema è indubbiamente più allegro e anche la forma si adegua utilizzando, come nella poesia precedente, l’endecasillabo, non sciolto ma organizzato come si dirà più avanti. Non ci sembra questo il caso di teorizzare sulla funzione della rima a seconda dei vari generi letterari, anche perché, per quanto essa riemerga periodicamente magari solo come fantasma nell’assonanza, siamo convinti che il vero artista può fare tutto, anche scrivere qualcosa di tragico in rima baciata senza far ridere e qualcosa di comico in endecasillabi sciolti senza far piangere. Né questa consapevolezza poteva mancare al suo autore  col titolo Stornello (lo vedremo anche nel terzo componimento che esamineremo nell’ultima puntata), anche se poi la struttura metrica, di cui parleremo più avanti, ne è distante anni luce. Anche questa volta proponiamo la testata e il testo di quel giorno, testo che, come la

Clemente Antonaci e Il cittadino leccese (prima parte)

di Maria Grazia Presicce e Armando Polito

Le emeroteche rappresentano, com’è noto, una delle principali fonti per la ricostruzione di un periodo storico; il giornale costituisce, pur nei condizionamenti interpretativi  che ogni legame più o meno ideologico comporta, una fotografia quasi immediata dell’evento, senza gli inevitabili ulteriori filtri che, ad esempio, un saggio, pur coevo, ha potuto, nel limitato tempo che lo separa dall’evento, introdurre.

Capita, perciò, che anche la produzione non strettamente giornalistica, nel caso di oggi quella poetica, trovi spesso (e ciò è capitato anche ai grandi autori) ospitalità su un giornale, nel nostro caso un periodico, un’ospitalità tanto più fortunata  quanto meno probabili sono le possibilità che quel prodotto  possa restare inserito in una raccolta di più ampio respiro pubblicata secondo i consueti canoni. E quei frammenti sparsi, anche se in sé conclusi, costituiscono preziosi tasselli per meglio comprendere e definire la personalità di artisti che pure hanno visto pubblicate le loro opere principali.

Di Clemente Antonaci, personaggio di spicco della cultura risorgimentale salentina1, comparvero su Il cittadino leccese2 tre poesie: la prima, quella che esamineremo oggi, nel n. 11 (anno secondo) del 10 maggio 1862, le altre, alle quali dedicheremo la nostra attenzione nella prossima puntata, rispettivamente nel n. 13 (anno primo) del 12 ottobre 1861 e nel n. 5 (anno secondo) del 29 marzo 1862.

Ecco la testata del numero in cui uscì la poesia di oggi e, di seguito, il testo originale, che poi trascriveremo per poter inserire le note di commento.

Il componimento, in endecasillabi sciolti, è in onore della fine prematura di Vilma Kossuth (13 maggio 1843-22 aprile 1862), figlia del leggendario Lajos, l’eroe dell’indipendenza ungherese, morta in Italia (a Nervi), dove si trovava in esilio con l’intera famiglia, di tisi. Il motivo funebre, però, s’intreccia con quello patriottico non solo in una specie di osmosi padre-figlia ma pure in una sorta di gemellaggio fra due paesi (l’Ungheria e l’Italia) che hanno lottato, anche se con esiti diversi, per un ideale di libertà. Sul piano formale c’è fedele aderenza ai canoni ottocenteschi in generale e risorgimentali in particolare, con l’adozione di molti termini di diretta origine latina, con finalità di enfasi e solennizzazione amplificate talora dall’enjambement (porporini/crepuscoli; mille/adorator; avrete/compagna; strette/le destre; scenderanno/ innumere); non manca neppure un’eco leopardiana  [A riguardar verrai sul tuo verone./ Né più del caro vecchio genitore…sentiraiD’in su i veroni del paterno ostello porgea gli orecchi (Canti, A Silvia, 19-20)] e l’uso di nessi stereotipi (la fredda spoglia; laceri avanzi).

Nonostante ciò, anche al lettore di oggi la lettura risulta agevole e gradevole.

A Vilma Kossuth (a)

Una vergine passa: a quel sorriso

Che le labra3 le sfiora, ai rosei veli

D’oro trapunti, a le sue vesti orlate

Di lucente ermisino4, a la ghirlanda

Che il crin le cinge, sospettar potevi

Che a una festa s’avvii. Povera Vilma!

Oggi una zolla di straniera terra

Ma diletta al cor tuo, la fredda spoglia

Ti coprirà. Né più la lieta pompa

Delle ausoni5 campagne, e il blando sole

Del maggio e del ciel nostro i porporini

Crepuscoli dell’alba, e de la sera

A riguardar verrai sul tuo verone.

Né più del caro vecchio genitore

Che pargolett’ancor per dubbia6 fuga

Seco ti addusse, su le molli treccie

Sentirai la carezza; e de’ tuoi lari7

Sì lungamente sospirati e pianti

Non rivedrai la soglia, esule figlia.

Pur di beltà di gioventù raggiante

Come d’un Cherubino era il tuo volto

Ch’una gentil malinconia velava,

Ch’avria8 beato d’un soguardo9 i mille

Adorator che ti venian sui passi,

Tanta lo rivestia grazia di cielo!

Ma in la tua salma10 tenerella ardea

La favilla vital pallida, fioca,

Da lento morbo11 esinanita12, come

Il baglior d’un13lampana14 notturna

Che or langue or riscintilla e vien morendo.

Itale belle ed Itali guerrieri

Si cosperga15 d’anemoni e narcisi

Come a compianto di perdut’amica

Il feretro di Vilma. E voi dispersi

Laceri avanzi delle forti pugne

Combattute alla Vistula e al Tibisco16

Prodi  Poloni e Magiari, che Vilma

Compagna aveste all’esular né avrete

Compagna alla reddita17, oh le donate

Come a sorella i pianti. E non fian lunghi

di Vilma i sonni…Che quel dì che strette

Le destre a un giuro18 di trionfo o morte

Coll’ira dei lioni scenderanno

Innumere dall’Alpi e da’ Carpati

Le armate di due popoli a battaglia

Contro il Teutòno19, romperà la pietra20

Vilma che la rinserra e redimita21

De l’aureola de’ Santi uscirà incontro

Al primo eroe che pianterà il vessillo

Sopra le torri di Venezia e Buda22,

A baciarne la fronte e incoronarlo.

Però sin ch’ella poserà23 sin quando

Non  si ridesti, della sua canzone

L’alpiggiano24 pastor, de’ suoi susurri25

La spumeggiante Dora26; e la romita27

Aura28 del Moncenisio a lei più leni29

Renda, e beati del sepolcro i sonni.

 

(a) Vilma Kossuth figlia dell’illustre Magiaro che da morbo triennale consunta moriva a Torino nel passato aprile di anni 17. Molti signori e signore italiane, il corteo dell’emigrazione ungherese e polacca, ed il suo vecchio padre piangendo ne accompagnarono il feretro.

________

1 Avvocato,  titolare di letteratura latina e greca al liceo Palmieri di Lecce. Dall’ Annuario della istruzione pubblica del Regno d’Italia del 1868-69, Tipografia del giornale Il conte Cavour, Torino, 1869, pag. 231: “Originario di Martano, collaborò con Giuseppe Morosi alla raccolta di canti popolari in griko, materiale che servì al Morosi per elaborare la sua teoria dell’origine bizantina e non magno-greca delle popolazioni grecofone della Grecìa salentina. Secondo quanto riportato da C. De Giorgi, Bozzetti di viaggio, Lecce, 1888 dettò il testo della lapide marmorea che il comune di San Cesario di Lecce pose il 1 marzo 1885 sulla facciata della casa natale di Vincenzo Cepolla (oggi corrisponde al n. 50 della via a lui intitolata), giurista e deputato al parlamento napoletano”.

Aggiungiamo che Giuseppe Morosi nella sua opera (Studio sui dialetti greci della Terra d’Otranto, Tipografia editrice salentina, Lecce, pag. VI così ne ricorda, nell’iniziale messaggio ai lettori, il prezioso contributo: “Alcuni saggi poi di canzoni popolari nel dialetto medesimo procuratimi da persone amiche e sopratutto la piccola, ma preziosa raccolta, per anco inedita, che ne avea già fatto il mio egregio collega Avv. Antonaci, martanese, e che gentilmente mi fu da lui comunicata mi convinsero che un tale studio non solo per la filologia, ma poteva essere di qualche momento eziandio per la letteratura e la storia”.

A Clemente Antonaci sono intitolati a Martano l’Istituto Comprensivo di via Nizza 51 e una via; quest’ultima pure a Nardò e a Lecce. Dell’illustre salentino comparvero sul settimanale leccese, oltre alle tre poesie di cui si è detto e ad altre molto probabilmente contenute in numeri perduti,  articoli letterari. Uno, con indicazione della sola testata e senza data, fu riprodotto nell’appendice di La Giapigia e varii opuscoli di Antonio De Ferrariis detto il Galateo, v. II, pagg. 23-27,  facente parte del terzo volume della Collana di opere scelte edite e inedite di scrittori di Terra d’Otranto, a cura di Salvatore Grande,  Tipografia Garibaldi di Flascassovitti e Simone, Lecce,  1868. Proprio Salvatore Grande nel 1875 subentrerà ad Enrico Lupinacci (vedi nota successiva) alla direzione de Il cittadino leccese.

Clemente Antonaci fu autore di La donna è un libro: monologo, s. l., s. n. , 1894; Epigrafi e motti: Lecce, 22 agosto 1889, Lazzaretti e figli, Lecce, 1889.

2 Il primo numero di questo settimanale storico-letterario, che era pubblicato il sabato per i tipi della Tipografia dell’Ospizio Garibaldi ed era diretto dal prete liberal moderato Enrico Lupinacci (dal 1862 titolare di Italiano, anche lui al liceo Palmieri), uscì il 6 aprile del 1861. La raccolta (della quale, probabilmente, come si dirà nella terza parte, sono andati perduti parecchi numeri), custodita nella Biblioteca provinciale Nicola Bernardini, è stata restaurata in occasione del 150° anniversario dell’Unità.

3 Variante letteraria di labbra.

4 O ermesìno (anticamente ormesino o ormisino): tessuto pregiato di seta leggera; la voce è da Ormuz, antica città persiana.

5 Gli Ausoni erano una popolazione campana dell’età del ferro. Ausonia venne poi usato estensivamente dai poeti romani per indicare l’intera penisola.

6 Pericolosa, secondo uno dei significati che la voce assume in latino.

7 I Lari presso i Romani erano, insieme con i Penati e con Vesta, i protettori della casa. Qui la voce sta nel senso estensivo di patria.

8 Avrebbe.

9 Per sogguardo (sguardo).

10 Nel significato letterario di corpo; nostre misere menti e nostre salme sono disgiunte in eterno (Leopardi).

11 La tisi.

12 Voce letteraria che significa spossata; dal latino exaninanìre=vuotare, da inanis=vuoto, vano, inutile.

13 Errore di stampa per una (tutti i versi, oltretutto, sono endecasillabi).

14 Voce letteraria, variante toscana di lampada.

15 Variante letteraria di cosparga.

16 Due fiumi; il primo scorre in Polonia, il secondo in Ungheria.

17 Variante di redìta, voce letteraria che significa ritorno.

18 Voce letteraria per giuramento.

19 I Tèutoni erano una popolazione tedesca; da notare la diastole (teutòno) per esigenze metriche.

20 Quella che copre la sepoltura.

21 Voce letteraria che significa incoronata.

22 Budapest nasce dall’unione delle tre città di Buda, Óbuda e Pest.

23 Riposerà.

24 Per alpigiano (geminazione di g-, all’opposto di quanto avviene più avanti con susurri).

25 Per sussurri (scempiamento di r, all’opposto di quanto succede nel precedente alpiggiano).

26 È il fiume Dora Riparia.

27 Voce letteraria che significa solitaria, isolata.

28 Voce letteraria che significa aria.

29 Voce letteraria che significa leggeri.

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