Le tre varietà salentine del cisto, noto come ‘mucchiu’

Il mùcchiu

di Armando Polito

Rispondo alla gentile richiesta avanzata dall’affezionato spigolatore prof. Luigi Cataldi nel suo recente commento al post Purciddhuzzi day del 27. u. s. e lo ringrazio perché mi consente di fare nnu iàggiu e ddo’ sirizzi (un viaggio e due servizi), dal momento che mi ero ripromesso di trattare a breve di quest’altra essenza componente immancabile della nostra macchia mediterranea e la risposta, d’altra parte, sarebbe stata troppo lunga per l’apposito spazio.

Non so se per fare onore al nome dialettale dell’arbusto (ammesso che corrisponda al nome comune italiano mucchio) il nostro territorio ne vanta la presenza di tre varietà (l’ultima credo che sia la più diffusa), sicché la scheda questa volta va così compilata:

cistus creticus

nome italiano: cisto rosso, mucchio (quest’ultima voce regionale toscana)

nome scientifico: Cistus creticus L.

famiglia: Cistaceae

nome dialettale : mùcchiu

 

cistus salvifolius

nome italiano: cisto, mucchio (quest’ultima voce regionale toscana), scornabecco

nome scientifico: Cistus salvifolius L.

famiglia: Cistaceae

nome dialettale : mùcchiu

 

 
 

nome italiano: cisto di Montpellier, cisto marino

cistus monspeliensis

 

nome scientifico: Cistus monspeliensis L.

famiglia: Cistaceae

nome dialettale : mùcchiu

 

Etimologie:

Nomi italiani: cisto dal latino cisthos, dal greco kisthos o kisthòs; mucchio (vedi etimologia della voce dialettale); scornabecco in riferimento al fatto che è rifiutato dagli animali perché troppo aromatico.

 

Nome scientifico, prima parte comune (Cistus): dalla voce latina precedente1 .

Nome scientifico, secondo componente della prima scheda (creticus): la voce latina significa cretese e si riferisce al luogo di origine o di particolare diffusione.

Nome scientifico, secondo componente della seconda scheda (salvifolius): la voce latina, di formazione moderna,  significa dalle foglie di salvia.

Nome scientifico secondo componente della terza scheda (monspeliensis): forma aggettivale latina moderna da Montpellier, città dove la pianta venne descritta per la prima volta (1753).

Nome della famiglia: forma aggettivale dal citato Cistus.

Nome dialettale: per il Rohlfs è “dal latino mùtulu(m)=pietra di confine>mucchio>pianta che si presenta in forma ammucchiata”.

A misera integrazione e, forse, a miserabile correzione di quanto riportato dal maestro preciso che mùtulus (di cui il precedente mùtulum è caso accusativo, dal quale di norma derivano le voci italiane) nel latino classico significa mensola2 e, in architettura, modiglione3 (nell’ordine corinzio e successivamente in altri tipi di fregi e cornici, piccola mensola di forma parallelepipeda, con profilo sopra concavo e sotto convesso e doppie volute laterali e foglia di acanto nella fascia inferiore usata a sostegno della fascia che forma il cornicione; in arredamento elemento a forma di S, con funzione di sostegno o decorativa, presente specialmente nei mobili del sec. XVI4) (foto in basso).

È nel latino medioevale che la voce assumerebbe il significato di pietra di confine, almeno stando a quanto si legge nel Du Cange5 ed a lui il Rohlfs (se ho ricostruito esattamente il percorso da lui fatto) ha dato una fiducia probabilmente eccessiva.

Debbo dire ancora, ad essere sincero, che la proposta etimologica citata è ineccepibile sul piano fonetico (mùtulum>*mutlum>*muclum>mùcchiu), non totalmente convincente, almeno per me, (al di là delle perplessità espresse in nota 5) su quello semantico: mi appare, infatti, un pò forzato il passaggio pietra di confine> mucchio>pianta che si presenta in forma ammucchiata proprio nel percorso dalla prima alla seconda tappa (dalla pietra isolata per arrivare al concetto di mucchio bisogna passare all’insieme di pietre), nonostante qualcuno potrebbe considerare come pezza giustificativa o prova a conforto proprio l’integrazione che poco prima ho fatto.

E allora? Nel mio piccolo avrei anch’io una proposta da avanzare, anche se a prima vista più contorta della precedente dal punto di vista dell’evoluzione fonetica. Il padre di mùcchiu potrebbe essere il latino tùmulu(m)=monticello, attraverso la trafila seguente: tùmulu(m)>*mùtulum (metatesi a distanza, fenomeno abbastanza frequente nel salentino)>*mutlum>*muclum>mùcchiu (il lettore avrà notato che gli ultimi tre passaggi denotano gli stessi fenomeni fonetici presenti nella proposta ufficiale). Se così è ogni riferimento architettonico e di arredamento andrebbe escluso e tutto si ridurrebbe alla forma della pianta che evoca proprio quella di un monticello.

Che abbia detto un… mucchio di fesserie?

Meglio chiudere con una testimonianza sicura, quella del solito Plinio (I° secolo d. C.): “I Greci con vocabolo vicino al nostro chiamano cisto un arbusto più grande del timo, con le foglie di basilico. Due sono i suoi generi. Il maschio ha il fiore color rosa, la femmina bianco. Ambedue giovano a chi è colpito da coliche o e da dissenteria, in vino aspro, quanto se ne può cogliere con tre dita e così bevuto due volte al giorno; (giovano) con cera alle vecchie piaghe e alle ustioni e da soli alle ulcerazioni della bocca6”.

________

1 Più correttamente sarebbe dovuto essere Cisthus con desinenza tipicamente latina dal citato cisthos che non è altro che la trascrizione della voce greca; il rapporto, poi, tra cisto e cisti/ciste (circolante in Rete) è assolutamente improponibile dal momento che quest’ultimo è dal latino medioevale cystis, a sua volta dal greco kustis (da notare, dettaglio importante, l’assenza di aspirazione, questa volta,  tanto in latino quanto in greco, dopo –t-).

2 Varrone (I° secolo a. C.), De re rustica, III, 8:…pro columbariis in pariete mutulos aut palos in ordinem, supra quos tegeticulae cannabinae sint impositae (…per le colombaie [la costruzione abbia] nel muro mensole o pali in ordine, sopra i quali siano collocate coperture di canapa); III, 16: …easque alvos ita collocant in mutulis parietis, ut ne agitentur neve inter se contingant, cum in ordinem sint positae (…e collocano le arnie sulle mensole del muro in modo che non si diano reciprocamente fastidio né si tocchino tra loro essendo state poste in ordine).

3 Vitruvio (I° secolo a. C.), De architectura, I, 1, 5; IV, 1, 2; 2, 3; 2, 5; 7, 5; VI, 2, 2; 7, 6;

4 Dizionario italiano De Mauro, Paravia, 2000.

5 Glossarium mediae et infimae Latinitatis, L. Favre, Niort, 1883, tomo V, pag. 562: “Lex Ripuar. 60, § 4: Si autem ibidem infra terminationem aliqua indicia sua arte, vel butinae aut Mutuli facta extiterint, ad sacramentum non admittatur, etc. Ubi mutuli videntur esse aggeres terrei, quos Motes nostri vocant: aut forte lapides ii quos Mutos vocant Agrimensores, i sine inscriptione vice terminorum positi. Vide Bonna 2.” (Legge ripuaria 60, § 4: Se poi lì nella determinazione dei confini siano emersi alcuni segni fatti ad arte o di … [per butinae vedi più avanti] o di… [per Mutuli vedi quanto in questo stesso testo è detto più avanti] non sia ammesso al sacramento, etc. Dove mutuli sembrano essere mucchi di terra che i nostri chiamano Motes: o forse quelle pietre che gli agrimensori chiamano Muti, quelle posti senza iscrizione invece dei confini. Vedi Bonna 2 [ci andremo più avanti]).

Subito dopo alla stessa voce le integrazioni supplementari al Du Cange di altri autori complicano ulteriormente la situazione: “Errat Cangius, si fides Eccardo, in Notis ad legem citatam, quam ad calcem Legis Salicae edidit. Mutuli enim sunt machinationes clandestinae, vel seditiones clam excitatae, a veteri German. Meuten, clandestine agere, unde Meutmacher, Flabellum seditionis, Gall. Mutin. Haec vir eruditus; quae tamen in meam fidem recipere nolim” (Sbaglia il Du Cange se si dà credito all’opinione che Eccardo espresse nelle note alla legge citata e da lui pubblicata in calce alla legge salica. I mutuli infatti sono le macchinazioni clandestine o le ribellioni suscitate di nascosto, dall’antico germanico Meuten, agire clandestinamente, donde Meutmacher, vento di ribellione, gallico Mutin. Questo sostiene quell’erudito; tuttavia non mi sentirei di accogliere questa opinione)

Riprendo il butinae prima lasciato in sospeso. Non è voce del latino classico ma di quello medioevale e, infatti, nello stesso glossario (tomo I, pag. 794 leggo: “Lex Ripuariorum tit. 60, § 4: Si ibidem…[è ripetuto lo stesso testo di prima fino ad admittatur]; sed in praesente cum legis beneficio cogatur restituere. Codices alii habent Bucinas, Bucinae et Bucine. Omnes erronee, inquit Eccardus in hunc locum, ubi addit: Butinam hic ego idem esse reor ac Gall. Butin a Germanico Beute, Sax. Büte, Italis Botino et Butino, praeda derivatum.” (Legge ripuaria….; ma al presente sia costretto a restituire con beneficio di legge. Altri codici hanno Bucinas, Bucinae e Bucine. Tutti erroneamente, dice Eccardo in questo passo dove aggiunge: Io credo che Butina come il gallico Butin, sia derivato dal germanico Beute, sassone Büte, per gli Itali Botino e Butino, preda).

Al lettore lascio ogni giudizio, se si sente di emetterlo,  su come veramente potrebbero stare le cose.

6 Naturalis historia, XXIV, 48: “Graeci vicino vocabulo cisthon appellant fruticem maiorem thymo, foliis ocimi. Duo eius genera: flos masculo rosaceus, feminae albus. Ambo prosunt dysintericis et solutionibus ventris in vino austero ternis digitis flore capto et similiter bis die poto, ulceribus veteribus et ambustis cum cera et per se oris ulceribus”.

 

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