di Gianna Greco
Partiamo da lontano, dai tempi in cui gli uliveti dei Messapi rappresentavano una grande risorsa per la loro produttività e per l’ottima qualità delle olive, una in particolare, la Sallentina, menzionata da Catone nel suo “trattato Sull’agricoltura” e da Plinio il Vecchio nella sua opera “Storia Naturale”.
L’olivo selvatico era, ma lo è ancora, chiamato “oleastro”, stesso nome utilizzato dagli anziani della vicina Grecia.
E dopo alcuni millenni ci ritroviamo, ai giorni nostri, a sentirci dire “ma cosa me ne faccio di questi ulivi secolari?”.
…Scusate ma credo sia stata una delle frasi che mi ha maggiormente turbata durante una settimana di studio sull’olio extra vergine di oliva.
Avrei voglia di mantenere vivi e fruttuosi quegli ulivi secolari, solo per la gioia di ammirarli, solo per sdraiarmici all’ombra della enorme chioma con un libro ed un buon bicchiere di rosato a meditare, ma questo è tutto un altro discorso, questo fa parte del mio modo di essere e di amare la mia terra.
Percorrendo la Lecce-Santa Maria di Leuca o risalendo da Lecce verso Bari ed ancora oltre, si può ammirare un panorama che pullula di ulivi stupendi, ognuno dei quali con imponenza attira la mia attenzione. Passerei ore a guardarli, a coglierne le differenze, le posizioni, i segni delle slupature; creature viventi, speciali, quali credo essi siano, almeno per chi ha vissuto sempre in loro compagnia. Una compagnia discreta, silenziosa e gentile, ma allo stesso tempo tanto generosa.
Mi riprendo dalle immagini bucoliche e riparto dalla mia passione per le ricette tradizionali salentine, con delle ricette dolcissime intrise di ricordi come la crostata della nonna preparata con l’olio, quello buono, come diceva sempre lei, le “pastareddhre”, i buonissimi biscottoni da colazione preparati con olio e latte e le “pitteddhre” le crostatine di una pasta sottile fatta con olio e vino, farcite con la “mostarda”, la confettura di uva da vino.
L’olio in pasticceria, purtroppo, è stato soppiantato da altri grassi meno