Al via i restauri dell’organo monumentale della Cattedrale di Nardò (1897)

di Marcello Gaballo

In questi giorni si è finalmente dato inizio al restauro del monumentale organo a balcone della Cattedrale di Nardò, del 1897, che da decenni è rimasto inattivo a causa di una grave infestazione di termiti, che avevano gravemente intaccato e corroso in più parti la struttura in legno di noce  di sostegno, compreso il balcone e le parti scolpite di ornamento. Da anni si parlava dell’urgente azione di recupero, al fine di non perdere una delle opere più significative del massimo tempio presente in città.

 

 

Un po’ di storia

Nel corso degli importanti lavori di restauro eseguiti tra il 1892 e il 1899 nella Cattedrale, il vescovo tarantino monsignor Giuseppe Ricciardi (1890-1908) si preoccupò di dotare il sacro tempio di un nuovo organo polifonico a canne, per dare solennità alle cerimonie di inaugurazione e quelle che si sarebbero succedute nel tempo. Tutta la città contribuì alle ingenti spese dell’edificio, ma fra tutti si distinsero i fratelli De Pandi, che fecero realizzare a proprie spese il pavimento, la famiglia Vaglio, che offrì la balaustra del presbiterio, e Luigi Antico che fece restaurare a sue spese l’altare di S. Michele.

Dopo un primo preventivo dell’organaro barese Luigi Mentasti di Paolo, datato 1895, la scelta ricadde sulla ditta del cremasco Pacifico Inzoli, già impegnata per altri organi pugliesi e che lo realizzò nel 1897: PREMIATA E PRIVILEGIATA FABBRICA D’ORGANI/ CREMA/ INZOLI CAV. PACIFICO, come si legge sulla placchetta posta al disopra delle due tastiere.

La trattativa andò a buon fine anche per l’intermediazione del vescovo di Crema Ernesto Fontana (1830-1910), amico del nostro vescovo Ricciardi, del quale si conservano alcune lettere nell’archivio storico diocesano, in cui lo rassicurava circa il valore e la fama goduta dalla Casa d’organi “Pacifico Inzoli” di Crema: “…Fabbricatori d’organi a Crema si trovano quattro; ma Inzóli e Tamborini la vincono sugli altri: Inzoli poi credo che la vinca su tutti e che siasi acquistata una fama molto estesa e molto meritata. Egli è passionato dell’arte sua e costruisce gli organi secondo le esigenze delle leggi liturgiche e della musica sacra… Inzoli è uomo bravo, onesto e cristiano”.

Foto di Pacifico Inzoli

 

La Casa era stata fondata in Crema nel 1867, premiata con medaglie d’oro e diplomi d’onore (all’Esposizione di Bologna nel 1888 e all’Esposizione Eucaristica di Milano nel 1895) e aveva già realizzato oltre 200 organi, tra i quali i monumentali per la Cattedrale di Cremona, per S. Ignazio in Roma, per il  Santuario di Pompei.

In un vano ricavato nella struttura muraria perimetrale della navata destra, accanto alla cappella della Madonna delle Grazie o della Sanità, fu collocato l’organo a balcone su sue piani, dei quali il vano superiore fu riservato ai corpi fonici e la consolle, l’inferiore per la manticeria. L’elegante prospetto in legno di noce, la cassa e la cantoria, furono intagliati in stile neogotico, dagli stessi ebanisti della Scuola d’Arte di Maglie (LE), diretta da Egidio Lanoce (1857-1927), che avevano realizzato il seggio vescovile, le ante dell’altare delle reliquie e i battenti lignei della porta che dalla cattedrale immette alla scala dell’episcopio.

Un’epigrafe marmorea in latino, posta nel 1898 sulla parete muraria, al lato destro della facciata dell’organo, ricorda come l’opera fu donata alla città dalla nobildonna Clementina Personè (1840 ca.-1899), moglie del barone Giovan Bernardino Tafuri di Melignano (1827-1900), che può essere così tradotta: “In questa chiesa dedicata alla Vergine, recentemente riportata al suo primigenio splendore, affinché le divine lodi risuonino alte e muovano i cuori dei fedeli di Cristo ai pietosi affetti, Clementina Personè, moglie di Bernardino Tafuri, curò a sue spese questo campione della musica e della cosa sacra, con solerzia, nell’anno 1898” (traduzione di Elsa Martinelli).

Epigrafe marmorea a lato dell’organo, nella quale sono riportati i nomi dei donatori

 

Primo organista del nuovo organo accordato sotto la diretta revisione dell’Inzoli fu il neritino Giovanni Boccardo, conosciuto col cognome di Manfroci perché allevato ed educato dalla famiglia Manfroci, poco noto ma organista di grande livello. Non da meno fu il successore Maestro Egidio Schirosi (1895-1991), che fu anche direttore e compositore, che amava definirsi “organista dell’insigne Basilica Cattedrale”.

 

Note tecniche dell’organo di Nardò

L’organo, entro tre campate in altrettante cuspidi (7/7/7), mostra n. 21 canne in zinco dalle bocche non allineate, con andamento contrario a quello delle sommità, con labbro superiore a scudo. Nota della canna maggiore: Do1 del Principale 8. Due tastiere originali, a finestra, di n. 58 tasti (Do1-La5): diatonici ricoperti in osso, cromatici in ebano. Trasmissione meccanica a bilico. Gran’Organo al manuale inferiore, Espressivo al superiore. Pedaliera originale, diritta, di n. 27 pedali (Do1-Re3). Trasmissione meccanica con leva pneumatica Barker. Registri azionati da pomoli, a tiro, in quattro colonne ai lati delle tastiere: 5+4 pomoli a lato sinistro, 4+5 pomoli a lato destro.

 

 

 

L’Immacolata Concezione della chiesa Matrice di San Donaci

L’Immacolata Concezione della chiesa Matrice di San Donaci, copia dell’omonima tela di Leonardo Antonio Olivieri conservata nella Cattedrale di Nardò

 

di Domenico Ble

A San Donaci, all’interno della nella chiesa Matrice, edificio moderno in quanto edificato nel 1899 (la data è riportata nel cartiglio posto in cima all’arco terminale della navata centrale) è conservata una tela del XVIII secolo, di autore ignoto, raffigurante l’Immacolata Concezione. L’opera non è collocata su nessun altare, ma sulla parete della controfacciata.

San Donaci, tela dell’Immacolata Concezione (sec. XVIII)

 

Al centro della tela è posizionata la Vergine Immacolata, raffigurata in piedi al di sopra di una mezzaluna rovesciata, sovrapposta ad una nube; ha il capo chino e accetta la volontà divina e con il piede destro calpesta il serpente simbolo del maligno.

Il movimento della figura della donna è evidenziato dal manto che è svolazzante alle sue spalle e dalla posa leggermente arcuata verso sinistra. Quest’ultimo particolare ricorda il modello dell’Immacolata giordanesca, conservata a Latiano nella chiesa dell’Immacolata, già analizzata in un precedente saggio e da me attribuita ad un pittore di formazione “giordanesca”[1].

Degli angeli attorniano la Vergine: quello in alto a sinistra tiene in mano la rosa bianca, un rimando alle litanie lauretane, in cui è scritto: “rosa mistica”; l’angelo in basso a destra regge il giglio, simbolo di purezza, assieme allo specchio, anche quest’ultimo simbolo mariano presente litanie lauretane: “Vergine fedele specchio della santità divina”. In alto, secondo piano a destra, un altro angelo regge il manto. Delle teste angeliche, raffigurate a coppie di due, sono collocate in alto, all’estremità di destra e sinistra.

In secondo piano al centro, conclude lo sfondo dorato, simbolo della dimensione celestiale ultraterrena.

In basso all’estremità di destra, sono presenti due iscrizioni realizzate in epoche differenti. La prima è in latino, mancante di alcuni pezzi, e c’è scritto:

ALTARE HOC IN HONORE BEATAE MARIAE VIRGINIS SINE LABE CONCEPTAE DICATUM. A RD° ABBATE D. NICOLAO FONTEF […] CANONICO PAENITENTIARIO CATHEDRALIS ECCLESIAE […] NERITONENSI […] ANO REPARATAE SALUTIS 17[…]” (altare dedicato alla Beata Vergine concepita senza peccato. Reverendo Abbate Don Nicolao Fontef […] canonico penitenziere della cattedrale neretina […] anno di redenzione 17 […]). Il frammento dell’anno, da quel poco che si riesce a leggere, potrebbe essere il 1775, anno in cui fu celebrato il Giubileo della Chiesa Cattolica.

L’altra invece risale 1882 e riporta: “PIO DE SANTIS / Restaurò in Agosto 1882 / SOTTO IL SINDACO SIG. / FERDINANDO MARASCO BENEMERITI / CONSIG = Sig. VINCENZO VALLETTA E POMPILIO RIZZO”.

Nella prima iscrizione è menzionato il committente, vale a dire il canonico penitenziere della Cattedrale di Nardò don Nicolao Fonte. Nella stessa viene riportato anche l’altare su cui era posta la tela, ovvero quello dedicato all’Immacolata Concezione.

Riguardo al committente potrebbe trattarsi dell’abate don Nicola Fonte, rettore della chiesa di San Pietro Malearti nel centro storico di Nardò[2] e possessore del beneficio posto sull’altare su cui era collocata l’opera. Nella seconda iscrizione invece si parla del primo restauro, avvenuto ad opera di Pio De Santis nel 1882, per il volere del sindaco Ferdinando Marasco e dei consiglieri Vincenzo Valletta e Pompilio Rizzo.

Per la realizzazione dell’opera, l’autore ha osservato l’Immacolata Concezione di Leonardo Antonio Olivieri (Fig. 6), realizzata nel 1725 circa, conservata nella Cattedrale di Nardò[3]. La tela dell’Olivieri ha una impostazione differente, è maggiormente curata dal punto di vista scenografico, difatti nell’insieme è più complessa.

Nardò, Cattedrale, Leonardo Antonio Olivieri, Immacolata-Concezione (sec. XVIII)

 

Nell’opera non è solo raffigurata la Vergine Immacolata, ma anche i santi, che sono collocati a semicerchio in basso da sinistra a destra. In più, in secondo piano a destra è visibile una colonna posta al di sopra di un alto basamento.

Nella tela si riscontra maggiore lucentezza dal punto di vista cromatico e il vibrante gioco di luci ed ombre è più marcato e sicuro; particolare che sottolinea la diretta formazione solimenesca.

La tela di San Donaci invece manca del particolare architettonico posto in secondo piano; è più opaca nelle tinte e non raggiunge l’elevata lucentezza presente nell’opera dell’Olivieri. Inoltre, le ombreggiature definiscono i particolari del viso e degli indumenti, mettendo in rilievo la sensazione di spigolosità presenti nella figura. Altre similitudini fra le due Vergini sono la robustezza della donna, la posa, il movimento del corpo, il gesto di ricongiungimento delle mani, il manto che svolazza in diagonale a destra alle spalle della Vergine, le spire del serpente e l’angelo con lo specchio.

particolare della tela di San Donaci

 

altro particolare della tela di San Donaci

 

L’interesse dell’opera non è racchiuso solo nell’essere una copia dell’Olivieri, ma conferma l’importanza di un fenomeno molto diffuso nelle province dell’allora Regno di Napoli e cioè quello della circolazione dei modelli dei grandi pittori napoletani. L’autore dunque potrebbe essere un pittore salentino, aggiornato sulle novità del suo tempo, attivo nella seconda metà del Settecento in area salentina.

 

Note

[1] D. BLE, L’Immacolata Concezione giordanescaconservata nella chiesa dell’Immacolata a Latiano in Il Delfino e la Mezzaluna, periodico della Fondazione Terra d’Otranto – Gennaio 2018, anno V°, nn° 6-7, pp. 263-267.

[2] E. MAZZARELLA, Nardò Sacra, a c. di M. Gaballo, Congedo Editore, Galatina 1999, p. 107.

[3] M. PASCULLI FERRARA, Leonardo Antonio Olivieri a Napoli attraverso le fonti e i documenti. Un mecenatismo illustre: i Caracciolo di Martina Franca in Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia, Vol. II 1982-1983, Schena Editore, Fasano 1984, p. 165; M. A. PAVONE, Pittori napoletani della prima metà del Settecento. Dal documento all’opera, Liguori Editori, Napoli 2008, p. 166.

 

Il seguente articolo è stato pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 17 novembre 2019

A proposito della prima attestazione della lingua volgare a Nardò

Si evidenzia un saggio scritto dal prof. Vito Luigi  Castrignano dell’Università del Salento, dal titolo °A proposito di un’epigrafe salentina in volgare (Nardò, entro il 1456)”, pubblicato nella prestigiosa REVUE DE LINGUISTIQUE ROMANE, edita dalla SOCIÉTÉ DE LINGUISTIQUE ROMANE, volume 80, Strasburgo 2016, concernente l’iscrizione in volgare neritino che si legge in cattedrale, nella navata sinistra, sotto l’affresco della metà del sec. XV e raffigurante San Nicola, la Madonna col Bambino e Santa Maria Maddalena orante.

Inserita in un cartiglio, l’iscrizione, a detta del Professore “con qualche cautela, può essere considerata la prima attestazione conosciuta del volgare a Nardò”.

2016_A_proposito_di_un_epigrafe_salenti

 

Sul volume in cui è comparso lo studio vedi qui:

Sancta Maria de Nerito. Arte e devozione nella Cattedrale di Nardò (1413-2013)

Libri| Tesori e inventari della Cattedrale di Nardò (sec. XV-XIX)

Tesori e Inventari della cattedrale di Nardò

Sarà presentato lunedì 27 maggio, alle ore 19, presso la Sala “Roma”, annessa al Museo Diocesano in Piazza Pio XI – Nardò, l’ultima edizione dei Quaderni della Diocesi di Nardò – Gallipoli, “Tesori e inventari della Cattedrale di Nardò (sec. XV-XIX)”.

Del volume, edito da Mario Congedo – Galatina, ne è autore Mons. Don Giuliano Santantonio, parroco della Cattedrale e direttore dell’Ufficio Beni Culturali della medesima diocesi.

Curato da Marcello Gaballo, con foto di Lino Rosponi, ha la prefazione del Prof. Maurizio Nocera e riporta ben 13 inventari degli oggetti sacri posseduti dalla cattedrale, inclusi negli Atti delle Visite Pastorali, compiute dai vescovi che si sono succeduti nella sede neritina, a cominciare da quelli indicati nelle tre Visite Pastorali di Mons. Ludovico De Pennis (1451 – 1483) sino a quelli della prima metà del secolo scorso.

Paziente e dotto lavoro di ricognizione, ha richiesto notevole impegno a causa dell’interpretazione e trascrizione dei manoscritti, quasi tutti in latino, abilmente tradotti per facilitare la comprensione della particolare ricchezza del più importante edificio della Diocesi, accumulatasi nei secoli grazie alla munificenza di vescovi mecenati, tra i quali, a dire dell’Autore, i De Franchis, il Fortunato e il Sanfelice, il Carafa, il Lettieri.

Il volume, di grande formato, con 242 pagine, sarà presentato dai Professori Mario Spedicato e Paolo Agostino Vetrugno, dell’Università del Salento.

Tesori e inventari della Cattedrale di Nardò (sec. XV-XIX)

Tesori e Inventari della cattedrale di Nardò

Dalla prefazione di Maurizio Nocera

SUI LIBRI SACRI DEGLI INVENTARI

DELL’ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI NARDO’

 

Giuliano Santantonio è un dotto uomo di chiesa, e di chiesa tratta in questo volume. Trattasi infatti del patrimonio storico e sacro-oggettuale della Cattedrale di Nardò. La sua ricerca, di difficile impegno (lui stesso lo afferma nella sua introduzione), ha seguito un percorso rintracciabile nelle Visite Pastorali di differenti Vescovi succedutisi sulla cattedra della Diocesi neritina. Il suo campo d’indagine è stato il deposito del ricco Archivio Storico Diocesano di Nardò (ASDN), da lui stesso indicato in un suo precedente saggio Ecclesia Mater[1] come il luogo in cui

«oltre agli atti delle visite pastorali, conserva una grande quantità di altre fonti documentarie, come per esempio i processi benificiali».

L’autore, ovviamente, scrive pure che in quell’archivio c’è molto altro ancora. Per cui la ricerca non finisce con questo suo nuovo saggio.

A premessa di quanto qui si leggerà, va detto che sarà utile sapere che Giuliano Santantonio si è già cimentato con queste stesse fonti in occasione appunto del libro Ecclesia Mater citato nel quale, con una prosa asciutta ed eloquente, ha fatto conoscere i differenti avvicendamenti architettonici e manutentivi della costruzione della fabbrica della Matrice neretina, costruita sul sito di una più antica chiesa (sec. XI) su pianta basilicale di origine normanna, attribuita       «all’iniziativa di Goffredo l’Inclito (1035-1100), conte di Conversano e di Nardò».

Qui, a differenza della precedente ricerca, l’autore riporta gli inventari (tutti scritti in latino, ad eccezione di uno, e da lui tradotti) degli oggetti sacri posseduti dalla cattedrale a iniziare da quelli indicati nelle tre Visite Pastorali di Mons. Ludovico De Pennis (16 giugno 1451 – gennaio 1483 deceduto), la prima effettuata nel 1452, con le aggiunte redatte in una sua seconda Visita (1460), ed ancora altre aggiunte rilevate in una terza Visita (1485), quest’ultima compiuta dal suo successore Mons. Ludovico De Justinis (31 gennaio 1483 – 1492 deceduto).

Leggendo e rileggendo gli Inventari di una così importante chiesa salentina, per me laico ma sempre attento agli eventi della Chiesa, mi sono chiesto cosa sottolineare della grande massa di oggetti e paramenti sacri elencati durante le diverse Visite Pastorali in un arco di tempo così lungo (1452-1763). Sicuramente, a causa di una mia sorta di “deformazione professionale”, la curiosità mi ha portato a puntare lo sguardo sui libri posseduti dalla diocesi. Grande è stato sempre il mio interesse per i libri liturgici e in genere religiosi, soprattutto per la loro straordinaria bellezza tipografica, e penso alla grande Bibbia delle 42 linee di Gutenberg del 1454[2]. Occorre dire che da sempre la Chiesa ha dato massima importanza ai libri. Ricchissima è l’iconografia cristiana che mostra immagini di apostoli, di santi e sante, di martiri e martirizzati, di beati e beate con tra le mani codici, cartigli o Exultet. Si pensi ad esempio a san Paolo, l’apostolo delle genti, che viene raffigurato con due immancabili attributi: la spada e il codice. La spada perché antico servitore (esattore) della Giudea e il codice, contenente i suoi scritti sulla base dei quali verrà poi edificata la Chiesa di Roma…

 

Note

[1] Ecclesia Mater. La fabbrica della cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali, Congedo, Galatina 2013.

[2] La biblioteca “Antonio Sanfelice” della diocesi di Nardò-Gallipoli vanta il possesso della rarissima edizione della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. In folio, fu stampata nel 1470 da Johannes Andreas, per i tipi di Conrad Sweynheim e Arnold Pannartz, prototipografi renani, allievi di Gutenberg, che, stabilendosi a Subiaco, e poi a Roma, introdussero l’arte tipografica in Italia. L’esemplare neritino, con coperta in pergamena rigida, è miniato con fregi floreali e geometrici; nelle prima pagina riporta un bellissimo stemma degli Avogadro. Oltre a numerosi capilettera miniati, contiene un’epistola a Joh. Andreae, Alariensis episcopi. Dell’esemplare sono note solo altre 14 copie, conservate in importanti biblioteche italiane ed in quella vaticana (Cfr. M. Gaballo, La biblioteca “Antonio Sanfelice” della diocesi di Nardò-Gallipoli. La restitutio ad integrum di una pregevole raccolta defraudata, in D. Levante (a cura di) Studia Humanitatis. Scritti in onore di Elio Dimitri, Barbieri Selvaggi, Mottola 2010, pp. 167-208). Sull’edizione neritina Alessandro Laporta ha scritto: “l’incunabolo posseduto dalla Biblioteca Vescovile di Nardò, esemplare che surclassa le due edizioni pliniane possedute dalla Biblioteca Innocenziana di Lecce (1483) e dalla Consorziale di Bari (1496). L’ex-libris della copia neritina recita esplicitamente Bibliothecae Episcopii Neritonensis addixit Antonius Sanfelicius Ep[iscop]us Nerit[inus], mentre in calce l’incunabolo reca l’impresa araldica degli Avogadro. Prima di passare al Sanfelice, il Plinio di Nardò appartiene verosimilmente ad uno sconosciuto discepolo di Esculapio che, al verso della carta 374, appunta alcune ricette, rendendo ancora più prezioso questo straordinario documento (A. Laporta, Il Plinio di Nardò. Un incunabolo da riscoprire, in https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/11/alessandro-laporta-il-plinio-di-nardo-un-incunabolo-da-riscoprire/ ).

La Cattedrale di Nardò sotto i riflettori per la celebrazione della Messa del 13 maggio

Un evento importante per la Cattedrale neritina, da giorni sotto le luci e i riflettori della RAI, che l’ha scelta per riprendere la consueta Messa domenicale.

Domenica 13 maggio infatti la troupe RAI1, già in città da diversi giorni, riprenderà per trasmettere in diretta la celebrazione officiata dal parroco don Giuliano Santantonio.

L’inedita occasione punterà anche a far conoscere le meraviglie racchiuse nel maggiore monumento cittadino, sul quale si sono sovrapposti oltre mille secoli di storia.

L’attuale Cattedrale difatti sorge sul sito un tempo occupato dal complesso basiliano di Sancta Maria de Neritono, cui Goffredo il Normanno nel 1061 concede numerosi privilegi. Nel 1080 si inizia a ricostruire la nuova chiesa, consacrata il 15 novembre 1088 ed affidata dallo stesso Goffredo ai monaci benedettini (1090), i quali istituiscono nel monastero cattedre di letteratura greca e latina, di eloquenza e di matematica.

Nel 1413 Giovanni XXIII (1410-1415), il pontefice scismatico Baldassarre Cossa, eleva a Diocesi la Contea di Nardò e a Cattedrale la chiesa monastica di S. Maria de Neritono, costituendo vescovo l’abate Giovanni de Epiphanis; in quell’occasione, Nardò diviene sede di episcopato.

Nel 1433 vi predica San Bernardino da Siena, chiamatovi da mons. Giovanni Barella. La sede neritina conserva il rito greco, accanto a quello latino, sino al vescovato di mons. Ambrogio Salvio (1569-1577).

Con decreto del 12 ottobre 1803 la Cattedrale è dichiarata Chiesa Regia e il 20 agosto 1879 monumento nazionale. Il 2 giugno 1980 viene elevata a dignità di Basilica Minore dalla Santa Sede, mentre il 30 settembre 1986 mons. Aldo Garzia è nominato vescovo della nuova circoscrizione diocesana di Nardò-Gallipoli.

Nel corso dei secoli la Cattedrale è oggetto di numerose trasformazioni. Originariamente edificata in pietra leccese in stile romanico-normanno, presentava una larghezza pressoché uguale a quella attuale, aveva un portico anteriore e terminava all’altezza dell’attuale presbiterio. Internamente era suddivisa in tre navate scandite da pilastri ed archi a tutto sesto, terminanti ognuna con un’abside. Risale alla fine del XIII secolo la ricostruzione del campanile in carparo (staccato dal corpo della chiesa) di forma quadrangolare. I terremoti che interessano Nardò tra il 1230 e il 1249 danneggiano la navata nord della chiesa, che viene ricostruita con archi a sesto acuto in carparo, con capitelli e cornici delle semicolonne addossate ai pilastri in pietra leccese.

La seconda trasformazione del tempio si colloca intorno alla seconda metà del XIV secolo: le navate sono allungate, mediante tre archi a sesto acuto, con l’aggiunta del coro e delle due cappelle laterali.

Il pulpito della cattedrale di Nardò

 

L’addizione di nuove cappelle, addossate alle pareti laterali, prosegue fino all’inizio del XV secolo.

Il terremoto del 1456 provoca il crollo della parte superiore della torre campanaria, danneggiando anche la chiesa, che il vescovo Ludovico De Pennis fa ristrutturare, avviando importanti lavori di consolidamento. Le capriate lignee delle navate laterali sono sostituite con volte a botte, mentre le pareti di rivestimento vengono in parte affrescate.

Dopo la battaglia di Lepanto (1571) la Cattedrale subisce ulteriori modifiche durante l’episcopato di mons. Ambrogio Salvio (1569- 1577). Successive modifiche sono apportate dai vescovi Lelio Landi  e Girolamo De Franchis (1617-1634); Orazio Fortunato (1678-1707) sostituisce il pavimento, trasforma la porta rivolta verso la piazza e realizza il controsoffitto. Al posto dell’altare di San Martino il presule commissiona nel 1680 il cappellone dedicato a San Gregorio Armeno.

All’inizio del XVIII secolo la Cattedrale è nuovamente pericolante e in molti ritengono che l’antica chiesa dovesse essere abbattuta e ricostruita ex novo. Il vescovo Antonio Sanfelice (1708-1736), sensibile al valore storico ed artistico del vetusto edificio, commissiona il restauro al fratello Ferdinando (1675-1748): il celebre architetto apporta importanti modifiche e nel 1725 ricostruisce la facciata dell’edificio e riveste con stucchi buona parte della struttura.

Cattedrale di Nardò, particolare degli affreschi del Maccari nel coro

 

Considerato l’urgente bisogno di restaurare la chiesa, anche a seguito dei danni riportati dal sisma, mons. Michele Mautone (1876-1888) progetta di demolirla per ricostruirla integralmente.

È il suo successore, Giuseppe Ricciardi (1888-1908), a promuovere i nuovi lavori di restauro il consolidamento degli affreschi medievali e dell’intera struttura; il rifacimento del tetto ligneo sulle navate minori, dopo la demolizione delle volte esistenti. Sono inoltre ricostruiti le absidi minori, il ciborio, gli affreschi del presbiterio ad opera di Cesare Maccari e la maggior parte delle cornici e dei capitelli. Furono anche sostituite le capriate sulla navata centrale e furono realizzate le arcate lungo il fianco meridionale. Tra il 1977 ed 1982, sotto l’episcopato di Mons. Mennonna, la chiesa è nuovamente oggetto di lavori di restauro durante i quali si procede a rifare il pavimento, consolidare e sostituire le coperture, restaurare gli affreschi, l’organo, il campanile e la facciata.

 

Per approfondire sulle opere d’arte in essa presenti:

Il Crocifisso nero nella cattedrale di Nardò

Cinque francobolli per ricordare il sesto centenario della Cattedrale di Nardò e della civitas Neritonensis

L’affresco di Sant’Agostino nella cattedrale di Nardò

https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/11/01/su-alcune-reliquie-conservate-nella-cappella-di-tutti-i-santi-nella-cattedrale-di-nardo-2/

Sancta Maria de Nerito. Arte e devozione nella Cattedrale di Nardò (1413-2013)

Un “bestiario” medievale sulle antiche travi della Cattedrale di Nardò (1).

Ecclesia Mater. La fabbrica della Cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali

Gli argenti della Cattedrale di Nardò, una raccolta straordinaria

Un busto di San Gregorio Armeno tra i tesori della cattedrale di Nardò

6 dicembre. San Nicola. Tre affreschi del santo di Myra nella cattedrale di Nardò

Finalmente riemerge il dipinto del Solimena nella cattedrale di Nardò

Su alcune reliquie conservate nella cappella di Tutti i Santi, nella cattedrale di Nardò

San Bernardino. Un affresco del santo senese nella cattedrale di Nardò

Da Sancta Maria de Nerito a cattedrale. Un millennio di storia nella chiesa madre di Nardò (XIII secolo)

Riemerge un Sant’Onofrio tra gli affreschi medievali della Cattedrale di Nardò

Santi patroni e filantropi nel “cielo” ligneo della Cattedrale di Nardò

Lineamenti diacronici storici e religiosi della Cattedrale di Nardò

L’affresco di Sant’Agostino nella cattedrale di Nardò

s. agostino1

 

di Marcello Gaballo

Sul secondo pilastro della navata centrale della cattedrale di Nardò è riprodotto uno dei più belli affreschi dell’ edificio: Sant’Agostino vescovo (13) (sec. XV), di m. 2,50×0,88.

Indossa mitra, guanti e un prezioso mantello, finemente decorato con motivi geometrici, fermato da una fibbia rotonda sul petto e sovrapposto alla tunica monastica, della quale si vedono il cappuccio e la parte superiore. Con la mano destra il Santo indica un cartiglio, ormai illegibile[1], retto dall’ altra mano che stringe il pastorale. L’ iscrizione posta ai lati del capo (da un lato S. e dall’ altro AU.S/ TIN) attesta il Santo.

”L’ affresco fu descritto dal De Giorgi il quale non ne diede un giudizio critico. La qualità della pittura è notevole e si nota soprattutto una gran cura nella descrizione delle stoffe preziose e nella scelta dei colori che non hanno note squillanti. La ripresa di uno schema ancora rigidamente frontale e la mancanza dell’ elemento architettonico, tipico degli affreschi tardo-quattrocenteschi, potrebbe far risalire ai primi anni del secolo XV”[2].

s. agostino

 

[1]Su cui il De Giorgi lesse, a caratteri gotici: Iuste/ et cas/ te viv/ere et/ xarita (te) (Ibidem, p. 266).

[2]  (dalla scheda della Soprintendenza).

 

Per avere una immagine ad altissima risoluzione con gigapanofrafia si veda il sito

https://www.lecce360.com/GigaPano/index.php?cartella=Cattedrale_Nardo&bene=38&x=3125&y=3885&z=5

L’impianto di illuminazione della Cattedrale di Nardò in mostra a Parigi

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

 

Il “Salon du Patrimoine Culturel” di Parigi, importante evento in Europa, è senza dubbio, l’appuntamento annuale al quale non possono mancare i maggiori partner del settore quali professionisti coinvolti nel ripristino e conservazione del patrimonio tangibile e intangibile.

Ebanisti, orefici, restauratori di beni mobili, in vetro e dipinti, esperti artigiani del metallo e della pietra, gestori del patrimonio architettonico, associazioni dedite alla conservazione, autorità locali … circa 340 espositori tra francesi e stranieri si incontreranno nell’atmosfera accogliente del Carrousel du Louvre, in rue de Rivoli, prestigioso centro di relazioni nel cuore di Parigi.

Ogni anno il Salone pone l’attenzione su un tema specifico e l’edizione del 2016 sarà incentrata su “Progetti significativi dedicati al patrimonio culturale”.

Rappresenterà un’ottima occasione per svelare i luoghi d’arte e i lavori portati a termine dagli espositori presenti. La loro esperienza contribuisce alla salvaguardia del patrimonio culturale attraverso la rinascita di luoghi straordinari ed allo stesso tempo dei beni mobili ivi contenuti.

Quest’anno Studio AERREKAPPA S.R.L., Società di Ingegneria di Lecce, presenterà i propri lavori all’interno della collettiva di Assorestauro: oltre ai progetti realizzati e in corso di realizzazione in Italia e all’estero (Turchia e Cuba), avrà un ampio spazio il progetto dell’impianto di illuminazione a gestione domotica della Cattedrale Maria SS.ma Assunta di Nardò (Lecce), un lavoro delicato e complesso che ha richiesto un grande impegno ideativo e una grande attenzione nella fase esecutiva. L’obiettivo raggiunto di trasformare la Cattedrale in uno smart building è stato reso possibile dalla volontà congiunta dei progettisti, l’Arch. Cristina Caiulo e l’Ing. Stefano Pallara, e della Committenza, nella persona del Parroco Mons. Giuliano Santantonio, di sfruttare al meglio quanto di più innovativo ci offre oggi la tecnologia, nel pieno rispetto della sacralità e dell’incommensurabile valore artistico e architettonico dell’edificio.

Per scoprirne di più e iscriversi alla Newsletter del Salone, collegarsi al sito: www.patrimoineculturel.com, per scaricare il press kit.

Maggiori informazioni:

Carrousel du Louvre

99 rue de Rivoli

Paris – 1er arrondissement

www.patrimoineculturel.com

 

3 – 6 novembre 2016

  1. 10.00 – 19.00 (Domenica 10.00 – 18.00)

 

Biglietto di ingresso:                        11 €

gratuito per bambini sotto i 12 anni

ridotto: 5 € (studenti, gruppi con minimo 10 persone).

 

General introduction

The International Heritage Show, a Europe leading event, is no doubt, the annual appointment not to be missed by the major players of the sector, such as professionals involved in restoring and preserving built or not built, tangible or intangible heritage.

Cabinetmakers, goldsmiths, furniture, stained-glass or painting restorers, skilled metalworkers, stonemasons, built heritage suppliers, heritage preservation associations, local authorities … about 340 French and foreign exhibitors will meet in the cozy atmosphere of the Carrousel du Louvre, a prestigious venue located in the heart of Paris.

During 4 days, this event will be the major and unique place for exchange and business appointments of the sector. There will be many opportunities to make new contacts with a large number of trendsetters, seeking to establish new business relationships. Among them, there will be sector professionals, property owners but also connoisseurs and enthusiast visitors.

Every year, the show focuses on a specific topic and the 2016 edition will be focusing on the remarkable cultural heritage projects.

This will represent a great opportunity to unveil the sites and works carried out by the exhibitors. Their expertise contributes to the safeguarding of cultural heritage, through the restoration of exceptional sites, as well as of movable heritage.

Find out more and subscribe to the newsletter of the show on www.patrimoineculturel.com

Useful information:

Carrousel du Louvre, 99 rue de Rivoli, Paris 1st district (1er arrondissement)

3-6 November 2016, 10 a.m. – 19 p.m. (Sunday 10 a.m. – 18 p.m.)

General admission: 11 € – Reduced rate: 5 € (students, groups of 10 people or more) – Free for children under 12.

www.patrimoineculturel.com

 

Su alcune reliquie conservate nella cappella di Tutti i Santi, nella cattedrale di Nardò

armadio con le reliquie dei Santi nella cattedrale di Nardò

di Marcello Gaballo

La festività di Tutti i Santi è occasione utile per ricordare una eccezionale donazione dell’abate Domenico Roccamora, allora rettore del Seminario della Compagnia del Gesù di Roma, alla Cattedrale di Nardò effettuata nei primi decenni del ‘600.

Il prelato, con lettera accompagnatoria del 10 febbraio 1612, difatti, aveva fatto dono all’ università neritina dei corpi, con le loro teste, di S. Vittore martire e di S. Teodora vergine, ed altre reliquie di santi contenute in due grandi reliquiari che oggi sono esposti alla venerazione dei fedeli nella chiesa madre neritina. Tra le varie disposizioni del presule si legge nell’atto notarile che le reliquie sarebbero state conservate in apposita cappella in Cattedrale, di patronato dell’ università, ancora esistente e serrata da due grandi ante, aperte solo in questa giornata ed in particolari festività. Si tratta de “lu stipu ti li Santi”, nella cappella della navata sinistra, abbellita e definitivamente sistemata sotto l’episcopato di Mons Ricciardi, sul finire del secolo XIX. Lo stemma del vescovo difatti è finemente scolpito sulle due grandi ante.

reliquiari nella cattedrale di Nardò

Oltre la donazione è bene anche notare la particolare e poco nota richiesta del prelato. Nell’atto del marzo 1612, per notar Palemonio da Castellaneta rogante in Nardò, si legge infatti che le reliquie donate alla Cattedrale

Studiosi a convegno per presentare l’ultimo libro sulla Cattedrale di Nardò

Locandina

di Marcello Gaballo

Verrà presentato domenica 5 ottobre 2014, alle ore 19.30 presso la Cattedrale di Nardò, l’ultima fatica sul sesto centenario della Cattedrale di Nardò,dal titolo Neritinae Sedis. Atti del convegno di studio in occasione del VI centenario  della Cattedrale (31 maggio-1 giugno 2013).

Il volume, edito dalla Diocesi di Nardò-Gallipoli con Mario Congedo Editore, è inserito nella Collana dei Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò-Gallipoli, con il n° 7,  ed è stato curato da Giuliano Santantonio e Mario Spedicato.

L’opera, presentata ai lettori dal vescovo della Diocesi di Nardò-Gallipoli, Mons. Fernando Filograna, offre al lettore un dignitoso e completo excursus storico sulla Cattedrale neritina, grazie al contributo di docenti, studiosi e ricercatori di varia provenienza ed estrazione, molti dei quali ben noti nel panorama della storiografia salentina e pugliese.

320 pagine in cui si analizzato le diverse fasi storiche, a partire dai monaci benedettini, con approfonditi studi delle fonti documentarie, tra le quali la Bolla dell’11 gennaio 1413, oltre a numerosi contributi che spaziano in diversi campi del sapere e comunque attinenti l’Ecclesia Mater neritina, assurta a chiesa regia con decreto del 12 ottobre 1803, poi dichiarata monumento nazionale il 20 agosto 1879, ed infine elevata dalla Santa Sede a dignità di Basilica minore il 2 giugno 1980.

Il volume apre con i saluti del Presidente della Provincia Antonio Gabellone, del Sindaco di Nardò Marcello Risi, facendo seguito un corposo Incipit del parroco    Giuliano Santantonio, che è stato anche curatore. Mario Spedicato, dell’Università del Salento e co-curatore, offre la Prefazione.

Questi i saggi, nell’ordine:

Benedetto Vetere, La Cattedra vescovile e le Bolle di Clemente VII e Giovanni XXIII.

Rosario Jurlaro, La presunta bolla di papa Paolo I dell’anno 761 nel giudizio di Annibale De Leo e la dipendenza della Chiesa di Nardò da quella metropolita di Brindisi.

Pietro De Leo, Nardò da abbazia a diocesi: una tortuosa procedura con vescovi paesani e forestieri tra XIV e XV secolo.

Giancarlo Vallone, Biografia in breve di Stefano Agricoli e non Pendinelli.

Vittorio Zacchino, A Nardò e diocesi prima e dopo Antonio Galateo.

Pasquale Corsi, Comunità ellenofone di Terra d’Otranto: un sondaggio tra le testimonianze d’archivio.

André Jacob, Nardò e Gallipoli tra greci e latini.

Anna Gaspari, Greci e francescani nel Salento tardomedievale e rinascimentale (con particolare riferimento alla diocesi di Nardò).

Roberta Durante, La Cripta di S. Antonio Abate nell’agro di Nardò.

Maria Domenica Muci, Il copista Giovanni di Nardò e la tradizione dei «Tria Syntagmata» di Nicola Nettario di Casole.

Patrizia Durante, Gaudeat ecclesia. Tradizione musicale francescana in diocesi di Nardò tra Medioevo ed Età Moderna.

Paolo Agostino Vetrugno, “Classicità e classicismo” nella scultura cinquecentesca neretina.

Francesco Danieli, Catechesi tridentine a Nardò nella pittura di Donato Antonio D’Orlando.

Donato Giancarlo De Pascalis, La Cattedrale nel tessuto urbano di Nardò: orientamento, modelli e confronti.

Giovanni Giangreco, Il futuro della Cattedrale di Nardò. La conservazione della fabbrica: manutenzione o restauro?

fronte

Nardò, 2 luglio 1907: il vescovo viene denunziato per vilipendio delle istituzioni

di Armando Polito

immagine tratta da http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A1600171755
immagine tratta da http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A1600171755

 

N. 8527 del 3 luglio 1907 di Le matin  (immagini tratte da http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k568380b.r=le+matin+nard%C3%B2.langEN)

Terza pagina:

È doveroso aggiungere (altrimenti il passato scivola via inutilmente) che il vescovo era Giuseppe Ricciardi lo stesso protagonista dell’avventura (si fa per dire …) ricordato qualche post fa in https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/11/nardo-31-agosto-1899-singolare-attentato-al-vescovo/). Nato a Taranto il 9 luglio 1839, ordinato sacerdote il 21 marzo 1864, resse Nardò dal 1 giugno 1888 fino alla morte avvenuta il 18 giugno 1908. Il suo vescovato fu contrassegnato da un atteggiamento intransigente nei confronti dei cattolici laici, le cui rivendicazioni, reali o presunte, di indipendenza dall’autorità episcopale suscitavano sospetti e reazioni. Di questo clima piuttosto infuocato la notizia riportata costituisce, dunque, insieme con l’episodio precedente, una riprova. Ma va pure riconosciuto che oggi vedremmo (forse senza ammirarla …) una Cattedrale diversa, se il nostro vescovo, dopo aver abbandonato l’idea di una ricostruzione ex novo, non avesse poi optato per un restauro conservativo dell’originale con eliminazione delle superfetazioni.

 

30 novembre 2013. Un francobollo delle Poste Italiane celebra la Cattedrale di Nardò

Ancora un francobollo per ricordare il sesto centenario della Cattedrale di Nardò. Questa volta delle Poste Italiane

 

 Cattedrale nardo lecce[1]

 

 

di Marcello Gaballo

 

 

Ed anche le Poste Italiane per la prima volta nella storia della filatelia onorano la città di Nardò e la sua Cattedrale emettendo un francobollo del valore di 70 centesimi, che si aggiunge ai cinque emessi dalle Poste Vaticane il 7 novembre scorso.

L’emissione, autorizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico, è di oggi, 30 novembre, accompagnata da un annullo speciale, da una cartolina e da un bollettino illustrativo, tutti stampati a ricordo del pluri-festeggiato sesto centenario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di S. Maria de Nerito in Cattedrale, con l’insediamento del vescovo Giovanni De Epiphanis (1355-1425), e contestualmente dell’elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Città.

L’anniversario è stato solennemente celebrato l’11 gennaio 2013, data in cui fu emessa  la relativa bolla dal pontefice Giovanni XXIII nell’anno 1413, documento che si conserva in originale presso l’Archivio Storico della Diocesi e dal quale è stato tratto il motto “Ecclesiam in Cathedralem, Terram in Civitatem Neritonensem” riportato sui valori bollati.

Il francobollo ordinario, del valore di 0,70 €, è uno dei cinque emessi nello stesso giorno, tutti appartenenti alla serie tematica “il Patrimonio artistico e culturale italiano”, dedicati alla Mole Antonelliana in Torino, alle mura rinascimentali di Lucca, al sito archeologico di Alba Fucene (L’Aquila) e al complesso monumentale di Santa Sofia in Benevento.

Stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, è in calcografia, su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, non fluorescente; grammatura 90g/mq; il supporto è carta bianca, autoadesiva Kraft, monosiliconata da 80 g/mq; l’adesivo è del tipo acrilico ad acqua, distribuito in quantità di 20 g/mq (secco). Il formato carta è di mm. 40×48, mentre il formato stampa è di mm. 36×44. Il formato tracciatura è di mm. 47×54. La dentellatura è 11 effettuata con fustellatura, ad un colore.

I fogli sono di ventotto esemplari, per un valore di € 19,60.

La leggenda per il nostro è CATTEDRALE, NARDò, oltre la scritta ITALIA.

Il bozzetto del francobollo è di Rita Fardini. Il testo riportato sul bollettino illustrativo è a firma di Mons. Luigi Luperto.

La vignetta raffigura la facciata della Cattedrale, alta 21 metri, eretta dal vescovo Antonio Sanfelice su disegno del fratello, il celebre architetto napoletano Ferdinando.

Completata nel 1725, è rivolta a occidente e presenta tre portali, di cui il mediano è più alto, posti in corrispondenza delle tre navate.

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

Come si legge nel recente volume di Giuliano Santantonio Ecclesia Mater “è ripartita in tre ordini. L’ordine inferiore presenta sei lesene in carparo con le loro basi, tra le quali sono inserite le tre porte in modo tale che ai lati della porta maggiore vi sono due lesene accoppiate per parte, alle quali seguono rispettivamente le due porte laterali affiancate ciascuna da una lesena semplice. Sulle porte minori vi sono due finestre circolari con vetri che consentono di illuminare le navate laterali. Sulle lesene vi sono capitelli scolpiti e una cornice marcapiano composita che corre orizzontalmente da un estremo all’altro, sopra la quale si eleva il secondo ordine della fabbrica, al centro del quale tra due lesene si apre una finestra quadrangolare più grande con vetri, da cui entra luce in tutta la basilica. Agli estremi laterali, sui due plinti che reggevano due statue di marmo, è riprodotto lo stemma del vescovo Sanfelice. Al di sopra della grande finestra centrale vi è un’altra finestra ovoidale a vetro assai più piccola, che all’epoca serviva per illuminare la parte soprastante il soffitto a lacunari della chiesa. Anche le lesene del secondo ordine sono munite di capitelli e sostengono un’altra cornice orizzontale, che separa questa parte della fabbrica dal fastigio. Tutto il prospetto ha forma quasi piramidale. In alto al centro vi è lo stemma del papa Benedetto XIII e ai due lati estremi del frontone vi sono i simboli araldici dei papi Clemente XI e Alessandro VII, mentre al centro della cornice superiore, sopra un plinto, si elevava la statua marmorea dell’Assunta. Le porte erano in noce, dipinte. Al di sopra della porta maggiore vi era un’epigrafe su lastra di marmo:

D.O.M.

CATHEDRALEM BASILICAM

IN HONOREM

DEIPARAE IN COELUM ASSUMPTAE DICATAM

VETUSTATE AC TERRAEMOTU LABENTEM

ANTONIUS SANFELICIUS EPISCOPUS

A FUNDAMENTIS RESTITUIT

NOVAMQUE FACIEM ADIECIT ET ARAM

ANNO SALUTIS MDCCXXV”.

 

L’annullo speciale è stato realizzato da Filatelia di Poste Italiane.

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Il francobollo e i prodotti filatelici correlati saranno posti in vendita oggi, sabato 30 novembre 2013, nell’Ufficio postale centrale di Nardò (Corso Garibaldi) (orario ufficio) e nel pomeriggio dello stesso giorno, dalle 16 alle 19, nel locale ubicato all’inizio di Corso Galliano.

 

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/11/06/cinque-francobolli-per-ricordare-il-sesto-centenario-della-cattedrale-di-nardo-e-della-civitas-neritonensis/

Cinque francobolli per ricordare il sesto centenario della Cattedrale di Nardò e della civitas Neritonensis

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Il 7 novembre 2013 cinque preziosi affreschi riportati  nella serie dedicata all’Ecclesia Mater dalle Poste Vaticane sottolineano la fede, la storia e l’arte del vetusto monumento pugliese

 

di Marcello Gaballo

Per la prima volta nella storia la filatelia dello Stato della Città del Vaticano si occupa del massimo monumento religioso della diocesi di Nardò (ora Nardò-Gallipoli) e lo fa il 7 novembre 2013 tramite l’emissione filatelica di ben cinque valori, utili a ricordare il sesto centenario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di S. Maria de Nerito in Cattedrale, con l’insediamento del vescovo Giovanni De Epiphanis (1355-1425), e contestualmente dell’elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Città.

L’anniversario è stato solennemente celebrato l’11 gennaio 2013, data in cui fu emessa  la relativa bolla dal pontefice Giovanni XXIII nell’anno 1413, documento che si conserva in originale presso l’Archivio Storico della Diocesi e dal quale è stato tratto il motto “Ecclesiam in Cathedralem, Terram in Civitatem Neritonensem” riportato sui valori bollati.

I francobolli nascono dalla proposta di Marcello Gaballo, presidente della Fondazione Terra d’Otranto, che oltre due anni fa presentò al direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi don Giulano Santantonio e al Vescovo Mons. Domenico Caliandro (oggi Arcivescovo di Brindisi), quindi alla Commissione di Arte Sacra della Diocesi, la proposta, poi felicemente accolta e fatta propria dall’Ufficio filatelico della Città del Vaticano.

I bozzetti furono realizzati da Sandro Montinaro, su foto di Raffaele Puce. In pochi centimetri il grafico di Carpignano Salentino, autore anche del logo ufficiale, ha riassunto le preziose testimonianze di arte, storia e fede dell’edificio religioso, limitate a cinque particolari di preziosi affreschi del XIII-XV secolo, tra i più  antichi, significativi e leggibili che decorano le pareti e le colonne del massimo tempio cittadino.

Grazie alla professionalità e alla cortesia del Dott. Olivieri e della Dott.ssa Marica Fabris, dell’Ufficio Filatelico e Numismatico del Vaticano, finalmente la Diocesi col suo pastore Mons. Fernando Filograna potrà annoverare tra le sue importanti iniziative anche questa singolare e preziosa occasione, utile per trarre dalla memoria storica elementi sicuri per un rilancio del desiderio di futuro, sia sul piano sociale che su quello pastorale.

Copia di francobollo 0,05

Il valore di 0,05 € riporta un particolare dell’affresco di Sant’Agostino (m. 2,50×0,88), nella navata destra, sul secondo pilastro.

Il santo indossa mitra, guanti e un prezioso mantello, finemente decorato con motivi geometrici, fermato da una fibbia rotonda sul petto e sovrapposto alla tunica monastica, della quale si vedono il cappuccio e la parte superiore. Con la mano destra il Santo indica un cartiglio, ormai illeggibile, retto dall’ altra mano che stringe il pastorale. L’ iscrizione, AGUSTIN con l’US finale nascosto dal pastorale, posta ai lati del capo, attesta il Santo.

Copia di francobollo 10

Il valore di 0,10 € riporta un particolare dell’affresco di Santa Maria delle Grazie o Madonna della Sanità (m. 1,80×0,80), nella quarta cappella della navata destra.

L’ immagine è posta tra due angeli musicanti di stile quattrocentesco ma dipinti alla fine del secolo scorso, in occasione dei restauri della Cattedrale, da Pietro Loli Piccolomini da Siena, assistente di Cesare Maccari.

La Vergine, dai lineamenti dolcissimi e con mesta pensosità, aureolata, con veste bianca e mantello blu orlato d’ oro, è seduta su un elegante baldacchino e regge sulle ginocchia il Figlio, che con la mano destra sorregge un pomo e benedice con la sinistra. Il Piccolo, con il nimbo crociato, veste un abito bianco con delicata tunica rosa. In basso a sinistra si intravede un devoto genuflesso.

L’ imago Beatissimae Virginis Sanitatis, in origine ubicata in fondo alla navata sinistra, nel 1573, da mons. Salvio fu traslocata dove oggi c’è la sede vescovile “per dar più onorato luogo alla sacra immagine…, e per mirarla di continuo avendola sempre all’incontro, e perchè stesse più esposta e alla vista della venerazione de’ popoli”. Da Mons. Girolamo De Franchis (1617-1634) fu di là trasferita nel sito attuale.

Copia di francobollo 15

Il valore di 0,15 € riporta un particolare dell’affresco della Madonna del giglio (m. 2,50×0,88), sul quarto pilastro della navata destra, da ricondurre al momento angioino dell’edificio.

La Vergine, seduta su trono con schienale curvo e raggiungibile tramite tre gradini, è dipinta col volto lievemente rivolto verso il Figlio. Indossa ampia tunica rosa e manto azzurro ed ha il capo coronato avvolto da un nimbo giallo orlato di perle; con la mano sinistra regge un bianco giglio angioino e con la destra sostiene il Bambino, il cui volto è circondato da un nimbo crociato ed orlato. Indossa una tunica rossa con cingolo bianco e indica con la sinistra il giglio.

Sullo sfondo azzurro spiccano le abbreviazioni greche delle due figure, inserite sotto un arco trilobo a tutto sesto.

Copia di francobollo 25

 Il valore di 0,25 € riporta un particolare dell’affresco di San Nicola di Myra (m. 2,48×0,80), sul secondo pilastro della navata sinistra.Il santo benedicente alla maniera greca, secondo lo schema bizantino, è ritratto frontalmente e a figura intera, veste tunica bianca, mantello rosso, omoforion bianco nerocrociato e tiene nella mano sinistra un Vangelo decorato con gemme. In alto, a sinistra, la Madre di Dio porge il pallio, mentre all’ opposto il Cristo, anch’ esso a figura intera, porge il Vangelo. Le iniziali latine sono scritte in caratteri gotici e inquadra il tutto una cornice di color corallo, complementare all’azzurro dello sfondo.

 

Copia di francobollo 45

Il valore di 0,45 € riporta un particolare dell’affresco del Cristo Pantocrator (m. 2,50×0,90), sul terzo pilastro della navata destra.

Seduto su un trono, in posizione frontale e benedicente alla greca, Cristo regge con la mano sinistra un Vangelo aperto su cui si legge Ego sum lux mundi qui sequitur me non ambulat in tenebris (Io sono la luce del mondo: chi segue me non cammina nelle tenebre (Vangelo di Giovanni, I, 5).Indossa una veste rossa orlata di oro e un manto olivastro; il viso incorniciato da barba corta e scura ha un nimbo crociato orlato di perle. Interessante la forma del trono, rappresentato da uno schienale tondo abbastanza alto, che è “elemento diffuso nelle scuole artistiche bizantine della seconda metà del XIII secolo, collegato molto probabilmente al tema del <trono della Sapienza>, della Sofia <sapienza divina>, in cui Cristo è raffigurato in trono”.

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Nella parte inferiore dei valori a sinistra è riportato il logo del Vaticano, a destra quello delle celebrazioni neritine, in cui domina la croce patriarcale, che ricalca quella antichissima scolpita sulla facciata della Cattedrale, alla cui base sono opportunamente innestate le due lettere NC, compendiando la valenza nello stesso tempo laica e religiosa dell’evento, essendo abbreviazione N di Neritonensis e C di Cathedralis e di Civitas. Nell’ambito della seconda lettera trovano allocazione le due date 1413 e 2013.

Tra i due loghi è compreso il titolo dell’emissione: VI Centenario della Cattedrale di Nardò.

 

 

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

Caratteristiche tecniche dell’emissione:

Titolo: VI Centenario della Cattedrale di Nardò

data emissione: 7 novembre 2013

serie composta da 5 valori da € 0,05 – € 0,10- € 0,15 – € 0,25 – € 0,45

Tiratura: 150.000 serie complete

Tecnica Stampa: Offset a  quattro colori

Dentellatura 13 ¼ x 13

formato dei francobolli: 32,13 x 38

Stamperia Cartor (Francia)

Un “bestiario” medievale sulle antiche travi della Cattedrale di Nardò (4)

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Stemmi civili e religiosi sulle travi. Alle origini dell’araldica

 di Marcello Gaballo

 

Un altro aspetto per niente trascurabile che offre la lettura delle nostre travi è rappresentato dal repertorio di stemmi civici e religiosi che si intercalano nel brulichìo di figure ed ornamenti. Un vero e proprio stemmario assai originale e molto precoce, essendo ancora oggi ben poche le raccolte di insegne anteriori al 1351.

La presenza di testimonianze araldiche sui tetti delle chiese pugliesi non è invero esclusiva del nostro tempio, anzi forse una consuetudine per molte altre chiese, tra le quali certamente va ricordata quella di Otranto[1].

Il loro rinvenimento certifica che essi sono senz’altro i primi esemplari di stemmi gentilizi a Nardò, in un’epoca in cui l’araldica, pur comparsa in Europa nel secondo quarto del XII secolo e iniziata ad essere riprodotta solo agli inizi del secolo successivo, lentamente si radicava anche in Terra d’Otranto. La nobiltà locale, fortemente condizionata dalle corti palermitane e napoletane, subendo gli influssi svevi e angioini, si adeguava alle abitudini dei pari nobili giunti da ogni parte del regno e come quelli, prendendo parte attiva a battaglie, ma anche a giostre e tornei, adottava un proprio simbolo e lo apponeva sull’equipaggiamento militare[2]. Come nelle altre parti dell’Europa inizialmente si servì di immagini animali o vegetali o elementi decorativi di varia natura, che vennero poi gradualmente codificati in veri e propri stemmi, trasmissibili ereditariamente. L’intento di richiamare subito al possessore fece sì che, quale signum proprietatis, lo stemma fosse rappresentato sui propri oggetti, sulle facciate dei palazzi o sugli ingressi delle masserie. Ma anche sulle cappelle di patronato o su opere pubbliche realizzate con i propri fondi, in modo tale da trasmetterne imperitura memoria. È ciò che accadde anche per le nostre travi, per la cui realizzazione o rifacimento contribuirono con consistenti finanziamenti diverse nobili famiglie, come testimoniano le loro armi dipinte su di esse.

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particolare dei rilievi delle travi della cattedrale di Nardò disegnati da Primo Panciroli

Ma oltre a segnalare la committenza gli stemmi ci consentono anche di datare con maggior precisione le stesse travi, in ciò aiutati anche dall’iscrizione di cui si è detto, confermando dunque l’epoca in cui esse furono realizzate e fornendo un valido repertorio del mondo baronale della Nardò trecentesca.

Mancando fonti documentarie araldiche medievali è evidente la difficoltà di poter individuare tutte le famiglie cui gli stemmi spettavano e solo per alcuni si è pensato di riuscirci, considerato che molti di essi poterono essere variati dai discendenti sia nelle figure che nei colori. Un’ulteriore difficoltà deriva indubbiamente dalla poca comprensibilità del disegno originario, dipinto su un materiale facilmente degradabile come il legno, riprodotto dal Panciroli o dall’Armanini ben oltre cinque secoli dopo.

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particolare dei rilievi delle travi della cattedrale di Nardò disegnati da Primo Panciroli

Ecco, dunque, quanto ci offrono le nostre travi:

nella seconda fila della tavola II si scorgono due stemmi non identificati, di cui il primo può blasonarsi: d’argento all’aquila di nero, probabile emblema della casa sveva; il secondo: di verde al leone rampante d’argento, che può attribuirsi ad uno dei Gentile, i filosvevi conti di Nardò, il cui capostipite fu Simone. A lui Federico II aveva donato la città nel 1212, quale premio per aver recuperato molti territori pugliesi usurpati dall’imperatore Ottone. La presenza di questi stemmi potrebbe essersi voluta per ricordare chi ricostruì o ampliò l’abbazia dopo il terremoto del 1245.

Sulla quarta fila della tavola III si alternano una serie di cornici a losanga e plurilobate. Nelle prime è inserita una stella a otto raggi, nelle seconde una croce potenziata nera.

Lo sfondo (il campo) della prima losanga è blu e la stella è d’oro, nella seconda rosso con stella bianca; il motivo si ripete per buona parte della trave. Lo sfondo delle cornici polilobate è invece sempre color oro e la croce è nera. Nel primo caso potrebbe trattarsi dello stemma della famiglia Del Balzo: di rosso alla cometa di sedici raggi d’argento. Storicamente risulta che dei Del Balzo, in questo periodo, vivesse Francesco, duca di Andria e conte di Avellino, cognato del già menzionato principe di Taranto Roberto, per aver sposato sua sorella Margherita, da cui poi ebbe Giacomo.

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Amphivena, immagine tratta da un bestiario medievale

Nella fila 4 della tavola IV sono riprodotti dei frammenti di decorazioni e su uno di essi è raffigurato un toro, in merito al quale il Panciroli annota nella fila seguente: «fondo bianco. Il toro di colore rosso è lo stemma di Nardò». Quasi certamente corrisponde alla nostra arme civica, anzi ne è in assoluto la prima testimonianza, ribadendo che l’uso degli stemmi delle città europee ebbe inizio nel XIV secolo, lo stesso delle nostre travi[4].

Nella sesta fila della tavola VII sono raffigurati altri tre stemmi gentilizi non identificati, di cui il primo con sfondo azzurro e bande e sbarre d’argento; il secondo presenta la prima e quarta parte d’argento, la seconda d’argento scaglionato di azzurro, all’opposto della terza parte che è azzurra con gli scaglioni d’argento[5]. Il terzo stemma, anche questo non attribuito, è d’oro con un drago nero.

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immagine tratta da un bestiario medievale

Nella prima fila della tavola VIII si ripete per due volte un emblema: d’argento alla croce patente di nero, che è poi la croce teutonica. Potrebbe trattarsi dell’insegna dell’Ordine di Santa Maria, detto dei Cavalieri Teutonici, che furono presenti nell’abbazia di S. Maria de Balneo[6] della balia di Puglia, almeno sino al 1435. Non è difficile pensare che anche questo Ordine avesse contribuito alla ricostruzione della cattedrale.

Nella terza fila della stessa tavola sono ritratte una serie di stelle a nastri incrociati ed archeggiati che racchiudono al loro interno un giglio: uno d’argento su sfondo rosso, gli altri rosso su sfondo nero, argento su sfondo rosso e nero su sfondo oro. Semplici variazioni dell’unico emblema del rex francorum, degli Angioini, quali erano il principe Roberto[7] e suo padre Filippo, probabili committenti del coevo affresco della Madonna detta del Giglio, nella navata destra della cattedrale.

Un altro stemma compare nella quarta fila: d’azzurro al castello d’oro sulla pianura erbosa di verde (si ripete in tav. XI, V fila). Si tratta certamente dell’arme della nobile famiglia neritina Del Castello, baroni di Paretalto ed Acquarica, di cui si ha notizia in Terra d’Otranto sin dai tempi di Federico II e che nel periodo di nostro interesse possedevano anche i feudi di Acquarica del Capo, Bagnolo, Andrano e Taurisano. Il fratello di Goffredo Del Castello da Nardò figura tra i baroni nel 1239, mentre lo stesso Goffredo e Filippo compaiono tra i feudatari di Terra d’Otranto nel 1284. Matteo fu vescovo a Nardò nel 1387, destituito poi da Bonifacio IX nel 1401.

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Il leone, immagine tratta da un bestiario medievale

Nella quarta fila della tavola XI vi sono altri tre stemmi, sostenuti da altrettante coppie di animali e figure antropomorfe[8]. Anche questi appartengono ad altrettanti feudatari neritini. Il primo o il secondo potrebbe essere dei De Noha, antica e nobile famiglia di origine normanna, vissuta in Nardò sino al secolo scorso. Da alcune pergamene del monastero di santa Chiara si desume che Pietro De Noha nel 1239 è uno dei baroni di Nardò fedeli a Federico II, mentre Guglielmo e Rao lo sono nel 1269 e 1284. Nello stesso secolo, nel 1253, Pietro, vivente a Lecce, è barone del casale di Noha.

Conclude la quarta fila uno stemma: d’oro alla croce di rosso accantonata da quattro bisanti dello stesso. Non è improbabile che si tratti  di un’esemplificazione dell’insegna del principato di Taranto, che araldicamente si descrive: di rosso alla croce d’oro accantonata da quattro bisanti d’argento, caricati ognuno da una croce di verde.

Nella quinta fila vi è l’emblema della Chiesa, le chiavi di Pietro decussate: di rosso alle chiavi d’argento poste in croce di sant’Andrea, con gli ingegni in alto, rivolti verso i lati dello scudo, rappresentando la prima il potere che si estende al Regno dei Cieli, la seconda l’autorità spirituale del papato sulla terra[9]. Nello stemma papale, in verità, una chiave è d’oro e l’altra è d’argento e sono tenute insieme da un laccio passante tra le due impugnature delle chiavi, quale segno dell’unione indissolubile dei due poteri[10]. Accanto si ripete lo stemma dei baroni Del Castello.

Se fosse stato possibile esaminare tutte le figure delle travi probabilmente si sarebbero rintracciati molti altri blasoni, scoprendo così nella nostra cattedrale un vero e proprio museo di araldica inserito nella più importante testimonianza pittorica cittadina.

fine

 

Le precedenti parti si possono leggere in:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/10/16/un-bestiario-medievale-sulle-antiche-travi-della-cattedrale-di-nardo-1/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/10/17/un-bestiario-medievale-sulle-antiche-travi-della-cattedrale-di-nardo-2/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/10/19/un-bestiario-medievale-sulle-antiche-travi-della-cattedrale-di-nardo-3/

[1] Anche sulle travi delle cattedrali di Bari e di Bitonto furono rinvenuti degli stemmi, la cui identificazione ha poi permesso di collocarle cronologicamente (cf Gelao, Tecta depicta, 12 e segg.; 21-22; Fantasia, Il Duomo di Bari, 78).

[2] L’ elmo d’ altronde, calato sul volto, li rendeva irriconoscibili. A partire dall’inizio del secolo XIII l’uso dello stemma si estese alle donne, agli ecclesiastici, agli abitanti delle città; quindi alla fine del XIII e inizi del XIV secolo l’uso si estese alle comunità civili e religiose, alle istituzioni in genere (Enciclopedia dell’Arte Medievale,  II, s.v. Araldica).

[3] Di essa fecero parte: Galtiero, che compare tra i feudatari del regno di Napoli al tempo del re Manfredi, insieme a Filippo Sabatino. Enrico, che nel 1239 figura tra i baroni di Terra d’Otranto. I suoi figli seguivano le opinioni del re Federico II in aperto contrasto col papa (così come facevano altri baroni neritini: il fratello di Goffredo Del Castello, Pietro De Noha, Filippo De Persona, Tommaso Gentile, Nicolò e Ruggero Maresgallo, Guerriero Montefuscoli). Guglielmo, di Enrico, nel 1273 è signore di Racale; ebbe una figlia, Caterina, che nel 1274 sposò Risone della Marra. Francesco nel 1328 fu tra i baroni di Terra d’Otranto che ricusarono di andare alla custodia della Calabria.

[4] La distinzione tra i due quadrupedi andava fatta: in araldica il bue si distingue dal toro per avere le corna basse e la coda pendente, mentre le corna del toro sono montanti e la coda si ripiega sul corpo.

Il decreto di riconoscimento dello stemma è dell’ 11 novembre 1952, data in cui è stato trascritto nei Registri della Consulta Araldica di Roma. Per la sua descrizione v. M. Gaballo, Araldica Civile e religiosa a Nardò, Nardò Nostra 1996, 82-83.

[5] Ivi, 124.

[6] Il monastero sorgeva dove oggi c’è la masseria Fiume, a meno di 300 metri dal rudere delle Quattro Colonne, a sud del piccolo abitato costiero di Santa Maria al Bagno, sulla Serra prospiciente, a circa 35 metri dal livello del mare.

[7] L’iscrizione prima riportata può anche far pensare che Roberto possa essere il re di Napoli, figlio di Carlo II. In tal caso la datazione delle travature dovrebbe ridursi al 1343, anno della sua morte. Ma contraria tale ipotesi l’ emblema angioino qui raffigurato, che certamente non è quello del re in questione, al quale infatti è attribuito il seguente: interzato in palo: nel I a fasce alterne rosse e oro; nel II d’azzurro seminato di gigli d’oro col lambello; nel III di rosso all’ aquila d’oro. Questo stemma è visibile in S. Maria del Fiore a Firenze, in cui sono pure visibili le chiavi pontificie di cui si dirà in tavola 11, V fila.

[8] Notevoli somiglianze si osservano con i disegni delle travature un tempo esistenti nella chiesa di S. Agostino a Palermo, alcuni dei quali riportati nel più volte citato saggio della Gelao, Tecta depicta…, tavv. 30-31, oltre che in Lanza, Saggio sui soffitti siciliani, 178,214.

[9] Le chiavi, nell’ araldica ecclesiastica, appaiono nel XIII secolo, affiancate (“in palo”) e con gli ingegni rivolti in alto. Dal XIV secolo figurano invece incrociate (“in decusse”), come nel nostro caso.

[10] Le chiavi pontificie venivano rappresentate sempre da sole, come nel nostro caso, talvolta col triregno sovrapposto oppure con l’ombrellone o gonfalone papale. Nei secoli successivi vennero disegnate fuori dallo scudo papale, al di sopra, come un vero e proprio “capo” araldico (cf. G. Bascapè-M. Del Piazzo, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medievale e moderna, Roma 1999).

Un “bestiario” medievale sulle antiche travi della Cattedrale di Nardò (3)

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particolare di disegni rilevati da Primo Panciroli sulle travature della cattedrale di Nardò

di Marcello Gaballo

 

Le decorazioni e il bestiario medievale

 

Dall’osservazione delle diverse figurazioni è risultato come esse non siano state eseguite casualmente, per soli fini ornamentali, rivelando invece una struttura quanto mai affascinante e ricca di significati. Nel groviglio di immagini, simboli e personaggi, almeno per quanto ci è pervenuto e ci è dato ancora di notare sulle travi superstiti, risaltano motivi zoomorfi e fitomorfi che ebbero una grande diffusione nelle arti medievali, ben rispondenti alle esigenze di un mondo imbevuto di simbolismo, carico di allusioni e di mistero, che fece larghissimo uso della carica espressiva dell’allegoria.

Le nostre figurazioni non possono allora immaginarsi come frutto esclusivo di cultura locale, evidentemente insolite e troppo originali per essere ritenute semplice esercizio di fantasia. Quando si voglia dare un senso a quell’intercalarsi di figure, stemmi, gigli, foglie d’acanto, formelle, archi o ellissi, occorre immaginarli parti di un più grandioso racconto pittorico che doveva conferire particolare suggestione all’edificio.

La spiritualità dei monaci che lo commissionarono e poi custodirono certamente ha dovuto influire sull’artista, monaco o mercenario, indigeno o forestiero, probabilmente siciliano[1].

è possibile che a progettare l’impianto decorativo sia stato lo stesso abate Bartolomeo, visto che “gli abati erano coinvolti in prima persona, non solo come committenti o promotori, nella produzione artistica” e tenendo conto pure che per i benedettini «l’esercizio delle arti rientra negli instrumenta artis spiritualis elencati dalla Regola, è otium laboriosum contro i rischi del taedium»[2].

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particolare di disegni rilevati da Primo Panciroli sulle travature della cattedrale di Nardò

La chiave del linguaggio simbolico racchiuso nelle nostre figurazioni l’abbiamo trovata nei “bestiari”[3], specie di enciclopedie didattico-morali manoscritte che tanta fortuna ebbero nel Medioevo, a partire dal secolo XII, nei quali erano adombrati non solo i vizi e le virtù degli uomini, ma anche i loro rapporti con Dio e con la Chiesa. In essi, così come negli erbari e lapidari, «…tutto si voleva rivestire di significati riposti, desunti, o dalla etimologia dei vocaboli, o dalle particolari proprietà delle cose prese in esame, all’unico scopo di soddisfare l’ossessionante desiderio di ammaestramento morale che pervade l’intera classe dei dotti, siano essi religiosi o semplicemente laici»[4].

«… È “muta predicazione”, secondo la definizione di Pietro il Venerabile, abate di Cluny, e sospinge con la sua bellezza visibile verso l’invisibile»[5]. Non c’è dunque una descrizione fisica degli animali, tra l’altro numerosi sono quelli inesistenti, che invece offrono il pretesto per ricavare da essi un insegnamento morale e scoprirvi precetti della dottrina cristiana e modi per giustamente relazionarsi col Creatore.

Oltre ai testi sacri[6] ebbe un ruolo fondamentale per l’iconografia e iconologia degli animali nell’arte medievale il Physiologus, un trattato di storia naturale moralizzata in quarantotto capitoletti, composto alla fine del II secolo da un ebreo anonimo di Alessandria convertitosi al cristianesimo[7]. Noto in più varianti e traduzioni latine, il trattato conobbe notevole diffusione nel Medioevo, e molte opere successive si rifecero a quello.

In epoca carolingia i testi del Physiologus si arricchirono di particolari estratti da altre opere, specialmente le Etymologiae del vescovo di Siviglia Isidoro (560-636)[8] e l’Hexaemeron di sant’Ambrogio, il commento ai sei giorni della creazione del mondo, preparando così l’apparizione dei bestiari, i cui primi esempi conosciuti risalgono alla prima metà del sec. XII[9].

Dal Physiologus e dai bestiari trasse poi ispirazione l’imponente plastica architettonica delle chiese romaniche e poi gotiche con miriadi di animali apparsi su campanili, absidi, facciate, archi, basi di colonne e capitelli, amboni, stalli, codici. Di tali testimonianze ritroviamo frequentissimi esempi in svariati edifici sacri europei: Cluny, Reichenau, Montecassino, Assisi, Modena, Pisa, Siracusa e Palermo. Anche la Puglia ne è ricchissima e valgano fra tutte le sculture di san Leonardo di Siponto e di san Benedetto a Brindisi, delle cattedrali di Bari, Bitonto, Trani, Troia, Ruvo e Giovinazzo.

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particolare di disegni rilevati da Primo Panciroli sulle travature della cattedrale di Nardò

Ci è piaciuto riprendere un esempio dal Bestiario Moralizzato di Gubbio[10], uno dei tanti, per comprendere quale fosse il modo di descrivere l’animale e quali proprietà gli fossero attribuite.

La descrizione riguarda la manticora, un essere ibrido dal volto umano e col corpo di leone, che è raffigurato anche nelle nostre travi:

 Manticora

Una fera manticora kiamata

pare d’ omo et de bestia concepta,

però k’ a ciascheduno è semegliata

e carne umana desia e afecta.

 

Ane una boce bella e consonata

nella quale ki l’ ode se delecta:

a lo nemico pare semeliata

ke, variando, nell’ anima decepta.

 

Semiglia ad omo per demostramento,

kè, volendo la gente a sè trare,

fasse parere angelo de luce,

 

a bestia k’ è in reo delectamento:

fa ki li crede tanto delectare,

k’ a la dannatione lo conduce.

 

Alla manticora si affiancano diversi altri animali reali o immaginari quali l’Agnus Dei, la colomba, il leone di san Marco, il corvo di san Benedetto, la iena, il leopardo, l’aquila e tanti altri a chiave meno esplicita.

Tra gli animali carnivori prevalgono sicuramente il leone ed il grifone, tra i volatili l’aquila, tra i rettili il serpente ed il basilisco, spesso varianti dell’immagine del drago.

basilisco
basilisco

Il leone, il più forte tra tutti gli animali, nel Medioevo simbolizza la Resurrezione perché, quando i suoi piccoli nascono, giacciono come morti per tre giorni e la vita non entra in loro finchè il padre non aliti sul loro muso: «la voce sonora del leone, ne gli orecchi loro inalzata, non serve che per cavargli dall’ombre, nelle quali si trovavano sopiti, ed obbligargli a svegliarsi, e goder la chiarezza della luce»[11]. è ancora l’Apocalisse ad indicare in questo animale un simbolo di Cristo: «Colui che si chiama Leone della tribù di Giuda e Germoglio di Davide ha vinto la sua battaglia» (Ap 5,5).

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Come altri animali del bestiario esprime esso duplici connotazioni, positive e negative. I leoni stilofori che dovevano ornare il protiro della nostra cattedrale, e di cui non resta più alcuna traccia, o quelli ancora visibili ai lati del portale della chiesa del Carmine, per la loro funzione di custodia e di difesa dell’edificio sacro senz’altro avevano una valenza positiva. Lo stesso non può dirsi quando essi sono associati alla figura del telamone o quando vengono schiacciati da possenti opere in muratura, come si vede in alcuni altari della stessa cattedrale o ancor meglio nel cinquecentesco cenotafio dei duchi Acquaviva nella chiesa di sant’Antonio, chiara allusione del male schiacciato dal bene.

Sugli altri animali, numerosi nelle tavole di cui ci interessiamo, svariate sono anche le figure geometriche, come pure le ricorrenti rappresentazioni in coppia di leoni, grifi e draghi. è evidente, anche dall’osservazione diretta di quanto è sopravvissuto, l’ordine delle figure, che sembrano disposte con logica e si evidenzia una ricerca di eleganza.

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[1] Nell’isola è ampiamente documentata la tradizione artistica di dipingere i soffitti lignei, tra i quali in special modo il soffitto dello Steri di Palermo.

[2] G. Orofino, in Enciclopedia dell’ Arte Medievale, III, 347.

[3] Il termine è stato fatto derivare dalla frase iniziale di un capitolo delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, di cui si dirà dopo.

[4] De Bernardi, Disegno Storico della Letteratura Italiana, 26.

[5] Orofino, in Enciclopedia dell’ Arte Medievale, III, 348.

[6] Dall’Antico Testamento si ricavano due generi distinti di classificare gli animali. In Genesi 1,20-25 sono divisi a seconda del comportamento e dell’habitat naturale, ma più interessante appare la suddivisione in animali puri e impuri, che è presentata in Levitico 11 e Deuteronomio 14, 3-20 su base moralistica, prima ancor che igienica. Nel Nuovo Testamento viene abolita la distinzione tra animali puri e impuri, mantenendosi però una valenza negativa in chiave demoniaca, come per il serpente. Assumono particolare rilievo l’agnello e la colomba, che con il pesce, assumono estrema importanza nel simbolismo dell’arte cristiana (Enciclopedia dell’ Arte Medievale, II, s.v. “Animali”; Maspero- Granata, Bestiario medievale, Piemme, Casale Monferrato 1999, soprattutto 6 e segg. per la suddivisione in classi degli animali nella Bibbia).

[7] Per la descrizione di alcuni dei bestiari, conservati in Francia e Inghilterra, cf. A. Payne, Medieval Beasts, British Library, London 1990, 12-16; S. Panunzio, Bestiaris, voll. 2, Editorial Barcino, Barcellona 1963, I, 197-210, con ampia bibliografia; F. Zambon (a cura di), Il Fisiologo, Adelphi, Milano 1982, particolarmente 17-32; N. Pice, A proposito dei “bestiari fantastici” delle Cattedrali, in Studi Bitontini, Bitonto 1995, 77-88; F. Mezzalira, Bestie e bestiari, Allemandi, Torino 2001.

[8] Opera in 20 libri, la cui principale fonte fu soprattutto Plinio il Vecchio (c. 23-79 d. C.) per la cui descrizione si rimanda a P. Castelli, Alcuni appunti sulle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, in Iconografia di San Benedetto, 355-358.

Nell’opera gli animali vengono divisi in 4 classi: i quadrupedi, che vivono in terra e distinti in animali utili all’uomo e bestie crudeli e feroci; gli uccelli, che vivono nell’aria, pesci, che vivono nell’acqua, e rettili, che strisciano sulla terra.

[9] Una rassegna cronologica delle opere più importanti che affiancarono il Physiologus è riportata in I. Malaxecheverrìa, Bestiario Medieval, Ediciones Siruela, Madrid 1986, XII-XXI, tra le quali la Naturalis Historia di Plinio, il Liber monstruorum de diversis generibus (sec. VI), lo Speculum naturale di Vicenzo de Beauvais (+1264), il bestiario di Filippo e Thaun (XII sec.), il bestiario latino conservato nella biblioteca di Cambridge, quello di Guillaume le Clerc (1210), Il Tesoro di Brunetto Latini (c. 1220-1294), De animalibus di Alberto Magno (c. 1193-1280).

[10] Opera anonima di un italiano del XIV secolo. Contiene sessantaquattro sonetti, ognuno con le diverse proprietà dell’animale da cui si ricava l’insegnamento morale o simbolico.

[11] F. Picinelli, Mondo simbolico formato d’imprese scelte, spiegate, et illustrate, Stamp. Francesco Vigone, Milano 1680, 271.

Un “bestiario” medievale sulle antiche travi della Cattedrale di Nardò (2)

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Le iscrizioni

 

Fra le decorazioni policrome delle incavallature si sono trovate, nel restauro di fine Ottocento, alcune iscrizioni a grandi lettere gotiche, dipinte sulle facce laterali delle travi formanti le capriate. Esse rappresentano un notevole reperto epigrafico che aiuta sulla datazione, mentre non si è trovata alcuna indicazione per poter risalire agli autori. Sulla prima trave, a caratteri neri, si leggeva:

 

….TERTA SOLO TE(m)PLUM FUIT HOC RE(stitutum).

 

Sulla seconda, pure a caratteri neri, rimaneva la parte inferiore di poche lettere:

 

(p)ASTORIS BARTHULOM(ei)….SE(dentis?).

 

Sulla terza, a caratteri rossi, si leggeva:

):DOMINC….SEPTIV(?): REGALE:TENE(n)TI:PRINCIPAT(tu)

ROBERTO:NOSTRO:DOMINANTE:TARENTI:A(nno)M… [1]

 

I dati cronologici dell’iscrizione rimandano quindi ad un’epoca compresa tra il 1332, anno in cui Roberto d’Angiò successe al padre Filippo I d’Angiò nel principato di Taranto[2], del quale faceva parte anche Nardò, e il 1351, anno della morte dell’abate benedettino Bartolomeo (1324-11 aprile 1351), menzionato nell’iscrizione come vivente e che ha consentito l’esecuzione dell’opera[3]. Se si tiene conto degli eventi accaduti nel regno ed in città si potrebbe limitare il periodo fra 1350 e 1351.

Purtroppo non possediamo una letteratura adeguata che aiuti ad identificare meglio l’abate ed illustrarne la personalità, nè ci è dato di conoscere se possa essere stato egli stesso culturalmente in grado di sviluppare il programma iconologico di cui tratteremo o perlomeno sia stato capace di influenzarne la scelta. Di lui Giovan Bernardino Tafuri scrive che dal 1326 fu confessore del principe di Taranto Filippo e l’anno dopo partecipò al parlamento napoletano contro Ludovico il Bavaro. Da Filippo ottenne nel 1330 di far abitare il casale di San Nicola d’Arneo e nel 1349, dalla regina Giovanna, quello di Lucugnano, pure nell’Arneo. Di sicuro Bartolomeo fu  predecessore dell’abate Azzolino De Nestore, il cui nome, accanto alla data 1353, esistette sulla facciata della Cattedrale sino al 1652, con l’iscrizione: Abbas Azzolinus De Nestore A. D. Mcccliii. Certo è che se intervenne in modo così importante nell’abbazia di cui era reggente, preoccupandosi perfino di animare con vivaci dipinti le lunghe e piatte travi del soffitto, fu spinto o dall’intensificarsi dei pellegrinaggi o per la grande disponibilità dei benefattori, come testimoniano le memorie araldiche di cui si dirà più avanti, di sicuro per una cospicua presenza di monaci o anche solo di fedeli. Di certo conformemente alla Regola benedettina, che incoraggiava l’arte, strumento di vita monastica, in chiese e conventi.

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Primo Panciroli e Pier Olinto Armanini

 

L’arte decorativa medievale dei soffitti dipinti è un aspetto poco noto e non esiste ampia bibliografia sull’argomento. Ancor più scarsa la documentazione se ci si limita alla Puglia, per la quale resta fondamentale lo studio di Clara Gelao[4], che per prima ha documentato l’esistenza di parte delle antiche travature della nostra Cattedrale, da tutti gli altri Autori date per distrutte.

La lettura delle figurazioni delle travi offre interessanti considerazioni e nuove prospettive di studio che ci sforzeremo di indicare in questo lavoro.

Le decorazioni furono in parte riprodotte da Primo Panciroli, nato a Roma il 2 giugno 1875 e morto ad Acireale il 13 settembre 1946[5]. Il giovane riproduttore giunse in Nardò nel 1896, in occasione dei restauri della Cattedrale. Egli si limitò a raccogliere sistematicamente quanto era rimasto sulle travi superstiti, senza entrare nel merito dei temi, della cronologia e dei maestri esecutori, salvandolo così dall’oblio. Le tavole furono rilegate nel 1904 dallo stesso Panciroli in un album, oggi conservato nella Biblioteca dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte di Roma[6]. Il volumetto, con 11 tavole acquerellate di cm. 40 x 50, è  titolato: Raccolta dei motivi decorativi appartenenti alla distrutta travatura della Cattedrale di Nardò[7], ed era stato realizzato «per poter riprodurre quanto sarà possibile questa mirabile ornamentazione che ha delle caratteristiche veramente geniali»[8].

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

Alcuni disegni furono pure eseguiti dall’architetto Pier Olinto Armanini, prematuramente scomparso all’età di ventisei anni il 10 maggio 1896, allievo dell’Accademia di Belle Arti di Milano, nonché discepolo di Camillo Boito ed amico del vescovo di Nardò Giuseppe Ricciardi. In occasione dei suoi studi romani sul Pantheon conobbe l’ispettore dell’Ufficio Centrale delle Belle Arti Giacomo Boni (1859-1925) e grazie a quest’altra conoscenza, ma anche per le sue indubbie capacità artistiche, ottenne il Pensionato Artistico Nazionale che durò dal 1892 al 1896. Il giovane architetto, anch’egli giunto nel gran fervore di intenti che animava la città di Nardò per il restauro della sua chiesa maggiore, quale saggio dei suoi studi realizzò nel 1894 una trentina di fregi ripresi  dalle nostre travi. I disegni furono pubblicati postumi nel volume La Cattedrale di Nardò-La cascina Pozzobello, che riguardo l’architetto riporta: «Innamorato delle svariate pitture decorative delle capriate, che, al dire del Maccari, forse in nessun altro monumento si presentano così copiose, svariate, ed in alcune travi-catene capricciose, l’Armanini si proponeva di tornare in Nardò per continuare nei rilievi; ma sventuratamente Nardò che tanto aveva amato ed ammirato l’aveva, e che di lui serberà imperitura memoria, più non lo rivide! Una infermità, che colpisce talora gl’ingegni più eletti non contenuti ne’ loro slanci da forza superiore, sventuratamente lo tolse agli studi. Quale vantaggio avrebbe arrecato all’arte il suo criterio esatto nell’esame dei monumenti!» [9].

Il tentativo fatto anche da questi lascia presupporre che già da allora più di qualcuno avesse intuito di trovarsi di fronte  ad un eccezionale documento di arte, di cultura e di fede, degno di essere trasmesso ai posteri.

Il Boni è stata senz’altro una figura importante per ciò che accadeva in Nardò in quegli anni. Tra gli architetti propugnatori dello stile neogotico che facevano capo a William Morris, era socio della “Society for the Protection of Ancient Building”. Per dieci anni svolse la sua attività nel Sud d’Italia e particolarmente in Puglia, dove tenace fu la sua opposizione a quanti pensavano di demolire la cattedrale di Nardò per scarso valore artistico: «se accadesse dovrei lacerare il diploma conferitomi per acclamazione dall’Istituto di Architettura di Londra, dovrei vendere al salumaio gli altri diplomi degli istituti congeneri degli Stati Uniti e dell’Accademia delle Scienze di New York». Infatti egli aveva individuato la chiesa normanna dell’XI secolo e tanta fu la sua soddisfazione d’essere riuscito a salvarla che ne curò personalmente il programma di recupero, preoccupandosi di studiare tutte le iscrizioni scolpite, dipinte e graffite, comprese le figure delle nostre travi.

Moltissimi elementi decorativi realizzati dal Panciroli servirono allo stesso Cesare Maccari (1840-1919) nell’affrescare il coro e alcune delle cappelle laterali dell’edificio, conformemente con quanto in quel periodo si studiava e dibatteva riguardo al Medioevo ed al passato più in generale[10].

 

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[1] C. Boito-G. Ricciardi-G. Moretti, La Cattedrale di Nardò-La cascina Pozzobello in Milano. Rilievi e studi eseguiti dall’ Architetto Pier Olinto Armanini durante gli anni del suo pensionato artistico in Roma, tipografia Umberto Allegretti, Milano 1898, 11. Le iscrizioni, rilevate dall’ architetto Giacomo Boni sulle travi della cattedrale, furono riportate nel Bollettino Ufficiale dell’Istruzione Pubblica, anno 1895, 2068.

[2] Roberto era anche signore di Puglia, avutala dalla regina Giovanna I, sua cognata per aver sposato il fratello Ludovico. Roberto nei documenti si firmava anche Romaniae Despotus, et Achajae, lasciategli da suo zio Giovanni di Sicilia, duca di Durazzo, Tarenti Princeps, Justiciarius, et Vicarius Principatus Tarenti…, oltre che Imperator Costantinopolitanus, dopo la morte della madre Caterina di Valois (Napoli, 1342), imperatrice di Costantinopoli, figlia di Carlo di Francia, conte di Valois, e Caterina di Courtenay, sua seconda moglie. Fratelli di Roberto, oltre il menzionato ed improle Ludovico, sposo di Giovanna I, furono Filippo II, che gli successe; Margherita, in prime nozze sposa di Edoardo re d’ Ecosse, ed in seconde di Francesco del Balzo, duca di Andria e conte di Avellino; Maria, nubile, e Giovanna, in prime nozze sposa di Leone I d’Armenia, della casa di Lezignen; in seconde di Leone II, zio e successore del regno di Armenia, col quale generò Leone III. Cf in merito anche S. Arcuti, I principi angioini di Taranto e la chiesa in Puglia, in Note di civiltà medievale. Numero speciale per l’ inaugurazione del nuovo edificio universitario “Oronzo Parlangeli”, Bari 1979, I, 209). Roberto, morto il 10 settembre 1364 e sepolto nella chiesa di san Giorgio il Grande in Napoli, sposò Maria di Bourbon, vedova di Guy de Lezignen.

[3] C. Gelao, Chiesa Cattedrale (già chiesa abbaziale di S. Maria Assunta), in Insediamenti benedettini in Puglia, Congedo, Galatina 1980, 3 voll., 436.

[4] In particolare ci si riferisce al suo saggio Tecta depicta di chiese medievali pugliesi, “I quaderni dell’Amministrazione Prov. di Bari”, Bari s.d. (ma 1981), corredato di numerose illustrazioni e con ampia bibliografia.

[5] Nato da genitori emiliani studiò all’istituto San Michele sotto la guida di Alessandro Ceccarini, diplomandosi nel 1894. Collaborò col Maccari anche a Loreto e al palazzo di Giustizia a Roma e da lui fu avviato alla grande decorazione murale, inserendosi di diritto nella scuola romana dei decoratori. Tra le opere principali gli affreschi al Comando Militare di Trento, sala Dante (1901-05), nell’Albergo “Acqua della Salute” di Livorno (1901-05), nella cattedrale di Acireale (1907-11), nella chiesa del Rosario e cattedrale di Bagnara Calabra (1921-22, 1937-40), nella chiesa dei cristiani copti al Cairo (1924-32), nella chiesa di S. Giovanni Battista a Ragusa (1926). Decorò anche i soffitti del Ministero dell’Agricoltura a Roma (1913) e del palazzo comunale di Acireale (1942). Approfittiamo per ringraziare il personale della Biblioteca Zelantea di Acireale per le notizie fornite sull’artista.

[6] Ancora un doveroso grazie alla Direzione della stessa.

[7] Quasi in tutte sono riportate la firma e l’anno di esecuzione, tra il 1896 ed il 1904. Esse sono state pubblicate monocromaticamente nel citato saggio di B. Vetere, S. Maria di Nardò: un’abbazia benedettina di Terra d’Otranto. Profilo storico-critico, in Insediamenti benedettini in Puglia, 228-240, e in Gelao, Tecta depicta, tavv. 19-26. Sempre qui sono riportate alcune foto di particolari sopravvissuti nelle travature (tavv. 8-18). Parzialmente i disegni del Panciroli sono apparsi nel volume curato da B. Vetere, Città e Monastero. I segni urbani di Nardò’ (secc. XI-XV), Congedo, Galatina 1986, figg. 29-35. Parte di una sola tavola è stata pubblicata nell’introduzione di M. Cazzato al volume di M. Marcucci, I mostri di Pietra guardiani della soglia. Civiltà della pietra leccese tra Medioevo, Barocco e Liberty, a cura di A. Costantini, Congedo, Galatina 1997, 6. Cazzato nel citato saggio accenna al divenire dell’imagerie medievale salentina, che raggiunge «livelli di saturazione visiva incredibili» nei secoli barocchi.

[8] Tafuri, Ripristino e restauro, 68. Un lavoro similare, ma limitato a poche tavole, fu realizzato per la Cattedrale di Bari da Pasquale Fantasia qualche anno prima. Cf C. Gelao, Tecta depicta, 11-12, tavv. 1-4; P. Fantasia, Il Duomo di Bari, in Annuario del R. Istituto Tecnico e Nautico di Bari, a. 1890, Bari 1892, tavv. XIX-XXII.

[9] «…l’Armanini, che aveva la prerogativa di non soffrire per la vista del vuoto, si inerpicò sulle travi catene e da vicino fece diversi rilievi di quelle pitture. Ma poi i rilievi furono completati e fatti con cura da uno dei discepoli del Maccari, Pietro Loli Piccolomini e raccolti in un album» A. Tafuri, Ripristino e restauro,  67-68). I disegni, come già spiegato, furono però eseguiti dal Panciroli e non dal Loli Piccolomini).

[10] In particolare furono soprattutto gli architetti francesi ed inglesi, poi anche italiani, che in quest’epoca si occupavano di studiare le arti applicate in ogni parte d’Europa, rivalutandole dal punto di vista estetico e storico-sociale. Negli anni in cui il Panciroli e l’Armanini lavorano a Nardò Camillo Boito, che era stato loro professore, pubblicava nel 1899, sulla sua rivista “Arte italiana decorativa e industriale”, una serie di pitture del soffitto dello Steri di Palermo realizzate da Giuseppe Alfano.

Un “bestiario” medievale sulle antiche travi della Cattedrale di Nardò (1).

 

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

di Marcello Gaballo

 

 

1. La Cattedrale e la sua copertura lignea.

Il monastero benedettino di Nardò fino ai primi decenni del XV secolo era immediate subiectum alla Santa Sede ed aveva una rigorosa organizzazione gerarchica al cui vertice c’era l’ abate, cui faceva capo tutto il territorio dell’attuale diocesi con le quattordici inferiores abbazie[1].

La cronologia della chiesa è incerta. Sicuramente essa esisteva nel 1092 (è di tale anno, infatti, la prima menzione diretta di un monasterium Sanctae Mariae de Neritono in un diploma col quale Goffredo, conte di Nardò e di Conversano, fa alcune concessioni all’ abate Everardo)[2].

Ai Basiliani erano subentrati due anni prima, per volere dello stesso conte Goffredo, i monaci Benedettini, pionieri del rito latino e del potere della Chiesa di Roma, che eseguirono importanti rifacimenti della struttura originaria dell’ edificio, ricostruendo la navata sinistra, il presbiterio ed il campanile, gravemente danneggiati dal terremoto del 1245[3]. Quest’ ultimo mostra infatti nelle decorazioni del primo ordine aspetti molto simili ad altre chiese angioine coeve[4].

I monaci, nello stesso secolo, istituirono nel monastero cattedre di letteratura greca e latina, di eloquenza e di matematica, e conservarono nella chiesa ad essi affidata la liturgia greca affianco alla latina.

L’ edificio, internamente scandito da pilastri con una serie di cinque arcate[5], fu ricostruito dopo il terremoto del 1350, come si fa cenno nella cronaca spuria di Stefano, abate benedettino[6], e fra gli ingenti danni riportati si registra anche il crollo del frontespizio.

L’ abate Bartolomeo, nominato da Filippo suo confessore, cappellano e consigliere[7], avrebbe fatto riparare la chiesa e il tetto danneggiati, con il concorso dei baroni della città. In tale occasione fu ingrandita con un prolungamento di circa 19 metri[8], che permise l’ aggiunta sul lato orientale del profondo coro terminante con l’ abside circolare e lo sfondamento delle nicchie absidali al termine delle due navate laterali.

Vennero eseguiti altri importanti lavori come il rifacimento della facciata principale (nel 1354, per volontà dell’ abate Azzolino De Nestore), l’ apertura di un portale sul fianco meridionale (la porta che oggi dà su piazza Salandra) caricato di un architrave col bellissimo rilievo della “Dormitio Virginis”, tuttora conservato a Nardò nella chiesetta delle Anime del Purgatorio[9].

Dall’ antipapa Clemente VII fu elevata a Cattedrale nel 1387, essendo vescovo Matteo del Castello, ma quando, nel 1401, terminò lo scisma, tornò ad essere semplice abbazia.

Le coperture del vasto edificio furono in origine costituite da travature lignee a vista, a due spioventi la navata centrale[10], ad uno le laterali. Le incavallature lignee della prima, “tra le più svariate ed originali forse in tutta Italia”[11], furono poi dipinte nel tempo di Roberto d’ Angiò, principe di Taranto, con vivacità coloristica forse ideata in funzione della ricchezza cromatica delle pareti interne, dove probabilmente era già stato realizzarto il ciclo di affreschi.

Sembra però che, nonostante la sostituzione dei pioventi, la tettoia in più punti cominciasse a subire dei guasti molto seri, per cui mons. Lelio Landi, vescovo di Nardò dal 1596 al 1610, la ricostruì per una metà nel 1606 e su una delle travi fece dipingere il suo stemma. Lo si deduce da un atto notarile conservato nell’ Archivio di Stato di Lecce, rogato dal notaio neritino Pietro Torricchio nell’ anno 1608. A c.43 recto del documento si legge infatti una dichiarazione del tesoriere della Cattedrale, l’ abate Giulio Cesare Rapanà, il quale sostiene ciuramento facto pectore more religiosorum che, tra gli altri lavori fatti eseguire per ordine del vescovo nel palazzo vescovile e nella Cattedrale, figurano anche quelli …per accomodare lo tetto della chiesa alla banda dello specchio che minacciava rovina per tavole, travi, maestranza…, eseguiti nel mese di marzo 1605, con spesa di ducati 47, …come appareno nel libro del mio esito distintamente.

Le spese furono però sicuramente maggiori, perchè negli atti dello stesso notaio, sempre del 1608, a c.7 recto, il “faber lignarum” Onofrio Fanuli da Galatone dichiarava con giuramento …di havere accomodato lo tetto della Cattedral chiesa della città di Nardò, quale minacciava rovina, in questo anno, e per la spesa necessaria per tavole, agionsioni di catene, crapiuli, ferrami, maestranza, calce e fabrica et altre cose necessarie per accomodare detto tetto, ci è stata di spesa ducati duicento novantasei, quali sono stati spesi e pagati per mano di Abb. Georgio Francesio V.I.D. can.co et procuratore di monsign. R.mo Lelio Landi, e passati tutti per mano mia…

Circa un mese dopo lo stesso mastro ribadiva sempre davanti al medesimo notaio (c.26 recto) di aver provveduto a riparare parte del tetto della Cattedrale …quale minacciava rovina questi mesi passati…, ricevendo la somma dovutagli. Aggiungeva inoltre che  …l’ altra parte del tetto di detta chiesa restò di accomodarsi, pure minaccia rovina e stà per cascare giorno in giorno, per haverlo conosciuto novamente e trovato le due catene di travi che stanno dov’ è l’ organo, sono relassate et marcitte e minacciano di cascare giorno per giorno che guastariano in tutto l’ organo di detta chiesa che, costa più di mille ducati, oltre l’ altro danno eccessivo che farebbe cascando e per resarcirlo et accomodarlo nel modo che stà accomodato l’ altro ci correrebbe di spesa ducati trecento in tutto fra ligname, fierri, tavole, mastria et altre cose necessarie, ma per fare nova detta parte di tetto che restò di farsi, ci vorrebbe di spesa mille ducati alla secura… Somma che comunque fu trovata. Infatti il vescovo Landi fece ricoprire le incavallature con un soffitto a lacunari, che in parte completò mons. Girolamo De Franchis (1617-1634).

bestiario

Di altri lavori delle coperture nei secoli successivi non è stata finora reperita documentazione.

Negli anni 40 del secolo scorso, nel togliere il predetto soffitto a cassettoni si ritrovarono le capriate del tetto decorate, “meno le prime 6 o 7 verso l’ altare maggiore che erano state rimosse recentemente dopo che il tetto fu sfondato per la caduta del campanile. Tra le due capriate sul piovente Nord e nella parte un po’ verso la porta maggiore sul  tavolato eravi lo stemma del vescovo Lelio Landi con sotto scritto Lelius Landus Suessano…”[12].

Oggi, tanto la navata centrale della Cattedrale quanto le minori, sono ricoperte da capriate lignee, in sostituzione delle originali, delle quali sopravvivono solo quelle poste sulla volta del coro, che mostrano tracce notevoli dell’ antica decorazione[13].

 

(fine prima parte)


[1]Esse erano: S. Anastasia, S. Angelo della Salute, S. Elia, S. Eleuterio, S. Maria de Alto di Nardò e di Felline, S. Maria de Civo, S. Maria della Tagliata, S. Maria di Cesarea, S. Nicola de Scugno, S. Nicola di Collemeto, S. Nicola di Pergoleto, S. Nicola Macugno, S. Stefano di Curano. Sulle vicende storiche cf. B. Vetere, S. Maria di Nardò: un’ abbazia benedettina di Terra d’ Otranto. Profilo storico-critico, in Insediamenti benedettini in Puglia, Congedo Ed. – Galatina1980, I, pp. 199-254.

[2]C. Gelao, Chiesa Cattedrale (già chiesa abbaziale di S. Maria Assunta), in Insediamenti benedettini, cit., II/2, pp. 434-440.

[3]Boito-Ricciardi-Moretti, La Cattedrale di Nardò-La cascina Pozzobello in Milano, in memoria di Pier Olinto Armanini; rilievi e studi eseguiti dall’ Architetto Pier Olinto Armanini durante gli anni del suo pensionato artistico in Roma, Milano 1898, p.25.

[4]Vedi per es. S. Maria del Casale presso Brindisi, S. Maria della Lizza ad Alezio, S. Maria della Giustizia a Taranto, S. Benedetto a Brindisi. Specie per quest’ ultima cf.  M. De Marco, Il Salento tra Medioevo e Rinascimento, Capone Ed. – Lecce 1997, p.31.

[5] Che sono a tutto sesto sul lato meridionale, a sesto acuto su quello settentrionale.

[6]Gelao, Chiesa Cattedrale…, cit., pp.436-7.

[7]E. Mazzarella,  La Sede Vescovile di Nardò, Congedo Ed. – Galatina 1971, p.46.

[8] Oggi l’ edificio misura metri 54,40 di lunghezza e 20,35 di larghezza.

[9] Cf. Id., Nardò Sacra, a c. di M. Gaballo, Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò e Gallipoli, Nuova Serie, Congedo Ed. – Galatina 1999, p.73.

[10] Si tratta di capriate con catena e controcatena, indispensabili per sostenere l’ armatura di copertura del tetto a falde inclinate, cui fu aggiunto successivamente un tirante orizzontale in ferro.

[11]Boito-Ricciardi-Moretti, La Cattedrale di Nardò-La cascina Pozzobello…, cit., p.18.

[12]A. Tafuri, Ripristino e restauro della Cattedrale di Nardò, Roma 1944, pp. 67-68.

[13]Cui si accede scomodamente dal terrazzo della Cattedrale. Una delle travi della navata centrale è custodita dall’ Ufficio Beni Culturali della Diocesi, in attesa di restauro ed adeguata sistemazione. Non è dato di sapere il destino delle restanti travature rinvenute nel predetto restauro.

Ecclesia Mater. La fabbrica della Cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali

cattedrale di Nardò

di Marcello Gaballo

 

Venerdì 11 ottobre, in Cattedrale, alle ore 19, alla presenza del Vescovo Mons. Fernando Filograna e dell’editore Mario Congedo, sarà presentato l’ultimo dei Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò-Gallipoli: Ecclesia Mater. La fabbrica della Cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali, di don Giuliano Santantonio, parroco della stessa chiesa e direttore dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi.

Il volume, sesto della collana, di 192 pagine, in ottavo, si inserisce nel programma delle celebrazioni per i seicento anni della Cattedrale di Nardò (1413-2013).

Arricchito da numerose illustrazioni, risaltano una trentina di foto di C. Greco da Nardò, tratte dal rarissimo volume: Vedute e monumenti di Nardò, edito a Gallipoli nel 1907 per i tipi della Tipografia Stefanelli e donato alla diocesi dal barone Pasquale Personé.

Ad incrementare l’apparato iconografico anche alcune foto inedite di Paolo Giuri, tra le quali il pregevole Crocifisso, in legno policromato del sec. XVII, conservato nella sagrestia. Sempre da questo ambiente provengono i tre dipinti riportati nel volume: S. Agnese, un olio su tela degli inizi del sec. XVIII, di scuola del Solimena; San Bartolomeo apostolo, anche questo olio su tela, degli inizi del sec. XVII eseguita da maestranze salentine; il bellissimo Volto di Cristo, olio su tavola, del sec. XVI, di ignoto autore e degno di grande attenzione da parte degli storici dell’arte.

Inedite sono pure le foto di reperti lapidei erranti, quasi tutti provenienti dal giardino dell’episcopio neritino, che probabilmente troveranno collocazione nell’istituendo museo diocesano, tra i quali un Frammento della lapide posta dal Sanfelice nell’abside, sotto la tela raffigurante l’arrivo delle reliquie di S.Gregorio Armeno, su pietra leccese, datato 1718; una  Lapide di Girolamo De Franchis posta presso il nuovo sito dell’organo, su marmo, del 1619 (foto Paolo Giuri, 2013).

Ancora originale il repertorio di alcuni dei reliquiari conservati nell’altare di Tutti i Santi, nella navata sinistra della Cattedrale, minuziosamente elencati nelle diverse visite pastorali e descritti nel volume. Tra i tanti preziosi reliquiari le due urne, delle quali una  con le reliquie di S.Fausto martire e l’altra con le reliquie di S.Pio martire; i reliquiari a ostensorio con diverse reliquie di santi, quelli a forma di braccio con reliquia di S.Trifone martire e San Gregorio Armeno.

 

Ma l’importanza del libro è data soprattutto dalla mole di notizie ed informazioni in esso riportate, utili per seguire ed interpretare le vicende storiche del tempio neritino attraverso le numerose visite pastorali dei vescovi che si sono succeduti sulla Cattedra neritina, a cominciare da quelle della metà del XV secolo.

Scrive l’A. nella premessa: “…L’evidenza che emerge in questo genere di ricerche è che occorre abbandonare la tentazione di immaginare un edificio, della natura di una chiesa, come una costruzione che sia possibile fossilizzare dentro il gusto, la sensibilità e le forme di una sola epoca, magari quella della sua prima costruzione: se così fosse si snaturerebbe il suo significato, che dipende dalla sua funzione, e finirebbe per essere presto avvertita come un corpo estraneo nel quale diventa impossibile riconoscersi. Le chiese sono invece realtà vive, che dialogano con il tempo e che per rimanere se stesse hanno bisogno di cambiare in continuazione. Come la Chiesa-comunità è semper reformanda, così anche il luogo nella quale essa si riconosce e vive: è nella logica del mistero dell’incarnazione, che esige che ogni tempo e ogni generazione consegni a chi viene dopo una traccia di sé, che racconti la continuità e l’unità della fede dentro l’originalità del divenire umano.

Naturalmente questo processo è virtuoso solo se avviene in quel rispetto che consente il dialogo e non la contrapposizione nella diversità. In questo senso la cattedrale di Nardò rappresenta un formidabile libro in cui convivono armonicamente la storia, la fede, i costumi, le tradizioni delle generazioni che nell’arco di mille anni e più hanno trovato in essa un punto stabile di riferimento e di identificazione…”.

 

Di notevole ausilio sono la ricca bibliografia e l’indice analitico del volume.

 

Francobolli per celebrare i seicento anni della cattedrale di Nardò

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

di Biagio Valerio

Non solo quello italiano, ma anche lo Stato della Città del Vaticano è pronto a celebrare i seicento anni della cattedrale di Nardò con una colorata e sontuosa emissione di francobolli. La notizia fa il paio con quella data dalla Gazzetta qualche settimana fa: entro settembre le Poste Italiane tireranno fuori l’attesissimo tagliando che porterà, in effige, la facciata della chiesa più importante della città. Ma la vera sorpresa per i filatelici è un’altra: una serie (probabilmente quattro o cinque valori e chissà se non ci scappa un preziosissimo e ricercato “foglietto”, cioè tutti insieme su un’unica paginetta che compone un quadro) di diversi valori facciali con raffigurati gli affreschi custoditi nell’edificio.
Il numero dell’emissione è già presente nel calendario delle uscite vaticane e tutti i più accreditati cataloghi di filatelia del mondo riportano l’edizione come la sedicesima, l’ultima dell’anno, dopo quella che celebra il Natale. La notizia è ghiotta: i francobolli vaticani hanno una diffusione ridotta rispetto agli italiani ma il circuito cui sono destinati è quello dei collezionisti di tutto il mondo che hanno rapporti diretti con il prestigioso ufficio filatelico e numismatico del Vaticano. I responsabili dell’iniziativa, lo storico Marcello Gaballo e il parroco della cattedrale, monsignor Giuliano Santantonio, hanno avanzato la richiesta di celebrare i seicento anni con un francobollo esattamente due anni fa, inviando poi le immagini che raffigurano i più antichi affreschi “recuperati” medievali sulle colonne della cattedrale durante i restauri degli ultimi due secoli. Insomma, Nardò raddoppia: non aveva mai avuto un francobollo dedicato in tutta la sua storia, ora potrebbe averne tanti e da due Stati diversi.

 

Pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 10/09/2013

Il nuovo vescovo per la diocesi di Nardò-Gallipoli

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
Fonte : Sala stampa Santa Sede
NARDÒ-GALLIPOLI (ITALIA)
Il Santo Padre ha nominato  venti minuti fa (ore 11.30 ndr) Vescovo di Nardò-Gallipoli (Italia) il Rev.do Mons. Fernando Filograna, del clero dell’arcidiocesi di Lecce, finora Vicario Generale di Lecce.
                                 Rev.do Mons. Fernando Filograna 
Il Rev.do Mons. Fernando Filograna è nato a Lequile (Lecce), il 29 settembre 1952. Studente del Seminario minore di Lecce e di quello Regionale di Taranto, è entrato poi al Seminario Romano maggiore. Ha frequentato filosofia e teologia presso la Pontificia Università Lateranense e si è licenziato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1977. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti uffici e ministeri: Animatore nel Pontificio Seminario Romano (1977-1978); Padre Spirituale nel Seminario minore di Lecce (1978-1983); Notaio del Tribunale Ecclesiastico diocesano (1978-1979); Vice cancelliere della Curia (1979-1983); Rettore del Seminario Vescovile di Lecce (1983-1996); Canonico della Chiesa Cattedrale (1984-1996); Direttore del Centro diocesano Vocazioni (1985-1996); Arciprete della Parrocchia Maria SS. Assunta a Trepuzzi (1996-2007); Vicario episcopale per il Clero e il Diaconato permanente (1999-2005); Membro del Collegio dei Consultori (dal 1998); Canonico della Chiesa Cattedrale (dal 1999); Membro della Commissione per il Clero e la Vita Consacrata della Conferenza Episcopale Pugliese (dal 2000); Parroco della Parrocchia S. Giovanni Maria Vianney e Vicario generale di Lecce (dal 2007). Ha insegnato Teologia Fondamentale all’Istituto di Scienze Religiose di Lecce. Scrive sul foglio diocesano “L’Ora del Salento” ed è Postulatore per la Causa di Beatificazione di Mons. Ugo de Blasi.
Dall’Uffcio stampa Comune di Nardò:
 Il messaggio del sindaco di Nardò Marcello Risi.
 ” Giornata di gioia e commozione per la nostra Città. L’annuncio del nuovo Pastore conforta lo spirito della  Comunità di Nardò.
 Attendiamo con ansia la Sua Benedizione. 
La Città di Nardò  lo accoglie con speranza  offrendoGli la sua preghiera.

Ho appreso questa mattina la notizia della nomina del nuovo vescovo,  Mons. Fernando Filograna del quale sono note la  finezza di teologo e la  passione pastorale.

I  legami del nuovo presule con la nostra terra sono profondi e significativi.  Fin da ora assicuro al nuovo Vescovo, che mi auguro di poter incontrare molto presto, tutta la mia disponibilità alla collaborazione, avendo come obiettivo il bene comune dei cittadini per l’affermazione dei principi di giustizia, uguaglianza e fraternità.”

Il “non finito” di Francesco Solimena a Nardò

di Paolo Marzano

fronte
S. Michele Arcangelo, attribuito a Francesco Solimena, nella cattedrale di Nardò

Ritengo si debba continuare a parlare di ‘scuola del Solimena’, intendendo, con questa affermazione, determinare un contesto di ‘culture’ pittoriche differenti e, allo stesso tempo, afferenti al maestro napoletano. Nell’ opera del S. Michele Arcangelo, appena restaurato, diversi sono i caratteri che potrebbero avvicinare la pittura in esame, ad una delle figure dominanti, quell’arte, a cavallo tra ’600 e ’700, nell’Italia meridionale. Ma, anche diversi particolari, non corrispondono al risultato che invece, proprio Francesco Solimena, pretendeva venisse fuori, dalle sue opere.

Chi ha pratica della storia dell’arte, conosce l’importanza dei documenti, l’ambito storico, ne contempla la veridicità, ma anche dei non secondari filtri che attengono alle descrizioni d’impostazione della scena, dei piani sovrapposti ed intersecanti i volumi, la struttura anatomica, i lineamenti del viso, direzione e tiraggio dei muscoli in relazione ai gesti espressi, quindi l’incarnato, la direzionalità del panneggio, la piegatura e la sovrapposizione del flusso coloristico sulle stoffe, la naturalità delle forme in relazione alla luce al chiaroscuro e all’ombra.
Un piccolo anticipo su quello che verrà a breve pubblicato.

Oltre alla strana aureola dell’Arcangelo (forse la continuazione del panneggio rosso) e ai semplificati, quasi schematici, tratti del viso (occhi troppo segnati, proporzionalmente grandi e quieti rispetto all’azione totalizzante della scena che vi si svolge) di sicuro ambiente napoletano, ma lontani come approcci del maestro, suggerisco di osservare nelle molte opere del Solimena il trattamento della luce.

Proprio il contatto della zona di luce, anche violenta e unidirezionale, sui volumi, determina, nei più importanti lavori del Solimena, appena dopo la scura zona d’ombra, un chiaro riverbero luminoso che, in numerosi altri casi, conferma la serie dei piani (o quinte) dell’impostazione compositiva dell’intera scena e risolve l’apparato chiaroscurale, dell’episodio raffigurato. Il viso del S. Michele, dunque, pur nella posizione privilegiata, poco si discosta, per i semplici lineamenti, dai cherubini sul fondo immersi nelle nuvole.

La ‘scuola’ quindi è certamente del Solimena, come la figura di lucifero che viene a forza ricacciato nell’inferno sembrerebbe confermare. Infatti, un maggiore approfondimento e quindi avvicinamento alle opere del Solimena rivela quella particolare figura ripresa più volte; per esempio dal personaggio quasi centrale sulle scale nella “Cacciata di Eliodoro dal tempio” o nei suoi disegni preparatori la ritroviamo disegnata per due volte nei due sensi di appoggio. Poi nel putto con la corona della “Giuditta e Oloferne” o ancora la stessa torsione e postura nella “Battaglia tra Lapiti e Centauri”.
L’opera ritengo sia attribuibile ad allievi del Solimena, su suo evidente disegno preparatorio, oppure, se si certificasse la chiara paternità del maestro, risulta sempre essere un’opera “non finita”, appunto per l’assenza dell’ultimo strato di riverbero luminoso e dunque della maggiore brillantezza ed evidenziazione tridimensionale generale, ora assente. Poco esaltata infatti la cascata centrale della ‘spira’ del panneggio rosso (l’afflato divino al suo guerriero) e la sublime curvatura finemente piumata (meravigliosamente reale) dell’ala a sinistra dell’arcangelo Michele.

Si attendono ulteriori riflessioni dibattiti, discussioni e confronti, per un’opera che va ad arricchire il bagaglio dell’antichissimo, e che si sta rivelando sempre più prezioso, scrigno della Cattedrale di Nardò.

 

I primi due sono compresi insieme nell'opera che si trova al Museo del Louvre a Parigi ne "La cacciata di Eliodoro dal Tempio", solo il primo lo ripete nella chiesa del Gesù Nuovo, a Napoli, nel dipinto con lo stesso titolo e lo ripete ancora nel Museo dell'Arte di Toledo, il terzo si trova inserito ne "la battaglia tra Lapiti e Centauri", il quarto è il S. Michele Arcangelo nella cattedrale di Nardò (Le), il putto reggi corona invece è nell'opera "Giuditta e Oloferne" di Vienna, nel Kunsthistorisches Museum.
I primi due sono compresi insieme nell’opera che si trova al Museo del Louvre a Parigi ne “La cacciata di Eliodoro dal Tempio”, solo il primo lo ripete nella chiesa del Gesù Nuovo, a Napoli, nel dipinto con lo stesso titolo e lo ripete ancora nel Museo dell’Arte di Toledo, il terzo si trova inserito ne “la battaglia tra Lapiti e Centauri”, il quarto è il S. Michele Arcangelo nella cattedrale di Nardò (Le), il putto reggi corona invece è nell’opera “Giuditta e Oloferne” di Vienna, nel Kunsthistorisches Museum.

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/22/nardo-un-solimena-riscoperto/

 

http://www.liberoquotidiano.it/news/454848/Scoperto-un-nuovo-Caravaggio.html
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/10_luglio_27/caravaggio-non-suo-martirio-1703469347692.shtml
http://culturasalentina.wordpress.com/2010/07/28/a-proposito-del-caravaggio-a-lecce/

Gli argenti della Cattedrale di Nardò, una raccolta straordinaria

cattedrale di nardò

di Marcello Gaballo*

 

Per la prima volta si dedica ampia attenzione agli argenti della Cattedrale di Nardò, quasi mancasse in città una raccolta o, perlomeno, una collezione che testimoniasse l’importanza rivestita da tali preziose suppellettili nella vita religiosa e sociale dell’antichissima Civitas. Del resto, non potevano essere esenti dal commissionare o fare utilizzo di calici, pissidi, turiboli e quant’altro i numerosi vescovi succedutisi sul soglio episcopale neretino negli ultimi sei secoli, i conventi e monasteri presenti a Nardò, le potenti famiglie aristocratiche che si sono avvicendate nel governo cittadino per oltre un millennio, nonché un ceto medio alquanto facoltoso, la cui devozione tanto contribuì a dotare di arredi sacri il considerevole numero di chiese cittadine.

cattedrale di nardò 12

La fortunata combinazione dell’importante anniversario del massimo tempio cittadino (già abbazia benedettina, quindi sede episcopale dal 1413) con la sensibilità del vescovo Mons. Domenico Caliandro e con la disponibilità del parroco don Giuliano Santantonio, ha consentito di portare alla luce un incredibile patrimonio – tenuto celato ai più – che per secoli è andato accumulandosi, nell’ammirazione di pochi privilegiati, all’interno dei grandi armadi in larice conservati nella tesoreria della Cattedrale di Nardò.

cattedrale nardò

Questa pubblicazione, fortemente caldeggiata dalla Fondazione Terra d’Otranto, offre per la prima volta al lettore i capolavori dell’oreficeria e dell’argenteria meridionale che costituiscono il Tesoro della Cattedrale, smentendo peraltro quanto sostenuto da alcuni detrattori, più propensi a relegare Nardò entro un ambito di riferimento culturale localistico e periferico, assai distante dagli aggiornati orientamenti artistici della Capitale del Regno. Al contrario, gli abili orafi e argentieri neretini (o salentini) hanno lasciato prodotti di altissima qualità, che rivelano l’inequivocabile influsso esercitato dall’ambiente napoletano (si pensi anche alla coeva produzione architettonica, pittorica e scultorea neretine), come si evince dalla puntuale e sistematica catalogazione effettuata da Giovanni Boraccesi, uno dei massimi studiosi di argenti dell’Italia meridionale, nonché componente del Comitato scientifico della Fondazione Terra d’Otranto, il quale ha vagliato, studiato e catalogato i singoli pezzi del Tesoro della Cattedrale, illustrati nel presente volume. L’indubbia preparazione e la puntuale ricognizione che l’amico esperto ha effettuato su questo prezioso materiale guidano il lettore alla conoscenza e all’agevole fruizione di un patrimonio di elevato valore artistico, culturale, simbolico e materiale, solo sporadicamente menzionato in alcuni testi, nella genericità delle indicazioni artistiche.

cat.50

Una raccolta straordinaria che si è costituita a partire dal Cinquecento, continuando ad arricchirsi nel corso dei secoli successivi, fino al Novecento con l’aggiunta di manufatti preziosi, realizzati dagli argentieri della stessa Nardò o provenienti da altri fiorenti centri italiani.

Frutto di una meravigliosa convergenza di uomini e poteri, di devoti e artigiani, di istanze religiose e culturali, questa raccolta d’arte può, a buon diritto, essere inclusa tra le più importanti collezioni di oggetti sacri e liturgici esistenti in diocesi. Il volume curato da Giovanni Boraccesi rappresenta, pertanto, un doveroso omaggio all’Ecclesia Mater e alla città di Nardò, che proprio nel 2013 celebrano il VI centenario dell’elezione a Cattedrale, la prima, e a Civitas, la seconda.

 

 

*Presidente della Fondazione Terra d’Otranto

Il catalogo degli argenti depositati nel tesoro della cattedrale di Nardò

Invito_fronte

di Giuliano Santantonio*

Il Catalogo degli argenti depositati nel tesoro della cattedrale di Nardò, che si pubblica nella collana  “Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò e di Gallipoli”, trae spunto dalle celebrazioni del VI Centenario dell’elevazione della chiesa abaziale di S. Maria de Nerito in cattedrale e della terra di Nardò in città, ma risponde a tutta una serie di aspirazioni, gradualmente maturate negli ultimi decenni anche in conseguenza del nuovo approccio con cui la Chiesa Italiana va affrontando il tema dei beni culturali ecclesiastici:

  • intanto, il desiderio di rendere noto in modo appropriato un importante patrimonio d’arte e di storia, per lungo tempo e per certi versi meritoriamente custodito nei depositi inaccessibili del più insigne tempio neritino, in attesa di collocarlo nel museo diocesano in via di allestimento per restituirlo alla pubblica fruizione;
  • in secondo luogo, l’opportunità di valorizzare sul piano pastorale e della educazione alla fede manufatti che nel tempo sono stati prodotti non per mero scopo funzionale o artistico, ma anche come testimonianza di un modo di rappresentare il sentire della fede;
  • in terzo luogo, il convincimento che i beni culturali, sapientemente adoperati, possono aprire spazi nuovi di promozione umana integrale e di sviluppo del senso identitario e del dialogo interculturale, oltre che generare benessere spirituale e materiale in un mondo travagliato da criticità la cui origine va ben oltre la sfera della finanza e dell’economia.

L’abbondanza e la qualità dei manufatti registrati possono appena far intuire lo spessore dei vescovi che si sono succeduti nell’arco di cinque secoli sulla cattedra neritina e alla cui committenza sono in massima parte riconducibili, talvolta superficialmente interpretate come espressione di una vanitosa e diffusa megalomania. Ma basta spulciare tra l’epistolario del vescovo Sanfelice o scorrere con cura il regolamento da lui dettato per la Biblioteca vescovile che aveva fondato e dotato per cogliere gli intendimenti e i modi di una pastorale sapiente, generosa e aderente ai tempi e ai bisogni del momento storico in cui ciascuno di loro è vissuto.

Ciò rende doppiamente prezioso il patrimonio illustrato dal Catalogo, che per questo rappresenta non un mero per quanto meritorio lavoro scientifico al servizio della cultura, ma un significativo documento della vita di una Chiesa dentro la quale il Vangelo si è fatto storia e la fede ha assunto le forme nobili della bellezza e dell’arte.

Ringrazio l’autore, la cui competenza scientifica pone un sigillo di garanzia sul lavoro svolto, e la Fondazione Terra d’Otranto che in diversi modo ha promosso e sostenuto la realizzazione di quest’opera.

 

Invito_retro

 *parroco della cattedrale, direttore dell’Uff.diocesano BBCC della diocesi di Nardò-Gallipoli

Gli affreschi di Cesare Maccari a Nardò visti con gli occhi del popolo e raccontati da un poeta dialettale

di Marcello Gaballo e Armando Polito

Non è raro il caso in cui leggendo la recensione di un libro, di un quadro, di una singola poesia vengono in mente le parole di Azzeccagarbugli al povero Renzo: – All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle –. Ora è vero, per esempio, che una parola comune usata da un poeta acquista per lo più nuovi significati, ma pare grottesco complicare ad ogni costo anche le cose più semplici e chiare. Così si ottiene solo un risultato: la superfetazione della stessa parola critico che diventa criptico, impegnato solo a trovare gli agganci più strani, le immagini più complicate, le parole più roboanti, le citazioni più o meno logore, anche quando basterebbero otto parole comuni per chiarire le quattro di loro usate, tal quali, dal poeta …

Sull’importanza, poi, del giudizio, espresso con questa oscena messinscena (dell’ossimoro non si è potuto fare a meno …) soprattutto in occasione di incontri, conferenze e simili eventi spacciati per culturali ma di taglio unicamente pubblicitario,  non sprechiamo parole, facciamo solo notare che il fatto che mai compaia una stroncaturina, magari solo parziale, dovrebbe far capire molte cose sull’onestà, anzitutto intellettuale, di autori, editori e recensori e sulla loro poco libera intelligenza, quando quest’ultima c’e.

La poesia che segue, tratta come le altre di Francesco Castrignanò fin qui lette dalla raccolta Cose nosce del 1909, è prevalentemente descrittiva ma riesce anche a coniugare felicemente il registro moderatamente didattico o didascalico del cicerone di turno (una guida che, comunque, si direbbe di estrazione popolare, insomma nnu cicerone fattu a ccasa) con l’espressione del sentimento popolare di orgoglio e meraviglia per un evento importante quale fu quello della decorazione del coro, dell’abside e della volta del presbiterio della Cattedrale di Nardò, eseguita da Cesare Maccari (Siena, 1840-Roma, 1919) tra l’estate del 1896 e la fine del 1899 su commissione del vescovo Giuseppe Ricciardi (1888-1908); decorazione tanto più coinvolgente perché alcune rappresentazioni (Traslazione delle reliquie di San Gregorio Armeno e Miracolo del Cristo nero) del ciclo riguardano memorie, antiche e ben radicate nella religiosità popolare, della storia neretina. Le foto, laddove non compare specifica indicazione, sono degli autori.

Autoritratto di Cesare Maccari (1914) custodito nel deposito della Galleria degli Uffizi; immagine tratta da http://www.polomuseale.firenze.it/inv1890/scheda.asp

Cristo in trono che accoglie l’Assunta/ San Giuseppe, San Gioacchino, San Giovanni Battista, San Lorenzo, Santo Stefano, San Giacomo Maggiore/ i profeti Geremia, Daniele, Isaia

dettaglio
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La figura che, accanto al soldato, osserva allibita il miracolo è l’autoritratto del Maccari. Difficile dire se fu abitudine vanitosa quella di lasciarci suoi autoritratti in parecchie opere. Uno tra i più famosi è quello presente nel dipinto realizzato nel 1887 nella Sala del Risorgimento nel Palazzo pubblico di Siena e raffigurante il trasporto della salma di Vittorio Emanuele II al Pantheon (di seguito vista intera e dettaglio).

immagine tratta da http://www.iltesorodisiena.net/2011/09/palazzo-pubblico-gli-affreschi-della.html
immagine tratta da http://www.iltesorodisiena.net/2011/09/palazzo-pubblico-gli-affreschi-della.html

 

Leone XIII (1878-1903) in un’immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Leo_XIII..jpg e nella rappresentazione del Maccari in un’immagine tratta da http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A160017175

Monsignor Ricciardi nella rappresentazione del Maccari; immagine tratta da http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A1600171755

Nell’anno 2000, al quale risale la sottostante foto degli autori, il dipinto raffigurante il Ricciardi era in restauro.

______________

1 Sarebbe veramente interessante sapere, tramite un’indagine (che lasciamo a chi ne ha voglia e tempo) nell’archivio della curia,  se cinquantamila lire corrisponde, più o meno, alla spesa reale oppure è, sempre più o meno, sinonimo dei nostri una cifra, una  fortuna o un sacco di soldi. A pelle ci pare più plausibile la prima ipotesi. Crediamo, comunque, che qualche notizia in merito debba esserci in Andrea Cappello e Bartolomeo Lacerenza, La Cattedrale di Nardò e l’arte sacra di Cesare Maccari, M. Congedo, Galatina, 2001, testo che non ci è stato possibile, almeno fino ad ora, consultare.

2 Alla lettera fiato. Per il resto vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/01/13/due-improbabili-anzi-impossibili-coniugi-la-fiata-e-lu-fiatu-la-fiata-e-il-fiato/

3 Il tema fu successivamente trattato dal Maccari in una tela ad olio eseguita nel 1903 e custodita ad Imperia nella chiesa di S. Maurizio. Crediamo di poter affermare, però, che tale dipinto non sembra tener conto della struttura compositiva di quello neretino ma dell’Assunzione di Tiziano conservata nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia (foto in basso a destra).

Immagini tratte, rispettivamente, da:

http://194.242.241.172/opencms/opencms/system/modules/com.culturaitalia_stage.liberologico/templates/viewItem.jsp?language=it&case=&id=oai%3Aartpast.org%3A0700020419

http://2.bp.blogspot.com/-rAx4WBWx5uY/TxsxONgUYjI/AAAAAAAABd0/XJER_Ie41II/s1600/04+TAVOLA+DELL%2527ASSUNTA+DI+TIZIANO.jpg

4 Da babbare, per il cui etimo vedi la nota 1 del post in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/02/quando-unagenda-vale-come-e-piu-di-un-libro/

5 Trattasi di parte dell’avambraccio portato secondo la tradizione a Nardò nell’VIII secolo dai monaci armeni in fuga dalla furia iconoclasta di Costantino Copronimo.  Era contenuto in un reliquiario a forma di braccio terminante con una mano benedicente, fatto realizzare dal vescovo Cesare Bovio (1577-1583). Fu trafugato nel 1975 e l’originale, fino ad ora non ritrovato, fu sostituito con una teca ovaliforme contenente un metacarpo che prima faceva parte delle reliquie conservate a Napoli, dono fatto nel 1985 dal cardinale Corrado Ursi già vescovo di Nardò (1951-1961), poi arcivescovo di Acerenza e dal 1966 arcivescovo di Napoli.

6 Corrisponde all’italiano garbo.

7 Corrisponde all’italiano gabbo.

8 Oggi la forma in uso è strusce, da struscire, corrispondente all’italiano strùggere.

9 Oggi la voce in uso a Nardò è beddha; caleddha è diminutivo femminile del greco καλή (leggi calè)=bella. Da notare come caleddha forma con il successivo beddha un tipo di  rima (con parole legate dallo stesso significato) che non ha, a quanto ne sappiamo, un nome particolare di classificazione. Proporremmo rima semantica o concettuale.

10 È un crocefisso ligneo che attualmente si trova nell’omonima cappella nella navata sinistra della Cattedrale. Secondo alcune fonti il 18 maggio 1255 i Saraceni tentarono invano di asportare dalla chiesa il Crocifisso per bruciarlo insieme con altri arredi sacri;  urtando la porta, si spezzò il mignolo della mano sinistra. Alla vista del sangue che ne uscì  i soldati fuggirono atterriti  e abbandonarono Nardò.

Il dito spezzato, di cui non si aveva più notizia,  è stato ritrovato durante il restauro effettuato nel 1955 dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, nascosto in una cavità sulla spalla.. Quanto alla datazione del simulacro, studi recenti la spostano al XIII secolo, mentre la tradizione voleva che fosse stato portato a Nardò nell’VIII secolo dai monaci basiliani insieme con le reliquie di S. Gregorio.

11 Ci pare di poter cogliere in reale un’ambiguità, non sappiamo quanto consapevole: cosa degna di re, ma anche cosa concreta, destinata a durare.

 

 

Lettera aperta a Massimo Bray, titolare del Mibac1

Cattedrale di Nardò, particolare degli affreschi del Maccari nel coro
Cattedrale di Nardò, particolare degli affreschi del Maccari nel coro

di Armando Polito

Nardò, 26 maggio 2013                    Oggetto: i monaci brasiliani a Nardò

Caro ministro, il tono confidenziale con cui mi permetto, è un mio diritto, di scriverle quanto segue è legato  non al piacere, che pure avrei, di conoscerla ma solo al valore etimologico della parola ministro, nonché al fatto che lei è un mio conterraneo.  Non è secondario, neppure, il fatto che lei è stato direttore dell’Istituto editoriale dell’Enciclopedia Treccani e l’artefice, a quanto leggo, della sua immissione on line. Per me basterebbe quest’ultimo dettaglio per attribuirle una specifica benemerenza nel campo della promozione culturale. Lei, però, conosce meglio di me i rischi di diffusione dell’errore che la digitalizzazione ha amplificato in progressione geometrica in confronto alla carta stampata per via del copia-incolla che, rispetto alla lettura e trascrizione tradizionali, ha anestetizzato il controllo e l’esercizio dello spirito critico. Quando, poi, l’informazione è data da una fonte autorevole qual è  la Treccani, anche chi è avvezzo al beneficio d’inventario cede alla tentazione di farne a meno.

Ho avuto occasione di citarla già una volta su una questione2 che poteva pure essere, non per me, oggetto di discussione, ma l’inconveniente, questa volta inequivocabilmente tale per chi abbia un minimo di cultura, si è ripetuto recentemente.

Nella scheda relativa a Cesare Maccari3 a firma di Teresa Sacchi Lodispoto si legge: “Il programma iconografico, dettato dal committente, era dedicato alla storia della salvezza dell’uomo e agli episodi locali del Trasporto delle reliquie di s. Gregorio Armeno, protettore della città, da parte dei monaci brasiliani e del Miracolo del crocifisso nero”.

Poiché nemmeno sotto tortura posso neanche sospettare che colpevole di tale obbrobrio possa essere stata l’autrice della scheda, la prego, in virtù del suo precedente incarico, di voler provvedere tempestivamente alla correzione prima di coprirci di ridicolo a livello planetario.

Sarà mia cura segnalarle eventuali (tutt’altro che improbabili, visti i precedenti …) altre perle. Nel frattempo la saluto cordialmente e le auguro buon lavoro, nell’attesa, da troppo disattesa, che la cultura non continui a vedersi tagliati i fondi e ad essere, al di là delle belle parole che ormai possono fare effetto solo sugli idioti, una presa per i fondelli.

Armando Polito

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1 Per chi non ha dimestichezza con gli acronimi: MI(nistero per i) B(eni e le) A(ttività)  C(ulturali). Non bastava, anche in omaggio alla spending rewiew,  il MIUR [M(inistero dell’) I(struzione), U(niversità e) R(icerca)]?

2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/29/certi-cardi/

3 http://www.treccani.it/enciclopedia/cesare-maccari_(Dizionario-Biografico)/

Nardò. Dalla chiesa abbaziale alla chiesa cattedrale. Convegno di studi

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CONVEGNO di NARDO’  del 31 maggio e 1° giugno 2013

                          Dalla chiesa abbaziale alla chiesa cattedrale

 

Nardò- Sala Roma (di fronte alla cattedrale). Iscrizione e partecipazione gratuita.

 

  31 maggio 2013 Venerdì ore 9,00 –

   1^ Sessione

– Indirizzi di saluto (vescovo, sindaco, presidente della provincia, etc.)

Incipit: don Giuliano Santantonio, parroco della Cattedrale di Nardò.

Presiede Mario Spedicato (Università del Salento)

Relazioni:

-Benedetto Vetere (Università del Salento), La cattedra vescovile e la bolla d’istituzione

Rosario Jurlaro, (Decano Emerito dei Bibliotecari Pugliesi), La presunta bolla di papa Paolo I del 761

Francesco Panarelli (Università della Basilicata), L’abbazia di Santa Maria di Nardò, una storia istituzionale

Pietro De Leo (Università della Calabria), Dall’ora et labora alla cura fidelium: vescovi neritini paesani e  forestieri tra XV e XVI secolo

Giancarlo Vallone (Università del Salento), I prodigi dell’antiquaria e due vescovi galatinesi di Nardò

 

   31 maggio 2013  Venerdì ore 16, 00

    2^ Sessione

Presiede Rosario Coluccia (Università del Salento)

Relazioni:

-Pasquale Corsi (Università di Bari), Le comunità ellenofone del Salento nel Medioevo.

-Mons. Louis Duval-Arnould (Biblioteca Apostolica Vaticana), Les communautés de moines et chanoines au moyen âge: le cas de Sainte-Marie de Nardò.

-André Jacob (Università di Chieti), Le diocesi di Gallipoli e Nardò tra Greci e Latini.

-Maria Domenica Muci (Università di Lecce), Il copista Giovanni di Nardò e la diffusione dei Tria Syntagmata di Nicola-Nettario di Casole.

-Anna Gaspari (Antonianum, Roma), Greci e francescani nel Salento tardomedievale, con particolare riferimento alla diocesi di Nardò.

-Mons. Michel Berger (Pontificio Istituto Orientale, Roma,), La cripta dell’Arcangelo a Copertino e l’arte bizantina nelle diocesi di Nardò e Gallipoli.

-Roberta Durante (Università di Udine), La cripta di Sant’Antonio nell’agro di Nardò.

-Patrizia Durante (Conservatorio di Lecce), Gaudeat Ecclesia. Tradizione musicale francescana in diocesi di Nardò tra Medioevo ed Età moderna.

 

   1 giugno 2013 Sabato ore 9,00

     3^ Sessione

Presiede Benedetto Vetere (Università del Salento)

Relazioni:

Francesco Danieli (Università del Salento), Catechesi tridentine a Nardò nella pittura di Donato Antonio D’Orlando.

-Maria Rosaria Tamblè (Archivio di Stato di Lecce), La primavera tridentina e l’episcopato di Ambrogio Salvio: 1569-1567.

Maria Luisa Tacelli (Università del Salento), Cesare Bovio, un vescovo post-tridentino

Vittorio Zacchino (Società di Storia Patria),  Antonio de Ferrariis Galateo e sue relazioni con i vescovi neretini

-Giovanni Giangreco (Sovrintendenza Beni Architettonici e Artistici della Puglia), La fabbrica della Cattedrale di Nardò.

-Giancarlo De Pascalis (Università del Salento) La Cattedrale di Nardò e il tessuto urbano: modelli e confronti.

Paolo Vetrugno (Università del Salento),  Classicità e classicismo nella scultura neritina del Cinquecento

La Cattedrale di Nardò giovedì 18 aprile al Salone DNA di Torino

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Il Progetto dell’impianto di illuminazione a gestione domotica della Cattedrale di Nardò (LE) sarà presentato dall’Ing. Stefano Pallara di Studio AERREKAPPA S.R.L. giovedì 18 aprile 2013 nell’ambito della Rassegna DNA.italia all’interno del Convegno “Recupero, riqualificazione e risparmio energetico del Patrimonio costruito” che si terrà nella Sala Gialla del Lingotto Fiere di Torino (www.dnaitalia.it).
La terza edizione del Salone DNA.italia ambisce a diventare un saldo punto di riferimento e d’incontro per tutte le realtà che costituiscono la filiera e contribuiscono alla valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico del Paese, coinvolgendo i protagonisti della stessa filiera: aziende, professionisti, privati e Pubblica Amministrazione.
La relazione dell’Ing. Stefano Pallara mette l’accento sul riconoscimento della fase progettuale come tappa imprescindibile di un serio processo di rifunzionalizzazione del patrimonio costruito, in particolar modo quando il manufatto su cui si interviene riveste un eccezionale valore come Bene Culturale riconosciuto ex lege.
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
Il tema delle nuove tecnologie è ben presente al Salone DNA.italia, sia che si tratti di energie rinnovabili sia che si tratti di soluzioni di alto profilo tecnico, paradigmi della creatività e genialità tipicamente italiana.
Il convegno del 18 aprile è moderato da Cristina Caiulo, architetto, Consigliere Nazionale di Assorestauro, l’unica associazione di livello nazionale che riunisce gli operatori di alto profilo del Restauro, dai progettisti alle imprese, dai produttori di tecnologie ai produttori di materiali, ai fornitori di servizi di diagnostica, rilievo e comunicazione.

Statuaria processionale “da vestire”. L’Addolorata di Nardò

ph Mino Presicce

di Marcello Gaballo

Nella basilica cattedrale di Nardò da oltre due secoli si venera una bellissima statua dell’Addolorata, conservata in un’artistica teca lignea a base esagonale, protetta da vetri. Nella parte sottostante, fino a qualche anno fa, era collocata anche la statua del Cristo morto, poi definitivamente sistemata in un’urna in vetro, come si può vedere nella prima cappella della navata destra.

Le celebrazioni della Vergine Addolorata, o Desolata, come più facilmente ricorda il popolo neritino, sono utile occasione per soffermarci sull’opera artistica, molto interessante e particolare, la cui costante devozione è ancora molto sentita.

E’ una delle più belle statue processionali esistenti in città e ancora oggi, come accaduto per secoli, viene portata “a spalla” dalle devote nella processione del venerdì santo,  seguendo quella del Figlio morto.

La figura ricalca l’iconografia tradizionale. Lo sguardo affranto è rivolto al cielo e i lineamenti felicemente resi  dallo scultore conferiscono all’opera una suggestiva espressività, assolutamente consona alla tragicità dell’evento, per il quale si giustificano anche il pallore cutaneo e la posizione delle mani, in asse con il capo sollevato sul quale poggia una corona argentea.

A grandezza naturale, con struttura a manichino ligneo, richiama molto la tipologia della statuaria “da vestire” settecentesca napoletana. In mancanza di documenti che consentano di datarla e attribuirla, mi sembra possa ritenersi proprio di questo secolo, e della prima metà per essere più precisi, commissionata dal vescovo Antonio Sanfelice o dal suo successore Francesco Carafa, anch’esso napoletano, entrambi squisiti mecenati della chiesa neritina, che arricchirono di notevoli opere d’arte.

Il manichino, che non sembra aver mai subito restauri, è scolpito ed eseguito completamente a mano, forsein legno di noce, con patina e lucidatura a cera; la testa, le mani e i piedi, ottimamente rifiniti, sono dipinti con ottima resa dell’incarnato, anche perché rappresentano le sole parti visibili.

La peculiarità del simulacro, oltre che nell’interessante capigliatura castano chiara, è di essere provvisto di snodi in corrispondenza delle spalle e dei gomiti, probabilmente per consentire di indossare il luttuoso ma sontuoso abito, che si prevedeva dover essere rinnovato periodicamente a causa dell’usura del tempo. Le mani con parte dell’avambraccio si inseriscono nelle braccia grazie ad un perno in legno grezzo tornito.

La statua poggia su base lignea a foglia oro finemente intagliata, forse coeva con i quattro angeli in cartapesta dell’800, che reggono gli strumenti della Passione e che fanno corona con il simulacro mariano.

L’attuale parroco, Mons. Don Giuliano Santantonio, vicario episcopale dei Beni Culturali della diocesi di Nardò-Gallipoli, nonché direttore dell’omonimo ufficio,  ha provveduto di recente a commissionare un nuovo abito per la statua, in sostituzione dell’altro, alquanto dozzinale, realizzato negli anni 50 del secolo scorso. Lo ha commissionato alle suore benedettine dell’abbazia di S. Maria di Rosano, fornendo un modello disegnato dallo stilista neritino Gianni Calignano, che nulla ha preteso per la sua prestazione. Ne è risultato un bel lavoro, con alcune differenze rispetto al precedente che valorizzano maggiormente il simulacro, esaltando la bellezza e l’eleganza della Signora in lutto.

Il corpetto con pieghe si sovrappone alla gonna e l’apertura è sulle spalle, per consentire di indossarlo, fermato da bottoni in sostituzione della pessima cerniera lampo del precedente. Il colletto è cucito sul corpetto solo sul davanti, per consentire di farlo passare al di sotto dei capelli fluenti sul petto della statua. L’ampio manto è fissato con spilli ad un fermacapelli in metallo, rivestito di stoffa e fissato in modo stabile attorno alla testa. La stoffa dell’abito e del manto è in seta di color nero.

ph Mino Presicce

Un prezioso ricamo in oro filato laminato, alto 7 cm,  è presente su tutto il bordo del manto e della gonna, oltre che sulla cintura del corpetto, sul bordo delle maniche e delle sottomaniche; quello del colletto è alto 3,5 cm. I bordi sono rifiniti con una frangia dorata, simile al precedente abito.

Sembra originale il fazzoletto, graziosamente ricamato, che è fissato alle mani.

ph Mino Presicce

Per completezza occorre anche annotare che il basamento è stato restaurato nell’aprile 2011, come è stato anche per i quattro angeli, restaurati da Lidiana Miotto. Il tutto con le offerte dei fedeli, opportunamente sollecitati dal solerte parroco, che sta dimostrando grande attenzione nei confronti del patrimonio diocesano e di Nardò in particolare.

particolare della testa e delle mani. Il vestito è quello precedente
retro della statua con il vecchio abito. Si noti la particolare disposizione della capigliatura
gamba e piede destro
uno dei quattro angeli in cartapesta posti sul basamento, restaurati di recente
un altro degli angeli che reggono gli strumenti della Passione

I docenti di Nardò a convegno per conoscere l’arte e devozione nella Cattedrale

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In occasione del VI centenario dell’istituzione della Cattedra episcopale e della contestuale erezione della Terra di Nardò al rango di Civitas

Seminario di approfondimento  “Arte e devozione nella Cattedrale di Nardò” (1413-2013)
E’ rivolto ai docenti delle scuole cittadine di ogni ordine e grado

giovedì 14 marzo, ore 16.30 Sala Roma, piazza Pio XI

 

In occasione del VI centenario dell’istituzione della Cattedra episcopale e della contestuale erezione della Terra di Nardò al rango di Civitas (1413-2013), l’Assessorato alla Cultura e Pubblica Istruzione del Comune di Nardò, d’intesa con la Fondazione Terra d’Otranto e con la Diocesi di Nardò-Gallipoli, ha organizzato il seminario di approfondimento“Arte e devozione nella Cattedrale di Nardò (1413-2013)”, rivolto ai docenti delle scuole cittadine di ogni ordine e grado. Durante tale incontro – che avrà luogo giovedì 14 marzo, alle ore 16.30 (Sala Roma, piazza Pio XI) – saranno delineate, in sintesi, le vicende storiche, architettoniche e artistiche del principale monumento cittadino.

Gli interventi saranno tenuti da esperti del settore, secondo il seguente programma:

 

Ore 16.30

Saluto del Sindaco Marcello Risi e dell’Assessore alla Cultura e vicesindaco Carlo Falangone, del Vicario episcopale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Nardò-Gallipoli e Parroco della Cattedrale don Giuliano Santantonio.

Ore 16.45

Dott.ssa Daniela De Lorenzis, La cattedrale di Nardò: cenni storici.

Ore 17.00

Arch. Giovanni De Cupertinis, La chiesa cattedrale dalle origini al Settecento.

Ore 17.15

Dott. Paolo Giuri, La chiesa cattedrale dal Settecento ai nostri giorni.

Ore 17.30

Dott.ssa Maura Sorrone, Il corredo pittorico e scultoreo della cattedrale.

 

Nei giorni successivi saranno organizzate per i partecipanti visite alla Cattedrale di Nardò, guidate dagli stessi esperti.

 

Un busto di San Gregorio Armeno tra i tesori della cattedrale di Nardò

Nardò, Cattedrale, busto argenteo di san Gregorio Armeno

di Marcello Gaballo

In altri post si è accennato al reliquiario a braccio con la reliquia di San Gregorio, copia di un precedente rubato negli anni ’80. Oggetto di maggiore venerazione, almeno in questi anni, è il busto del Santo, portato processionalmente la sera del 19 febbraio tra le vie principali della città, subito dopo il pontificale del vescovo in Cattedrale, accompagnato dalle confraternite cittadini, le Autorità religiose e civili ed un seguito di fedeli che stanno riscoprendo il culto del santo.

Bisogna dare atto che i recenti comitati cittadini si stanno impegnando da qualche anno a incrementare la devozione al santo, con festeggiamenti che senz’altro il popolo gradisce e sostiene con i propri contributi volontari.

Nardò, 20 febbraio 2010, processione in onore del santo. Sodali delle confraternita del SS. Sacramento
Nardò, 20 febbraio 2010, processione in onore del santo. Sorelle delle confraternita del SS. Sacramento e confraternita delle Anime Sante del Purgatorio

 

Nardò, processione in onore del santo. Sodali delle confraternita di San Giuseppe

 

L’inclemenza del tempo e le troppe feste cittadine oscurano il giusto tributo che dovrebbe rendersi al santo patrono, ma si spera in una crescente sensibilità per onorare al meglio una delle più antiche devozioni, attestata fin dalla fine del XVI secolo.

Mi piace in questa nota riproporre quanto già scrissi diversi anni fa nel libro sui Sanfelice a Nardò, visto che si continua ad avere incertezza sul prezioso busto settecentesco, spesso datato con incertezza.

particolare del busto neritino di San Gregorio Armeno
particolare del busto neritino di San Gregorio Armeno
particolare del busto neritino di San Gregorio Armeno
particolare del busto neritino di San Gregorio Armeno

 

Anche in questo caso la ricerca premiò e una serie di atti notarili, conservati nell’Archivio di Stato di Lecce, attestano che l’opera fu realizzata a Napoli nel 1717, come si evince anche dall’iscrizione posta sulla stessa.

A distanza di un anno il busto richiese un intervento di restauro e in un atto del notaio neritino Emanuele Bovino del 1718 si legge che il mastro argentiere Giovan Battista Ferreri di Roma era stato saldato dall’economo della cattedrale sac. Domenico Grumesi, per conto di Mons. Sanfelice:

Costituito personalmente avanti di noi in testimonio publico il Sig.re Gio: Batta Ferrieri della città di Roma, al p(rese)nte in questa Città di Nardò mastro Argentiere, il quale spontaneam(en)te e per ogni miglior via, avanti di noi dichiarò come hoggi p(rede)tto giorno esso Sig. Gio: Batta have presentato al Sig. D. Domenico Grumesi economo di questa mensa vescovile qui p(rese)nte una tratta pagabile ad esso da Mons(igno)re Il(ustrissi)mo R(everendissi)mo D. Antonio Sanfelice vescovo di questa Città sotto la data in Napoli li 15 del corrente mese di Giugno in somma di ducati quindici, come dalla suddetta tratta alla quale et havendo esso Sig. Gio: Batta richiesto detto Sig.re D. Dom(eni)co per la consegna e soddisfatione delli suddetti ducati quindici, e conoscendo il medesimo esser cosa giusta e volendo soddisfare la tratta suddetta che può hoggi p(rede)tto giorno esso Sig.re Gio: Batta presentialmente e di contanti avanti di noi numerati di moneta d’argento ricevè et hebbe detti ducati quindici dallo detto Sig.re D. Dom(eni)co p(rese)nte date et numerate di proprio denaro detto Il(ustrissi)mo e R(everendissi)mo Mons(ignor) Vescovo come disse, e sono a saldo, e complimento e fino al pagam(ento) della statua d’Argento del nostro Prò(tettore) S. Gregorio Armeno fatta fare nella Città di Napoli da detto Ill.mo R.mo Sig.re come disse, così d’Argento, metallo , oro, indoratura e manifattura e di qualsi’altra spesa vi fusse occorsa…

Nell’ atto dunque l’argentiere si dichiara soddisfatto della somma avuta, impegnandosi per il futuro di apportarvi ogni restauro, senza nulla pretendere, fatta eccezione per l’argento che gli sarebbe stato fornito per le necessarie riparazioni.

Essendo stato il busto realizzato a spese del Vescovo probabilmente egli ne restava anche proprietario, visto che con altro atto del medesimo notaio, ma del 20 febbraio 1722, il Sanfelice donò alla Cattedrale il nostro busto, il braccio d’ argento di S. Gregorio e quello, anch’ esso argenteo, col dito di S. Francesco di Sales.

ancora un particolare del prezioso busto
ancora un particolare del prezioso busto

 

Per amor di completezza occorre dire che tale donazione includeva altre suppellettili preziosissime, come alcuni “reliquiari d’ argento lavorati in Roma”, due “dossali o baldacchini”, un paliotto d’ argento, una cartagloria e la croce tempestata di smeraldi. Nella donazione infine si includevano duecento “stare di oglio, per farcene lo stucco della nostra Cattedrale, alla quale doniamo anche il cornicione di legno venuto da Napoli”.

Nardò, 20 febbraio 2010, processione in onore del santo. Don Gino Di Gesù porta in processione la reliquia del braccio

 

Una successiva e definitiva conferma di tanta generosità la conferma ancora un atto notarile che viene stilato alla morte del vescovo Antonio, quando, nel 1736, fu redatto l’inventario dei beni da esso lasciati  alla Chiesa neritina, conservati nell’episcopio e nella tesoreria della cattedrale.

Stralcio quanto già pubblicato a suo tempo in Antonio e Ferdinando Sanfelice. Il pastore e l’ architetto a Nardò nei primi del Settecento, a cura di M. Gaballo, B. Lacerenza, F. Rizzo, Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò e Gallipoli, Nuova Serie, Supplementi, Galatina 2003:

Die nona mensis Januarii 1736. Neriti.

E continuandosi il notamento et inventario sudetto con l’ assistenza de deputati e con l’ intervento de testimonii sottoscritti si procedè ad annotarsi et inventariarsi li beni riposti nell’ appartamento piccolo.

Prima camera: una porta con maschiatura e chiave e maschiatura di dentro.

Una carta con l’ effiggie di tutti i Pontefici con cornice d’ apeto.

Carte francesi sopra tela senza cornici n° 18 e sei paesini con cornici.

Un braccio d’ argento con la reliquia di S. Francesco di Sales calato in sacrestia consignato al Rev. Sig. Abb. D. Giuseppe Corbino Tesoriero.

Una statua di argento a mezzo busto di S. Gregorio Armeno protettore e […] vi manca un po’ di rame indorata, et à man sinistra vi manca un po’ di argento, con il piede indorato dentro una cassa, con l’ imprese di detto Ill.mo Sanfelice, e due vite di ferro per vitare la statua sopra detto piede; et una cassa con due maschiature e chiavi in dove stava riposta la detta statua e braccio, calate in sacrestia e consignate al detto Sig. Tesoriere.

E l’ inventario continua con l’ elencazione degli altri argenti conservati nella prima stanza:

Un paglietto di argento per l’ altare maggiore[1] con la sua cassa e maschiatura e chiave, sulla quale vi mancano ventidue vite piccole seu chiodetti et in […] vi manca un po’ di argento, calato in sacrestia e consignato al detto Sig. Tesoriero.

Un baldacchino di argento fatto dal medesimo per esporre il SS.mo con la sua veste, cui mancano 30 chiodetti.

Sei candilieri grandi di argento per l’ altare maggiore fatti dalla B.M. di detto Vescovo, calati in sacrestia e consignati al detto Sig. Tesoriero.

Due ciarroni di argento dal medesimo per fiori che si mettono su l’ orlo dell’ altare maggiore sù le teste de’ cherubini; in uno vi mancano tre chiodetti e nell’ altro quattro con le loro vesti; calati in sacrestia e consignati al detto Tesoriero.

Due reliquarii grandi di argento fatti dal medesimo, in uno de’ quali vi è l’ insigne reliquia delle fascie del S. Bambino, e nell’ altra de pallio […] et veste della Beata Vergine, sulli quali mancano due chiodetti d’ argento, calati in sacrestia e consignati al detto.

Sei altri reliquarii più piccoli di argento fatti dal medesimo, in uno de’ quali vi sono e reliquie di tutti SS. Apostoli; in un altro de Martiri; in un altro de Confessori; in un altro de Vergini; in un altro de Dottori della Chiesa e nell’ altro de Santi Abbati, in cinque de’ quali vi mancano alcuni pezzotti di argento nelli finimenti, quali si sono calati in sacrestia e consignati al detto Tesoriero.

Una pisside grande nuova di argento con la sua veste ricamata fatta dal medesimo, calata in sacrestia e consignata al detto Tesoriere.

Sei candilieri grandi inargentati per ogni giorno per il gradino dell’ altare maggiore e sei craste dell’ istessa maniera fatte dal medesimo, e sei fiori seu frasche di carta inargentata fatti dal medesimo, e calati in sacrestia e consignati al detto Tesoriere.

Sei fiori di seta di diversi colori, due grandi e quattro piccoli e due splendori argentati fatti dal medesimo, e calati in sacrestia e consignati al detto Tesoriere.

Nardò, 20 febbraio 2010, processione in onore del santo. Conclude la processione il busto del Santo portato “a spalla” da fedeli

 

[1] Si tratta del bellissimo paliotto argenteo del 1723, fatto realizzare a Napoli da Giovambattista D’ Aura, per l’ altare maggiore della Cattedrale di Nardò e che in circostanze recenti è stato esposto alla visione dei fedeli. E’ conservato nel Museo Diocesano.

Nardò 1413 – 2013. Con un concerto si chiude la prima fase dei festeggiamenti

cartelloC

 

Con il concerto di oggi si chiude il primo ciclo delle celebrazioni che hanno caratterizzato il compleanno della Cattedrale e della Città di Nardò, di cui abbiamo scritto per più giorni.

Sontuosa la cerimonia dell’11, con la partecipazione di quasi tutti i Comuni della Diocesi (15 su 18 erano presenti con il loro gonfalone), che ha avuto inizio in piazza Salandra alle 17, con il saluto del Sindaco della Città di Nardò, avv. Marcello Risi, lo scoprimento della targa e la lettura dell’epigrafe su di essa incisa. Simbolica ma importante anche la consegna da parte dell’amministratore diocesano Mons. Luigi Ruperto, acompagnato dal parroco della Cattedrale Mons. Giuliano Santantonio, al Sindaco, di copia della bolla pontificia del 1413 conservata nell’archivio, affinchè venga messa agli atti amministrativi di Nardò.

Il corteo dunque, cui hanno partecipato le Autorità civili e militari (tra le  quali il Prefetto, Questore, Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito, Marina, Capitaneria di Porto) si è diretto in Cattedrale, dove si è tenuta la solenne concelebrazione eucaristica, presieduta da S.E.Mons. Domenico Caliandro, arcivescovo di Brindisi-Ostuni, con la partecipazione del Clero diocesano (circa 80 tra sacerdoti, diaconi e seminaristi).

Una cerimonia molto toccante, che ha reso il giusto merito all’evento che ha rievocato i 600 anni dall’elevazione della chiesa abbaziale benedettina di Sancta Maria de Nerito in Cattedrale e contestualmente della elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Città.

 

DOMENICA 13 GENNAIO 2013

BASILICA CATTEDRALEore 19.00

CONCERTO DELL’ORCHESTRA DELLA FONDAZIONE ICO “TITO SCHIPA”

diretta dal Maestro Marcello PANNI, che eseguirà:

Il Canto dell’usignolo, di Igor Stravinskij

Suite da Lo Schiaccianoci, di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

 

la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)
la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)

 

Copia di 4

11 gennaio 1413-11 gennaio 2013. La Cattedrale e la Città di Nardò in festa

cartelloC

Seicentesimo anniversario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di S. Maria de Nerito in Cattedrale e della elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Civitas

 

Ed ecco dunque il giorno del compleanno della Cattedrale e della Città di Nardò. 600 anni dall’elevazione della chiesa abbaziale benedettina di Sancta Maria de Nerito in Cattedrale e contestualmente della elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Città.

Molto toccante la liturgia di ieri in Cattedrale, con la presenza di 13 monaci benedettini dell’abbazia di Noci, che hanno recitato, con i fedeli presenti, i solenni Vespri. Notevole lo spessore della riflessione dell’Abate Padre Donato Ogliari, che ha sviluppato il tema: «La Cattedrale: ecclesia mater e segno visibile della comunione nella Chiesa Particolare».

Alle 17 di oggi, in piazza Salandra, converranno le Autorità civili e religiose per scoprire l’epigrafe (provvisoriamente collocata sulla facciata del Sedile, in attesa di collocazione definitiva). Hanno garantito la partecipazione, con i gonfaloni civici, i Sindaci dei Comuni della Diocesi.

Alle 17.30 nella

BASILICA CATTEDRALE

ci sarà la concelebrazione eucaristica, presieduta da S.E.Mons. Domenico Caliandro, arcivescovo di Brindisi-Ostuni, con la partecipazione del Clero diocesano.

 

la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)
la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)

 

Copia di 4

L’epigrafe che ricorda i 600 anni della Cattedrale e della Città di Nardò

cartelloC

Questo è il testo riportato sulla lastra che sarà scoperta oggi in piazza Salandra. La trascrizione e la traduzione sono state effettuate dal nostro Armando Polito, che ancora una volta si ringrazia per la disponibilità e competenza.

…terram predictam in civitatem erigimus et civitatis titulo ac insigniis decoramus eamque in memoriam indelebilem civitatem Neritonensem volumus perpetuis temporibus nuncupari. Et insuper eandem ipsius monasterii ecclesiam in ecclesiam Cathedralem similiter erigimus…

…eleviamo a città la terra predetta  e la orniamo col titolo e le insegne di città e vogliamo a memoria indelebile che essa per sempre si chiami città di Nardò. E inoltre allo stesso modo innalziamo a chiesa cattedrale la medesima chiesa dello stesso monastero…

(dalla bolla pontificia dell’11 gennaio 1413)

 La città di Nardò pose l’11 gennaio 2013

 

Nardò 1413-2013. Tornano i benedettini dopo 600 anni

cartelloC

Seicentesimo anniversario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di S. Maria de Nerito in Cattedrale e della elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Civitas

 

Dopo l’interessantissima lectio del prof. Mario Spedicato, tenutasi il 9 gennaio nella Cattedrale, con un pubblico numeroso, qualificato e attento, preludio di un annunciato convegno che si terrà a maggio, questa sera le celebrazioni prevedono

GIOVEDì 10 GENNAIO 2013

BASILICA CATTEDRALEore 18.00

CANTO DEI VESPRI IN GREGORIANO 

animato dalla Comunità dei Benedettini di Noci, con riflessione dell’Abate P.Donato OGLIARI sul tema: «La Cattedrale: ecclesia mater e segno visibile della comunione nella Chiesa Particolare».

 

la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)
la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)

 

 

 

Copia di 4

Nardò 1413-2013. Si comincia con la storia

cartelloC

Seicentesimo anniversario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di S. Maria de Nerito in Cattedrale e della elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Civitas

 

Questa sera avranno inizio le celebrazioni dell’importante ricorrenza che ricade nel 2013, anno in cui la città di Nardò ricorda il seicentesimo anniversario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di Sancta Maria de Nerito in Cattedrale, con l’insediamento del vescovo Giovanni De Epiphanis (1355-1425),  e contestualmente della elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Città.

 

la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)
la facciata della Cattedrale di Nardò (ph Raffaele Puce)

 


MERCOLEDì 9 GENNAIO 2013 

BASILICA CATTEDRALEore 18.30

dissertazione storica

del prof. Mario SPEDICATO, docente di Storia Moderna presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università del Salento, sul tema: «Dalla Chiesa abbaziale alla Cattedrale. Alle origini della fondazione della diocesi neretina».

 

Copia di 4

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