Seclì: il suo abitante si chiama “seclioto”?

di Armando Polito

 

Se c’è un campo di formazione delle parole in cui regna l’anarchia ed è tutt’altro che agevole individuare la paternità, è quello degli etnonimi. Le differenze spesso sono sottilmente legate a vicende storiche intrecciantisi con evoluzioni fonetiche e suggestioni semantiche, il che, innocente all’inizio, finisce per assumere una valenza dispregiativa, se non razzista.

Per esempio: italiota, usato per stigmatizzare certe caratteristiche negative riguardanti non pochi italiani, prima fra tutte l’insofferenza per le regole. La voce è da ᾿Ιταλιώτης (leggi italiotes), con cui i Greci indicavano più di due millenni e mezzo fa il connazionale delle colonie dell’italia meridionale; Σικελιώτης (leggi sicheliotes) per il colono di Sicilia), da cui siceliota o siciliota o sichelota.

Ho sentito più di un ignorante, anzi idiota (per lui sì, il suffisso –iota assume valore dispregiativo …) usare italiota con gratuita allusione dispregiativa ai meridionali. Debbo, tuttavia, dire che anche il campanilismo locale con lo stesso intento ha sfruttato, forse inconsapevolmente, un altro suffisso greco (-ιάτης, leggi –iates): Nardiati per gli abitanti di Nardò, Sichiliati per quelli di Seclì.

Queste due forme (che sembrano, lasciando da parte il suffisso greco, participi passati di verbi fantasiosamente pittoreschi ed icastici da usare quasi come un marchio a fuoco; per Seclì, inoltre, la costruzione è avvenuta sulla forma dialettale Sichilì) hanno avuto pure l’onore della citazione in Miscellanea Giovanni Mercati Studi e testi 126, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1946, p. 520.

Tornando a Seclì: non so chi abbia inventato seclioto, che è l’unica forma registrata da un vocabolario per l’italiano indubbiamente affidabile tra quelli fruibili in rete perché della stessa matrice di quelli per il latino e il greco che, per l’uso continuo che ne faccio, ho avuto modo di apprezzare (https://www.dizionario-italiano.it/dizionario-italiano.php?lemma=SECLIOTO100).     

Seclioto utilizza chiaramente il suffisso greco e questo ci può pure stare poiché strettissimi sono i rapporti di Seclì con la cultura greca, in particolare bizantina. L’inventore di questa forma, però, ha rovinato tutto il suo dotto procedere italianizzando il suffisso greco mediante la sostituzione di a finale con o in funzione distintiva rispetto a un femminile secliota, come se italiota fosse femminile di un inesistente italioto e non bastasse nel riconoscimento del genere il semplice articolo: il secliota/la secliota. Unica eccezione alla regola, ma sconsiglio di usarla come giustificazione …,  è l’italiano antico idioto per idiota, che, non a caso, è dal latino idiota(m), a sua volta dal greco ἰδιώτης (leggi idiotes).

Disperata impresa sarebbe quella di individuare la data di nascita di seclioto, anche se questa difficilmente servirebbe ad individuarne l’autore. Con il pur formidabile aiuto dei motori di ricerca non son riuscito ad andare più indietro del 10-8-1998, come mostro nel dettaglio tratto dalla Gazzetta ufficiale Serie generale n. 185 di quella data.

Oltretutto rimane un dubbio: se non si fosse trattato di una società ma di un ristorante avremmo letto ristorante Il secliota o Il seclioto?

A questo punto qualcuno potrebbe ironicamente dirmi: – Dottor sottile, quale sarebbe la sua proposta? Non sa che la lingua la fanno i parlanti? -.

Rispondo prima all’ultima domanda, perché ciò che dirò è funzionale rispetto alla risposta che darò alla prima.

È incontrovertibile che la lingua la fanno i parlanti (tutti), ma sarebbe ora che anche gli scriventi (non tutti, me, forse, compreso) avessero voce in capitolo, con la funzione di filtrare e depurare la lingua parlata dalle eccessive libertà che essa da sempre ha il diritto di prendersi. E per questo non è necessario essere un novello Dante o Petrarca o Boccaccio, basta aver coltivato lo spirito critico, quello che motiva le sue sentenze …, ed avere un minimo di buongusto e di buonsenso.

Passo alla seconda risposta. Ho già dimostrato come il creatore di seclioto abbia perso l’occasione di coniugare il ricordo della storia col rispetto della grammatica e, in riferimento a italiota (e non italioto), dell’analogia. E proprio da questa muoverò per quelle che a me sembrano le più sensate  e corrette alternative.

Diamo un rapido sguardo ad alcuni altri toponimi che presentano forma tronca: Nardò, Castrì, Patù

Per Nardò l’etnonimo è neritino o neretino, dal nome latino della città (Neretum) attestato da Ovidio (Metamorfosi, XV, 5O) e dallo stesso etnonimo (Neretini) attestatato da Plinio (Naturalis historia, III, 105). La forma attuale, però, non deriva dal latino ma dal bizantino Νερετόν  (leggi Neretòn) attestato da due pergamene un tempo custodite nell’archivio della curia vescovile di Nardò, oggi perdute ma che Francesco Trinchera fece in tempo a trascrivere ed a pubblicare nel suo Syllabus Graecarum membranarum, Cattaneo, Napoli, 1865. Da notare che il prima citato Nardiati si rifà al nome moderno e non al latino Neretum (che pure si mostra nella forma volgare Nerito o Neritono o Neritone prima dell’affermazione di Nardò), il che rivela una formazione relativamente recente.

Castrì ha come etnonimo castrisano, distinto da castrense, etnonimo di Castro. 

Patù ha come etnonimo patuense o veretino (il primo utilizza un suffisso latino, il secondo è da Veretum, città che sorgeva nel suo territorio).  

Bastano questi tre esempi per dare ragione dell’anarchia di cui ho detto all’inizio. Tra tutti e tre il toponimi Castrì è il più sorprendente, perché avrebbe potuto benissimo avere come etnonimo, valendo anche qui i legami con la cultura bizantina, castriota, non adottato, forse, per evitare confusione con l’omonima famiglia di origini albanesi.

Sempre in nome dell’analogia e in parallelo con Patù l’etnonimo di Seclì alternativo a secliota potrebbe essere sicliense, dal latino moderno ecclesiastico Sicliensis, usato nelle visite pastorali (nelle stesse il topoimo è Siclium).

Morale, valida sempre, per il passato, per il presente e per il futuro, della favola: se per un intervento chirurgico molto impegnativo ci si affida (mi riferisco a chi può permetterselo …) all’esperienza di un luminare, nella creazione di un qualsiasi neologismo, particolarmente nell’intricato campo campo in cui oggi mi sono avventurato, chi ha l’incarico ufficiale di provvedere deve (tanto più che le eventuali spese saranno a carico della collettività) affidarsi a chi ha competenza per farlo.

Seclioto non è stato partorito certo oggi ma, a differenza di un intervento chirurgico con esito nefasto, si può sempre rimediare, tanto più che l’avvicendamento del colore politico ha portato finora, soprattutto nella toponomastica viaria, a cambiamenti radicali che mi sembrano una comoda damnatio memoriae, cioè la trionfale e tronfia vendetta di un’ideologia, qualunque essa sia, su un’altra, qualunque essa sia.

Salento terra di santità. I Servi di Dio di Carpignano, Casarano, Castellaneta, Castrì, Ceglie, Cisternino e Copertino

di fra Angelo de Padova

 

Fra Francesco da Carpignano, pio, osservante delle Sante leggi, caritatevole, obbediente, devotissimo all’Immacolata. Morto il 1°marzo 1645. Frate minore.

Fra Gaetano di San Francesco da Casarano, distintosi per le virtù dell’obbedienza, povertà e carità. Morto a Oria il 10 agosto 1785. Frate minore.

Fra Bartolomeo da Castellaneta, morto l’11 settembre 1652. Ottimo predicatore e devotissimo alla Madonna del Carmelo. Frate minore.

Suor Cherubina Perrone di Castellaneta morta nel 1682. Morta con l’odore soave della santità.

Fra Primaldo Marulli da Castrì: rifulse per la carità e la regolare osservanza. Morto il 16 febbraio 1854. Frate minore.

Venerabile F. Angelo Vitale da Ceglie,  nato il 26 novembre del 1595; morì

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