Iconografia di Santa Maria Maddalena a Castiglione d’Otranto

Chiesetta di Castiglione d’Otranto lato strada

 

di Filippo Giacomo Cerfeda*

 

Tra le innumerevoli figure che gli Evangelisti hanno scolpito nel vivo dell’umanità, Maria Maddalena è forse una di quelle che hanno esercitato la maggiore suggestione. Non poteva accadere diversamente, sia per la sua palpitante e sofferta realtà, sia perché il peccato, perdonato e redento dallo stesso Salvatore per forza di amore, fa di lei quasi un simbolo dell’intero genere umano.

Mentre nelle più antiche raffigurazioni orientali Maria Maddalena appare soltanto in funzione del racconto evangelico e, in prevalenza, fa parte, con le altre Maria e con Marta, del gruppo delle pie donne, in Occidente l’arte la distinse e la volle bellissima di aspetto. Anche questo si spiega sia sul piano trascendentale sia sul piano umano.

L’iconografia di Maria Maddalena si dispiega con una ricchezza senza pari. La suddivisione convenzionale tra figure isolate della Santa o narrate nei cicli non ci aiuta molto per fare un rendiconto esauriente. E nemmeno si possono distinguere le immagini della tradizione evangelica da quella della successiva leggenda provenzale, perché in gran parte strettamente commiste.

Molti sono gli artisti che hanno immaginato Maria Maddalena come mirrofora, sull’esempio delle più antiche raffigurazioni, sola o in compagnia di altri santi e sante, recando l’attributo della teca o del vaso contenenti il balsamo da spalmare su Gesù.

Per quanto riguarda i cicli che narrano i fatti della vita e della leggenda, bisogna ancora una volta ricordare che alla già ricca e palpitante narrazione evangelica, con gli episodi della cena in casa del fariseo, del perdono del Redentore, della presenza alla resurrezione di Lazzaro, del “Noli me tangere” , si aggiungono le suggestive tradizioni provenzali: il viaggio dalla Galilea alle coste francesi, l’arrivo e lo sbarco a Marsiglia, l’evangelizzazione della Provenza, il più raro episodio del principe che, ritornando, ritrova a Marsiglia, miracolosamente vivi, la moglie e il figlio lasciati cadaveri su di un’isola, durante un pellegrinaggio a Roma.

Nel ciclo pittorico di Santa Maria Maddalena del pittore leccese Oronzo Tiso (1726-1800), nelle otto tele collocate all’interno della navata centrale della parrocchiale di Uggiano la Chiesa[1] (17), abbiamo:

La cena in casa di Simone (olio su tela cm 375 x 450)

l’unzione di Gesù a Betania (olio su tela cm 208 x 310)

la resurrezione di Lazzaro (olio su tela cm 208 x 310)

l’angelo annuncia le donne la resurrezione di Gesù (olio su tela cm 208 x 310)

il Noli me tangere (olio su tela cm 208 x 310)

Maria Maddalena giunge a Marsiglia (olio su tela cm 208 x 310)

Maria Maddalena nella grotta di Sainte-Baume (olio su tela cm 208 x 310)

la glorificazione di Santa Maria Maddalena (olio su tela cm 208 x 310)

A completamento poi del ciclo del Tiso abbiamo la tela di Francesco Calò, datata 1858, e raffigurante Gesù con Marta e Maria (olio su tela cm 208 x 310).

Nella cappella dedicata alla Santa, in Castiglione d’Otranto, poi abbiamo due analoghe raffigurazioni, raffiguranti lo sbarco di Santa Maria Maddalena nel porto di Marsiglia:

  • un affresco, raffigurante l’arrivo della Santa nel porto francese. Tale affresco è inserito tra le colonne dell’unico altare, della parete di fondo, della cappella. Dall’analisi stilistica si potrebbe inserire il dipinto in ambito culturale salentino.
  • La medesima immagine è dipinta a tempera su un paliotto di legno, custodito nel piccolo vano-ripostiglio, nel lato sinistro della cappella. La tavola è datata 1750, in alto al centro.
Affresco dell’altare a Castiglione d’Otranto (ph Filippo Cerfeda)

 

Palliotto a Castiglione d’Otranto (ph Filippo Cerfeda)

 

Le due immagini sintetizzano quasi come una raffigurazione plastica la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (1230-1298) che esercitò un influsso molto profondo e durevole sulla storia della pietà cristiana e sull’arte sacra.

Rispetto all’affresco, dove l’immagine che illustra l’episodio dell’arrivo nel porto provenzale è più contratta con una predominanza i colori giallo senape e turchese, quella del paliotto si presenta più effusa e delicata ed i particolari della città più nitidi e distesi. Sventola, su entrambe le immagini, la bandiera rossa triangolare, mentre sul paliotto sono presenti quattro colombe (nell’affresco vi è una sola colomba) che solcano il mare marsigliese.

La Santa è sola nella barca sul punto di approdare nel porto. L’unico osservatore è una guardia armata che vigila sul torrione del castello.

Nel testo della Sebastiani, nel capitolo dedicato ai luoghi magdalenici, si dice chiaramente che:

“I dati della Legenda Aurea riappaiono, ripresi in certi punti quasi alla lettera. Nella Cronica del frate parmense Salimbene de Adam[2], a proposito dell’anno 1248 (l’autore riferisce di un suo soggiorno nel convento di frati minori di Aix) e poi dell’anno 1283; tra i fatti dell’anno assumono importanza capitale il reperimento a St. Maximin del corpo allora fermamente creduto quello della Santa, integraliter totum, excepto uno crure. Nel paragrafo successivo si parla della Sainte Baume. L’autore realizza qui, in modo del tutto involontario, un discorso amenissimo, proprio in quanto in spirito, alieno da suggestioni mistiche e “preromantiche” e scarsamente fornito di sensibilità estetica, descrive la grotta servendosi di esempi molto emiliani e a portata di mano. Dedica inoltre molta attenzione alla questione dell’autenticità delle reliquie e racconta estesamente un sollecito miracolo ad confirmationem.

Un giovane beccaio devotissimo della santa, di ritorno da un pellegrinaggio a Saint Maximin, ha un diverbio con un conoscente poco devoto, che gli rimprovera la sua credulità affermando che l’osso di tibia da lui baciato appartiene certamente a qualche giumenta e che i monaci lo esibiscono solo per far denaro. Ne nasce un duello “per l’onore della Maddalena” (o dei monaci di St. Maximin?). L’idea di questo duello per l’onore della Santa più sistematicamente disonorata di tutto il calendario è esilarante quasi quanto l’idea di un onore che si identifica con l’autenticità di un osso annerito dal tempo. Il devoto, assistito dalla Maddalena, ha la meglio nel duello: al primo colpo uccide l’altro (“involontariamente e malvolentieri” specificherà Salimbene più di una volta) e si tratta, come fa a capire l’autore fra le righe – ma neppure tanto -, di una punizione divina.

L’omicida involontario, fugge, ma viene scovato, messo in carcere e condannato all’impiccagione. Le cose sembrano dunque essersi messe molto male; in quella che dovrebbe essere la sua ultima notte, però, il condannato ha una visione della Maddalena e da lei riceve l’assicurazione di un celeste patrocinio. A questo punto il lieto fine è d’obbligo.

“[…] Quando poi il giorno dopo fu posto sulla forca, non sentì nessuna lesione del corpo e nessun dolore. Ed ecco all’improvviso, sotto gli occhi di tutti quelli che si erano riuniti per vedere, scese dal cielo una colomba bianchissima, come neve, velocissima nel volo, e si posò sulla forca e sciolse il laccio dell’uomo impiccato e suo devoto e lo fece scendere a terra senza nessun danno.” La Maddalena agisce sotto forma di una colomba albissima tamquam nix: un’immagine tipica di femminilità e di intercessione. Piuttosto strano risulta invece il fatto che, dopo un miracolo così eclatante in suo favore, il buon omicida sia sul punto di venir impiccato meglio una seconda volta e che a salvarlo definitivamente non sia un intervento del Cielo, ma la protesta armata della sua corporazione.[3]

Alcuni elementi del miracolo del giovane beccaio, salvato dalla forca, citato nel racconto del frate Salimbene, sono presenti sull’affresco della parete di fondo dell’unico altare della cappella della Maddalena in Castiglione.

Tra questi elementi possiamo individuare la colomba bianca come la neve (albissima tamquam nix), velocissima nel volo e diretta verso la guardia armata del castello ossia nella stessa direzione della Santa. Si comprende chiaramente come l’intercessione della Maddalena agisca sotto forma di colomba. Si può legittimamente supporre che l’autore dell’affresco o il suo committente conosceva molto bene il racconto del miracolo citato dalla Cronica del francescano parmense.

La realizzazione del paliotto, secondo la datazione certa, vergata a mano con vernice nera, è anteriore di soli due anni la concessione del privilegio della Fiera e, certamente, tale data sarà coeva con la costruzione della cappella.

Attualmente sia l’affresco che la pittura sulla tavola risultano fortemente compromessi, come del resto l’intera struttura della cappella. È auspicabile un serio intervento di restauro ed un totale recupero delle immagini e della tradizione fieristica.

Castiglione può benissimo andare orgogliosa per il suo passato, per le sue gloriose tradizioni e le manifestazioni di fede e pietà che hanno caratterizzato il vissuto sociale e religioso.

 

*Dal libro Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento, a cura di Filippo G. Cerfeda, Salvatore Coppola e Luigi Moscatello. Ed. Pubbligraf, Alessano 2010.

Le foto sono di Gregorio Chiarillo a parte la foto del palliotto e dell’affresco che sono di Filippo Cerfeda.

 

Note

[1] Sento il dovere di ringraziare cordialmente il parroco di Uggiano la Chiesa, Don Luigi Toma, l’ins. De Benedetto Eugenia e la d.ssa Giunco Rossella per la disponibilità dimostrata nella ricerca bibliografica sulla Santa e sugli aspetti iconografici presenti nella Parrocchiale di Uggiano. Ringrazio, inoltre, per la loro presenza al Convegno e la proiezione di diapositive sul ciclo pittorico della Maddalena di Oronzo Tiso e Francesco Calò.

[2] Salimbene da Parma (de Adam), dell’ordine dei Frati Minori, morto dopo il 1288. L’opera di Salimbene porta il titolo “Chronica”. Si rimanda però il lettore alla “Cronica” Nuova Edizione critica, a cura di G. Scalia, Vol I, Ed. Laterza, Bari 1966.

[3] L. SEBASTIANI, Tra/Sfigurazione – Il personaggio evangelico di Maria di Magdala e il mito della peccatrice redenta nella tradizione occidentale, Ed. Queriniana, Brescia 1992, pagg. 138-140.

 

Per le parti precedenti:

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (prima parte) – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (seconda parte) – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Un’epigrafe per l’istituto del Magister Nundinarum nella fiera a Castiglione d’Otranto – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

La cappella di Santa Maria Maddalena a Castiglione d’Otranto – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

La cappella di Santa Maria Maddalena a Castiglione d’Otranto

di Filippo Giacomo Cerfeda*

 

La cappella di Santa Maria Maddalena. Alcuni riferimenti archivistici

Non conosciamo ancora con esattezza la data di fondazione dell’antichissima cappella tardo medievale dedicata a Santa Maria Maddalena. Le preesistenze architettoniche e costruttive nonché le tracce ancora evidenti di antichi affreschi murali lasciano favorire e sostenere l’ipotesi di un complesso tardo quattrocentesco.

Le prime notizie sulla chiesetta risalgono alla metà del secolo XVII e precisamente da fonti vescovili degli Atti Visitali. Delle sei Visite Pastorali conservate nell’Archivio storico parrocchiale di Poggiardo solo quella di Monsignor Sillano del 1655 spende un brevissimo riferimento alla cappella:

De Ecclesia Santae Mariae Maddalenae

Ecclesia ipsa est de libera Collatione. Caret onera et redditum

mandavit ianuam detineri semper clausam.[1]

Poche ma preziose informazioni che ci danno l’idea dei caratteri beneficiali della cappella. In essa, infatti, vi era un Beneficio Semplice di libera collazione, non dotato né gestito da famiglie cospicue o gentilizie del luogo (come lo erano i Benefici di Jus Patronatus laicorum) ed essendo carente di oneri di messe e, quindi, di reddito, era abitualmente disertato dai cappellani. Nelle libere collazioni generalmente era l’Ordinario del luogo o la civica Amministrazione che aveva lo “jus eligendi et nominandi”. Poiché la cappella non veniva officiata, il Vescovo Monsignor Sillano ordina che si dovesse sempre tenere chiusa la porta con la chiave.

Negli anni 1750-1752 la cappella fu ricostruita sullo stesso luogo utilizzando probabilmente le stesse fondamenta.

 

In un documento d’archivio del 1785 riguardante la descrizione della “Terra e Feudo di Castiglione” si legge:

“Fuori dell’abitato di quel Paese sulla Strada detta San Giovanna a tramontana vi è la cappella sotto l’istesso titolo di San Giovanna senza veruna dote, ed alla strada del Pendino nel luogo detto le Pozze, distante dall’abitato istesso circa duecento passi, verso ponente vi è l’altra cappella intitolata di Santa Maria Maddalena, anche senza veruna dote e tutte e due si appartengono all’Università. Avanti a tale ultima cappella, e propriamente nel luogo detto lo Trice, alle 22 di Luglio di ciascun anno in vigore di Regio assenso si tiene abbondante e popolata fiera di animali bovini e di altra specie e cominciando dalle prime vesperi del giorno antecedente, dura per tutto il giorno de’ 22 presiedendo il mastro di fiera consultore e mastrodatti che si eliggono dall’Università e però amministrandosi da medesimi giustizia, rimane sospesa, e cessa in detto tempo la giurisdizione del Governatore locale”.[2]

Un altro documento coevo ci dà le stesse informazioni:

“Fuori l’Abbitato di detto luogo (Castiglione) vi è un’altra Cappella sotto il titolo di Santa Maria Maddalena, laicale, la quale non ha Procuratore, né rendite.” [3]

Le costanti e difficili situazioni nelle quali aveva sempre versato la cappella (libera collazione, priva di oneri e redditi nonché la posizione geografica periferica) la portarono necessariamente ad essere di Patronato Comunale dopo la soppressione dei benefici nel terzo-quarto decennio dell’Ottocento. L’Amministrazione cittadina, in assenza del cimitero comunale, utilizzerà successivamente la cappella come luogo di sepoltura. La necessaria riparazione e ripristino del culto l’avrebbero fatta uscire da un luogo periodo di silenzio e di inutilità.

Le Visite Pastorali di quel periodo ci aiutano a tracciare un quadro completo della situazione. A partire dalla terza visita di Monsignor Grande abbiamo cronologicamente delle informazioni molto dettagliate.

“Cappella S. Maddalenae pro nimia humiditate, e ornamentorum defectu interdicta est.” [4]

Nella quarta visita si ripresenta analoga situazione:

Cappella Sanctae Maddalena ad populum pertinet, et manet interdicta sicut in praecedenti visitazione, eoquod reparata non fuit.” [5]

Necessitava, come si è detto, di un restauro radicale, capace di sottrarla ad una continua e abbondante aggressione di umidità. L’assenza, inoltre, dell’altare portatile spinse l’Arcivescovo di Otranto a dichiararne l’interdizione al culto.

Il passaggio dai due luoghi di seppellimento, ossia dalla chiesa matrice alla cappella fuori l’abitato, avvenne in maniera graduale e non senza difficoltà e malcontenti.

Nel 1845 per “gli inconvenienti osservati nella Chiesa matrice di Castiglione”[6] e comunicati da Monsignor Grande all’Intendenza di Terra d’Otranto, furono emanate questa da questa alcune disposizioni

“…onde al più presto che sarà possibile venissero tolti per la decenza dovuta alla Casa del Signore, e per la tutela della pubblica salute scavarsi le sepolture alla Cappella di Santa Maddalena, oggetti che mi sono molto a cuore e per lo che le rendo i miei distinti ringraziamenti per la scienza datamene.” [7]

Chiesa matrice di Castiglione

 

La proposta dell’Arcivescovo aveva trovato piena e forte accoglienza presso l’Intendenza, al punto che il Segretario Generale ringrazia l’Eccellenza per avere il presentato un problema tanto a cuore per la pubblica salute.

Le direttive dell’Ufficio Intendenziale di Lecce però non trovarono consenso presso l’Amministrazione Comunale.

In una lettera indirizzata a Monsignor Arcivescovo, il barone Luigi Massa di Andrano scriveva che:

“quei Naturali (cittadini di Castiglione) cechi nel di loro operato, e poggiati su quanto Vostra Signoria espose al Signor Intendente han fatto e fanno delle forti istanze presso il lodato Superiore, il quale minaccia questo Sindaco di Commissari ed altro se non occupasi pressantemente far la perizia per Santa Maria Maddalena, che da Lei fu progettata per il Seppellimento anzidetto. In tale stato di cose, se Vostra Signoria lo stima, attesa era comune cecità! Bisognerebbe compiacervi dirigere altro immediato suo foglio ad detto Signor intendente; facendole a conoscere che fusse più regolare di meno spesato pulirsino le Sepolture della Madrice Chiesa; le quali non sono tutte colme, come si è fatto equivocamente supporre; e poi vi sono le Carnacie ancora per ciò eseguirsi. Questo Suo foglio dovrebbe correre a più presto al detto Signor Intendente per sedare i ricorsi e le disposizioni già date.” [8]

Si evince chiaramente che la volontà degli Amministratori comunali era quella di continuare le sepolture nella matrice parrocchiale poiché per adibirsi la cappella di Santa Maria Maddalena a cimitero occorrevano pesanti sforzi economici, difficilmente sostenibili dalla stessa Amministrazione. Ascoltato il parere degli Amministratori, Monsignor Grande si prodigò per far accettare una soluzione temporanea ossia la “politura de’ sepolcri destinata alla provvisoria tumulazione in Castiglione” [9]. Per detta soluzione il Signor Intendente diede “in giornata gli ordini in coerenza”.

Solo a distanza di due anni (1848) si pose fine a quella provvisorietà accettata dal clero e dagli Uffici civili. In assenza del cimitero comunale la cappella fuori da abitato diventò a tutti gli effetti luogo di sepoltura:

“Cappella Sanctae Magdalenae pertinens ad Populum demum perfecta est quoad aedificium, et in ea effossa sunt sepulchra ad fidelium humationem: interdum in ipsa celebratur Missa.” [10]

Le proposte e le scelte di Monsignor Grande si erano concretizzate: la Cappella di Santa Maria Maddalena diventò luogo cimiteriale e ciò consentì di riaprire al culto l’edificio interdetto per la celebrazione saltuaria delle messe di suffragio dei defunti.

Nella seconda metà dell’Ottocento abbiamo le medesime informazioni.

La “Cappella di Santa Maria Maddalena penitente è senza beni, e s’ignora la fondazione. È stata ristaurata dal Comune ed al presente si seppelliscono i Cadaveri.” [11]

Chiesetta lato strada

 

*Dal libro Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento, a cura di Filippo G. Cerfeda, Salvatore Coppola e Luigi Moscatello. Ed. Pubbligraf, Alessano 2010.

 

Note

[1] ARCHIVIO PARROCCHIALE POGGIARDO, Serie Visite Pastorali, Santa Visita di Mons. Annibale Sillano, 1655, aprile 10.

[2] L. PALUMBO, Descrizione della Terra e Feudo di Castiglione (1785), in “Note di Storia e Cultura salentina”, Società di Storia Patria per la Puglia- sez. di Maglie-Otranto, Vol. VIII, 1996, Ed. Argo, Lecce 1996, pagg. 249-260.

[3] ARCHIVIO DIOCESANO DI OTRANTO (= ADO), Fondo Ex Diocesi di Castro, carte non inventariate, documento del 1780.

[4] ADO, Fondo Atti Visitali, terza visita Pastorale di Mons. Grande, 1842, settembre 25, fol 91v.

[5] ADO, Fondo Atti Visitali, quarta visita Pastorale di Mons. Grande, 1845, ottobre 15, fol 56v.

[6] ADO, Fondo Parrocchie, Castiglione d’Otranto, busta 35, fasc. 14/19, carta n.1,

[7] Ibidem, carta n.1 Lettera dell’intendenza di Terra d’Otranto a Monsignor  Arcivescovo, datata 6 novembre 1845.

[8] Ibidem, carta n.2, lettera di Luigi Massa a Mons. Arcivescovo.

[9] Ibidem, carta n.3, Lettera dell’intendenza di Terra d’Otranto a Mons. Arcivescovo, datata 10 gennaio 1846.

[10] ADO, Fondo Atti Visitali, quinta Visita Pastorale di Mons. Grande, 1848, settembre 17, fol 46v.

[11] ADO, Fondo Atti Visitali, busta 4, fasc 9, Notiziario sulla Parrocchia di Castiglione, 1874, fol 2r.

 

Per le parti precedenti:

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (prima parte) – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (seconda parte) – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Un’epigrafe per l’istituto del Magister Nundinarum nella fiera a Castiglione d’Otranto – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Un’epigrafe per l’istituto del Magister Nundinarum nella fiera a Castiglione d’Otranto

di Filippo Giacomo Cerfeda*

 

 

L’epigrafe[1]

Testo

D(EO) O(PTIMO) M(AXIMO) /CAROLUS BORBONIUS UTRIUSQ(UE) SICILIAE ET JERUSALEM REX / CONCESSIT PRIVILIGIU(M) (NU)NDINARU(M) UNI(VERSI)TATI CASTILIONI PRO DIE 22/ MENSIS IULII IN PERPETUU(M) CUM FACULTATE ELIGE(N)DI MAGISTRUM / NUNDINARUM UNDE PRO MEMORIA POSTERUM ANNO / (Q)UO PRIVILEGIUM CONCESSU(M) 1752 HIC LAPIS POSITUS EST/

 

Traduzione

A Dio Ottimo Massimo. Carlo di Borbone, re delle due Sicilie e di Gerusalemme, concesse il livello della fiera alla cittadinanza di Castiglione per il giorno 22 del mese di luglio in perpetuo con facoltà di eleggere il Maestro della fiera. E da allora per la memoria dei posteri è stato collocato questo marmo nel 1752, anno in cui il privilegio è stato concesso.

Ubicazione

L’iscrizione è collocata sopra l’architrave della porta d’ingresso della chiesetta dedicata a Santa Maria Maddalena, sulla strada per Montesano Salentino.

Stato di conservazione

Mediocre.

Note:

l’iscrizione, in alcune parti stata deturpata e addirittura presa a bersaglio con fucili da caccia, mutilando non poche parole.

Dall’istruzione Latina si evince che l’Universitas di Castiglione aveva la facoltà di eleggere il Magister Nundinarum capace di dirimere gli affari civili e religiosi della comunità.

Per quella di Nardò con il trascorrere degli anni (o meglio, dei secoli), almeno per quanto attestato in un documento proprio del 1787, pur risultando ancora in vigore l’istituto del Magister Nundinarum, la funzione di giudice nelle controversie dei laici doveva essere, per ordini reali, un secolare come avveniva per Castiglione chiamato Assessore o semplicemente Giudice, sempre, però, designato dai canonici. Da ciò si evince che la giurisdizione non era più ad esclusivo appannaggio per clero.

E questo può ben rientrare nella politica illuministica di Ferdinando IV, re di Napoli (1759 1799) e futuro re delle Due Sicilie (1816-1825) tendente ad un ridimensionamento del potere feudale e della potenza del clero nel suo regno.

Sempre citando l’Incoronata di Nardò, non si sa con certezza quando sia definitivamente scomparsa. Allo stesso modo anche a Castiglione si ignora quando tale Magistratura abbia avuto fine, ma si presuppone che la politica riformatrice di Ferdinando IV e, maggiormente, la politica francese d’inizio secolo, abbia eliminato qualsiasi residuo, così come fu successivamente interdetta al culto la stessa cappella di Santa Maria Maddalena.

 

*Dal libro “Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento”, a cura di  Filippo G. Cerfeda, Salvatore Coppola e Luigi Moscatello. Ed. Pubbligraf Alessano 2010.

 

[1] Questa epigrafe è stata già pubblicata dallo scrivente nel Corpus Inscriptionum di Castiglione d’Otranto, in Iscrizioni latine del Salento, Associazione Italiana di Cultura Classica – Lecce, Vol. V, Congedo Editore, Galatina 2000, pagg 149-150.

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (seconda parte)

di Filippo Giacomo Cerfeda*

 

Il Regno di Napoli nella seconda metà del Settecento [1]

Alla morte di Carlo II, avvenuta nel 1700, il Regno di Napoli restò unito al trono di Madrid, al quale nello stesso anno ascese Filippo V. Nel 1707 passò sotto la sovranità dell’imperatore Giuseppe I, e dal 1711 al 1734 sotto quella del successore Carlo IV. In questo periodo il governo era esercitato da un Vicerè residente a Napoli.

Dal 1734 alla fine del secolo il Regno ebbe due sovrani: Carlo di Borbone, che nel 1759 divenne re di Spagna, e il figlio Ferdinando IV, che gli succedette non ancora novenne, e che, fino al raggiungimento della maggiore età (1768) fu sostituito nella gestione degli affari da un Consiglio di Reggenza. La prima parte del Regno di Ferdinando IV si concluse con la sua fuga in Sicilia (23 dicembre 1798) – incalzato dalle truppe francesi- cui fece seguito la proclamazione dell’effimera Repubblica Partenopea (23 gennaio-22 giugno 1799), e successivamente la prima Restaurazione borbonica.

Carlo IV

 

Il Regno di Carlo di Borbone

tra quelli che Carlo dovette affrontare dopo il suo avvento al trono di Napoli, tre punti si distinguevano per la loro importanza ed urgenza:

  1. stabilire una linea politica nei confronti della Curia romana, e più in generale dell’autorità ecclesiastica;
  2. arbitrare lo scontro tra il ministero in carica e la nobiltà di Piazza, ansiosa di sbarazzarsi del pericoloso rivale e di riappropriarsi negli antichi privilegi;
  3. riorganizzare il sistema finanziario ed amministrativo del Regno.

Nonostante i suoi limiti Carlo di Borbone nel 1759 lasciò il Regno in condizioni migliori di quelle in cui l’aveva trovato 25 anni prima.

Napoli era divenuta la capitale funzionale e sede di una fioritura musicale senza precedenti.

Carlo diede impulso anche nel campo architettonico (vedi Reggia di Caserta) ed artistico (vedi Francesco Solimena, protagonista dell’evoluzione della pittura napoletana, dal naturalismo caravaggesco alla razionalizzazione del barocco).

Inoltre, fu promotore nel campo archeologico, aprendo una nuova stagione di scavi archeologici ad Ercolano e Pompei.

 

L’istituzione della fiera

Quella di Santa Maria Maddalena, in Castiglione, non è l’unica o una delle poche fiere del Basso Salento istituite nell’antichità. Molte di esse, infatti, traggono origine fin dal periodo bassomedievale e vengono rivitalizzate o re istituite in epoca moderna, soprattutto dai sovrani borbonici.

Le fiere che più di altre presentano caratteri di analogie e somiglianze con quella di Castiglione sono quella di “San Vincenzo” in Giurdignano[2] (LE) e la “Fiera dell’Incoronata” di Nardò[3] (LE). Al di là della funzione prettamente religiosa, la chiesa dell’Incoronata per la comunità neretina aveva rappresentato un punto di riferimento anche civile, sì che nella parte antistante, partire dal XVII secolo fin oltre il secolo successivo, si teneva, nella prima settimana di agosto, la Fiera, che prima si svolgeva nei pressi della chiesa della Carità, fuori la Porta San Paolo (attuale piazza Osanna) con un cerimoniale tutto particolare.

Per la gestione della Fiera da parte del Vescovo veniva investito un canonico, nominato dagli stessi canonici della Cattedrale, come Magister Nundinarum, cioè il Maestro del Mercato, la cui giurisdizione aveva la durata di otto giorni consecutivi a partire dalla prima domenica di agosto, successivamente anticipata al sabato precedente, e riguardava qualsiasi attività cittadina sia civile che religiosa, compresi i matrimoni, anche nella fase degli atti relativi alla dote e qualsiasi tipo di contenzioso.

Scrive Mario Mennonna, in un suo prezioso contributo storico sulla Fiera dell’Incoronata, che “…non si conosce l’anno di riconoscimento di tale magistratura all’Università di Nardò. Il primo elemento storico è dato dal privilegio Regio concesso da re Ludovico nel 1397, riguardante, appunto, la franchigia per otto giorni della festività e della fiera, che si svolgevano nei pressi della chiesa della Carità, fuori Porta San Paolo, indicata anche, nella tradizione popolare, come porta dei mercanti”.

Quella di Santa Maria Maddalena presenta molte analogie con quella di Nardò:

  • per molti decenni ha rappresentato un punto di riferimento anche civile per la popolazione di Castiglione;
  • la fiera si teneva nella parte antistante o adiacente la cappella dedicata alla Santa, quindi un po’ distante dal paese, in un luogo ampio ed aperto denominato “lo Trice”, tale da consentire la realizzazione del mercato con una notevole partecipazione di genti vicine e lontane;
  • l’elezione del Magister Nundinarum, ossia del Maestro del Mercato una speciale di magistratura, che, a differenza di Nardò, non era assegnata ad un canonico della Curia di Castro, ma ad un civile cittadino e da esso esercitata a pieni poteri e nel pieno rispetto delle norme istitutive;
  • la data certa della sua istituzione, proprio come risulta dall’iscrizione su lastra lapidea collocata sull’architrave della Chiesa. Rispetto a quella dell’incoronata di Nardò, certamente istituita circa due secoli prima, la fiera di Castiglione risale al 1752, ad opera del Sovrano Carlo di Borbone.

Non sappiamo quali furono i prodromi che portarono alla concessione del Privilegio reale e nemmeno le motivazioni sociali, economiche, politiche tali da spingere un sovrano verso così tanta benevolenza. Nel momento stesso in cui la vita civile napoletana toccava il fondo della sua crisi (fine del 1746), l’assetto tradizionale delle forze cittadine si ricostituì contro il governo degli ecclesiastici e contro la stessa Corte. Quella rivolta aprì un periodo nuovo. Rivelò per la prima volta la sua presenza una forza che avrebbe progressivamente assorbito in sé le energie migliori della società, contro gli ecclesiastici troppo fedeli alle direttive di Roma, contro il baronaggio e contro il ministero: la nascente cultura illuministica.

Ma il tentativo più meritorio di Carlo di Borbone fu quello di trasformare nella coscienza dei sudditi il “Regno” in una “Patria”.

Tutte queste azioni possono per ascriversi tra le ragioni di fondo di una politica tesa a favorire lo sviluppo e il commercio nelle zone più meridionali del Regno.

Se a ciò si aggiunge la presenza di dotti e letterati, nella Castiglione del XVIII secolo, e la frequente transizione del feudo da un feudatario ad un altro, allora il quadro si fa sempre più realistico e si individuano delle linee di tendenza rivelando uno scenario prima oscuro e senza interpretazioni. Le molte famiglie che si sono avvicendate nel governo del feudo hanno cercato di impostare una politica di equilibrio all’interno della società, favorendo magari piccole concessioni per non incontrare malcontento popolare ed infine per incrementare l’economia.

 

 

*Dal libro Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento, a cura di Filippo G. Cerfeda, Salvatore Coppola e Luigi Moscatello. Ed. Pubbligraf, Alessano 2010.

 

[1] Sulla situazione del Regno napoletano del XVIII secolo si rimanda al prezioso conttributo di Giuseppe ORLANDI, Il Regno di Napoli nel Settecento, Spicilegium Historicum Congregationis SSmi Redemptoris, Annus XLIV, Collegium S. Alfonsi de Urbe, Roma 1996.

[2] L’antica fiera di San Vincenzo si svolgeva in via Pendino (attuale via San Vincenzo). L’inizio della fiera veniva precedutp dalla cerimonia del Mastro Mercato da parte del feudatario del luogo (Barone Alfarano-Capece)

[3] Per la fiera dell’Incoronata di Nardò si veda il prezioso contributo di Mario Mennonna, La cavalcata storica e la Fiera dell’incoronata, in “Lu Lampiune” Quadrimestrale di Cultura Salentina, Anno XIV – n°2, Ed. Grifo Periodici, pagg. 17-25. Alla fine del saggio viene riportata una ricca bibliografia sul munus del Magister Nundinarum.

 

Per la prima parte:

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (prima parte) – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Il culto di santa Maria Maddalena e l’istituzione della fiera a Castiglione d’Otranto (prima parte)

di Filippo Giacomo Cerfeda*,

 

L’identità di Santa Maria Maddalena [1]Il Vangelo

Alcuni dati fondamentali

L’identità di Santa Maria Maddalena, così come si rappresenta generalmente, è costituita dagli elementi complessi che si trovano sparsi qua e là nel Vangelo.

Statua di S. Maria Maddalena a Castiglione d’Otranto (foto G. Chiarillo)

 

PECCATRICE ANONIMA

San Luca narra la conversione di una donna, di cui non fa il nome, la quale durante il banchetto offerto al Signore in Galilea da Simone il Fariseo, entrò nella sala per ungere i piedi del Maestro, asciugarli con la copiosa capigliatura e riceverne in cambio la remissione dei peccati (Lc. 7, 36-50).

MARIA DI BETANIA

C’è poi una Maria, sorella di Marta, che contrariamente a questa, affaccendata nei lavori materiali, si preoccupa unicamente della parola del Maestro ed è da questo lodata per aver scelto la ”parte migliore” (Lc. 10, 38-42). È la stessa Maria, sorella di Lazzaro, dolente per la morte del fratello, che sparge in un omaggio solenne alla sua morte futura, un prezioso profumo sul capo del Signore nel corso della cena a Betania.

MARIA DI MAGDALA

C’è anche una donna che si chiama Maria Maddalena, “liberata da sette demoni” (Lc. 8,2; Mc 16,9), che si mise al servizio del Salvatore, seguendolo fino in Giudea per assistere alla sua morte, e, alla mattina di Pasqua, venuta con le compagne per imbalsamarne il cadavere trovo il sepolcro vuoto e meritò di essere la prima a vedere il Risorto e di informare gli Apostoli.

Queste informazioni evangeliche si riferiscono tutte alla stessa donna o invitano a distinguerne diverse? La questione è controversa e diverse sono le soluzioni proposte nel corso dei secoli; infatti, i Padri della Chiesa e gli autori ecclesiastici non hanno dato al problema una risposta uniforme e universale.

I Padri, la liturgia e gli autori greci e orientali, fino ai giorni nostri, tendono a distinguere tre donne diverse, mentre nella Chiesa latina, il papa Gregorio Magno fu il primo a identificarle in una sola che chiama Maria Maddalena e tutti gli autori latini dipendono da lui.

Lidia Sebastiani, nel fare una conclusione provvisoria del primo capitolo del suo libro, relativo ai dati evangelici sulla Maddalena, dice: “Che cosa sappiamo veramente della Maddalena?”, sintetizzando in alcuni punti le scoperte più essenziali:

  • Maria di Magdala è la donna più importante più presente nei Vangeli.
  • Veniva come Gesù dalla Galilea.
  • È discepola di Gesù fin dai primi tempi del ministero.
  • Prima di incontrare Gesù era stata vittima di misteriose sofferenze psicosomatiche.
  • Si ha l’impressione che Maria di Magdala non avesse una situazione familiare regolare (nel senso di “tipica” per il suo tempo).
  • È possibile, anche se non certo, che appartenesse ad una famiglia molto agiata.
  • Dopo la conclusione della vicenda terrena di Gesù, la vicenda della Maddalena è avvolta nel mistero.
  • Maria Maddalena e discepola ed Apostola del Maestro Salvatore e, adottando a un criterio paolino, dovremmo ammettere che nessuno è tanto apostolo quanto Maria di Magdala che per prima vede Gesù Risorto, che lo riconosce quando è da lui chiamata per nome, che è incaricata di recare l’annuncio della risurrezione al gruppo degli Undici ancora in preda all’incredulità e alla paura.

 

Maria Maddalena la “mirrofora”

Il più antico culto della Maddalena non è individualizzato. Si svolge all’interno della memoria pasquale. I greci ricordavano nella seconda domenica dopo Pasqua, chiamata appunto domenica delle mirrofore (= portatrici di unguento), l’apparizione di Gesù Risorto alle sante donne che andavano al sepolcro. Lo stesso si faceva anche in Occidente nell’ottava di Pasqua. Nel sinassario costantinopolitano la notizia del giorno 30 giugno (dedicato alla memoria della Santa) è dedicata a una commemorazione collettiva dei dodici apostoli e dei settanta discepoli ed è ispirata dal libello apocrifo dello pseudo-Doroteo: in appendice a questo elenco, l’autore aggiunge l’elogio delle mirrofore.

Ad un osservatore distratto può sembrare non esserci relazione tra la cripta dello Spirito Santo di Castiglione e la erezione della cappella quasi adiacente dedicata a Maria Maddalena, la Mirrofora. Alla luce di queste poche riflessioni, però, ci accorgiamo che il legame oltre che intimo ed intrinseco è quasi consequenziale. Maria di Magdala è tra quelle donne che si recano al sepolcro per ungere con la mirra il cadavere di Gesù. Ma proprio da quel sepolcro si manifesta la potenza e la gloria del Risorto che promette di inviare lo Spirito capace di rendere nuove tutte le cose.

 

CONCLUSIONE PRIMA PARTE

Da quanto finora detto risulta quindi che Santa Maria Maddalena è una santa autentica, la cui figura è stata però travisata dagli esegeti e dagli agiografi. Per renderle la sua vera fisionomia, occorre, pertanto, liberarla da tutte le aggiunte dei commenti omiletici o dei racconti agiografici. Ella riapparirà allora come la donna privilegiata, che vide per prima il Signore Risorto e lo annunziò agli Apostoli. È questo ancora oggi il suo titolo di gloria.

(segue)

 

*Dal libro Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento, a cura di Filippo G. Cerfeda, Salvatore Coppola e Luigi Moscatello. Ed. Pubbligraf, Alessano 2010.

[1] Per tutti i riferimenti evangelici e un approfondimento biblico e teologico sulla figura della Santa rimando ai pregevoli contributi di Victor SAXER, Santa Maria Maddalena, in Biblioteca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII, Roma 1968; Lilia SEBASTIANI, Tra/Sfigurazione – il personaggio evangelico di Maria di Magdala e il mito della peccatrice redenta nella tradizione occidentale. Ed. -Queriniana, Brescia 1992

 

 

22 luglio. C’era una volta, e c’è ancora, S. Maria Maddalena

Donato Antonio d'Orlando

di Rocco Boccadamo

Come riportato dal calendario, il 22 luglio ricorre la festa di S. Maria Maddalena, detta anche Maria di Magdala, seguace di Gesù, unica donna ad aver avuto il privilegio d’assistere alla sua crocifissione e, di seguito, prima testimone visiva e annunciatrice della sua risurrezione.

Nel Basso Salento, per quanto è a mia conoscenza, tale Santa è venerata e celebrata in un paesino non distante dal mio, ossia a dire a Castiglione d’Otranto, frazione del comune di Andrano.

A voler essere precisi, sotto il suo nome, non si tiene una festa vera e propria, con luminarie, fuochi d’artificio e bande musicali, del genere che, in onore del Patrono o di altri Santi, contrassegnano, nell’arco dell’anno, un po’ tutte le località del territorio, bensì una fiera mercato, che, un tempo, recava, in aggiunta, l’appellativo di “fiera delle cipuddre” (in italiano, cipolle).

Quanto al sito della manifestazione in parola, è rimasto identico lo slargo, contermine al camposanto, nella periferia di Castiglione verso il passaggio a livello delle Sud Est, su un lato del quale insiste anche una piccola chiesa, area che, quand’io ero ragazzo, si soleva utilizzare pure come campo di calcio.

Ritornando alla Santa e all’omonima fiera, si tratta di evento impresso dentro chi scrive da tempi ancora più lontani, ossia a dire risalenti alla mia fanciullezza, giacché, svariate volte, in quell’epoca, mi è capitata l’occasione di recarmi da Marittima a Castiglione, in compagnia dei miei nonni paterni, i quali, specialmente la nonna Consiglia, vi si portavano puntualmente, sia per devozione, sia e soprattutto per effettuare qualche utile acquisto dalle baracche e bancarelle ambulanti, che erano allestite ed esponevano le loro mercanzie in quello slargo di Castiglione.

Si consideri che, allora, nei singoli paesi, non esistevano esercizi commerciali, salvo uno per la vendita di pane e prodotti alimentari di stretta necessità e risicate botteghe (puteche) per la mescita di vino.

La trasferta a S. Maria Maddalena si svolgeva a bordo di traini in legno caratterizzati da lunghe stanghe e da grandissime ruote a raggiera con le circonferenze ricoperte e rinforzate mediante fasce metalliche.

Sui mezzi di trasporto in questione, a cassetta, con pareti laterali e posteriore (ncasciate), prendevano posto i passeggeri, sino a sei, seduti su rudimentali apposite assi, parimenti in legno, mentre il conducente si sistemava, redini in mano, all’inizio di una delle stanghe.

Maria Maddalena

Memorabile, in particolare, una delle mie avventure su traino in compagnia dei nonni e in direzione Castiglione, viaggio, iniziato, al solito, nelle primissime ore del mattino, ancora buio d’intorno, onde coprire in tempo utile i cinque/sei chilometri di distanza.

In quella circostanza, i miei ascendenti, unitamente a un paio di parenti, avevano, esprimiamoci così, noleggiato il traino di compare Peppe ‘u muricciu.

Purtroppo, a un certo punto, a meta ormai prossima, esattamente in corrispondenza del tratto viario terminale, in discesa, che andava a guadagnare il centro abitato, si verificò un incidente imprevisto: non si sa come, il cavallo ebbe a scivolare con le sue staffe e s’inginocchiò sul selciato, rimanendo lì immobile e incapace di risollevarsi.

Per il traino, fortunatamente, un deciso scossone, ma nessun danno a carico dei trasportati. Tuttavia, gli adulti furono costretti a scendere e ad aiutare il conducente, con compattezza di braccia e spalle, nello sforzo, non indifferente, di rimettere in piedi il quadrupede e, così, consentirgli di completare il viaggio.

Altro particolare che serbo a memoria in correlazione alla fiera di S. Maria Maddalena è un detto o proverbio popolare, recitante: “A S. Maria Matalena, va alla vigna e se ne vene prena” (in concomitanza del 22 luglio – maturazione, raccolto e vendemmia dell’uva ormai imminenti -, la/quella donna si reca in campagna per lavorare nella vigna e se ne ritorna pregna, ovvero in stato interessante).

Chiara l’allusione, non inverosimile, alla possibilità, in presenza di lavori in gruppo da parte di persone di entrambi i sessi, d’incontri e/o contatti strettamente ravvicinati e di qualche naturale effetto conseguente.

Breve inciso, venerdì 21 luglio, si è sposata una giovane amica e brava collega, nativa di Castiglione: un mare d’auguri, Tiziana.

Ampliando l’orizzonte in senso geografico, il nome Maddalena lascia scorrere e stagliarsi nella mia mente la figura di un’anziana compaesana marittimese, assai conosciuta e familiare all’intera comunità, giacché gestiva uno dei tre forni del paese, dove ciascuna famiglia si recava periodicamente per preparare e cuocere la provvista di pane, soprattutto friselle, detto  “pane fatto in casa” onde distinguerlo da quello che, saltuariamente se non in casi eccezionali, si acquistava presso il dianzi accennato negozio di generi alimentari.

E, poi, Maddalena era il nome di una graziosa giovinetta di un paese della Grecìa salentina, frequentante la mia stessa Scuola Superiore, sulla quale avevo messo gli occhi, beninteso come si poteva e intendeva, da diciassettenne, intorno alla metà dello scorso secolo, insomma senza alcunché di concreto.

Ad ogni modo, ancora adesso, nelle rarissime occasioni in cui succede che m’imbatta in quella Maddalena, un filo d’emozione sgorga a illuminare gli occhi del ragazzo di ieri.

 

°   °   °

Conosco F.C. di Castro, mio coetaneo, dai primi anni delle Elementari

La memoria lontana me lo ripropone sotto forma di un bambino macilento, vestito alla buona, appartenente a una famiglia poverissima e numerosa che viveva in un’unica stanza.

F., quindi, talora era costretto anche a fare i conti con la fame, al livello che, in determinate circostanze, arrivava a spostarsi, tenendo per mano un fratello minore, finanche nella mia Marittima per chiedere l’elemosina.

Da giovane e adulto, il lavoro mi ha portato lontano ma, con l’andata in pensione e il rientro nel Basso Salento, ho avuto agio di rivedere F.

Ovviamente decenni a iosa trascorsi pure per lui, nondimeno, nella profondità del suo sguardo, ritrovo, nitidamente presenti, le tracce dei miei ricordi da fanciullo.

Ora, F. è pensionato, nonno e, soprattutto, sereno. E, io, avverto nel mio intimo un tuffo di contentezza ogni volta che m’imbatto in lui, in sella al suo scooter o seduto al bar per un tressette con gli amici.

 

°   °   °

Stamani ho fatto il bagno al Lido La Sorgente di Castro, in compagnia del mio nipotino Andrea. Oltre che compiere una nuotatina insieme, ho coinvolto il piccolo nella pesca di qualche granchio.

A portata delle mie mani, non di quelle di Andrea, comprensibilmente ancora timoroso e inesperto, alcuni piccoli esemplari di detti crostacei, lestamente passati al sicuro di un retino e poi di un secchiello d’acqua salata.

Uno, in particolare, di apprezzabili dimensioni, color marrone scuro e ricoperto da una sorta di peluria (in dialetto, caura pelosa), ha lo speciale destino, per l’odierna cena, di essere cotto in un sugo di pomodoro fresco e di condire una piccola spaghettata per nonno Rocco e Andrea.

 

 

Gli stemmi dell’antico palazzo Rondachi di Otranto

 Presentazione

di Marcello Semeraro e Antonella Candido

 

L’identificazione di stemmi anonimi presenti su edifici, affreschi e manufatti è un esercizio molto importante non solo per l’araldista, ma anche per lo storico dell’arte. Le insegne araldiche, infatti, sono tra pochi elementi in grado di fornire uno “stato civile” (una datazione, una provenienza, una committenza) e un “contesto” all’opera su cui sono riprodotte. Questo più ampio e proficuo approccio nell’interpretazione dei segni araldici manifesta tutta la sua validità scientifica nel caso degli stemmi scolpiti sui resti dei parapetti di due balconi monumentali conservati all’interno del castello aragonese di Otranto.

Come vedremo, l’analisi storico-araldica delle insegne ha consentito di gettare una nuova luce sulle origini e le vicissitudini edilizie dello storico palazzo idruntino di via Rondachi sul quale un tempo erano collocati i balconi.

Per comodità di esposizione, preferiamo iniziare la disamina partendo dal parapetto quasi integro che fa bella mostra di sé nella sala rettangolare del castello (fig. 1).

Fig. 1. Otranto, castello aragonese, sala rettangolare, particolare del parapetto monumentale
Fig. 1. Otranto, castello aragonese, sala rettangolare, particolare del parapetto monumentale

 

Il manufatto è formato da nove lastre rettangolari in pietra locale, scomposte e allineate su una pedana. Sulle sette lastre centrali si ammirano decorazioni in bassorilievo recanti sette busti maschili e femminili in maestà, ognuno dei quali è racchiuso da un serto di alloro, tipico corollario dell’iconografia celebrativa. Sulle due lastre laterali, decorate a traforo, campeggiano due scudi sagomati con contorni mistilinei, di foggia diversa, databili al XVI secolo. Purtroppo, come spesso avviene, e contrariamente a quanto doveva essere in origine, questi manufatti si presentano oggi privi di smalti. Il primo esemplare mostra una colonna con base e capitello, sostenente un putto che impugna con la mano destra una croce latina (fig. 2); il secondo reca nel primo quarto lo stesso stemma, benché stilisticamente diverso, partito con un altro raffigurante un albero nodrito1 su un ristretto di terreno2, movente dalla punta dello scudo (fig. 3).

Fig. 2
Fig. 2. Otranto, castello aragonese, sala rettangolare, particolare dello stemma
Fig. 3
Fig. 3. Otranto, castello aragonese, sala rettangolare, particolare dello stemma di alleanza matrimoniale

 

Quest’ultimo esemplare partecipa evidentemente delle caratteristiche dell’arme di alleanza matrimoniale: a destra (sinistra per chi guarda) le insegne del marito, a sinistra (destra per chi guarda) quelle della moglie. Il balcone appare nella sua interezza in una riproduzione fotografica realizzata nel primo decennio del Novecento (1910 ca.) dai fratelli Alinari, dalla quale si evince che esso dominava il prospetto di casa Carrozzini e che gli stemmi erano posizionati ai lati del parapetto (fig. 4).

Fig. 4
Fig. 4 – Balcone di casa Carrozzini, Otranto ca. 1910, stabilimento tipografico dei fratelli Alinari (Archivi Alinari, Firenze)

 

Altre foto d’epoca con altri particolari del suddetto edificio sono contenute fra le illustrazioni del secondo volume del Tallone d’Italia di Giuseppe Gigli3, pubblicato nel 1912 (fig. 5).

Fig. 5
Fig. 5. Balcone di casa Carrozzini (dal Tallone d’Italia di Giuseppe Gigli, foto Perazzo).

 

Tuttavia, nessuno dei due stemmi poc’anzi descritti corrisponde all’arme portata dalla famiglia Carrozzini, la quale sia nella versione blasonata dal Montefusco (“un cervo che tira un carro su cui è inginocchiato un uomo nudo con le mani giunte; il tutto sulla pianura erbosa”4), sia in altre varianti lapidee attestate a Soleto, differisce per la presenza di un emblema parlante5 costituito da una carrozza o da una sua parte (la ruota). Ciò significa che la committenza del balcone deve essere ricercata necessariamente altrove. Va premesso che l’identificazione dei titolari si è rivelata un’operazione particolarmente difficile, sia per la scarsità di fonti storiche su questo edificio, sia perché il contenuto blasonico degli stemmi non è facilmente ascrivibile a famiglie note. In casi di questo genere, le ricerche mediante collazione sulle fonti più specificamente araldiche (gli stemmari) possono rivelarsi fruttuose. E così è stato per il primo stemma e per il primo quarto del secondo, mentre si possono formulare solo delle ipotesi a proposito del secondo quarto del partito. Nel celebre Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, lo storico e araldista Amilcare Foscarini descrive un’arme identica, attribuendola ai Rondachi: “una colonna con base e capitello su cui sta un puttino ignudo che impugna colla destra una croce”6. Lo stesso blasone viene riportato nello Stemmario di Terra d’Otranto di Luigiantonio Montefusco7. In entrambi i casi non si hanno indicazioni sulla cromia delle figure e del campo.

I Rondachi furono una nobile famiglia idruntina di origini greche, annoverata fra le più illustri della città dallo storico Luigi Maggiulli8 ed estinta nella seconda metà del Seicento9. Fra il XVI e il XVII secolo la casata possedette vari feudi in Terra d’Otranto, tra i quali vanno ricordati Casamassella, Castiglione d’Otranto, Giurdignano, una quota dei laghi Alimini, Serrano e Tafagnano10. Un Domenico, vissuto nel XVII secolo, fu canonico della cattedrale di Otranto oltre che dotto nelle scienze e nelle lettere11.

Fra le famiglie nobili di Otranto, i Rondachi non furono comunque i soli a vantare un’origine ellenica giacché essa è attestata anche per altre schiatte come i Leondari, i Morisco e i Calofati12. Resta da capire, dopo aver identificato la famiglia di provenienza dello stemma in esame, a quale singolo personaggio detta arma apparteneva. Sfortunatamente non è stato possibile raggiungere questo obiettivo a causa soprattutto della difficoltà di stabilire, sulla base delle fonti a nostra disposizione, dei precisi riferimenti storico-genealogici sui vari membri di Casa Rondachi.

Ancora più problematica risulta essere l’identificazione dello stemma muliebre rappresentato nel secondo quarto dell’arma di alleanza matrimoniale, allusivo, come abbiamo visto, alla consorte di un Rondachi. Ciò dipende da una serie di limiti oggettivi a cui lo studioso va incontro nella lettura dell’arme, legati sia alla composizione araldica in sé, che si presenta acroma e generica nella sua figura principale – il termine “albero” è stato non a caso usato perché non se ne conosce la specie – sia alla lacunosità delle fonti con cui poter fare un raffronto. Va osservato, a tal proposito, che fra tutte le famiglie nobili e notabili idruntine riportate dal Maggiulli e dal Foscarini, solo di alcune di esse si conosce il blasone13.

Fra queste ultime, soltanto i Cerasoli (“d’argento, al ciliegio di verde”14), i Pipini (“d’azzurro, alla quercia al naturale, sostenuta da due leoni controrampanti d’oro”15) e i Dattili (“d’azzurro, alla palma di dattero d’oro, accostata da due stelle dello stesso”16 ) innalzavano un albero come figura principale, ma nessuno dei tre blasoni, nel suo complesso, sembra corrispondere a quello in argomento. Il quadro risulta ulteriormente complicato dal fatto che, come abbiamo poc’anzi ricordato, non disponiamo di solide fonti storico-genealogiche sui vari esponenti di Casa Rondachi, dalle quali avremmo potuto ricavare dati utili per la conoscenza delle insegne araldiche delle rispettive consorti.

Nel corso delle nostre indagini, tuttavia, siamo riusciti a rintracciare una fonte che si è rivelata di notevole importanza. Si tratta di una lettera del 15 ottobre 1893, scritta dal barone Filippo Bacile di Castiglione e pubblicata nel 1935 dalla rivista Rinascenza Salentina17. Storico nonché studioso di araldica, il Bacile apparteneva ad una nobile famiglia di origini marchigiane che possedette in Terra d’Otranto i feudi di San Nicola in Pettorano e di Castiglione d’Otranto, lo stesso, quest’ultimo, che qualche secolo prima era appartenuto ai Rondachi18.

La lettera, indirizzata a Luigi Maggiulli, descrive un viaggio ad Otranto durante il quale il Bacile poté visionare di persona uno storico palazzo di cui all’epoca era proprietario tale Don Peppino Bienna. In quell’occasione egli vide sulla facciata non uno, ma due parapetti che costituivano “la parte più notevole19 dell’edificio. “Quei parapetti hanno in tre lati corti e su fondi a trafori geometrici che indicano il passaggio dal XV al XVI secolo […] tre armi: una sola con una figura; le altre con due, perchè partite, ripetendo però a destra sempre questa figura; e a sinistra un’altra. La prima, dunque, è una colonna, su piedistallo, sormontata da un puttino tenente nella destra una croce. Nelle armi partite vi è 1°: la descritta; 2°: un albero su breve terrazza direi quasi accorciata20.

Il secondo parapetto, posto “in linea quanto divergente dal primo ma, tripartito e con bassorilievi21, conteneva dunque un terzo scudo che replicava la stessa combinazione d’armi per alleanza coniugale che abbiamo osservato nell’esemplare riprodotto nella figura 3. Ammirato dalle fattezze dell’edificio, il Bacile volle cercarne i proprietari originari e seppe era appartenuto alla famiglia Rondachi “che si era imparentata con la Scupoli, a cui dovrebbe appartenere la 2° partizione delle due armi22.

Si tratta di un documento importante perché oltre a confermare la committenza Rondachi, offre anche un indizio per l’identificazione dello stemma muliebre. Di origini ignote e non annoverata dal Maggiulli fra le più illustri di Otranto, la famiglia Scupoli divenne celebre per aver dato i natali a Lorenzo (*1530 †1610), chierico teatino nonché autore del celebre Combattimento spirituale23, e probabilmente anche a Giovanni Maria Scupola, pittore otrantino contemporaneo dei fratelli Bizamano24. Purtroppo non si conoscono altre attestazioni dell’arma portata da questa famiglia.

Allo stato attuale delle nostre ricerche non possiamo pertanto né confermare né confutare l’ipotesi di attribuzione del quarto muliebre suggerita al Bacile che, tuttavia, va tenuta in considerazione in vista di ulteriori, auspicabili approfondimenti. Nella lettera summenzionata si parla anche di un secondo parapetto presente sulla facciata, che dovette essere di dimensioni minori rispetto al primo. Fino a qualche settimana fa i resti di questo manufatto giacevano isolati e decontestualizzati nella sala triangolare del castello.

Tuttavia, grazie al nostro interessamento, si è provveduto a spostarli nell’adiacente sala rettangolare, dove sono attualmente ammirabili. Essi corrispondono perfettamente a quanto descritto dal barone di Castiglione. Si riconoscono tre lastre rettangolari decorate con pregevoli bassorilievi che riproducono diverse figure, comprese tre colonne che sembrano avere una relazione allusiva con l’arma Rondachi (fig. 6).

Fig. 6
Fig. 6. Otranto, castello aragonese, sala rettangolare, particolare delle lastre del parapetto del secondo balcone di palazzo Rondachi

Una quarta lastra, che si presenta in uno stato frammentario, reca scolpito su un fondo a traforo uno blasone partito Rondachi – (Scupoli?) del tutto simile a quello raffigurato sul parapetto maggiore, sebbene la composizione risulti stilisticamente differente (fig. 7).

7
Fig. 7. Otranto, castello aragonese, sala rettangolare, frammenti della lastra del parapetto del secondo balcone di palazzo Rondachi, con stemma partito Rondachi – (Scupoli?).

 

L’analisi dell’araldista salentino presenta, invece, alcuni aspetti problematici per quanto riguarda il numero originario delle lastre del parapetto più grande. Egli, infatti, descrive “cinque scompartimenti racchiusi in elettissimi pilastrini” recanti “cinque medaglioni con teste che sporgono da serti circolari25, mentre se ne contano due in più nelle foto novecentesche di casa Carrozzini e nel manufatto visibile nella sala rettangolare del castello. Riteniamo che questa divergenza si possa spiegare ipotizzando un errore di conteggio da parte dello studioso. Tale supposizione si basa sul fatto che la sequenza dei sette busti raffigurata su ogni pannello difficilmente troverebbe una spiegazione se non venisse considerata come parte integrante dell’intero corredo decorativo della parte frontale del parapetto maggiore, lo stesso manufatto, peraltro, che qualche anno dopo apparirà nella sua interezza nelle riproduzioni novecentesche del balcone di casa Carrozzini.

E’ probabile che ogni busto racchiuso dalla corona d’alloro sia da intendersi come allusivo ad un personaggio di Casa Rondachi e che, di conseguenza, l’insieme costituito dai bassorilievi figurati e dalle insegne araldiche agnatizie e matrimoniali (che all’epoca erano sicuramente radicate nell’esperienza visiva degli osservanti) sia stato ideato per celebrare la famiglia proprietaria del palazzo nonché per ostentarne il rango. E’ bene precisare, però, che allo stato attuale delle nostre indagini queste considerazioni sono e restano delle mere ipotesi, da prendere con le dovute cautele.

Da un punto vista cronologico e stilistico, entrambi i parapetti presentano fattezze ascrivili al XVI secolo, probabilmente opera raffinatissima di Gabriele Riccardi26. Nel primo decennio del Novecento lo storico palazzo sito in via Rondachi dovette subire dei rimaneggiamenti che andarono a modificare in parte la struttura della facciata, tanto è vero che il prospetto dell’edificio, nel frattempo divenuto casa Carrozzini, era costituito da un solo balcone.

Le vicende che interessarono questa dimora nel lasso di tempo successivo a quello documentato dalle foto presentano, invece, non pochi lati oscuri. Stando a quanto si ricava dall’introduzione alla lettera del Bacile – pubblicata, come abbiamo visto, dalla rivista Rinascenza salentina agli inizi del 1935 – a quella data l’edificio non esisteva più perché fu abbattuto a causa delle sue precarie condizioni27. Si apprende che grazie all’interessamento del Maggiulli e della Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e alla munificenza della famiglia Bienna, i pezzi del balcone furono smontati, affidati all’amministrazione comunale e conservati “in apposito luogo28.

Di parere diverso è lo studioso Paolo Ricciardi, secondo il quale casa Carrozzini fu acquistata dall’arcivescovo Cornelio Sebastiano Cuccarollo (1930-1952) e abbattuta dal suo successore Mons. Raffaele Calabria (1952-1960) per far posto ad una palazzina attualmente utilizzata come archivio diocesano (piano terra) e uffici pastorali (primo piano)29.

Comunque sia, delle lastre lapidee dei due parapetti si perse ogni traccia fino agli inizi degli anni ’90, quanto esse furono rinvenute all’interno del materiale di riempimento del fossato del castello aragonese e collocate nelle sale interne della fortezza idruntina. Ulteriori e più puntuali indagini, basate soprattutto su fonti archivistiche, potranno chiarire meglio le fasi e le vicissitudini edilizie a cui andò incontro quella che un tempo era l’antica dimora di una nobile famiglia otrantina della quale oggi non restano che i frammenti degli antichi balconi e un’intitolazione toponomastica a perpetuarne la memoria.

 

* Desidero esprimere il mio più profondo ringraziamento alla dottoressa Patricia Caprino (Laboratorio di Archeologia Classica dell’Università del Salento), alla quale va il merito di avermi segnalato il caso, suscitando il mio interesse e la mia curiosità. Un ringraziamaneto particolare va anche a Mons. Paolo Ricciardi, noto cultore di storia otrantina, per la sua generosa disponibilità. (Marcello Semeraro)

  1. Si dice di vegetali che nascono o escono da una figura o partizione.
  2. Terreno che è molto ridotto o isolato da entrambi i lati.
  3. Cfr. G. Gigli, Il tallone d’Italia: II (Gallipoli, Otranto e dintorni), Bergamo 1912, pp. 86-87.
  4. Cfr. L. Montefusco, Stemmario di Terra d’Otranto, Lecce 1997, p. 35.
  5. Le armi o le figura parlanti sono quelle che recano raffigurazioni allusive al nome del titolare.
  6. A. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Lecce 1903, rist. anast. Bologna 1978, vol. 1, p. 181.
  7. Cfr. L. Montefusco, op. cit., p. 106.
  8. Cfr. L. Maggiulli, Otranto: ricordi, Lecce 1893, p. 97.
  9. Cfr. A. Foscarini, op. cit., p. 181.
  10. Cfr. ibidem; cfr. inoltre L. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d’Otranto: la provincia di Lecce, Lecce 1994, ad voces.
  11. A. Corchia, Otranto toponomastica, in Note di storia e cultura salentina (a cura di F. Cezzi), Galatina 1991, p. 133.
  12. Cfr. A. Foscarini, op. cit., pp. 32, 118, 146. Quello delle famiglie nobili di origine ellenica giunte in Terra d’Otranto e, più in generale, nel Sud Italia per sfuggire alla dominazione ottomana, resta un fenomeno tutto sommato poco esplorato dagli studiosi. L’araldica, da questo punto di vista, potrebbe fornire un interessante terreno di ricerca.
  13. Cfr. L. Maggiulli, op. cit., pp. 93-104; A. Foscarini, op. cit., ad voces.
  14. Cfr. A. Foscarini, op. cit., pp. 46-47.
  15. Cfr. ivi, pp. 169-170.
  16. Cfr. ivi, p. 59.
  17. Cfr. F. Bacile, Il palazzo dei Rondachi in Otranto, in Rinascenza salentina, 1 (gen-feb 1935), pp. 42-45.
  18. Cfr. A. Foscarini, op. cit. p. 16.
  19. Cfr. F. Bacile, op. cit., p. 43.
  20. Cfr. ivi, p. 44.
  21. Cfr. ibidem.
  22. Cfr. ivi, p. 45.
  23. Cfr. P. Ricciardi, Lorenzo Scupoli e il presbitero Pantaleone. Due maestri idruntini intramontabili e universali, Galatina 2010, pp. 9-10.
  24. Cfr. ivi, p. 307.
  25. Cfr. F. Bacile, op. cit., p. 44.
  26. Cfr. M. Cazzato, V. Cazzato (a cura di), Lecce e il Salento. Vol. 1: i centri urbani, le architetture e il cantiere barocco, Roma 2015, pp. 320-321.
  27. Cfr. F. Bacile, op. cit, p. 42.
  28. Cfr. ibidem.
  29. Cfr. P. Ricciardi, Otranto devota, Galatina 2015, p. 255.

 

Castiglione d’Otranto (Lecce). Cripta dello Spirito Santo

di Marco Cavalera

La cripta dello Spirito Santo è ubicata alla periferia occidentale di Castiglione d’Otranto, in località Casaranello, circa 80 metri a nord dalla cappella di Santa Maria Maddalena. La zona, nota a metà ‘700 con il toponimo Le Pozze [1], si trova in prossimità di un incrocio stradale molto importante, dove si svolge annualmente la fiera di Santa Maria Maddalena[2]. Non a caso le chiese-cripte e i santuari, a partire dal Medioevo, erano considerati un vero e proprio punto di riferimento, di convergenza e di incontro tra le diverse comunità rurali di un determinato territorio, in occasione di festività religiose e di fiere[3].

La cripta dello Spirito Santo è un luogo di culto strettamente legato alla fede e alla  devozione della piccola comunità rurale di Castiglione d’Otranto; numerosi elementi – infatti – portano ad escludere, in questo caso, una

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