Tra Casanova e Don Giovanni: 125 anni fa nasceva Rodolfo Valentino

di Marco Carratta

La vicenda umana di Rodolfo Valentino è indissolubilmente legata alla parabola storica del cinema.

Per una curiosa coincidenza infatti, nello stesso anno in cui a Parigi viene proiettato quello che è accreditato come il primo “film” della storia (un documentario di 45 secondi, girato dai fratelli Auguste e Philippe Lumière, che riprende l’arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat), in provincia di Taranto nasceva colui che sarebbe diventato di lì a poco il primo divo del giovane mondo della celluloide: Rodolfo Valentino. A questa coincidenza ne segue un’altra meno piacevole, perché la fama di Rodolfo Valentino è anche dovuta al fatto che terminò la sua giovanissima esistenza a soli 31 anni, all’apice del successo, nello stesso anno, nello stesso mese e nella stessa città, New York, in cui avviene la proiezione del primo film sonoro, Don Giovanni e Lucrezia Borgia. Una vera e propria rivoluzione che segnò l’inizio dell’inesorabile declino del mondo in cui Valentino era stato protagonista, quello che cinema muto.

Nato il 6 maggio 1895 a Castellaneta, cittadina in provincia di Taranto, Rodolfo Alfonso Raffaello Pierre Filibert Guglielmi di Valentina d’Antonguolla, questo il suo vero nome, era il terzogenito di Giovanni Guglielmi, un veterinario ed ex capitano di cavalleria con una spiccata passione per l’araldica, e di Marie Berthe Gabrielle Barbin, di origini francesi e dama di compagnia di una nobildonna del luogo. In una delle tante biografie dedicate a Rodolfo Valentino, questi viene definito come “un visionario alla ricerca di altre realtà”; la sua naturale apertura a valori e tratti culturali estranei e lontani lo porta fin da giovanissimo, complice la madre, a vivere in diverse città italiane e straniere. Rimasto orfano di padre a soli 11 anni, per volontà della madre viene iscritto ad un collegio in Umbria, dal quale però verrà radiato a causa della sua poca passione per lo studio e dell’indole disubbidiente ed irrequieta. Proverà, senza successo, ad entrare all’accademia di Marina di Venezia, per poi frequentare, questa volta con profitto, l’Istituto Bernardo Marsano di Sant’Ilario di Genova, dove ottiene il diploma di tecnico agrario. Grazie alla licenza superiore si guadagna un viaggio premio a Parigi offertogli dalla madre, e nella capitale francese scopre un mondo incredibile, stimolante ed effervescente. Nei locali parigini alimenta la passione per la danza già coltivata nei locali notturni frequentati da adolescente a Perugia.

Il periodo parigino però finisce presto ma è talmente intenso da trasformare per sempre la sua esistenza.

È la capitale francese a far capire a Rodolfo che non sarebbe stata certamente Castellaneta il luogo dove poter esprimere la sua personalità eclettica. Diciottenne si imbarca per l’America sul mercantile Cleveland ma non era il “classico” emigrante diseredato. Scrive Enrico Deaglio: “era diverso dal dago (dispregiativo usato in America per identificare l’immigrato di origine latina) dalla pelle scura e dall’inglese smozzicato. Il ragazzo sapeva ballare. Sapeva indossare i vestiti, aveva imparato a Parigi. Era naturalmente elegante, parlava l’inglese, poteva sostenere una conversazione, scriveva poesie, amava comprare libri, leggerli e collezionarli”. Con queste credenziali arriva a New York il 23 dicembre del 1913. Certamente non è ancora il Rodolfo Valentino divo del cinema, e probabilmente neanche pensava di fare l’attore; d’altronde come avrebbe potuto proprio lui che da ragazzino veniva soprannominato “pipistrello” per il suo aspetto poco piacevole.

Nella città americana dissipa i suoi averi in frivolezze e si vede presto costretto a lavorare. Fa il cameriere e il giardiniere, e tutto quello che guadagnava lo investiva per continuare nella sua passione: la danza. Ogni giorno frequentava una sala da ballo e presto diviene un taxi dancer, un ballerino pagato da signore per far coppia con loro. La danza diventa sempre di più il suo mondo, e inizia a pensare in grande; sembra che scrivesse lettere utilizzando la carta intestata del lussuoso hotel newyorkese Waldorf Astoria per dimostrare alla famiglia di aver ottenuto un successo repentino, successo che effettivamente non avrebbe tardato ad arrivare.

Rodolfo lascia New York per trasferirsi prima a San Francisco e poi ad Hollywood, dove grazie ad una rete di conoscenze fa il suo esordio, ventitreenne, nel cinema come comparsa nel film L’avventuriero. In California si fa chiamare prima Rodolfo di Valentina, poi Rudolph Valentino, e dopo una dozzina di pellicole in cui interpreta piccoli ruoli, un ballo stravolse la sua vita. Fu un tango a farlo diventare la prima star di Hollywood, il tango che apre I quattro cavalieri dell’Apocalisse, il film del regista Rex Ingram uscito nelle sale il 6 marzo 1923 tratto dall’omonimo romanzo di Blasco Ibáñez.

Il film lo trasforma in una celebrità ambita. Partecipa alla pellicola La Commedia Umana dello stesso regista, e La Signora delle Camelie in cui interpreta il ruolo di Armand. Il 1921 termina con un altro enorme successo grazie alla sua interpretazione nel film Lo sceicco, uscito il 20 novembre. Con il film Sangue e Arena per la regia di Fred Niblo del 1922 conferma la sua ascesa e viene “proclamato icona del sex appeal”.

Nel marzo dello stesso anno sposa in Messico Nataša Rambova, al secolo Winifred Shaughnessy Hudnut, una ricca ereditiera americana e un’artista eclettica. Un personaggio celebre nell’ambiente cinematografico, danzatrice, scenografa, costumista, sceneggiatrice e collezionista d’arte. Rodolfo aveva lavorato con lei sul set de La signora delle Camelie di cui era scenografa e costumista, inaugurando un sodalizio artistico-lavorativo che avrebbe avuto grandi successi.

Charlie Chaplin nella sua biografia scrive che Rodolfo Valentino, nonostante tutto, aveva sempre un’aria triste, schiacciato dal successo e con una scarsa fortuna con le donne, soprattutto le sue due mogli.

Rodolfo si era già sposato nel 1919 con Jean Acker, e anche questa unione fu infelice. Sia Jean Acker che Nataša Rambova facevano parte del celebre “clan di lesbiche” capeggiato dalla famosa attrice Alla Nazimova di cui entrambe le mogli di Rodolfo erano amanti.

Relazioni che servivano a proteggere le attrici dai pettegolezzi sui loro legami omosessuali e che dimostrano anche quanto Rodolfo Valentino fosse estremamente aperto rispetto alle diverse identità sessuali. Nataša Rambova, inoltre non era solo la moglie di Rodolfo ma anche il suo “boss”, capace di imporre con autorità le scelte artistiche e professionali di suo marito, ed è anche merito suo e delle sue conoscenze se Rodolfo Valentino tra il ’21 e il ’22 recita in ben 9 pellicole.

Dopo l’uscita de Il giovane Rajah di Phil Rosen, Rodolfo Valentino si trova a gestire non solo un successo enorme ma anche la pressione di produttori smaniosi di scritturarlo per nuovi lavori da un lato, e dall’altro la moglie che pretendeva di gestire il suo lavoro con modi autoritari. Decide così di prendersi una pausa dalla settima arte e di dedicarsi alla poesia intraprendendo un lungo viaggio in Europa che lo riporta in estate anche nella sua Castellaneta: è il 1923.

Tornato a Hollywood dopo il viaggio in Europa, nel 1924 lavora al film Monsieur Beaucaire del regista Sidney Olcott, esperienza che segna anche la fine della collaborazione e, da lì a poco, del rapporto sentimentale con la moglie Nataša Rambova. Un anno dopo, nel novembre 1925, escono L’aquila e Il cobra, l’unico film in cui il divo interpreta il ruolo di un italiano. Nella sua carriera era stato un gaucho argentino, un torero spagnolo, un cospiratore russo, uno sceicco arabo, e ora un nobile italiano. Sempre nel ruolo del seduttore e sempre straniero. Rodolfo Valentino era diventato il divo con il quale il cinema cominciò a orientare i desideri di milioni di persone in tutto il mondo.

Il suo incontestabile successo porta anche a toni e i giudizi esasperati su di lui. In Italia i suoi film erano quasi sconosciuti. I quattro cavalieri dell’Apocalisse viene proiettato solo nel 1923, a due anni di distanza dall’uscita negli States; sorte simile per un altro film di successo, Lo sceicco, uscito in America nel 1921 e in Italia nel 1924. Altre pellicole apparvero postume, e ciò a causa del risentimento della borghesia italiana verso gli emigrati, amplificato dalla richiesta fatta da Rodolfo Valentino di ottenere la cittadinanza americana. Inoltre, nell’Italia fascista, Benito Mussolini aveva imposto il proprio stile, “ovvio che Rodolfo Valentino, l’italiano più famoso d’America, non fosse benvoluto dal Duce. Troppo ambiguo, uno che se ne era andato in America e non era tornato per combattere” e, cosa ancora più grave, “non aveva fatto mistero di essere rimasto disgustato dall’uccisione di Giacomo Matteotti. Perciò il Duce aveva ordinato che dell’attore non si parlasse sui giornali e che i suoi film non fossero ben accolti”. Anche in America la stampa più retrograda lo critica aspramente: non sopportava che ad incarnare il sogno erotico di milioni di donne fosse un uomo entrato nella storia del cinema a passo di danza con la sua fragilità mediterranea e la sua eleganza effeminata, il contrario del cowboy macho, coraggioso e rude tanto caro agli statunitensi. Rodolfo subiva anche un altro tipo di pregiudizio, quello anti-italiano: “interpretò solo un ruolo di italiano, in un film minore. Negli altri film era russo, francese spagnolo e soprattutto arabo … Intervistato sul suo ruolo di arabo, difese questa cultura, mettendola in relazione con le sue origini meridionali”, una presa di posizione scomoda nei primi anni Venti, proprio mentre il Congresso approvava forme legislative che riducevano drasticamente le quote legali di immigrazione straniera. Ma il vero e proprio “caso Valentino” scoppia nel luglio del 1926, a causa del noto articolo diffamatorio apparso sul quotidiano Chicago Tribune dal titolo Piumino rosa cipria, in cui un anonimo, prendendo spunto dall’installazione di un distributore di cipria in un bagno pubblico per soli uomini scrisse:

“Una macchina che vende cipria! In un bagno maschile! Homo Americanus! Ma perché, ci si chiede, qualcuno, senza far troppo rumore, non ha annegato Rudolph Guglielmo, alias Valentino, anni fa? Davvero le donne amano questo tipo di “uomo” che si mette la cipria in un locale pubblico e si aggiusta la pettinatura in un pubblico ascensore? Hollywood è la scuola nazionale di mascolinità … Valentino è un piumino di cipria … Se il signor Valentino è il prototipo dei nuovissimi maschi d’America, meglio che il matriarcato trionfi. Meglio un mondo di donne virili che di uomini effeminati.”

Si era superato il limite e Rodolfo Valentino non può far finta di nulla. Sfida apertamente l’autore dell’articolo ad un incontro di boxe, ad accettare fu il giornalista sportivo del The New York Evening Journal Frank O’Neill, visto che nessuno della redazione del Chicago Tribune aveva rivendicato la paternità dell’editoriale. Rodolfo Valentino vince l’incontro disputato sul tetto dell’Hotel Ambassador di New York di fronte a decine di giornalisti. In quelle settimane l’attore stava compiendo una tournée promozionale del film Il figlio dello sceicco diretto da George Fitzmaurice, una sorta di sequel del film Lo sceicco del 1921. È l’ultimo film di Rodolfo Valentino. Il 15 agosto collassa nella sua camera d’albergo di New York e il 23 agosto 1926 alle 12:10 muore di peritonite dopo sette giorni di degenza al Polyclinic Hospital della stessa città. Aveva compiuto 31 anni da pochi mesi ed era all’apice della carriera.

Quando viene annunciata la sua morte ci sono scene di isterismo collettivo a New York. Di fronte alla Campbell’s Funeral Home, sotto una pioggia battente, ci sono disordini, cariche della polizia a cavallo, svenimenti (l’attrice Pola Negri, la diva del cinema di origine polacca e sua ultima amante perse i sensi ben tre volte), vetrate in frantumi, un’auto ribaltata, feriti, arresti, bimbi dispersi. Arrivano anche alcuni membri della Lega fascista del Nord America con una corona di fiori con su la scritta “From Benito Mussolini”, un tentativo disperato di impadronirsi della figura del divo. Ad impedirglielo furono i membri dell’alleanza antifascista con in testa Vittorio Vidali e Carlo Tresca. E poco importa se alcune delle camicie nere erano delle comparse della Campbell’s e che l’ambasciata italiana dichiarerà la propria estraneità all’iniziativa e negherà che il duce avesse mai ordinato una corona di fiori.

Ai suoi funerali, due, uno a New York e dopo il trasferimento del feretro in California a Hollywood, partecipano migliaia di persone. Nei giorni successivi più di 60 donne dichiarano di aspettare un figlio da lui e si parla di una trentina di suicidi legati in qualche modo alla scomparsa di Rodolfo Valentino.

Ripercorrere la vita di Rodolfo Valentino non è un’impresa facile, in questo articolo ho riportato le notizie ricavate dalla biografia scritta da Emilia Costantini Rodolfo Valentino. Il romanzo di una vita, i saggi raccolti in Rodolfo Valentino. Un mito dimenticato a cura di Angelo Romeo, il romanzo storico di Enrico Deaglio La zia Irene e l’anarchico Tresca, il libro scritto dal manager dell’attore S. George Ullman Valentino As I Knew Him e la puntata della trasmissione Wikiradio in cui Gianluca Favetto racconta Rodolfo Valentino e da cui ho preso il titolo di questo articolo.

Interessanti sono anche altri prodotti culturali e artistici che negli anni sono stati dedicati alla commemorazione del mito di Rodolfo Valentino come il testo Adagio dancer di John Dos Passos, i due film Valentino, il primo di Lewis Allen e il secondo di Ken Russell, e lo sceneggiato radiofonico in quindici puntate di Emilia Costantini con Raul Bova.

 

Uno spaccato di vita della città-diocesi di Castellaneta nel primo quarto del secolo XVI

Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna

 

Castellaneta

Domenico L. Giacovelli, Spicilegium Castaniense II

in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno VI, n° 8, 2019, pp. 235-252

 

 

ITALIANO

Una collettoria fatta redigere nel 1520 dal vescovo Marco Antonio Fiodo (1513-1536) per provvedere alla raccolta della decima permette – con l’abbondanza di riferimenti e particolari che la contraddistingue – di conoscere più direttamente uno spaccato della vita della città-diocesi di Castellaneta nel primo quarto del secolo XVI, si da far pensare alla somiglianza al genere dei verbali delle visite pastorali, della cui prassi, già prima del 1572 (anno della prima visita pastorale finora conosciuta in loco), riferisce un documento – in copia estratta successiva al 1533 – provvidenzialmente conservatosi tra le carte del Capitolo cattedrale.

 

ENGLISH

The bishop Marco Antonio Fiodo (1513-1536), in 1520, had drawn up a list in order to provide to the collection of the tithe. This document, full of references and details, allows us to know more directly a slice of life of diocese-city of Castellaneta in first quarter of XVI century, being similar to the models of reports of pastoral visits, whose routine procedure was recorded before 1572 (year of the first pastoral visit known so far on-site) in another document (whose certified copy was dated after 1533) that was providentially preserved at the Cathedral Chapter.

 

Keyword

Domenico L. Giacovelli, Castellaneta, Marco Antonio Fiodo

La Terra d’Otranto in immagini ultracentenarie (7/7): Taranto e Castellaneta

di Armando Polito

Taranto, via Garibaldi dal Mar piccolo
Taranto, città vecchia
Taranto, piazza Fontana
Taranto, arsenale marittimo

 

Immagine tratta ed adattata da Google Maps
Immagine tratta ed adattata da Google Maps
Taranto, arsenale militare marittimo: il bacino Principe di Napoli
Taranto Città nuova
Il ponte girevole per il passaggio dei bastimenti
Immagine tratta da https://www.laringhiera.net/taranto-apertura-straordinaria-del-ponte-girevole-6/
Castellaneta, ponte in ferro

 

Fu inaugurato nel 1868; per le vicende successive (il secondo rifacimento fu in muratura, l’ultimo in cemento armato) segnalo http://www.marklinfan.com/f/topic.asp?TOPIC_ID=3067.  Nell’immagine che segue, tratta da da  https://c1.staticflickr.com/3/2794/4281099737_85e6b80413_b.jpg, il ponte attuale (3° rifacimento) in cemento armato, progettato negli anni ’90, entrato in esercizio nel 2000. Doppio binario. il secondo era in muratura.

 

Per la prima parte (Ostuni e Carovigno): https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/11/19/la-terra-dotranto-in-immagini-ultracentenarie-1-7-ostuni-e-carovigno/

Per la seconda parte (Brindisi): https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/11/29/la-terra-dotranto-in-immagini-ultracentenarie-2-7-brindisi/?fbclid=IwAR0OADPSzNE2COdAuvd_k6liuSvLMxLbU7zjSXNyYaMay5s1-D7EXH-bMF8

Per la terza parte (Lecce): https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/12/03/la-terra-dotranto-in-immagini-ultracentenarie-3-7-lecce/

Per la quarta parte (S. Maria di Leuca e Otranto): https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/12/09/la-terra-dotranto-in-immagini-ultracentenarie-4-7-s-maria-di-leuca-e-otranto/

Per la quinta parte (Maglie, Gallipoli, Galatina, Soleto, Copertino e Leverano): https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/12/18/la-terra-dotranto-in-immagini-ultracentenarie-5-7maglie-gallipoli-galatina-soleto-copertino-e-leverano/

Per la sesta parte (Oria e Francavilla Fontana): https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/12/26/la-terra-dotranto-in-immagini-ultracentenarie-6-7-oria-e-francavilla-fontana/

 

Spicilegium castaniense, una raccolta di saggi su Castellaneta

Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna

 

Domenico L. Giacovelli, Spicilegium Castianense I

in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno V, nn° 6-7, 2018, pp. 379-411

ITALIANO

Spicilegium castaniense è una raccolta di saggi su Castellaneta. In questo numero:

  1. L’altare della Trinità nella Cattedrale di Castellaneta è un vero gioiello architettonico e storico-artistico,la cui storia attende ancora di essere ben narrata, essendo fra i più antichi titula dedicationis conosciuti nella chiesa. Il saggio, avvalendosi anzitutto della ricerca archivistica, traccia l’evoluzione delle forme artistiche del monumento fino al presente, con alcuni riferimenti al ruolo avuto da quel beneficio all’interno della economia della cittadina del tempo.
  2. Il vescovo Fiodo, esponente della nobiltà napoletana legata alla corte aragonese di Re Ferrante I, giunge a Castellaneta nel 1513, dopo essere stato a capo della abazia benedettina di San Renato in Sorrento. Il saggio ricostruisce alcuni minimi tratti della sua esistenza e permette di conoscere il suo stemma episcopale, sinora sconosciuto in loco.

III. Una querelle sorta fra i due conventi francescani di Castellaneta ha ad oggetto una immagine di sant’Antonio da Padova ed il culto ad essa tributato. La lettura degli atti della causa, sunteggiati dalla raccolta del Bullarium dei Cappuccini permette, oltre che di venire a conoscenza della vicenda di sapore tutto localistico, di raccogliere ulteriori dati circa la storia cittadina di quel periodo.

 

ENGLISH

Spicilegium castaniense is a collection of essays on Castellaneta. In this number:

  1. The Trinity altar in the Castellaneta Cathedral is a very important architectural, historical and artistic object,whose history is not yet completely written, despite it has one of the oldest titula dedicationis in that church. The study, based on archival research, describes the evolution of artistic forms of the monument, with some references to the role of altar in the economy of the community.
  2. The Bishop Fiodo, a member of the Neapolitan nobility linked to the Aragonese court of King Ferdinand I, came to Castellaneta in 1513, after being at the head of the Benedictine Abbey of San Renato in Sorrento. This study reconstructs some minimum characteristics of his life and allows to know his unknown Episcopal coat of arms.

III. A controversy between the two Franciscan monasteries in Castellaneta concerns an image of St. Anthony of Padova and its cult. The reading of the documents about that controversy, coming from the collection of Capuchin Bullarium, allows not only to know the event, but also to collect more data about the city’s history from that period.

 

Keyword

Domenico L. Giacovelli, Castellaneta, Altare della Trinità, Marco Antonio Fiodo, Francescani

Castellaneta non è solo Rodolfo Valentino (2/2)

di Armando Polito

Il terzo concorrente vittima, si fa per dire, del fascino di Rodolfo Valentino è Ignazio Della Croce (al secolo Ignazio Danisi). -Per forza!-  dirà impietosamente il lettore dopo aver visto il suo ritratto, che riproduco dal tomo XII della compilazione di Domenico Martuscelli Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Gervasi, Napoli, 1827.

ignazio della croce

La didascalia sintetizza tanto perfettamente la sua figura (teologo, oratore e poeta) che lascio parlare i frontespizi.

 

 

Definire intensa la sua attività di oratore sarebbe dir poco, tenendo conto della serie di sue orazioni pubblicate.

 

Il fratello minore Giovanni Giuseppe fu vescovo di Gallipoli dal 1792 al 1820. Se le date non parlassero chiaro, il solito malpensante direbbe che il vescovo non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di dare lustro alla sua chiesa invitandolo. Invece, mi piace credere che accanto alle ragioni per così dire professionali ci furono quelle sentimentali, insomma la nostalgia di quel Salento da cui pure lui, come tanti, era stato costretto (bisogna aggiungere: potendolo fare …) ad evadere per realizzarsi.1

 

E, dopo il teologo e l’oratore, veniamo al poeta. Ignazio fu membro dell’Accademia dell’Arcadia con il nome arcadico di Dasmone Andriaco e fondatore, in seno all’Arcadia, della colonia Aletina2.

Traduco il titolo: Il ritorno in Roma  e la nostalgia di Napoli, ecloga di Dasmone Andriaco pastore arcade. Recitata nel bosco Parrasio sul Gianicolo il 10 agosto dell’anno di recuperata salvezza (d. C.) 1757.
Per il bosco Parrasio vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/10/23/gli-emblemata-di-gregorio-messere-1636-1708-di-torre-s-susanna-13/.

Anche qui traduco: Poemi di Dasmone Andriaco pastore arcade  uno dei dodici uomini del collegio dell’Arcadia e vice custode della colonia Aletina. Ora di nuovo stampati con una nuova aggiunta dopo l’edizione veneta. Per Aletina vedi la nota n. 2.                                                                                                                                                                       

Un fascicolo conservato nell’Archivio Muratori della  Biblioteca Universitaria Estense a Modena contiene alcune lettere inviate dal Della Croce a Ludovico Antonio Muratori. Di seguito il terzo foglio della prima lettera (da Napoli, 18 settembre 1741) e nel dettaglio l’ingrandimento della sua firma.

Sarebbe facile abbandonarmi ora ad amare riflessioni sul concetto di merito, sapendo benissimo che anche nella conservazione della memoria concorrono elementi imponderabili, nel doppio senso di imprevedibili ma anche in quello originario di non pesabili, non valutabili, perché, soprattutto in confronto con altri, il loro peso, cioè la loro importanza nella storia dell’umanità è quasi irrisoria. Anche oggi vuoi mettere il peso delle gesta di un attore a confronto con quello di una battaglia condotta, non solo teoricamente, da un intellettuale ? Ma, mi domando in chiusura, forse dipende dal fatto che di attori ce ne sono tanti, di intellettuali veri, anzi di uomini degni di questo nome, forse, nessuno?

E così Castellaneta è ricordata come la patria di Rodolfo Valentino e non di almeno uno dei GiovinazzI o di Ignazio della Croce. Tutto sommato le è andata bene, perché Firenze, per esempio, rischia di essere ricordata non come la patria di Dante, ma di Matteo Renzi …

 

Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/06/22/castellaneta-non-solo-rodolfo-valentino-12/?preview_id=89783&preview_nonce=3640e2f39e&_thumbnail_id=89789&preview=true

 

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1 Fu Giovanni Giuseppe a comporre l’epigrafe sulla tomba di Ignazio nella Chiesa degli Agostiniani Scalzi alias della Verità a Napoli:

EGNATI A CRUCE/DISCALCEATORUM DIVI AUGUSTINI/SACERDOTIS PIETATE DOCTRINA MODESTIA/ADMIRANDI INTER SUOS ORNATISSIMI/ELOQUENTIA VERO ET SACRARUM LITERARUM/SCIENTIA CUM PAUCIS AETATIS SUAE/COMPARANDI EAQUE GRATIA INTER/SUMMOS CONCIONATORES ET REGI/NEAPOLIT(ANI) LICEI PRIMARIOS PROFESSORES/RELATI EHEU CINERES HEIC IOANNES/IOSEPH A CRUCE EIUSDEM ORDINIS/SACERDOS GERMANUS FRATER MINOR/INCONSOLABILIS CONDI VOLUIT/ANNO AERAE CHRISTIANAE/MDCCLXXXIIII (Le ceneri, ahimè,  di Ignazio Della Croce degli Scalzi di S. Agostino sacerdote ammirevole per religiosità,dottrina, modestia, tra quelli del suo tempo veramente più dotato dieloquenza e conoscenza degli argomenti sacri, paragonabile con pochi della sua età, anche per quella grazia tra i più grandi oratori  e i primari professori del liceo napoletano, io Giovanni Giuseppe Della Croce, sacerdote dello stesso ordine, fratello germano minore,inconsolabile volli che fossero qui riposte nell’anno dell’era cristiana 1784). Anche Giuseppe fu socio della colonia Aletina con il nome arcadico di Dossofilo. Per una sua orazione pubblicata nel 1771 vedi la nota successiva.

2 Della produzione dei soci della colonia Aletina dell’Arcadia ci restano parecchie pubblicazioni  (alcune successive alla morte di Ignazio avvenuta nel 1784). Ne riporto alcune interessanti anche nonin strettio rapporto con il tema di questo post. Tutti i frontespizi recano lo stemma della colonia. Nel cartiglio superiore si legge ARCADUM COLONIA ALETHINA (Colonia Aletina degli Arcadi), in quello inferiore il motto ET CANIT ET CANDIT ( (E canta e biancheggia; quasi un gioco di parole, con riferimento letterale al cigno e non al giglio (avete mai visto un giglio che canta?), come incredibilmente si legge nel Dizionario biografico Treccani nella scheda a firma di Serena Veneziani (http://www.treccani.it/enciclopedia/ignazio-della-croce_(Dizionario-Biografico)/), il che fa concorrenza ai monaci brasiliani dei quali ho avuto già occasione di parlare qualche anno fa (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/26/lettera-aperta-a-massimo-bray-titolare-del-mibac1/).

Visto il cigno con la zampogna, simbolo della poesia pastorale? Bene, rimane ora da chiarire Alètina (così dovrebbe essere letto correttamente), e sarà lo stesso frontespizio a farlo nel senso che la voce è una forma aggettivale,  trascrizione (attraverso un latino *alètina) del greco ἀληθινή (leggi alethiné)=veritiera. Provate a sottintendere chiesa ed avrete chiesa veritiera, che corrisponde al S. Maria della Verità che si legge nella riga successiva e che, dunque, non è altro che la traduzione di Aletina. La colonia, perciò, prese il nome da quello della chiesa napoletana.

A p. 53 c’è un sonetto di argomento sacro di Giuseppe Parini milanese P. A. In un primo momento ho credouto che l’abbreviazione dovesse essere sciolta in Padre Agostiniano e non in Pastore Arcade perché nel suo caso, ma anche in quello di altri manca la precisa indicazione, che correda i rimanenti  dell’appartenenza alla colonia Aletina, nonché il nome arcadico.  Oltretutto il Parini entrò nell’Arcadia nel 1777 con il nome arcadico di Darisbo Elidonio. È interessante, mi sono detto, l’ospitalità qui offerta ad un “estraneo” e, poiché per motivi stilistici non credo che si tratti di un imitatore per quanto abile, il fatto che questo ha consentito la conservazione di una poesia giovanile sconosciuta, almeno a me. Poi, scorrendo le pagine del testo, ho notato che l’abbreviazione P. A. ricorreva pure per altri autori per i quali era stato già specificato che si trattava di Agostiniani. Così è tornato in campo il primo scioglimento che retrodaterebbe
l’appartenenza del Parini all’Arcadia di almeno vent’anni. E che P. A. vada sciolto in Pastore Arcade lo conferma la stessa abbreviazione che compare nel terzo e quarto frontespizio di Ignazio.

Le pagine 12-27 contengono un’orazione di Giovanni Giuseppe Della Croce.

 

 

 

Per la prima parte: 

Castellaneta non è solo Rodolfo Valentino (1/2)

Castellaneta non è solo Rodolfo Valentino (1/2)

di Armando Polito

 

Se è comprensibile e scontato che un luogo diventi famoso (cioè, sostanzialmente, per associazione di idee, se ne parli) per aver dato i natali ad uno o più personaggi illustri, non sempre è agevole capire, soprattutto quando i candidati sono più di uno, le ragioni della scelta. Cercherò di farlo con Castellaneta, la graziosa cittadina in provincia di Taranto, famosa, come tutti sanno, per aver dato i natali a Rodolfo Valentino (1895-1926), in arte Rudy, uno dei divi internazionali del cinema muto e sex (o bisex …?) symbol dell’epoca. Basti pensare che la locuzione latin lover fu coniata proprio per lui; tutto bene, come sempre succede con l’antonomasia, finché si è in vita o, tutt’al più, per poco tempo pure dopo la morte. E così quella locuzione passò genericamente ad indicare chiunque col suo fascino di maschio (non dimentichiamo, però, il bisex precedente) riusciva a sedurre una donna dietro l’altra. Chiedo scusa per la rozzezza della definizione, perché, oltretutto, piuttosto variegata era la tipologia di  censo di questi autentici fenomeni, comprendendo tanto il multimiliardario (è la sottocategoria del playboy), quanto il muscoloso bagnino della costa romagnola, oggetto degli appetiti di bionde nordiche insoddisfatte dall’algido amante settentrionale. Ragioni culturali, climatiche, ormonali, magari interagenti fra loro? Siccome si è registrato (non so se con strumenti più seri di una semplice intervista) in questi ultimi decenni un calo spaventoso del desiderio, non mi meraviglierei che qualche estroso ricercatore universitario fosse stimolato (e sponsorizzato …) a cercarne la causa, concentrandosi, soprattutto, sul fattore culturale ed ormonale, visto che, per quanto riguarda quello climatico, il surriscaldamento del pianeta avrebbe dovuto provocare, specialmente qui in Salento, una deflagrazione di desiderio …

– Sì, ma chi sarebbero, per quanto riguarda Castellaneta, i concorrenti di Rodolfo Valentino ? – sbotterebbe a questo punto il lettore che mira al sodo. Se appartiene alla categoria degli amanti del gossip e del fatuo, assidui lettori di giornali scandalistici e di trasmissioni televisive che definire demenziali sarebbe un complimento, ha sbagliato sito e, se non vuole perdere tempo, gli conviene tornare al motore di ricerca e digitare una di quelle parole-chiave che sono la sua vita (gossip, Grande Fratello, corna, etc. etc.).

Agli altri dico subito che i concorrenti sono (anzi, sarebbero stati) tre e tutti  letterati del XVIII secolo, i primi due, addirittura, cugini, cioè Domenico Antonio e Vito Maria Giovinazzi. Mi limiterò a riportare di entrambi solo quelle notizie, paradossalmente meno note,  che sembrano gli elementi più adatti per avanzare candidature di quel tipo che poi si aggiudicherà (almeno fino ad ora …) il bel Rudy.

Domenico aiutò Johann Caspar von Goethe (1710-1782) nella stesura, direttamente in italiano, del suo resoconto del viaggio da lui compiuto in Italia alla fine degli studi. L’opera è una delle testimonianze di quella che nei secoli XVIII-XIX era una tappa obbligata della formazione dei giovani stranieri, naturalmente  di famiglia benestante, dell’epoca e che diede vita a quella vasta produzione letteraria celebrante il cosiddetto Grand tour. Il Viaggio in Italia (1740), questo è il titolo, sarà pubblicato per la prima volta nel 1932 a cura di Arturo Farinelli dalla Reale Accademia d’Italia a Roma. Domenico in casa Goethe insegnò pure l’italiano al figlio di Johann Caspar, destinato a diventare uno dei più famosi letterati tedeschi, Johann Wolfang, autore anche lui di un Italienische Reise (Viaggio in Italia) uscito in due volumi, il primo nel 1816, il secondo l’anno successivo. Ecco come Wolfang ricorda il suo maestro: Un italiano avanti negli anni e simpatico, maestro di lingua, di nome  Giovinazzi, lo aiutava in questo lavoro [la stesura del Viaggio in Italia]. Inoltre il vecchio cantava discretamente e mia madre aveva preso l’abitudine di accompagnarsi ogni giorno con lui  al pianoforte, sicché ben presto io venni a conoscere l’esistenza  di Solitario bosco ombroso, e lo imparai a memoria  prima ancora di capirne il significato.1

Nel'incisione del 1775 di Michael Wachsmuth: in alto Johann Caspar Goethe e Katharina Elisabeth Textor; in basso Johann Wolfgang
Nell’incisione del 1775 di Michael Wachsmuth: in alto Johann Caspar Goethe e Katharina Elisabeth Textor; in basso Johann Wolfgang
La famiglia Goethe (padre, madre e i figli Wolfang e Cornelia in un olio su tela del 1762 di Johann Conrad Seekatz conservato nel Goethe-Nationalmuseum, Weimar
La famiglia Goethe (padre, madre e i figli Wolfang e Cornelia) in un olio su tela del 1762 di Johann Conrad Seekatz conservato nel Goethe-Nationalmuseum, Weimar

 

Se Domenico non pubblicò nulla (il che non esclude che abbia scritto qualcosa, magari andata perduta), folto è invece l’elenco dei titoli di Vito Maria. Lascio parlare i frontespizi.


L’opera, che ebbe nello stesso anno una seconda edizione e numerose altre negli anni successivi, se fosse stato per il suo autore, non avrebbe mai visto la luce. Il merito della stampa va al papa Clemente IV e .. ad una  diatriba (non tutto il male viene per nuocere …) , che all’epoca ebbe una risonanza vastissima, tra il Giovinazzi ed i più insigni filologi romani del tempo che contestavano l’attribuzione a Livio da parte del salentino di alcune righe in latino non perfettamente cancellate in un palinsesto ebraico  che P. J. Bruns, amico di Vito Maria, stava studiando e che aveva sottoposto alla sua attenzione. Il papa nominò un’apposita commissione che sconfessò l’attribuzione a Cicerone fatta dai dotti romani e confermò senz’ombra di dubbio quella di Vito Maria, autorizzandone la pubblicazione.

Sempre di natura filologica fu una delle pochissime opere stampate volontariamente (se, a parte l’intervento di Clemente IV, amici ed ammiratori non avessero insistito in altre occasioni, ben poco ci sarebbe rimasto di lui); di seguito il frontespizio, non senza prima aver sottolineato la ritrosia del letterato a mettersi in mostra, sia pure attraverso uno scritto (razza allora rarissima, oggi estinta).

Poteva un filologo del suo calibro evitare di comporre poesie in latino, sia pure di natura encomiastica, secondo l’aspetto dominante della cultura dell’epoca? Certamente no; e lo mostra il frontespizio sottostante. Il lettore non si faccia fuorviare da Iuvenati, che è la traduzione latina di Giovinazzi.


Mi piace chiudere questa prima parte con il giudizio che su Vito Maria, all’epoca trentenne, espresse Girolamo Lagomarsini, uno dei massimi eruditi e latinisti di quegli anni, nell’edizione da lui curata delle opere dell’umanista Giulio Pogiani, dal titolo Pogiani Sunensis Epistolae et Orationes, Salomonio, Roma, v. II, 1757, p. 34: Harum litterarum exemplum debeo singulari Viti M. Giovenazzi S. J. humanitati, in quo Homine, etiaimnum Adolescente, praeter humanitatem, uti dicebam, singularem, ita summum ingenium, ac potissimum memoriae vis incredibilis,cum mirifica discendi cupiditate, et acerrima studendi contentione certat; tantumque iam multiplicis doctrinae, atque eruditionis instrumentum apparet, ut nisi qua forte rex (quod omen Superi avertant) eius Studiorum institutos cursus retardarit, nihil in ullo praeclarae Litteraturae genere tantum sit, quod non cum brevi assequuturum putent, qui sunt ipsi praeclare, ac cumulate Litterati (Debbo un esempio di questi studi letterari alla singolare umanità di Vito Maria Giovenazzi della Società di Gesù, nel quale uomo ancora giovane, oltre all’umanità, come dicevo, singolare, l’ingegno così alto e soprattutto la forza incredibile della memoria gareggiano con uno straordinario desiderio di apprendere e con un eccezionale sforzo di applicazione; e appare già un possesso tanto grande di molteplice dottrina ed erudizione che a meno  che per caso qualche evento (gli dei tengano lontana questa possibilità) ritardasse il corso prefissato dei suoi studi, non c’è nessun risultato in nessun genere di illustrissima letteratura tanto difficile che in breve non possa conseguirlo secondo il parere di coloro che sono essi stessi chiarissimamente e pienamente letterati).

Per la seconda partehttps://www.fondazioneterradotranto.it/2016/06/23/castellaneta-non-solo-rodolfo-valentino-12-2/

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1 Dichtung und Wahrheit, parte I, cap. I: Zeit verwendete er auf seine italiänisch verfaßte Reisebeschreibung, deren Abschrift und Redaktion er eigenhändig, heftweise, langsam und genau ausfertigte. Ein alter heiterer italiänischer Sprachmeister, Giovinazzi genannt, war ihm daran behülflich. Auch sang der Alte nicht übel, und meine Mutter mußte sich bequemen, ihn und sich selbst mit dem Klaviere täglich zu akkompagnieren; da ich denn das Solitario bosco ombroso bald kennen lernte und auswendig wußte, ehe ich es verstand.

Solitario bosco ombroso è un’ode per musica del poeta e librettista Paolo Rolli (1687-1765).

 

La Terra d’Otranto ieri e oggi (5/14: CASTELLANETA)

di Armando Polito

Il toponimo

L’umanista di Leverano Girolamo Marciano (1571-1628) nell’opera postuma Descrizione, origine e successi della provincia d’Otranto uscita la prima volta per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855 (pag. 436): Più oltre miglia tre è la città di Castellaneta, la quale nei tempi antichi si chiamava Castanea, Castanum, e Castanetum, appresso fu detta Castrum Lilium, Castrum Munitum, e finalmente, corrottosi il nome, Castellanitum, e Castellanetum. (pag. 437): Stefano, autor Greco, la chiama Castanea, così dicendo: Ἔστι καὶ Καστανία, διὰ τοῦ ι, πόλις πλησίον Τάραντος, cioè: Est et Castania per i Urbs prope Tarentum … Discacciati i Goti dalla provincia, fu di nuovo riedificata nella sua piccola forma che oggi si vede da Lilio famoso capitano di Giustiniano Imperadore, e nomata Castrum Lilium, e Castrum Munitum, e col tempo corrottosi il nome, Castellanitum e Castellanetum.

Cercherò ora di mettere un po’ di ordine in questa trattazione a prima vista piuttosto confusa. Secondo il Morciano la forma più antica è Castanea (da leggere Castànea o Castanèa?; lo vedremo dopo) trascrizione latina del Καστανία del grammatico greco Stefano di Bisanzio (fine del V secolo d. C.), autore di Ethnikà, opera dalla quale (edizione August Meinek, Reimer, Berlino, 1849, v. I, pag. 366) riporto, traduco e commento l’intera glossa: Κασταναία, [πόλις Θετταλίας.] Εὔδοξος δὲ διὰ τοῦ Θ φησί. [Λυκόφρον] “καὶ Κασταναίαν ἀκτέριστον ὲν πέτραις”. Τὸ ἐθνικνὸν Κασταναῖος. Ἔστι καὶ Καστανία διὰ τοῦ ι πόλις πλησίον Τάραντος. Τὸ ἐθνικνὸν Καστανιάτης.

Traduzione: Castanàia, [città di Tessaglia.]Eudosso invece dice (che si scrive) col Θ. [Licofrone] “e Castanàia sopraelevatissima tra le rocce”. L’etnico (è) Castanàio. C’è anche Castanìa (scritta) con la ι, città vicino Taranto. L’etnico (è) Castaniàte.

Lasciando da parte la città della Tessaglia, Morciano rende, dunque, con il latino Castanea il greco Καστανία. Ritorno sul problema dell’accento di Castanea che avevo lasciato in sospeso dicendo che, se dovessimo rispettare l’accento greco, dovremmo leggere Castanèa (da un più fedele, rispetto all’originale greco, Castanìa), se quello latino Castànea (da Castània), come succede per l’italiano filosofia che segue l’accento dell’originale greco (φιλοσοφία) e non della sua trascrizione latina (philosòphia).

Qualunque sia l’accento, la parola in questione potrebbe essere connessa con il nome comune κασταναία (leggi castanàia) che significa castagna e ci potrebbe essere l’allusione, tanto per la città greca quanto per la nostra, ad un bosco di castagni. Il Morciano non lo dice espressamente ma non credo sia casuale il fatto che abbia messo insieme Castanea, Castanum e Castanetum1, ben separati dai successivi, anche in senso cronologico, Castrum Lilium, Castrum Munitum, Castellanitum e Castellanetum.

Soffermerò ora la mia attenzione su questo secondo gruppo. Messo da parte il presunto bosco di castagni, qui il protagonista è diventato Lilio il cui ricordo nel toponimo sembra sbiadire col passare del tempo: prima Castrum Lilium (Fortezza Lilio), poi Castrum Munitum (Fortezza ben dotata) e poi, sostituito castrum con il suo diminutivo castellum, Castellanitum e Castellanetum.

Il primo gruppo comporterebbe un’origine greca forse antica del toponimo, il secondo un’origine latina e più recente e, anche se Castrum Lilium venne realmente costruita sulle rovine di Castanea, il Cast– in comune, per quanto ho detto, sarebbe assolutamente casuale.

Ai toponimi tramandatici dal Morciano e quale probabile padre di Castellaneta va aggiunto il Castrum Aneti attestato in Guglielmo Apulo (XI-XII secolo), Gesta Roberti Wiscardi, III, 673-678:

Non sine militibus multis petit ipse Tarentum;/protinus obsessum terraque marique recepit./Hinc positis castris Castellum victor Aneti/obsidet. Inde Petrum comitem miserabilis angit/anxietas, quia visa duci fortuna favere/est inimica sibi, pacem veniamque requirit./Dux per legatos, quos miserat ille, relegat,/ut sibi cum Trano Castellum donet Aneti;/ni dabit ista, frui non pace merebitur eius.

(Non senza molti soldati egli  [Roberto il Guiscardo] marcia alla volta di Taranto; subito la riconquista dopo averla assediata per mare e per terra. Qui il vincitore, posto l’accampamento, assedia il Castello di Aneto. Poi una miserevole ansia tormenta il conte Pietro [Pietro II] e poiché sembra che la fortuna, a lui ostile, arrida al duca, chiede la pace e il perdono. Il duca tramite gli ambasciatori che gli aveva mandato gli ordina di donargli con Trani  il Castello di Aneto; se non glieli darà non meriterà di godere della sua pace)

Quest’ultima testimonianza complica ulteriormente le cose perché se Aneto è da intendersi come nome comune (è irrilevante il fatto che nel codice compaia con l’iniziale maiuscola e che in latino aneto sia anethum, dal greco ἄνηθον?), vale a dire quello dell’essenza vegetale simile al finocchio, Castellaneta potrebbe essere in connessione con la sua abbondanza in loco, almeno nel passato.

Pacichelli (A, pag. 164)

Pacichelli (C, anno 1686 e 1687)

Ubbidisce Acquaviva al Prencipe Mari Genovese, padrone anche della terra di Gioia, pocomen che infelice, e della città di Castellaneta, feconda di manna, pece, incenso, olivi et altri doni di natura, mal però fabricata.

Di buon’ora, dopo dodeci miglia, mi raffrescai alla Regal Cavallerizza in Avignone e in casa del marchese di Sant’Eramo Caracciolo, regalato di vino e frutta da Don Gioseppe, suo cappellano. Per altre 18 la sera all’occhio di Castellaneta, città del Principe di Acquaviva, con infelici fabriche quasi alle falde di un colle.

immagine tratta ed adattata da Google Maps
immagine tratta ed adattata da Google Maps
immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Paese_vecchio.jpg
immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Paese_vecchio.jpg

1   Duomo/Cattedrale o Chiesa di S. Nicola (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Cattedrale-cast.jpg)

2 Palazzo del Vescovo (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Palazzo_Vescovile.jpg)

3 Palazzo del Barone (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Palazzo_Baronale.jpg)

 

4  S. Chiara/via V. Emanuele 115-117 (mappa/immagine tratta ed adattata da Google Maps)

Chi avrebbe immaginato (tantomeno le dirette interessate…) che il ricordo della presenza delle Clarisse qui sarebbe stato offuscato dal Museo dedicato a Rodolfo Valentino (1895-1926)? Sull’argomento: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/11/rodolfo-valentino-e-s-chiara/

 

5   S. Domenico (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Chiesa_S._Domenico.jpg)

 

9   Cappuccini/S. Francesco (mappa/immagine tratta ed adattata da Google Maps)

 

10    S. Michele (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Chiesa_S._Michele.jpg)

 

11  S. Maria del pesco/S. Maria del pesco o Maria Santissima Assunta o Santa Maria della Luce (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Chiesa_dell%27Assunta.jpg)

 

12    Madonna del soccorso/Madonna dell’aiuto (mappa/http://it.wikipedia.org/wiki/File:Chiesa_Madonna_dell%27Aiuto.jpg)

 

Nell’ordine: (dalla mappa) gli stemmi delle famiglie De Mari e Doria; Carlo I De Mari (1624-1697) aveva sposato nel 1653 Geronima Doria e nel 1666 aveva acquistato Castellaneta che alla sua morte passerà al figlio Carlo II; (da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Castellaneta-Stemma.png) lo stemma attuale.

(CONTINUA)

Prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/19/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-114-presentazione/

Seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/23/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-214-alessano/

Terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/05/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-314-brindisi/

Quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/01/09/la-terra-dotranto-ieri-414-carpignano/

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1 Il lettore avrà notato che il Morciano non cita le fonti da cui ha probabilmente tratto i toponimi. Scoprirlo è impresa ardua e posso dire solo che Castanetum ricorre nel Chronicon breve Northmannicum de rebus in Iapygia et Apulia gestis in Graecos (1041-1085) di ignoto autore  (cito dall’edizione del Muratori tratta da un codice, probabilmente degli inizi del XVI secolo, dell’archivio della curia vescovile di Nardò, nella Patrologia del Migne serie II tomo CXLIX, 1853, colonne 1085 e 1086 ):

Anno 1064. Robertus comes cepit Materam in mense Aprili; et mense Junio Goffridus comes comprehendit Castanetum. Et mense Septembri mortuus est Malgerus comes, et deinde mortuus est in Tarento Guilielmus comes eius. Anno 1067. Mabrica cum exercitu magno Graecorum fugavit Northmannos, et iterum intravit Brundisium, et Tarentum. Postea ascendit super Castanetum, et recepit eam.

(Nell’anno 1064 il conte Roberto prese Matera nel mese di aprile; e nel mese di giugno il conte Goffredo prese Castaneto. E nel mese di settembre morì il conte Malgero e poi morì in Taranto il suo conte Guglielmo. Nell’anno 1067 Mabrica con un grande esercito di greci mise in fuga i Normanni e di nuovo entrò in Brindisi e Taranto. Poi salì su Castaneto e la riconquistò).

Anno 1080. Robertus dux intravit iterum Tarentum, et Castanetum.

(Nell’anno 1080 il duca Roberto entrò di nuovo in Taranto e Castaneto).

Rodolfo Valentino e S. Chiara

di Armando Polito

immagine tratta ed adattata da Google Maps
immagine tratta ed adattata da Google Maps

 

Avrei potuto dare un altro titolo a questo post, per esempio: Il sacro e il profano oppure Il diavolo e l’acqua santa. Appartendo, però, anch’io alla schiera infinita dei peccatori, ho ceduto alla tentazione di poter avere qualche lettore in più con un accostamento che potrà apparire addirittura sacrilego per chi ancora crede nei miti, umani o religiosi che siano …

Continuando sul gioco dei contrasti, propongo dopo l’immagine di testa, che è in tutta evidenza recente, un’altra risalente al 1703.

È la mappa di Castellaneta che Giambattista Pacichelli (1634-1695), storico romano, inserì ne Il Regno di Napoli in prospettiva, opera in tre volumi1 uscita postuma a Napoli per i tipi di Perrino nel 17031. L’ho tratta direttamente dal secondo volume in cui l’abate romano presenta, oltre a Castellaneta, altri centri di Terra d’Otranto, corredandone per alcuni la trattazione con  le relative mappe. Siccome al peggio non c’è mai limite, avverto i lettori che ad essi ho dedicato un lavoro che, se il responsabile del sito sarà generoso nei miei confronti come fino ad ora è sempre stato, sottoporrò prossimamente, a puntate, a coloro che vorranno continuare a privilegiarmi della loro lettura. Gli amici di Castellaneta, perciò, oggi non se la prendano più di tanto: ritornerò a parlare della loro meravigliosa cittadina e, sparata la cartuccia a pallettoni (!), il prossimo colpo sarà a salve …

So che gli appassionati di queste cose (e gli amici di Castellaneta sono, per evidenti motivi logistici, favoriti) si precipiteranno, se non l’hanno già fatto, ad operare il raffronto con lo stato attuale dei luoghi. Non voglio frenare gli entusiasmi ma, per quel poco che ho capito studiando le altre mappe (e non solo del Pacichelli), sono giunto alla conclusione (e il discorso vale soprattutto per il nostro abate) che esse sono un misto tra mappe “attuali” e mappe storiche, nel senso che ho l’impressione (e restringo il discorso alla nostra) che essa non rappresenti fedelmente lo stato dei luoghi qual era alla fine del XVIII secolo, ma costituisca l’adattamento, l’elaborazione e forse solo l’aggiornamento parziale di una carta più antica. Si tenga conto, poi, che neppure nelle mappe più fedeli o presunte tali la rappresentazione dei dettagli (per esempio, del profilo delle fabbriche) rispecchia le forme reali, anche perché la loro rappresentazione (case e chiese in primis) sembra seguire stereotipi convenzionali. A ciò si aggiungano pure le trasformazioni che inevitabilmente i luoghi hanno subito in più di tre secoli (basti pensare al criminale sventramento dei centri storici massicciamente perpetrato a partire dal secolo XIX e continuato per buona parte di quello appena trascorso) e ci si renderà conto che ogni ricostruzione storico-topografica inevitabilmente presenterà, più di qualsiasi altra, difficoltà, ombre e dubbi.

Tutto questo, però, non condiziona minimamente, anzi facilita le riflessioni che seguono.

È aperto da tempo il dibattito circa il dovere di preservare per noi ma ancor più per coloro che verranno ciò che rimane (ed è immenso) del già immenso patrimonio culturale che abbiamo avuto la fortuna di ereditare e si pone il problema di dare una valenza di rientro economico ai notevoli investimenti che l’intervento protettivo (Pompei docet) richiede. Le proposte (ahimè, solo quelle …) non mancano e ce ne sono di tutti i tipi: dalle valide alle bizzarre, dalle utopistiche alle demenziali.

In assenza di un piano sistematico si vivacchia con iniziative isolate che talora (raramente, perché non è facile conciliare interessi diversi) riscuotono apprezzamento incondizionato, più spesso suscitano, nel migliore dei casi, perplessità di vario genere.

Lascio al lettore giudicare il nostro caso, cioè la decisione di utilizzare la fabbrica dell’ex convento delle Clarisse come sede del museo dedicato a Rodolfo Valentino. La mia opinione sui miti di ogni tipo l’ho già espressa, dunque non mi scandalizzo affatto sulla nuova destinazione d’uso, tanto più che essa dovrebbe garantire almeno l’ordinaria manutenzione di una fabbrica destinata, come tante altre, ad un degrado esiziale.

Non mi scandalizza neppure più di tanto che la gigantografia di Rodolfo si contrapponga, sia pure per fini pubblicitari contingenti, all’immagine della Madonna (o della Santa?; non cambia nulla di nulla) nella nicchia in alto; in fondo, l’appartenenza a due sfere diverse (la terrena e la divina) risulta rispettata (l’icona umana al piano terra, la divina al piano elevato che già le apparteneva e dal quale fortunatamente non è stata sfrattata …), anche se malignamente debbo riconoscere che un Rodolfo collocato in alto avrebbe avuto un impatto visivo drasticamente inferiore.

Mi scandalizzerei, però, se una nuova destinazione d’uso, magari fra un secolo, dovesse servirsi dell’ex convento delle Clarisse, poi Museo Valentiniano, per ospitare una tappa dell’Erotica tour o di qualche manifestazione consimile della nostra miseria. Mi consola solo il fatto che, per motivi naturali, scandalizzarmi sarà impossibile perché, oltretutto, la volontà muore con noi.

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1 Leggibili e scaricabili rispettivamente da

http://books.google.it/books?id=sFRTAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:Z4HnoiVoGbYC&hl=it&sa=X&ei=Z1snUtHmGe6h7AaU1oCACQ&ved=0CEEQ6AEwAg#v=onepage&q&f=false

http://books.google.it/books?id=ulRTAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:Z4HnoiVoGbYC&hl=it&sa=X&ei=Z1snUtHmGe6h7AaU1oCACQ&ved=0CDUQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false

http://books.google.it/books?id=wVRTAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:Z4HnoiVoGbYC&hl=it&sa=X&ei=Z1snUtHmGe6h7AaU1oCACQ&ved=0CDsQ6AEwAQ#v=onepage&q&f=false

 

Musei diocesani pugliesi scrigni di ricchezze

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di Giuseppe Massari

Nel panorama culturale pugliese ci sono delle testimonianze e delle realtà che non si può fare a meno di visitare. Tra i tanti doni naturali che la Puglia possiede, e che ha gratuitamente ricevuto in dono,  ci sono quelli costruiti da mani esperte ed umane. Sono immagini sacre, quadri, sculture di santi, reliquiari, paramenti ed arredi sacri. Un corredo enorme che costruisce e ricostruisce la storia della Chiesa pugliese. Che fa da cornice e da sfondo ad una storia scritta, ma non sufficientemente conosciuta. Un bagaglio culturale di enorme spessore, interesse e bellezza attraverso il quale si sono cimentati pittori e artisti di fama mondiale, ripercorrendo in lungo e in largo la sacralità, la spiritualità, la fede della nostra regione.

Questi ricchi contenitori di arte ed espressività, intonati e sintonizzati con le corde del cuore, sono i molteplici musei diocesani sparsi dal nord al sud della Puglia.

Ma in realtà quanti sono? In una prima ricostruzione, fatta alcuni anni fa, dalla Commissione per la cultura della Conferenza episcopale pugliese,  e sfociata in una pubblicazione che ha visto la luce circa cinque anni fa,  “Guida dei Musei diocesani di Puglia”, essi assomano ad un numero pari a 17. Va detto subito che sono fra i più importanti e i più ricchi per contenuti di oggetti espositivi. A questo elenco vanno aggiunti quelli definiti ecclesiatici, cioè sempre di proprietà della Chiesa, ma più, per quanto riguarda la gestione, di natura privata o privatistica.

Tutti, comunque, in ugual misura, contribuiscono ad integrare il già vasto patrimonio architettonico delle nostre chiese romaniche, gotiche e barocche.

Tutti questi cimeli, uniti indissolubilmente alle storie di ogni singola cattedrale o chiesa locale, sono il miglior viatico, il migliore mezzo per portare la Puglia oltre i suoi limitrofi e lontani confini. Essi svolgono una funzione turistica di indubbio valore, se è vero, come è vero, che la sete del sapere e del conoscere non può non passare attraverso le bellezze che racchiudono il sacro, il divino, il trascendente, il culto, la fede, la tradizione, la specificità di un messaggio autentico e non artefatto, in mezzo al confusionismo moderno o della modernizzazione dissacrante, blasfema ed iconoclasta.

Nell’economia di questi tesori viventi vanno aggiunti i cassetti della memoria spolverata o impolverata degli Archivi. Altre miniere di ricchezza di documenti, di racconti particolari, curiosi, metodici, puntuali dello svolgimento della vita della Chiesa, con gli atti ufficiali dei molteplici vescovi che hanno abitato le sedi episcopali. La vita dei Capitoli cattedrale. Le particolarità raccontate dei vari personaggi storici, che hanno contribuito a scrivere ogni fetta e parte di storia locale. Forse, con l’eccezione e la dovuta distinzione, però, va evidenziato come i musei, per la loro capacità di farsi guardare e ammirare sono mete ambite da molti.

Gli archivi, sono luoghi di studio, riservati a pochi, a cultori, ad appassionati di ricerche, e, quindi, meno esposti ai visitatori occasionali e di passaggio. Ma gli uni e gli altri non differiscono dall’ essere punti centrali d’incontro e di partenza per lo studio di ogni realtà particolare. Gli uni e gli altri insieme per assolvere a quella funzione di supporto propagandistico e promozionale del nostro territorio.

Non potendo elencare tutti i tesori contenuti nelle strutture museali diocesane, quanto meno, ci è sembrato opportuno, riportare, grazie all’ausilio di un recente studio, elaborato attraverso una Tesi di Licenza in Museologia, curata dal giovane Giorgio Gasparre e discussa presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, presso la Città del Vaticano, nell’Anno accademico 2004 – 2005, l’elenco aggiornato di tutti i musei che insistono nelle varie diocesi pugliesi.

 

 

Provincia di Lecce

Ÿ         Museo Diocesano d’ arte sacra dell’ Arcidiocesi di Lecce: Comune: Lecce- Diocesi: Lecce- Sede: Palazzo del seminario, piazza Duomo- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, a pagamento.

Ÿ         Museo Diocesano di Otranto: Comune: Otranto- Diocesi: Otranto- Sede: palazzo Lopez, piazza della Basilica- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro. 

Ÿ         Museo Diocesano di Gallipoli: Comune: Gallipoli- Diocesi: Nardò-Gallipoli- Sede: ex Seminario Vescovile- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto a pagamento. 

Ÿ         Museo Diocesano di Ugento: Comune: Ugento- Diocesi: Ugento- Santa Maria di Leuca- Sede: Palazzo del Seminario- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In progettazione.

 

Provincia di Brindisi

Ÿ         Museo Diocesano “Giovanni Tarantini”: Comune: Brindisi- Diocesi: Brindisi- Ostuni- Sede: chiostro del Palazzo del Seminario- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In allestimento. 

Ÿ         Museo Diocesano di Oria: Comune: Oria- Diocesi: Oria- Sede: Palazzo Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto a richiesta. 

 

Provincia di Taranto

Ÿ         Museo Diocesano di Taranto: Comune: Taranto- Diocesi: Taranto- Sede: ex Seminario Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra-Proprietà: diocesano. Prossima apertura.

Ÿ         Museo Diocesano di Castellaneta: Comune: Castellaneta- Diocesi: Castellaneta- Sede: ex Seminario Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In progettazione.

Provincia di Bari

Ÿ         Museo Diocesano della Basilica Cattedrale di Bari: Comune: Bari- Diocesi: Bari- Bitonto- Sede: Arcivescovado- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Diocesano: Pinacoteca Mons. A. Marena e Lapidario romanico: Comune: Bitonto- Diocesi: Bari- Bitonto- Sede: Palazzo Vescovile- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Capitolare della Cattedrale di Gravina di Puglia: Comune: Gravina di Puglia- Diocesi: Altamura- Gravina- Acquaviva delle Fonti- Sede: Seminario Vecchio- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: Capitolo della Cattedrale di Gravina di Puglia- Aperto, offerta libera.

Ÿ         Museo Diocesano della Cattedrale di Altamura: Comune: Altamura- Diocesi: Altamura- Gravina- Acquaviva delle Fonti- Sede: Matronei della Cattedrale- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In progettazione.

Ÿ         Museo Diocesano di Monopoli: Comune: Monopoli- Diocesi: Conversano- Monopoli- Sede: Ex Seminario- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, a pagamento.

Ÿ         Museo Diocesano di Bisceglie: Comune: Bisceglie- Diocesi: Trani- Barletta- Bisceglie- Sede: Palazzo Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro.

Provincia di Barletta- Andria- Trani

Ÿ         Museo Diocesano di Trani: Comune: Trani- Diocesi: Trani- Barletta- Bisceglie- Sede: piazza Duomo- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso.

 

Provincia di Foggia

Ÿ         Museo Diocesano di Foggia: Comune: Foggia- Diocesi: Foggia- Bovino- Sede: Chiesa dell’ Annunciata- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro.

Ÿ         Museo Diocesano di Bovino: Comune: Bovino- Diocesi: Foggia- Bovino- Sede: Castello di Bovino- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Diocesano di San Severo: Comune: San Severo- Diocesi: San Severo- Sede: ambiente ipogeo di via vico freddo- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Diocesano di Lucera: Comune: Lucera- Diocesi: Lucera- Troia- Sede: Episcopio- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, a pagamento.

Ÿ         Museo Diocesano del tesoro della Cattedrale di Troia: Comune: Troia- Diocesi: Lucera- Troia- Tipologia: artistico- arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro.

Le foto a corredo di questo articolo riprendono alcuni dei beni esposti nel Museo Diocesano di Gallipoli

Musei diocesani pugliesi scrigni di ricchezze

 

 

di Giuseppe Massari

Nel panorama culturale pugliese ci sono delle testimonianze e delle realtà che non si può fare a meno di visitare. Tra i tanti doni naturali che la Puglia possiede, e che ha gratuitamente ricevuto in dono,  ci sono quelli costruiti da mani esperte ed umane. Sono immagini sacre, quadri, sculture di santi, reliquiari, paramenti ed arredi sacri. Un corredo enorme che costruisce e ricostruisce la storia della Chiesa pugliese. Che fa da cornice e da sfondo ad una storia scritta, ma non sufficientemente conosciuta. Un bagaglio culturale di enorme spessore, interesse e bellezza attraverso il quale si sono cimentati pittori e artisti di fama mondiale, ripercorrendo in lungo e in largo la sacralità, la spiritualità, la fede della nostra regione.

Questi ricchi contenitori di arte ed espressività, intonati e sintonizzati con le corde del cuore, sono i molteplici musei diocesani sparsi dal nord al sud della Puglia.

Ma in realtà quanti sono? In una prima ricostruzione, fatta alcuni anni fa, dalla Commissione per la cultura della Conferenza episcopale pugliese,  e sfociata in una pubblicazione che ha visto la luce circa cinque anni fa,  “Guida dei Musei diocesani di Puglia”, essi assomano ad un numero pari a 17. Va detto subito che sono fra i più importanti e i più ricchi per contenuti di oggetti espositivi. A questo elenco vanno aggiunti quelli definiti ecclesiatici, cioè sempre di proprietà della Chiesa, ma più, per quanto riguarda la gestione, di natura privata o privatistica.

Tutti, comunque, in ugual misura, contribuiscono ad integrare il già vasto patrimonio architettonico delle nostre chiese romaniche, gotiche e barocche.

Tutti questi cimeli, uniti indissolubilmente alle storie di ogni singola cattedrale o chiesa locale, sono il miglior viatico, il migliore mezzo per portare la Puglia oltre i suoi limitrofi e lontani confini. Essi svolgono una funzione turistica di indubbio valore, se è vero, come è vero, che la sete del sapere e del conoscere non può non passare attraverso le bellezze che racchiudono il sacro, il divino, il trascendente, il culto, la fede, la tradizione, la specificità di un messaggio autentico e non artefatto, in mezzo al confusionismo moderno o della modernizzazione dissacrante, blasfema ed iconoclasta.

Nell’economia di questi tesori viventi vanno aggiunti i cassetti della memoria spolverata o impolverata degli Archivi. Altre miniere di ricchezza di documenti, di racconti particolari, curiosi, metodici, puntuali dello svolgimento della vita della Chiesa, con gli atti ufficiali dei molteplici vescovi che hanno abitato le sedi episcopali. La vita dei Capitoli cattedrale. Le particolarità raccontate dei vari personaggi storici, che hanno contribuito a scrivere ogni fetta e parte di storia locale. Forse, con l’eccezione e la dovuta distinzione, però, va evidenziato come i musei, per la loro capacità di farsi guardare e ammirare sono mete ambite da molti.

Gli archivi, sono luoghi di studio, riservati a pochi, a cultori, ad appassionati di ricerche, e, quindi, meno esposti ai visitatori occasionali e di passaggio. Ma gli uni e gli altri non differiscono dall’ essere punti centrali d’incontro e di partenza per lo studio di ogni realtà particolare. Gli uni e gli altri insieme per assolvere a quella funzione di supporto propagandistico e promozionale del nostro territorio.

Non potendo elencare tutti i tesori contenuti nelle strutture museali diocesane, quanto meno, ci è sembrato opportuno, riportare, grazie all’ausilio di un recente studio, elaborato attraverso una Tesi di Licenza in Museologia, curata dal giovane Giorgio Gasparre e discussa presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, presso la Città del Vaticano, nell’Anno accademico 2004 – 2005, l’elenco aggiornato di tutti i musei che insistono nelle varie diocesi pugliesi.

 

 

Provincia di Lecce

Ÿ         Museo Diocesano d’ arte sacra dell’ Arcidiocesi di Lecce: Comune: Lecce- Diocesi: Lecce- Sede: Palazzo del seminario, piazza Duomo- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, a pagamento.

Ÿ         Museo Diocesano di Otranto: Comune: Otranto- Diocesi: Otranto- Sede: palazzo Lopez, piazza della Basilica- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro. 

Ÿ         Museo Diocesano di Gallipoli: Comune: Gallipoli- Diocesi: Nardò-Gallipoli- Sede: ex Seminario Vescovile- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto a pagamento. 

Ÿ         Museo Diocesano di Ugento: Comune: Ugento- Diocesi: Ugento- Santa Maria di Leuca- Sede: Palazzo del Seminario- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In progettazione.

 

Provincia di Brindisi

Ÿ         Museo Diocesano “Giovanni Tarantini”: Comune: Brindisi- Diocesi: Brindisi- Ostuni- Sede: chiostro del Palazzo del Seminario- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In allestimento. 

Ÿ         Museo Diocesano di Oria: Comune: Oria- Diocesi: Oria- Sede: Palazzo Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto a richiesta. 

 

Provincia di Taranto

Ÿ         Museo Diocesano di Taranto: Comune: Taranto- Diocesi: Taranto- Sede: ex Seminario Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra-Proprietà: diocesano. Prossima apertura.

Ÿ         Museo Diocesano di Castellaneta: Comune: Castellaneta- Diocesi: Castellaneta- Sede: ex Seminario Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In progettazione.

Provincia di Bari

Ÿ         Museo Diocesano della Basilica Cattedrale di Bari: Comune: Bari- Diocesi: Bari- Bitonto- Sede: Arcivescovado- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Diocesano: Pinacoteca Mons. A. Marena e Lapidario romanico: Comune: Bitonto- Diocesi: Bari- Bitonto- Sede: Palazzo Vescovile- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Capitolare della Cattedrale di Gravina di Puglia: Comune: Gravina di Puglia- Diocesi: Altamura- Gravina- Acquaviva delle Fonti- Sede: Seminario Vecchio- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: Capitolo della Cattedrale di Gravina di Puglia- Aperto, offerta libera.

Ÿ         Museo Diocesano della Cattedrale di Altamura: Comune: Altamura- Diocesi: Altamura- Gravina- Acquaviva delle Fonti- Sede: Matronei della Cattedrale- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- In progettazione.

Ÿ         Museo Diocesano di Monopoli: Comune: Monopoli- Diocesi: Conversano- Monopoli- Sede: Ex Seminario- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, a pagamento.

Ÿ         Museo Diocesano di Bisceglie: Comune: Bisceglie- Diocesi: Trani- Barletta- Bisceglie- Sede: Palazzo Vescovile- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro.

Provincia di Barletta- Andria- Trani

Ÿ         Museo Diocesano di Trani: Comune: Trani- Diocesi: Trani- Barletta- Bisceglie- Sede: piazza Duomo- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso.

 

Provincia di Foggia

Ÿ         Museo Diocesano di Foggia: Comune: Foggia- Diocesi: Foggia- Bovino- Sede: Chiesa dell’ Annunciata- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro.

Ÿ         Museo Diocesano di Bovino: Comune: Bovino- Diocesi: Foggia- Bovino- Sede: Castello di Bovino- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Diocesano di San Severo: Comune: San Severo- Diocesi: San Severo- Sede: ambiente ipogeo di via vico freddo- Tipologia: archeologico, artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, gratuito.

Ÿ         Museo Diocesano di Lucera: Comune: Lucera- Diocesi: Lucera- Troia- Sede: Episcopio- Tipologia: artistico, arte sacra- Proprietà: diocesano- Aperto, a pagamento.

Ÿ         Museo Diocesano del tesoro della Cattedrale di Troia: Comune: Troia- Diocesi: Lucera- Troia- Tipologia: artistico- arte sacra- Proprietà: diocesano- Chiuso per restauro.

Le foto a corredo di questo articolo riprendono alcuni dei beni esposti nel Museo Diocesano di Gallipoli

Salento terra di santità. I Servi di Dio di Carpignano, Casarano, Castellaneta, Castrì, Ceglie, Cisternino e Copertino

di fra Angelo de Padova

 

Fra Francesco da Carpignano, pio, osservante delle Sante leggi, caritatevole, obbediente, devotissimo all’Immacolata. Morto il 1°marzo 1645. Frate minore.

Fra Gaetano di San Francesco da Casarano, distintosi per le virtù dell’obbedienza, povertà e carità. Morto a Oria il 10 agosto 1785. Frate minore.

Fra Bartolomeo da Castellaneta, morto l’11 settembre 1652. Ottimo predicatore e devotissimo alla Madonna del Carmelo. Frate minore.

Suor Cherubina Perrone di Castellaneta morta nel 1682. Morta con l’odore soave della santità.

Fra Primaldo Marulli da Castrì: rifulse per la carità e la regolare osservanza. Morto il 16 febbraio 1854. Frate minore.

Venerabile F. Angelo Vitale da Ceglie,  nato il 26 novembre del 1595; morì

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