Spigolature bibliografiche sul Settecento letterario minore

di Paolo Vincenti

Il Settecento letterario meridionale è caratterizzato da una vasta produzione di scritture di viaggio, che costituiscono una non trascurabile fonte per la conoscenza di usi e costumi, economia, politica e religione, del nostro territorio durante il secolo dei Lumi. Molto si è scritto sull’apporto dato da questi documenti letterari compilati dai visitatori stranieri in trasferta nelle nostre terre. A voler dare una lettura trasversale di una simile messe letteraria, si offrono delle noterelle bibliografiche che legano insieme certe opere della letteratura odeporica settecentesca, con alcuni dei maggiori protagonisti di Terra d’Otranto che hanno informato di sé la seconda parte del secolo, culminata nella Rivoluzione Napoletana del 1799. Nello specifico, vengono trattati l’abate francese Richard de Saint-Non ed il suo Voyage pittoresque ou Description des royaumes de Naples et de Sicile. Si ripercorrono le tappe della travagliata genesi di quest’opera monumentale e i rapporti dell’abate con la corte borbonica napoletana e del suo editore Benjamin Delaborde con il canonico Annibale De Leo, attraverso un’opera poco conosciuta del Vescovo di Brindisi. L’opera di Saint Non si lega strettamente a quella di un altro viaggiatore, l’inglese Henry Swinburne, e cioè Travels in the Two Sicilies by Henry Swinburne in the Years 1777, 1778 e 1779,  attraverso un caso di furto letterario di cui si forniscono i dettagli. Lo Swinburne, a sua volta, è legato al Vescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro, attraverso il salotto culturale dell’ambasciatore inglese William Hamilton. Il Capecelatro, che fornisce allo Swinburne molto materiale per il suo libro, anche attraverso le ricerche malacologiche del naturalista Padre Antonio Minasi, era al centro di un vasto movimento culturale fra Taranto e Napoli a fine Settecento ed è complice e auspice delle opere di altri viaggiatori stranieri in Terra D’Otranto, quali il Conte svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins e gli scrittori tedeschi Friedrich Leopold Stolberg e Georg Arnold Jacobi.  Di furti letterari, e non solo, si potrebbe parlare allora, o anche di libere reinterpretazioni, con riferimento a certi scambi culturali, e di seguito se ne capirà il motivo.

 

Come si sa, con il termine Grand Tour si indica il viaggio di istruzione e di formazione, ma anche di divertimento e di svago, che le élites europee intraprendevano attraverso l’Europa fra Settecento e Ottocento. Protagonisti di questo vasto fenomeno, quegli intellettuali europei che percorrevano l’Europa, imbevuti di cultura classica e affascinati dalla bellezza dell’Italia nella quale essi vedevano la culla dell’arte e per esteso della civiltà mediterranea. Quando vengono avviati gli scavi archeologici a Pompei ed Ercolano, sotto il Re Carlo di Borbone nel 1748, il Grand Tour nel nostro Paese riceve un ulteriore incremento[1].

Fra i viaggiatori francesi, un posto di primissimo piano spetta all’Abate Jean-Claude Richard de Saint-Non(1727-1791), con il suo Voyage pittoresque ou Description des royaumes de Naples et de Sicile, un’opera consistente, molto citata in tutte le biografie, dalla travagliata gestazione. L’abate era un uomo di straordinaria cultura e un personaggio eclettico: erudito, pittore, secondo alcune fonti anche musicista, scrittore ed editore, con una grande passione per l’arte e per la storia[2]. Con Benjiamin Delaborde progettò una grande opera divisa in due parti, una dedicata alla Svizzera e una all’Italia, da pubblicare in un unico libro. Ma i progetti iniziali cambiarono, a causa di un parziale fallimento della prima uscita dell’opera. L’Abate di Saint Non fece il suo viaggio fra il 1759 e il 1761. Fra i suoi collaboratori, Jean Louis Desprez, pittore e architetto, che fu in Italia dal 1777 al 1784, prima di essere chiamato in Svezia alla corte del Re Gustavo III, dove rimase per il resto della vita. A lui si devono i bellissimi acquerelli che illustrano il Voyage del Saint Non[3]. Di tutti i suoi magnifici disegni, particolarmente degni di nota sono quelli che riproducono monumenti oggi non più esistenti, come la Madonna di Santa Croce di Barletta, l’antico assetto della Cattedrale di Trani, quello della Piazza Sant’Oronzo di Lecce[4].

Ma la collaborazione più importante di Saint Non, per quanto gravida di spiacevoli conseguenze, fu quella con Vivant Denon (1747-1825), autore di buona parte dei testi del libro, pittore di talento, egittologo e diplomatico in Russia, Svezia, Svizzera e a Napoli, autore del fondamentale Voyage dans la Haute e direttore del Louvre sotto Napoleone, che seguì nella campagna d’Egitto[5]. Il motivo per cui Denon si ritrovò fra gli autori del Voyage si deve al fatto che Saint Non, nel suo viaggio in Italia, si era fermato a Napoli e non conosceva le altre regioni meridionali. Affidò dunque a Dominique Vivant Denon l’incarico di compiere il viaggio alla volta di Sicilia, Calabria, Puglia. Questi riportò le sue annotazioni di viaggio, o come si diceva allora “impressioni”, che però l’abate non recepì in toto ma volle rimaneggiare e adattare a quello che era il suo precostituito disegno, soprattutto per conciliare il testo con le immagini realizzate da lui stesso e dai numerosi collaboratori. Fu così che Saint Non venne accusato di plagio da Denon, sebbene egli fosse il committente dell’opera e quindi in pieno diritto di utilizzare il materiale che aveva profumatamente pagato. Bisogna infatti aggiungere che lo sforzo finanziario sostenuto per la realizzazione dell’opera fu notevole, in ispecie dopo il primo insuccesso dell’iniziativa editoriale e le ingarbugliate vicende burocratiche che ne seguirono. Il risultato finale però fu notevole. Il Voyage viene pubblicato in 4 tomi e diviso in 5 grandi volumi in-folio, fra il 1781 e il 1786.

Il primo tomo è interamente dedicato a Napoli. Saint Non è prima di tutto colpito dall’arte e quindi riserva alla pittura, alla scultura e all’architettura la maggiore attenzione, anche per i suoi interessi personali di pittore e curatore d’arte; un posto importante è occupato dall’antropologia, ossia dall’osservazione degli usi e costumi del popolo napoletano. Importanza viene riservata anche al Vesuvio e quindi alla storia naturale. In questo, il Saint Non era influenzato senz’altro dal circolo culturale vicino alla corte borbonica che egli frequentava e che vedeva fra i principali promotori l’ambasciatore inglese William Hamilton, accreditato vulcanologo. Saint Non, da erudito e appassionato della civiltà classica, non può non riportare nelle sue descrizioni anche quanto dicono gli autori greci e latini e quindi la storia dei luoghi. Il tutto corredato dalle stupende vedute dei pittori, in primis Desprez. Il secondo tomo è dedicato alla Campania e agli scavi di Ercolano e Pompei, che in quel momento suscitavano l’interesse appassionato della comunità scientifica europea. Il terzo tomo è dedicato alla Magna Grecia. Si descrivono i monumenti di Puglia, Basilicata e Calabria, le colonne, le monete e le antiche vestigia della civiltà classica. Il quarto tomo è dedicato alla Sicilia. Dalla descrizione di Saint Non emerge buona parte della civiltà di Terra d’Otranto negli anni della dominazione borbonica. Più specificamente, nel terzo tomo, dedicato alla Magna Grecia, vi è la descrizione del viaggio da Napoli a Barletta (passando per Benevento, Lucera, Siponto, Manfredonia, Monte Sant’Angelo), da Canne a Polignano (passando per Canosa, Trani, Bisceglie, Bari, Mola e l’abbazia di San Vito), da Polignano a Gallipoli, attraverso la Terra d’Otranto (passando da Brindisi, Squinzano, Lecce, Soleto e Otranto), infine da Taranto sino ad Eraclea, passando per Metaponto, Bernaldo e Policoro, e giù fino alla Sicilia. Nel nostro territorio, l’autore si sofferma sul Castello di Brindisi, sul Chiostro dei Domenicani di Lecce, e poi su Maglie, Otranto, fino al Tallone d’Italia.

Come detto, però, la collaborazione con Denon sfociò in una denuncia di plagio. Alla base di questo inconveniente fu la rottura fra l’Abbè e il primo editore dell’opera, Benjamin de Laborde (1734-1794), compositore e storico della musica, uno degli uomini più influenti della corte di Luigi XV. Denon, forse sobillato dall’editore Laborde (deluso e amareggiato per essere stato escluso dal progetto), accusò Saint Non di essersi appropriato dei suoi testi, senza citarlo come autore, sebbene queste fossero le precise condizioni contrattuali sottoscritte dallo stesso Denon.

Ma ora lasciamo un momento il Saint Non per occuparci di un altro viaggiatore del Settecento nelle nostre contrade. L’inglese Henry Swinburne (1743–1803) pubblicò la sua opera Travels in the Two Sicilies by Henry Swinburne in the Years 1777, 1778, and 1779, in due volumi nel 1783-85, con una successiva edizione nel 1790, sul suo viaggio fatto in Calabria, Sicilia e Puglia tra il 1777 e il 1779. Il primo volume include cenni storici sul Regno di Napoli, tabelle riguardanti le dinastie, le monete, le unità di misura, le strade, le rotte e una descrizione geografica dei territori. Nel secondo volume, si sofferma sul territorio pugliese e, cosa che ci interessa più da vicino, su Terra d’Otranto. Nel suo viaggio era assieme alla moglie Martha Baker. L’opera è un documento veritiero della realtà delle province meridionali del Settecento, perché tratta di testimonianze raccolte sul campo dall’autore, si potrebbe dire in presa diretta. Di particolare interesse, il suo disappunto di fronte al barocco leccese e a quello che ne è il monumento simbolo, la Chiesa di Santa Croce, che derubrica a pessimo esempio di commistione fra stili diversi. Lo Swinburne detesta la città di Lecce e la sua architettura, però racconta gli aneddoti, le leggende, le tradizioni e le curiosità che raccoglie parlando con la gente del luogo[6].

Nella prima traduzione in francese dell’opera, nelle note, viene riportato proprio il diario di viaggio di Denon, prima ancora che questo fosse pubblicato da Saint Non, ossia dal legittimo proprietario. Le traduttrici francesi erano Mademoiselle de Kéralio e Madame de La Borde. Lo conferma lo stesso autore nella Prefazione alla seconda edizione: «Due signore hanno onorato il mio lavoro con traduzioni in francese: una è Mademoiselle de Kéralio, una stimata scrittrice di biografie; mentre l’altra è Madame de La Borde, l’amabile e compita moglie di un Fermier-General, ultimo cameriere personale di Luigi XV. La sua versione è elegante e stampata in uno stile molto bello da Didot. Suo marito, che ha pubblicato una storia della musica di grande valore, ha aggiunto due volumi di note per correggere le mie mancanze, dove credeva di averne trovate e per spiegare più dettagliatamente molti punti relativi alla storia, alla chimica e alla musica, che erano stati solo toccati. Ho adottato le sue correzioni dove le ho ritenute giuste e ho aggiunto le informazioni che ho ricevuto sulle Due Sicilie dopo la pubblicazione della prima edizione»[7].

Il marito della Laborde altri non è che il già citato editore Benjamin, il quale non si fece scrupoli di pubblicare il materiale inedito di Denon senza l’autorizzazione del legittimo proprietario. Ma c’è di più. In questo contesto si inserisce anche la figura del Canonico Annibale De Leo, Vescovo di Brindisi (1739-1814)[8].

Infatti, Laborde, quando era ancora coinvolto nel progetto editoriale del Voyage, invia una lettera al Canonico De Leo, il 2 agosto 1779. La lettera, che si trova presso la Biblioteca arcivescovile di Brindisi, viene pubblicata per la prima volta da Franco Silvestri (a lui segnalata dall’allora bibliotecario della “De Leo”, Rosario Jurlaro), nella sua edizione del Voyage Pittoresque[9]. In questa lettera, Laborde chiede al canonico De Leo di inserire un suo saggio su Brindisi all’interno dell’opera di Saint Non. Da questa lettera si rileva il fatto che Delaborde nel 1779 non solo era ancora coinvolto nella realizzazione dell’opera, ma anzi la riteneva interamente sua, o almeno, a sé stesso la accreditava nella missiva al presule brindisino, al quale chiedeva anche un’opera sulla “Vita di Pacuvio”, di cui il Denon gli aveva parlato[10]. Questo dimostra che l’impianto originale del Voyage doveva essere diverso e avvicinarsi di più ad un’opera collettiva, una raccolta di saggi di studiosi locali sul territorio dell’Italia Meridionale. Forse anche a questo cambio di impostazione si devono le divergenze fra il vero autore Saint Non e l’editore “millantatore” Delaborde. Non c’è la risposta di De Leo, così come all’interno dell’opera dell’abate francese non compare il saggio dello storico brindisino. Ciò ha portato gli studiosi a credere che De Leo avesse opposto un diniego alla richiesta di Laborde[11].

tavole di Castellan inserite nel testo Lettres sur l’Italie. Colonna di Brindisi

 

L’opera su Brindisi venne pubblicata autonomamente nel 1843[12].Vito Guerriero, il curatore dell’opera, che trova il manoscritto ancora inedito presso la Biblioteca e lo pubblica, spiega nell’Introduzione: «Si sapeva comunemente e con certezza, che il signor De la Borde, gentiluomo di Camera di Luigi XVI, ed autore del Viaggio pittoresco d’Italia, capitato in Brindisi, ebbe premura di trattare col prelato De Leo, come letterato di gran rinomanza. Tra le altre cose di cui si parlò nelle dotte lor conferenze, cadde discorso sopra una memoria inedita del detto De Leo, portante il titolo testé enunziato. L’importanza del soggetto mosse il signor De la Borde a chiederne la lettura, della quale gentilmente accordatagli fu invaghito in maniera che, come in attestazione di stima, pregò il De Leo ad essergli compiacente di dargli quello autografo, sulla parola di onore di farlo stampare in Parigi nel suo ritornarvi… la Memoria però, o per la morte di costui o per gli sconvolgimenti da lui trovati in Francia nel suo ritorno, non fu mai stampata né mai se ne poté sapere il destino»[13].

Il porto di Brindisi ritorna nell’opera pittorica di un altro viaggiatore straniero, val bene Jacob Philipp Hackert (1737-1807), con I porti delle Due Sicilie (prima versione stampata a Napoli nel 1792)[14]. Hackert era pittore di corte del re Ferdinando IV e in questa veste fu in Italia con molti incarichi come quello di supervisionare il trasferimento della collezione Farnese da Roma a Napoli. Ma l’incarico più prestigioso che ricevette dal re Ferdinando IV fu la commissione del famoso ciclo di dipinti raffiguranti i porti del Regno di Napoli. Le numerose vedute dei porti si articolano in tre gruppi suddivisi tra le vedute campane, pugliesi, calabresi e siciliane. Per eseguire i disegni preparatori, si recò in Puglia e in Campania. La serie comprende 17 quadri e si trova ancora oggi custodita presso la Reggia di Caserta, massima realizzazione artistica voluta dal Re Carlo di Borbone; vi sono raffigurati esattamente i porti di Taranto, Brindisi, Manfredonia, Barletta, Trani, Bisceglie, Monopoli, Gallipoli, Otranto[15].

Annibale De Leo, avviato agli studi dallo zio, Ortenzio De Leo, illustre giurista, storico e scrittore, di formazione napoletana, divenne Vescovo di Brindisi nel 1797. Importante il suo rapporto con il frate cappuccino Giovan Battista Lezzi, casaranese, suo Segretario e biografo, che divenne, alla morte di De Leo, primo bibliotecario della biblioteca arcivescovile di Brindisi, fondata da De Leo nel 1798 (e che a lui oggi è intitolata), che constava di circa seimila volumi[16].

Ma perché i lettori non pensino che abbiamo perso il filo della nostra narrazione, torniamo al manoscritto del vescovo di Brindisi richiesto da Delaborde. Non è vero che De Leo non spedì mai l’opera al Delaborde. In realtà, il francese dovette di questa venire in possesso. Infatti, Petra Lamers ci fa sapere dove andò a finire[17]. Il Laborde inserì alcuni estratti dell’opera di De Leo proprio nelle note sulla traduzione francese di Travels in the Two Sicilies di Swinburne, curata dalla moglie, per l’esattezza nel volume 2, da pag.249 a pag.262, dove si parla di Brindisi[18]. Ma nella descrizione e storia del porto di Brindisi, l’editore non fa riferimento al canonico De Leo. Ciò dimostra la abituale scorrettezza del Laborde, a tutto vantaggio dell’Abbè di Saint Non. Si può dunque parlare, in questo caso, di un furto letterario a danno del Saint Non, sebbene sia impari il confronto fra la sua opera e quella di Swinburne, anche perché diverso era l’intento. Scrive Franco Silvestri: «l’Inglese fa del suo libro una guida per i turisti eruditi, lo correda di scarse, scadenti e scialbe incisioni e di molte tariffe, orari di poste, elenchi di pesci, molluschi, prodotti del suolo, entrate doganali e dazi; il Saint Non vuole un libro che nessun viaggiatore potrà mai portarsi appresso, con i suoi grandi cinque volumi in folio del peso complessivo di circa mezzo quintale, e che vuol essere una summa di arte, di storia, di ricerche archeologiche, ed immagini preziosamente incise e stampate: lo spirito colto, raffinato, avido di bellezza del viaggio in Italia dei Francesi, è in evidente contrapposizione allo spirito pratico del Grand Tour inglese»[19].Tornando allo Swinburne, suo tramite per il viaggio in Italia era l’Ambasciatore inglese presso il Regno di Napoli, il già citato Sir William Hamilton. Il suo salotto culturale costituiva il centro di raccordo della intellettualità napoletana sotto Ferdinando IV. Sir William Hamilton (1730-1803), «uno dei primi tombaroli della storia», come lo definisce Angelo Martino in «Nuovo Monitore Napoletano»[20],era archeologo, diplomatico, antiquario e vulcanologo e pubblicò a Napoli Les Antiquités étrusques, grecques et romaines nel 176667. Egli, che aveva accesso agli scavi per via della sua alta funzione, non si fece scrupoli di impossessarsi di molti reperti archeologici, sia per motivi di studio che di prestigio personale. Da un furto letterario siamo passati ad un furto vero e proprio, o quanto meno ad appropriazione indebita e ricettazione. Lo stesso Goethe, che gli fa visita nella sua villa il 27 maggio 1787, all’ambasciatore che gli mostra orgoglioso la collezione di reperti archeologici, rendendosi conto che molti di questi provenivano dagli scavi di Pompei, consiglia di non diffondere la notizia del loro rinvenimento, perché potrebbe riceverne dei guai giudiziari. Cosa puntualmente avvenuta. Infatti, a causa delle sue frequenti e sospette visite sui siti, Hamilton viene deferito al Ministro Bernardo Tanucci, il quale fa arrestare l’informatore dell’Ambasciatore, non potendo incriminare Hamilton stesso. Hamilton evita la prigione, ma perora la causa del suo informatore presso il Re Ferdinando IV, il quale intercede con Tanucci per la liberazione dell’informatore. Molta parte di questo materiale archeologico viene trasferito da Hamilton presso il British Museum di Londra, dove si trova ancor oggi[21]. Indiscutibili invece i meriti scientifici dell’inglese, specie con riguardo alla sperimentale scienza della mineralogia[22].

Un altro frequentatore del circolo napoletano era l’Arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro, come informa Benedetto Croce[23]. Capecelatro fu il corrispondente culturale dello scrittore Swinburne, che lo menziona nelle note della sua opera: «Sono particolarmente grato a Monsignor Capecelatro, arcivescovo di Taranto; al Consigliere Monsignor Galliani; a Don Filippo Brigante Patrizio di Gallipoli; a Don Pasquale Baffi; a Don Domenico Cirillo; a George Hart, scudiero; a Padre Antonio Minasi, dell’ordine di San Domenico; a Don Domenico Minasi, arciprete di Molocchio; e a Don Giovanni Presta di Gallipoli»[24]. In particolare, Capecelatro fornì buona parte del materiale di cui lo Swinburne si è servito per la compilazione dei capitoli relativi alla Puglia.

Giuseppe Capecelatro (1744-1836), personaggio vastissimo ed eclettico, aveva fondato a Taranto una Accademia scientifica presso il Seminario Arcivescovile, intorno alla quale ruotavano molti studiosi delle più varie materie. Uomo di ampie vedute, contraddittorio, accusato di giansenismo, acceso anticurialista e regalista, molto dotto, imbevuto dello spirito illuminista del secolo, avversava la corruzione della chiesa e la superficialità con cui i prelati si approcciavano al sacro, ma nello stesso tempo si costruiva una favolosa villa a Portici, “Leucopetra”, dove riceveva il fior fiore della intellettualità e della nobiltà napoletana, dando costosi e raffinatissimi banchetti. Protetto dal potente Ministro Bernardo Tanucci, gli fu facile divenire arcivescovo di Taranto, a seguito di un mirabile cursus honorum. Fedele al re di Napoli ma sospettato di appoggiare la rivoluzione giacobina del 1799, venne anche arrestato; ritornato fedele ai Borbone ma pronto a passare al servizio dei napoleonidi durante il decennio francese (fu membro del Consiglio di Stato istituito da Giuseppe Bonaparte e addirittura da Murat nominato Ministro dell’Interno), per poi di nuovo rientrare nei ranghi, intrattenne rapporti con intellettuali e regnanti e con gli esponenti di spicco della politica europea, da Caterina II a Leopoldo di Toscana, da Gustavo III di Svezia ad Amalia di Weimar, da Goethe a Madame de Stael, da Herder a  Münter, da Swinburne a Lady Morgan, da Walter Scott ad Alessandro Verri. Dottore in utroque iure, poi ordinato sacerdote, influenzato nel suo acceso anticurialismo dalla lezione di Muratori e Giannone, tenne posizioni originali e spregiudicate, ai limiti dell’eresia, che gli costarono inimicizie, guai giudiziari e invidie. Si schierò spesso accanto al Governo Borbonico nella polemica giurisdizionalista contro la Chiesa. Coltivò svariati interessi eruditi e fu autore di molte opere. A Taranto si costruì una lussuosa residenza sul Mar Piccolo dove poteva dedicarsi alle sue speculazioni filosofiche[25].

Gino L. Di Mitri in un saggio apparso sulla rivista «L’Idomeneo»[26]dimostra come l’autore delle note zoo-geo-botaniche della famosa opera Deliciae tarentinae di Tommaso Niccolò D’Aquino, sia Padre Antonio Maria Minasi, domenicano, rigorosissimo scienziato di fede linneana, docente di botanica all’Università di Napoli, e frequentatore anche del circolo tarantino di Mons. Capecelatro per il quale compila una Memoria sui Testacei di Taranto classificati secondo il sistema del CH.Linneo (Napoli s.d. ma 1782), trattato che serviva a perfezionare quello precedente scritto dal Vescovo tarantino, vale a dire Spiegazione delle conchiglie che si trovano nel piccolo mare di Taranto (Napoli, 1780), spedito alla Zarina di Russia Caterina II. Poiché la Spiegazione era stata scritta molto frettolosamente in vista dell’invio in Russia e conteneva diverse imperfezioni, all’Accademia di Capecelatro si impose l’esigenza di riparare con un’opera più organica e completa. Di quest’opera, ufficialmente attribuita al Vescovo Capecelatro, Di Mitri restituisce al Minasi la paternità sulla base di riscontri oggettivi. Così pure le notizie di carattere malacologico contenute nel libro di Swinburne sono opera del domenicano di origini calabresi Minasi, che allo Swinburne venne introdotto certamente dall’arcivescovo tarantino. È lo stesso inglese che lo ringrazia nell’opera: « Ho ricevuto dal mio amico F.Ant Minasi la seguente lista di molluschi trovati in acque tarantine. L’ha messa su secondo il sistema di Linneo, a partire da un vasto assortimento di specie, che lui doveva classificare prima che fossero presentate dall’arcivescovo di Taranto all’Infante Don Gabriele»[27]. E segue la lunga lista dei molluschi. Dalla nota di Swinburne apprendiamo che il Capecelatro fosse intento alla compilazione di un altro trattato malacologico, auspice il Minasi, da inviare stavolta all’Infante Gabriele di Borbone, quarto figlio di Carlo III di Spagna e Maria Amalia di Sassonia. E vediamo come gli scambi letterari si intensifichino, man mano che procediamo nella trattazione.

Taranto nel 1789, Incis. da Hackert

 

Figura fondamentale, il Capecelatro, anche per altri viaggiatori stranieri come il Conte Carlo Ulisse De Salis Marschlins (1728-1800), svizzero, la cui opera è un caposaldo della letteratura di viaggio in Puglia. Egli percorre le nostre contrade nel 1789 e si dimostra fortemente interessato a tutti i nostri paesi. Si sofferma sugli aspetti economici della nostra terra, in particolare è interessato all’agricoltura, ovverosia alla coltivazione dell’olivo, della vite, del tabacco, degli agrumi. Pubblica per la prima volta le sue impressioni di viaggio in tedesco in due volumi a Zurigo nel 1790 e nel 1793. La prima pubblicazione del libro in lingua italiana viene fatta nel 1906,[28] con la traduzione di Ida Capriati De Nicolò, e poi viene più volte ripubblicato[29].

Il De Salis scruta il Salento con occhio attento e indagatore, analizza tutti i fenomeni sociali e di costume che osserva. Imbevuto dello spirito illuminista, si pone di fronte alle realtà locali con mente lucida e scientifica. Il De Salis conobbe nel 1788 a Taranto il Capecelatro, che lo accompagnò nel viaggio in Puglia[30]. De Salis era insieme ad un altro religioso, il noto scienziato veneto Alberto Fortis al quale si deve la scoperta delle nitriere di Molfetta, in particolare per lo studio del pulo[31]. L’Abate Fortis diede un impulso fondamentale al progresso degli studi naturalistici nel Regno di Napoli. Ma questo è un altro discorso[32].

È sempre l’arcivescovo Capecelatro che riceve a Taranto i viaggiatori tedeschi Stolberg e Jacobi, che ne riportano vivissima impressione e si dicono attratti dalla sua grande personalità. Il poeta Friedrich Leopold Stolberg (1750-1819) documenta il viaggio nel sud Italia nell’opera Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792, 4 voll., 1794, recentemente tradotta in italiano da Laura A. Colaci,[33] che scrive: «Dopo il viaggio nel Sud della Germania e della Svizzera col fratello e con Goethe, Stolberg ne intraprese uno più lungo in compagnia della moglie Sophie von Redern, del figlioletto, di G.A. Jacobi e G.H.L. Nicolovius attraverso la Germania, la Svizzera e l’Italia. Frutto di questo viaggio è il volume Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792. Viaggiò in Puglia dal 3 al 17 magio del 1792»[34]. Si tratta di un’opera epistolare, composta delle lettere che egli aveva inviato durante il suo soggiorno nel nostro Paese a vari corrispondenti tedeschi. Queste lettere però vennero rielaborate per la loro pubblicazione e ciò portò ad una certa stilizzazione, soprattutto in quelle che hanno un maggiore contenuto politico e religioso. Visitò Brindisi, Lecce, Otranto, Gallipoli. Il compagno di viaggio di Stolberg, Georg Arnold Jacobi (1768-1845), al ritorno pubblica Briefe aus der Schweiz und Italien nel 1796-7, una raccolta delle sue lettere inviate da Brindisi, Lecce e Gallipoli[35]. Sempre di un’opera epistolare si tratta, ma le lettere dello Jacobi sembrano essere quasi in presa diretta,  meno stilizzate di quelle del suo compagno di viaggio Stolberg, e soprattutto si nota in lui una minore componete polemica, pur essendo protestante e classicista anch’egli. È molto più critico però nei confronti del governo di Napoli e del malcostume che in quella città allignava. Mentre la prosa dello Stolberg è più accattivante, controllata e in qualche modo romantica, avendo egli rimaneggiato le lettere, quella dello Jacobi è più scarna e realistica. Entrambi i viaggiatori sono attratti dai resti dell’antichità classica, per cui, specie quando giungono in Puglia, a partire da Taranto, la loro attenzione si sofferma sulle influenze greche della nostra civiltà. Il classicismo di Stolberg però è filtrato dal cristianesimo. Questo lo porta a vedere l’Italia, e in particolare il Sud, in quanto più diretta emanazione di quella cultura, come una sorta di paradiso perduto che egli idealizza, dandone una visione edenica, certo lontana dalla realtà. «Pur vivendo nel clima del classicismo winckelmaniano, lo Stolberg è distante dall’idea di classico alla Winckelmann», scrive Scamardi[36].

Stolberg ripudia ogni idea dell’arte che non sia classica, per esempio il barocco leccese. «I ruderi classici evocano, sì, l’idea della caducità della vita umana, un elemento, questo, certo presente in tanta poesia sulle rovine della fine del Settecento, solo che lo Stolberg oppone la certezza della fede cristiana[…] In questo lo Stolberg anticipa non solo taluni stilemi di un certo romanticismo, ma anche un certo kitsh romantico»[37].

Questo può spiegare la grande fascinazione che la personalità così aperta del Capecelatro esercita sullo Stolberg, che ritrova «l’esperienza di un cattolicesimo illuminato nella persona dell’arcivescovo di Taranto, in cui intelligenza, senso dell’amicizia e dell’ospitalità, una vita vissuta in sintonia con la natura si fondono in un modello di fede cristiana (cattolica) in cui un protestante in crisi può più agevolmente ritrovarsi»[38].

Fermiamoci qui, con la speranza di avere assolto al meglio il compito prefissato e di non avere annoiato oltremisura i benevoli lettori.

Scritti di viaggio, religione, politica, arte, cultura, interessi eruditi, salotti mecenateschi fra la capitale e Terra d’Otranto fanno da contrappunto ad una stagione letteraria nel regno di Napoli, quella del Settecento meridionale, che se definire minore è appropriato nel raffronto con altre più dense di nomi altisonanti, tuttavia non può non dirsi viva ed interessante.

Note

[1] Si vedano fra gli altri, C. De Seta, L’Italia nello specchio del Grand Tour, in «Storia d’Italia», n. 5, Torino, Einaudi, 1982, pp.127-263 e G. SCianatico, Scrittura di Viaggio. Le terre dell’Adriatico, Bari, Palomar, 2007. Ma anche T. Scamardi, La Puglia nella letteratura di viaggio tedesca. Riedesel- Stolberg-Gregorovius, Lecce, Milella, 1987.

[2] Sull’Abate di Saint Non e sul Voyage, i testi consultati sono: F. Silvestri, Viaggio pittoresco nella Puglia del Settecento: dal Voyage pittoresque, ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, Milano-Roma, Carlo Bestetti Edizioni d’arte, 1977; P. Lamers, Il viaggio nel Sud del’Abbè de Saint-Non, Presentazione di Pierre Rosemberg, Napoli, Electa, 1992; Jean Claude Richard De Saint-Non, Viaggio Pittoresco, a cura di Raffaele Gaetano, Soveria Mannelli, Rubbettino 2009; Jean Claude Richard De Saint-Non in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, ad vocem.

[3]Su Jean Louis Desprez, fra gli altri: Jean Louis Desprez, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, ad vocem; F. Silvestri, Viaggio pittoresco nella Puglia del Settecento: dal Voyage pittoresque, ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, Milano-Roma, Carlo Bestetti Edizioni d’arte, 1977, pp.37-60; Jean Louis Desprez, in F. Fiorino, Viaggiatori francesi in Puglia dal Quattrocento al Settecento, Vol.VII, Fasano, Schena, 1993, pp.241-334.

[4] F. Silvestri, op.cit., p.44.

[5] Su Dominique Vivant Denon, fra gli altri:  Vivant Denon, in  Treccani.it  -Enciclopedie on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, ad vocem; F. Silvestri, op.cit., pp.31-33; Dominique Vivant Denon,  Lettere inedite a Isabella Teotochi Albrizzi, introduzione e note di Mario Dal Corso, Padova, Centro Stampa Palazzo Maldura, 1979 ( poi Padova, Alfasessanta, 1990); Id., Viaggio a Palermo, traduzione di Laura Mascoli, introduzione di Carlo Ruta, Palermo, Edi.bi.si., 2000; Id., Viaggio nel regno di Napoli, 1777-1778, traduzione e commento di Teresa Leone, Napoli, Paparo edizioni, 2001; Id., Calabria felix, traduzione di Antonio Coltellaro, Catanzaro, Rubbettino 2002; Id., Bonaparte in Egitto. Due cronache tra illuminismo e Islam, scelta e commento di Mammoud Hussein, traduzione di Vito Bianco, Roma, Manifestolibri, 2007.

[6] Sull’opera di Swinburne, si veda: A. Cecere, Viaggiatori inglesi in Puglia nel Settecento, Fasano, Schena, 1989, pp. 37ss.; Ead., La Puglia nei diari di viaggio di H. Swinburne, Crauford Tait Ramage, Norman Douglas, in «Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bari», Terza serie, 1989 -90/X, Fasano, 1993.

[7] Henry Swinburne, Viaggio Nel Regno Delle Due Sicilie negli Anni 1777, 1778 e 1779 (Sezioni XVII-XXXV) Viaggio da Napoli a Taranto, Traduzione e Introduzione a cura di Lorena Carbonara, Edizioni Digitali Del Cisva, 2010, p.12 (on line).

[8] Su De Leo, fra gli altri, R. Jurlaro, Annibale De Leo nella storia della storiografia italiana, in «Ricerche e Studi», a cura di Gabriele Marzano, n.1, 1964, Fasano, 1964, pp.29-30; G. Liberati, Annibale De Leo e la cultura del ‘700 in Brindisi, in «Brundisi Res», n.II, 1970, pp. 17-18; G. Perrino, Annibale De Leo teologo, storico, pastore, in «Brundisii res», n.VII, 1975, p.289; S. Palese, Seminari di Terra d’Otranto tra rivoluzione e restaurazione, in B.Pellegrino (a cura di), Terra d’Otranto in età moderna. Fonti e ricerche di storia religiosa e sociale, Galatina, Congedo, 1984, pp.121ss.

[9] F. Silvestri, Viaggio pittoresco nella Puglia cit.,p.61.  L’opera curata da Silvestri, edita la prima volta nel 1972, riproduce solo il tomo terzo che contiene il “Viaggio pittoresco della Magna Grecia”, suddiviso in 4 capitoli, con traduzione italiana e testo francese a fronte in stampa anastatica. Si veda anche P. Lamers, op.cit., p.33.

[10] Il riferimento è a Delle memorie di M. Pacuvio antichissimo poeta tragico dissertazione di Annibale de Leo, Napoli, nella Stamperia Raimondiana, 1763, unica opera pubblicata in vita dal Vescovo di Brindisi.

[11] F. Silvestri, op.cit., p. 62.

[12] A. De Leo, Dell’antichissima Città di Brindisi e Suo Celebre Porto. Memoria inedita di Annibale De Leo. Seguita da un articolo storico de’vescovi di quella chiesa compilato da Vito Guerriero Primicerio della Cattedrale della stessa Chiesa, per ordine dell’attuale Arcivescovo D.Diego Planeta come dalla pagina seguente, Napoli, dalla Stamperia della società Filomatea, 1846. Poi ripubblicato in ristampa anastatica in Id., Dell’antichissima Città di Brindisi e Suo Celebre Porto, a cura di Rosario Jurlaro, Bologna, Forni, 1984.

[13] A. De Leo, op.cit., p. IV, riportata anche in F. Silvestri, op.cit., p. 62.

[14] Su Jacob Philipp Hackert, si veda: Philipp Hackert, Dodici porti del Regno di Napoli, a cura di M. Vocino, Napoli, Montanino, 1980; A. Mozzillo, Gli approdi del Sud. I porti del regno visti da Philipp Hackert (1789-1793),Cavallino, Capone, 1989.

[15] La serie è stata in mostra, dal 20 giugno al 5 novembre 2017, presso la Sala Ennagonale del Castello di Gallipoli (Lecce).  L’esposizione, intitolata I porti del Re, a cura di Luigi Orione Amato e Raffaela Zizzari, è stata prodotta dal Castello in collaborazione con la Reggia di Caserta e il Comune di Gallipoli ( http: www.famedisud.it/il-sud-settecentesco-di-philipp-hackert-in-mostra-a-gallipoli-i-porti-…). Nel giugno 2018, si è tenuta a Brindisi la grande mostra: “Brindisi: Porto d’Oriente”, presso Palazzo Nervegna, dove è stato possibile “ammirare per la prima volta il celebre quadro ‘Baia e Porto di Brindisi’ che il vedutista prussiano Jakob Philipp Hackert realizzò nella seconda metà del ‘700 su incarico del re Ferdinando IV di Borbone. L’esposizione è stata organizzata nell’ambito del progetto ‘La Via Traiana’ e comprendeva una serie di opere che raccontano la storia della città attraverso alcune vedute del porto, fatte dai viaggiatori del ‘700” ( http:www.brundarte.it/2018/03/23/baia-porto-brindisi-jakob-philipp-hackert/).

[16] Ernesto Marinò attribuisce ad Ortenzio De Leo la paternità di un’opera su San Vito degli Schiavi, città natale di De Leo (Succinta Descrizione Storica sull’Origine e Successi della Terra di Sanvito in Otranto Provincia del Regno di Napoli Scritta nel 1768 Da N.N.) sottraendola ad Annibale De Leo, al quale era stata fino ad allora dai più attribuita, proprio sulla base di un documento del Lezzi, ovvero la sua opera Memorie degli scrittori salentini, nella quale, parlando del Vescovo Annibale De Leo e delle sue opere, il cappuccino attribuisce allo zio di Annibale, Ortenzio De Leo, la redazione della detta opera. E. Marinò Ipotesi sull’attribuzione del manoscritto sulla Storia di Sanvito del 1768,  in  «L’Idomeneo», Società Storia Patria Sezione di Lecce, n.5, Galatina, Edizioni Panico, 2003, pp.83-118. Strano che l’estensore dell’articolo, parlando di Giovan Battista Lezzi, non citi in bibliografia una delle fonti più autorevoli in merito, ossia Gino Pisanò (fra i vari contributi, G. Pisanò, Un informatore letterario de Settecento: G.B.Lezzi tra Puglia Napoli e Firenze, in Id., Lettere e cultura in Puglia tra Sette e Novecento (Studi e testi), Galatina, Congedo, 1994, pp.9-35).

[17] P. Lamers, op.cit., p.58.

[18] Ivi, p.36.

[19] F. Silvestri, op.cit., p.19.

[20] A. Martino, Un tombarolo illustre, Sir William Hamilton

http: www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?…sir-william-hamilton

[21] N. H. Ramage, Sir William Hamilton as collector, exporter and dealer, American Journal of Archaeology – luglio 1990, riportata da A. Martino  http: www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?…sir-william-hamilton

[22] Sull’ambiente intellettuale napoletano che ruotava attorno all’ambasciatore inglese, si vedano: G. Doria (a cura di), Campi Phlegraei: Osservazioni sui vulcani delle Due Sicilie comunicate da Sir William Hamilton e illustrate da Pietro Fabris, Milano, Il Polifilo, 1964; C. Knight, Hamilton a Napoli. Cultura, svaghi, civiltà di una grande capitale europea, Napoli, Electa, 1990 (ristampa 2003); G. Pagano De Divitiis, V. Giura (a cura di), L’Italia nel secondo Settecento nelle relazioni segrete di William Hamilton, Horace Mann e John Murray, Napoli, ESI, 1997; Aa.Vv., The Hamilton papers. Carte donate alla società di storia patria, Napoli, Associazione Amici dei Musei di Napoli, 1999.

[23] B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, vol.II, Bari, Laterza, 1943, pp.158-182.

[24] H. Swinburne, op.cit., p.13, nota 13.

[25] Su Giuseppe Capecelatro, fra gli altri, B. CROCE, Uomini e cose della vecchia Italia, Vol. II, Bari, Laterza, 1943, pp.158-182; M. Zazzetta, Capecelatro,Giuseppe, in «Enciclopedia Cattolica», III, Città del Vaticano, 1949; N. Vacca, Terra d’Otranto. Fine Settecento inizi Ottocento (Spigolature da tre carteggi), Società Storia Patria Bari, 1966; P. Stella, Capecelatro, Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, XVIII, Treccani, Roma,1975, pp. 445-452; C. Laneve, Le visite pastorali di mons. Giuseppe Capecelatro nella Diocesi di Taranto alla fine del Settecento, in «Ricerche di storia sociale e religiosa», 13, 1978, pp.195-226; G. Peluso, Giuseppe Capecelatro arcivescovo di Taranto e ministro di due re, in «L’Arengo», n.III, Taranto, 1980, pp.197-221; V. De Marco, La Diocesi di Taranto nel Settecento: 1713-1816, Roma, Edizioni Storia e Letteratura, 1990; A. Pepe, Il clero giacobino: documenti inediti, I, I riformatori: Capecelatro, Rosini, Serrao, Napoli, Procaccini, 1999; D. Pisani, Note bio-bibliografiche su Giuseppe Capecelatro, in G. Capecelatro, Discorso istorico-politico dell’origine, del progresso, e della decadenza del potere de’ chierici su le signorie temporali con un ristretto dell’istoria delle Due Sicilie (rist. anastatica), Taranto, 2008; S. Vinci, Giuseppe Capecelatro (1744-1836). Un arcivescovo tra politica e diritto, in «Archivio Storico Pugliese», n.LXV , Società di Storia Patria per la Puglia Bari, 2012, pp.41-78; ecc.

[26] G. L. Di Mitri, Il vero autore del commentario scientifico alle «Delizie tarantine», in  «L’Idomeneo», n.3, Società Storia Patria Puglia sezione di Lecce, Lecce, Edizioni Panico, 2000, pp.69-90.

[27] H. Swinburne, op.cit., p.85, nota72.

[28] C. U. De Salis Marschlins, Nel Regno di Napoli: viaggi attraverso varie province nel 1789, Trani, Vecchi, 1906.

[29] Fra gli altri, in C. U. De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, Galatina, Congedo, 1979, con Introduzione di Tommaso Pedio, e in Id., Viaggio nel Regno di Napoli – che riproduce la prima traduzione italiana di Ida Capriati De Nicolò -, a cura di Giacinto Donno, Lecce, Capone, 1979 e 1999, e ancora in Id., Nel Regno di Napoli Viaggi attraverso varie provincie nel 1789, Avezzano, Edizioni Kirke, 2017.

[30] T. Scamardi, op.cit., p.82.

[31] Si veda, fra gli altri, M. Toscano, Alberto Fortis nel Regno di Napoli: naturalismo e antiquaria 1783-1791, Bari, Cacucci, 2004.

[32] Dell’Abate Alberto Fortis (1741 –1803),  letteratonaturalista e  geologo, religioso atipico, come il Capecelatro, citiamo solo l’opera più importante, ovvero il Viaggio in Dalmazia, in due volumi, stampato a Venezia nel 1774.

[33] Friedrich Leopold Graf Zu Stolberg, Reise In Deutschland, Der Schweiz, Italien Und Sizilien In Den Jahren 1791 Und 1792 1794 Viaggio In Germania, Svizzera, Italia e Sicilia negli anni 1791 e 1792 1794 Con traduzione italiana a cura di Laura A. Colaci, Edizioni Digitali Del Cisva, 2010 (on line).

[34] F.L. Graf Zu Stolberg, op.cit., p.1 (on line).

[35] C. Stasi, Dizionario Enciclopedico dei Salentini, Vol.2, Lecce, Grifo, 2018, p.1128; T. Scamardi, op.cit., pp.61-91.

[36] T. Scamardi, op. cit., p.76.

[37] Ivi, p.77.

[38] Ivi, p.91.

Viaggiatori tedeschi nel Sud Italia

di Paolo Vincenti

L’interesse dei tedeschi per il sud Italia parte da lontano. Già nel Cinquecento, Paul Schede detto Melissus (1539-1602) parlò di Rudiae negli Epigrammata in urbes Italiae del 1585 (1). Johann Heinrich Bartels (1761-1850) visita il Sud ma solo la Calabria e la Sicilia, verso la fine del Settecento, e documenta il suo viaggio nell’opera Briefe über Kalabrien und Sizilien. Dieterich, Göttingen 1787–1792 (2).
Nel Settecento, arrivano in Italia il Barone von Riedesel  e il pittore Jacob Philipp Hackert. Abbiamo già detto del tedesco Johann Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach (1740-1785) e del suo libro, Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann, che è, come dice il titolo, un’opera epistolare, diretta al famoso archeologo Winckelmann (3).

Diplomatico e ministro prussiano, Riedesel aveva conosciuto a Roma e frequentato il Winckelmann, il quale gli aveva fatto da guida nella esplorazione dei monumenti della città. Il suo libro divenne un punto di riferimento in Germania e fu molto letto, anche da Goethe, che lo elogia nella sua opera “Viaggio in Italia”, in cui sostiene di portarlo sempre con sé, come un breviario o un talismano, tale l’influenza che quel volume, per la puntigliosità e l’esattezza delle notizie, esercitava sugli intellettuali (4).

Jacob Philipp Hackert (1737-1807), nella sua opera pittorica I porti delle Due Sicilie (Napoli 1792) inserì i porti di Gallipoli e di Otranto. Il grande artista divenne pittore di corte del re Ferdinando IV di Napoli e in questa veste fu in Italia con molti incarichi come quello di supervisionare il trasferimento della collezione Farnese da Roma a Napoli. Fu amico di Goethe che scrisse di lui nella sua opera “Viaggio in Italia”. Ma l’incarico più prestigioso che il pittore ricevette dal re Ferdinando IV fu la commissione del famoso ciclo di dipinti raffiguranti i porti del Regno di Napoli.

Le numerose vedute dei porti si articolano in tre gruppi suddivisi tra le vedute campane, pugliesi, calabresi e siciliane. Per eseguire i disegni preparatori si recò così in Puglia e in Campania. La serie comprende 17 quadri e si trova ancora oggi custodita alla Reggia di Caserta; vi sono raffigurati esattamente i porti di Taranto, Brindisi, Manfredonia, Barletta, Trani, Bisceglie, Monopoli, Gallipoli, Otranto.

La serie è stata in mostra, dal 20 giugno al 5 novembre 2017, presso la Sala Ennagonale del Castello di Gallipoli (Lecce).  L’esposizione intitolata “I porti del Re”, a cura di Luigi Orione Amato e Raffaela Zizzari, prodotta dal Castello in collaborazione con la Reggia di Caserta e il Comune di Gallipoli, ha visto all’inaugurazione l’intervento dello storico dell’arte Philippe Daverio e del direttore generale della Reggia di Caserta, Mauro Felicori (5).
Nel giugno 2018, si è tenuta a Brindisi la grande mostra: “Brindisi: Porto d’Oriente”, a  Palazzo Nervegna, dove è stato possibile “ammirare per la prima volta  il celebre quadro ‘Baia e Porto di Brindisi’ che il vedutista prussiano Jakob Philipp Hackert realizzò nella seconda metà del ‘700 su incarico del re Ferdinando IV di Borbone. L’esposizione è stata organizzata nell’ambito del progetto ‘La Via Traiana’ e comprendeva una serie di opere che raccontano la storia della città attraverso alcune vedute del porto, fatte dai viaggiatori del ‘700” (6).
Anche lo scrittore Johann Wilhelm von Archenholtz (1741-1813), famoso politologo, era stato in Italia ma egli, pur essendo tedesco, aveva pubblicato un’opera intitolata England und Italien, nel 1785, nella quale contrapponeva i due paesi, appunto il Regno Unito e l’Italia, con due sistemi politici diversi, propendendo decisamente per l’Inghilterra. Tuttavia nelle critiche feroci che Wilhelm fa a Genova, Venezia, allo Stato della Chiesa e al Regno di Napoli, è facile scorgere una larvata accusa alla sua Germania (7).
Il poeta Friedrich Leopold Stolberg (1750-1819) nella sua opera Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792, 4 voll., 1794, documenta il suo viaggio nel sud Italia dove però manifesta una posizione anticlassica e irrazionalistica, che provocò la sdegnata reazione di Goethe.

L’opera è stata recentemente tradotta in italiano da Laura A. Colaci, che scrive: “Dopo il viaggio nel Sud della Germania e della Svizzera col fratello e con Goethe, Stolberg ne intraprese uno più lungo in compagnia della moglie Sophie von Redern, del figlioletto, di G.A. Jacobi e G.H.L. Nicolovius attraverso la Germania, la Svizzera e l’Italia.

Frutto di questo viaggio è il volume Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792. Viaggiò in Puglia dal 3 al 17 maggio del 1792”(9).  Si tratta di un’opera epistolare, composta cioè delle lettere che egli aveva inviato durante il suo soggiorno nel nostro Paese a vari corrispondenti tedeschi. Queste lettere però vennero rielaborate per la loro pubblicazione e ciò portò ad una certa stilizzazione, soprattutto in quelle che hanno un maggiore contenuto politico religioso. Egli visitò Brindisi, Lecce, Otranto, Gallipoli.

Il compagno di viaggio di Stolberg, Georg Arnold Jacobi (1768-1845), al ritorno dal suo viaggio pubblica Briefe aus der Schweiz und Italien nel 1796-7, ossia una raccolta delle sue lettere inviate da Brindisi, Lecce e Gallipoli.  Sempre di un’opera epistolare dunque si tratta, ma le lettere dello Jacobi sembrano essere più in presa diretta, ovverosia meno stilizzate, di quelle del suo compagno di viaggio Stolberg, e soprattutto si nota in lui una minore componete polemica, pur essendo protestante e classicista anch’egli. È molto più critico però nei confronti del governo di Napoli e del malcostume che in quella città allignava. Mentre la prosa dello Stolberg è più accattivante, controllata e in qualche modo romantica, avendo egli rimaneggiato le lettere, quella dello Jacobi è invece più scarna e realistica. Entrambi i viaggiatori comunque sono attratti dai resti dell’antichità classica, per cui, specie quando giungono in Puglia, a partire da Taranto, la loro attenzione si sofferma sulle influenze greche della nostra civiltà. Stolberg sente tutta la civiltà europea tributaria della cultura classica. Il suo classicismo però è filtrato dal cristianesimo. Questo lo porta a vedere l’Italia, e in particolare il Sud, in quanto più diretta emanazione di quella cultura, come una sorta di paradiso perduto che, con antesignano gusto romantico, egli idealizza, dandone una visione edenica, certo lontana dalla realtà. “Pur vivendo nel clima del classicismo winckelmaniano, lo Stolberg è distante dall’dea di classico alla Winckelmann”, scrive Scamardi (10).  Dunque egli ripudia ogni idea dell’arte che non sia classica, per esempio il barocco leccese. “l ruderi classici evocano, sì, l’idea della caducità della vita umana, un elemento, questo, certo presente in tanta poesia sulle rovine della fine del Settecento, solo che lo Stolberg oppone la certezza della fede cristiana[…] In questo lo Stolberg anticipa non solo taluni stilemi di un certo romanticismo, ma anche un certo kitsh romantico. Si può concordare, in definitiva, col giudizio di Helga Schutte Watt secondo la quale lo Stolberg in Italia ritorna ai fondamenti classici della cultura europea e della sua stessa formazione intellettuale e non solo non scorge alcun conflitto tra classicismo e cristianesimo, ma vede in quest’ultimo una forma di coronamento, di inveramento del primo” (11).

A Taranto sono ricevuti dal Vescovo Giuseppe Capecelatro, uomo di vastissima cultura, lo stesso che accompagnò il viaggiatore svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins (1728-1800 ) nel suo viaggio in Puglia. Come già Eberhard August Zimmermann (1743-1815), naturalista e geografo, che venne in Puglia su incarico del Regno di Napoli per studiare la nitriera naturale di Molfetta (12),  anche il conte svizzero era accompagnato dall’Abate Fortis e i suoi interessi principali erano volti all’agricoltura e all’allevamento. Abbiamo già detto del De Salis Marschlins, che pubblica per la prima volta le sue impressioni di viaggio in tedesco in due volumi a Zurigo nel 1790 e nel 1793.  La prima pubblicazione del libro in lingua italiana viene fatta nel 1906 (13),  con la traduzione di Ida Capriati De Nicolò (ottima traduttrice anche delle memorie di Janet Ross)(14), e poi viene più volte ripubblicato (15).


Lo storico Ferdinand Gregorovius (1821-1891) visse più di vent’anni in Italia, soprattutto a Roma. Pubblicò i suoi resoconti di viaggio in Italia nell’opera  Wanderjahre in Italien tra il 1856 e il 1877,  in cui fa una descrizione analitica, davvero minuziosa delle condizioni di vita del nostro popolo in quegli anni. Il suo è un interesse erudito, per cui alle note naturalistiche, si accompagnano le descrizioni artistiche e letterarie e soprattutto sociologiche. L’opera si compone di cinque volumi ed è nell’ultimo volume, con il titolo Apulische Landschaften, (Lipsia, F. A. Brockhaus, 1877) che si occupa del nostro territorio. Gregorovius venne in Puglia due volte, nel 1874 e 1875. La prima traduzione della sua opera è di Raffaele Mariano nel 1882 (16).  L’itinerario si snoda attraverso le città di Lucera , Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Andria, Castel del Monte, Lecce e Taranto.

“Il Gregorovius seguiva con interesse la ricezione della cultura tedesca in Italia e intratteneva rapporti cordiali con chiunque in qualche modo se ne occupasse. Ma è soprattutto la scuola filosofica hegeliana che attrae l’attenzione dello storico tedesco che, come è noto, aveva egli stesso studiato filosofia all’Università di Konigsberg. Fu proprio attraverso il Rosenkranz, suo maestro a Konisberg, che conobbe lo storico del cristianesimo e filosofo Raffaele Mariano, con cui oltre a compiere i viaggi in Puglia intrattenne sempre rapporti di amicizia. Il Mariano tradusse in italiano le  Apulische Landschaften. Nell’introduzione alla sua traduzione, nella quale il Mariano ricostruiva, attingendo alla pubblicistica meridionalistica di Pasquale Villari e Raffaele De Cesare, la situazione politico-sociale della Puglia, l’autore non nascondeva una certa animosità nei confronti dei pugliesi, che suscitò le forti proteste di Niccolò Brunetti…”. Così scrive Scamardi (17), che pubblica nel suo libro anche i Diari inediti di Gregorovius del secondo viaggio in Puglia (1875)(18).  Si rimproverava cioè al traduttore e quindi all’autore un punto di vista troppo “tedescocentrico”.

In realtà, Gregorovius dimostra grande interesse nei confronti dell’Italia meridionale, dei suoi punti di forza ma anche delle sue mancanze. Si appassiona della questione meridionale, si rammarica dell’arretratezza delle infrastrutture, si intrattiene sulla rete viaria e quella ferroviaria, sul porto di Brindisi, parla della mafia e della lotta dello stato contro la criminalità, ecc. Da storico non può non essere attratto dal fascino della storia millenaria, soprattutto a Roma, sua città elettiva. “In una pagina delle Wanderjahre in Italien fa una digressione sui paesaggi storici italiani dove si avverte, più che altrove, il respiro del passato. Dai monumenti emana come una forza elettrica per la quale il Gregorovius conia l’espressione ‘magnetismo della storia’”(19).  A lui si deve la definizione di Lecce come  “Firenze del Sud”. Gregorovius non amava il romanico e prediligeva il gotico.
Il tedesco Gustavo Meyer Graz (1850-1900), corrispondente del Sclesische Zeitung di Breslavia arriva nel 1890 per raccogliere i canti della Grecia Salentina. I suoi articoli di viaggio vennero poi tradotti da Cosimo De Giorgi (che lo accompagnò nel viaggio) nel 1895 per “Il Popolo Meridionale”, rivista leccese, e poi successivamente in volume (20).   Gli articoli si intitolano: “Da Brindisi a Lecce”; “Lecce-San Nicola e Cataldo”; “Da Lecce a Calimera”; “Taranto”.  Il Meyer è molto preoccupato dal fatto che la lingua greganica vada persa a causa dell’incuranza dei governi.

Taranto nel 1789, Incis. da Hackert

Venne in Italia anche lo storico dell’arte Paul Schubring (1869-1935) corrispondente del giornale “Frankfurter Zeitung”, il quale mandava i suoi reportage di viaggio descrivendo minuziosamente la nostra regione. I suoi articoli vennero poi raccolti in volume da Giuseppe Petraglione (21).  Secondo il traduttore, gli articoli di Schubring  potrebbero essere considerati un ampliamento del libro del Gregorovius in quanto vi sono menzionati alcuni monumenti lì assenti, come la Chiesa di Santo Stefano in Soleto, e approfonditi altri di cui era stato fatto solo un fugace cenno, come la chiesa di Santa Caterina e la Cattedrale di Troia.

Note

[1]Raffaele Semeraro, Viaggiatori in Puglia dall’antichità alla fine dell’Ottocento: rassegna bibliografica ragionata, Schena, 1991, p.73.

[2] Johann Heinrich Bartels, Lettere sulla Calabria Viaggio in Calabria Vol III, Catanzaro, Rubettino, 2007.

[3] Johann Hermann von Riedesel ,Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann, Prefazione e note di Luigi Correra, Martina Franca, Editrice Apulia, 1913, poi ristampata in Tommaso Pedio, Nella Puglia del 700 (Lettera a J.J. Winckelmann), Cavallino, Capone, 1979.

[4] Teodoro Scamardi, La Puglia nella letteratura di viaggio tedesca. Riedesel Stolberg Greborovius, Lecce, Milella, 1987, pp.35-58.

[5] http: www.famedisud.it/il-sud-settecentesco-di-philipp-hackert-in-mostra-a-gallipoli-i-porti-…

[6] http:www.brundarte.it/2018/03/23/baia-porto-brindisi-jakob-philipp-hackert/

[7] Teodoro Scamardi, op. cit., p.64.

[8] Friedrich Leopold Graf Zu Stolberg, Reise In Deutschland, Der Schweiz, Italien Und Sizilien In Den Jahren 1791 Und 1792 1794 Con traduzione italiana a cura di Laura A. Colaci, Edizioni Digitali Del Cisva, 2010.

[9] Carlo Stasi, Dizionario Enciclopedico dei Salentini, 2 voll, Lecce, Grifo, 2018, p.1128.

[10] Teodoro Sacamardi, op. cit., p.76 .

[11] Idem, p.77.

[12] Idem, p.24.

[13] Carlo Ulisse De Salis Marschlins, Nel Regno di Napoli : viaggi attraverso varie province nel 1789, Trani, Vecchi, 1906.

[14] Janet Ross, La terra di Manfredi, traduzione dall’inglese di Ida De Nicolo Capriati, illustrazioni di Carlo Orsi, Trani, Vecchi, 1899, poi ripubblicato in Eadem, La Puglia nell’Ottocento : la terra di Manfredi, a cura di Maria Teresa Ciccarese, Lecce, Capone, 1997.

[15] Fra gli altri, in Carlo Ulisse De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, Galatina, Congedo, 1979, con Introduzione di Tommaso Pedio, e in Idem, Viaggio nel Regno di Napoli – che riproduce la prima traduzione italiana di Ida Capriati De Nicolò -, a cura di Giacinto Donno, Lecce, Capone, 1979 e 1999, e ancora in Idem, Nel Regno di Napoli Viaggi attraverso varie provincie nel 1789, Avezzano, Edizioni Kirke, 2017.

[16] Ferdinand Gregorovius, Nelle Puglie (1877), versione dal tedesco di Raffaele Mariano con noterelle di viaggio del traduttore, Firenze, G. Barbera, 1882.

[17] Teodoro Scamardi, op.cit., p.97.

[18] Idem, pp.137-147.

[19] Idem, p.127.

[20] Gustavo Meyer-Graz, Apulische Reisetage, a cura di Cosimo De Giorgi, Martina Franca, 1915. Poi ristampato in Idem, Puglia . Sud (1890), a cura di Gianni Custodero, traduzione di Cosimo De Giorgi, Cavallino, Capone Editore, 1980.

[21] Paul Schubring ,La Puglia: impressioni di viaggio (1900), traduzione e introduzione di Giuseppe Petraglione, Trani, Vecchi, 1901.

Letteratura di viaggio e bibliografia sui viaggiatori stranieri in Puglia

Viaggiatori del Grand Tour in Carrozza, con il giovane avantcourier

 

di Paolo Vincenti

La letteratura di viaggio è sterminata e la bibliografia sui viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento è davvero molto ampia e mi limito a trattare due viaggiatori dell’Ottocento.

La febbre per l’Italia in realtà partiva da lontano, perché già nel Cinquecento il Montaigne fece un viaggio in Italia compilandovi una relazione. E poi nel Settecento, antecedenti illustri furono Goethe, col suo famoso “Viaggio in Italia”, ma anche Charles de Brosses, con le “ Lettres familieres sur l’Italie” scritte fra 1739 e 1740 e pubblicate postume nel 1799[1].

Nell’Ottocento, fra i nomi più altisonanti, potremmo citare Stendhal, con le altrettanto famose “Promenades dans Rome” del 1829[2]. Comunque, dal Lazio e dalla Campania (mèta privilegiata dei viaggiatori europei, anche a seguito degli allora recenti scavi di Ercolano e Pompei), pian piano gli itinerari di viaggio si allargano a comprendere le regioni meridionali: in primis la Sicilia, e poi la Calabria e la Puglia.

Teniamo conto dell’eco suscitata, non solo in Germania, dalle ricerche effettuate fra il 1856 e il 1877 dal grande studioso tedesco Ferdinand Gregorovius, pubblicate nel suo famoso libro “Pellegrinaggi d’Italia”, in cinque monumentali volumi.

I visitatori europei, quindi, attirati certo dal fascino della nostra antichissima cultura, venivano in Italia non solo alla ricerca delle vestigia greche e romane e per le bellezze artistiche del Rinascimento, ma anche attratti dal grande sviluppo economico sociale e dai fermenti politici e letterari che attraversavano in quel tempo la nostra penisola. Nell’Ottocento inoltrato, gli europei finalmente scoprono anche il Sud della Puglia, spingendosi fino al Salento. Fra i primi viaggiatori in Terra d’Otranto, una menzione speciale merita il Conte Carlo Ulisse De Salis Marschlins, 1728-1800, svizzero, la cui opera è un caposaldo della letteratura di viaggio in Puglia. Egli percorre le nostre contrade nel 1789 e si dimostra fortemente interessato a tutti i nostri paesi. Si sofferma sugli aspetti economici della nostra terra, in particolare è interessato all’agricoltura, ovverosia alla coltivazione dell’olivo, della vite, del tabacco, degli agrumi. Pubblica per la prima volta le sue impressioni di viaggio in tedesco in due volumi a Zurigo nel 1790 e nel 1793. La prima pubblicazione del libro in lingua italiana viene fatta nel 1906[3], con la traduzione di Ida Capriati De Nicolò (ottima traduttrice anche delle memorie di Janet Ross[4] ), e poi viene più volte ripubblicato[5].

Il De Salis scruta il Salento con occhio attento e indagatore, analizza tutti i fenomeni sociali e di costume che osserva. Egli, imbevuto dello spirito illuminista, si pone di fronte alle realtà locali con mente lucida e scientifica. “Con la vigorosa relazione del De Salis”, scrive Enzo Panareo nel 1979, prima della grande fortuna editoriale poi conosciuta da questo autore,[6] “il clima intellettuale, rispetto a quello di precedenti viaggiatori estatici di fronte alle gloriose rovine del mondo classico e divertiti dal contatto episodico con le popolazioni, è diverso e rispecchia le ipotesi culturali realizzate dal secolo dei lumi, spregiudicatamente operanti”.

L’interesse per il Medioevo suscitato da studiosi come il già citato Gregorovius, il Winckelmann, il Lenormant, portano alcuni intellettuali europei a cercare in Italia anche le tracce di quella civiltà. Altri invece si soffermano sugli aspetti più romantici e pittoreschi delle nostre regioni, ed è il caso del francese Paul Bourget, 1852-1935, autore di “ Sensations d’Italie”, un diario di viaggio che scrive nel 1890 durante la sua lunga escursione attraverso l’Italia.

Egli visita anche la Puglia, in particolare Brindisi, Taranto e Lecce, che per i turisti stranieri era già diventata “la Firenze del Sud”. L’opera viene pubblicata l’anno successivo a Parigi e non se ne conoscono edizioni moderne.[7] Si tratta di sensazioni, come recita il titolo stesso, ossia impressioni di viaggio sulle varie città che spesso vengono ritratte con rapide pennellate. “Le Sensations d’Italie furono pubblicate per la prima volta a Parigi da Plon nel 1891”, scrive in rete Filomena Attolico, della Biblioteca Nazionale di Bari, “proprio quando l’Italia, sotto la guida di Crispi, era entrata a far parte della Triplice Alleanza, schierandosi su posizioni decisamente ostili alla Francia. L’autore dell’opera, il francese Paul Bourget celebre romanziere e critico letterario, si rattristò molto per questa situazione di cui fece qualche cenno nel suo libro, ma senza lasciarsi influenzare da contingenze politiche, trattò l’Italia come la sua seconda patria identificandola come un concentrato di arte, cultura, storia paesaggi tradizioni. Numerose sono infatti le pagine dedicate alle impressioni sul paesaggio e alle considerazioni sulla gente, i costumi, le superstizioni: degno di nota a tal proposito è l’incontro con l’eroe risorgimentale che si batté contro i Borbone nel 1848, il leccese Sigismondo Castromediano, che lo condurrà ad alcune riflessioni sull’Unità d’Italia, compiuta non solo grazie all’intervento dei grandi uomini di cui parla la storia ufficiale, ma grazie anche all’opera di “aristocrates, passionnés de liberté”.

Tra i suoi apprezzamenti da esperto conoscitore dell’arte, notevole è quello riguardante il barocco leccese, in particolare per il materiale impiegato, la pietra leccese, una pietra particolarmente tenera in cui il chiaroscuro si scioglie nella luce dando un effetto cromatico del tutto originale. I suoi romanzi lo avevano reso celebre e fu proprio la notorietà del suo nome a far riconoscere al Prof. Giuseppe Gigli, tra gli ospiti di un albergo leccese, il nome del grande romanziere francese che si trovava lì in viaggio di nozze; per l’occasione il letterato italiano si offrì come guida allo “psicologo errante” e alla giovane sposa Minnnie David, per accompagnarli nel viaggio in Terra d’Otranto dal 15 al 28 novembre 1890.

Quando arrivò a Bari, Bourget commentò: “Per me, la trovo attraente questa città nuova, con le sue vie larghe, ad angoli retti, che consentono di veder sempre in fondo ad esse il mare, come si vedono a Torino le Alpi!”. Il viaggio in Italia, intrapreso nel settembre 1890 e terminato nel luglio 1891, era nato inoltre dall’impegno preso dallo scrittore francese con la rivista Débats finalizzato alla compilazione di una relazione sulle città più caratteristiche e significative della Penisola…”[8].

Non sorprende la grande capacità di Bourget di cogliere gli aspetti interiori di una località poiché egli, da fine letterato, era anche psicologo e pubblicò alcuni interessanti trattati nei quali analizzava psicologicamente alcuni protagonisti della scena letteraria ottocentesca come StendhalTaine, che era stato suo maestro, e Baudelaire.

 

Note

[1] Charles de Brosses, “Viaggio in Italia”, Bari, Laterza, 1973.

[2] Stendhal, “Passeggiate romane”, Bari, Laterza, 1973.

[3] Carlo Ulisse De Salis Marschlins, “Nel Regno di Napoli : viaggi attraverso varie province nel 1789”, Trani, Vecchi, 1906.

[4] Janet Ross, “La terra di Manfredi”, traduzione dall’inglese di Ida De Nicolo Capriati, illustrazioni di Carlo Orsi, Trani, Vecchi, 1899, poi ripubblicato in Eadem, “La Puglia nell’Ottocento : la terra di Manfredi”, a cura di Maria Teresa Ciccarese, Lecce, Capone, 1997.

[5] Fra gli altri, in Carlo Ulisse De Salis Marschlins, “Viaggio nel Regno di Napoli”, Galatina, Congedo, 1979, con Introduzione di Tommaso Pedio, e in Idem, “Viaggio nel Regno di Napoli” – che riproduce la prima traduzione italiana di Ida Capriati De Nicolò -, a cura di Giacinto Donno, Lecce, Capone, 1979 e 1999, e ancora in Idem, “Nel Regno di Napoli Viaggi attraverso varie provincie nel 1789”, Avezzano, Edizioni Kirke, 2017.

[6] Enzo Panareo, Viaggiatori in Salento, in “Rassegna trimestrale della Banca agricola popolare di Matino e Lecce”, a.V, n.3-4 , Matino, sett-dic 1979, p.81.

[7] Paul Bourget, “Sensations d’Italie :Toscane, Ombrie, Grande-Grèce”, Paris, Alphonse Lemerre, 1891.

[8] Nota di Filomena Attolico, in www.viaggioadriatico.it/biblioteca…/scheda_bibliografica.

 

Sull’argomento, dello stesso Autore, vedi anche:

La letteratura di viaggio e viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento

La Città Bella nei diari di alcuni viaggiatori

il castello di Gallipoli (ph Vincenzo Gaballo)

di Alessio Palumbo

Alla fine dell’800 la crisi del commercio e della produzione olearia in Puglia e l’affermarsi dei porti di Taranto e Brindisi mise in ginocchio l’economia di Gallipoli. I commerci, le attività artigianali ed industriali, come ad esempio la produzione di botti, subirono una drastica contrazione. Ciò pose fine al periodo di splendore e ricchezza vissuto dalla città tra il XVIII e il XIX. Di tale “età dell’oro” rimangono le affascinanti testimonianze di alcuni viaggiatori.

Nel 1789, agli albori della rivoluzione che avrebbe sconvolto le sorti di mezza Europa, così Carlo Ulisse De Salis Marschlins descriveva la città bella, nel suo Viaggio nel Regno di Napoli:

“Gallipoli è un paese di 7000 abitanti, con strade sporche e strette, e situato sopra una roccia che sporge nel mare […]. Quantunque non abbia né porto, né una sicura rada per le imbarcazioni, a Gallipoli si pratica il commercio più importante del Regno. Vengono di qui esportate annualmente 150.000 salme d’olio […] Gallipoli è certamente un fenomeno fra le città commerciali, ed è inconcepibile come questo fiorente commercio riesca a mantenersi” (C.U. De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, Cavallino, L.Capone, 1979, pp. 148-149).

Una città inaspettatamente ricca dal punto di vista economico, dunque, ma non esteriormente. Le strade sono sporche, il porto è inesistente. Un giudizio non isolato, quello del De Salis.

Circa un secolo dopo infatti, nel 1882, Cosimo De Giorgi, esprimeva la sua ammirazione per il dinamismo della città, ma non per le sue bellezze artistiche ed architettoniche. Un vero e proprio nonsense per la città Bella:

“Il borgo di Gallipoli non ha nulla di artistico” scriveva De Giorgi “ma pure

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