La poesia di Carlo Stasi

di Paolo Vincenti

Carlo Stasi si laurea in Lingue e Letterature straniere, nel 1984, con una tesi in Filosofia del linguaggio su Walpole e il Castello di Otranto (che rivela la sua passione per la letteratura fantastica e dell’orrore). Lo scrittore settecentesco Horace Walpole, considerato dagli studiosi di settore l’iniziatore della letteratura gothic-noir, resta sempre negli interessi di Stasi se è vero che una delle più recenti sue fatiche letterarie è dedicata proprio allo scrittore inglese e alla cittadina adriatica dove è ambientato il romanzo: Otranto nel mondo (dal “Castello” di Walpole al “Barone” di Voltaire), uscito nel 2018 dall’ Editrice Salentina di Galatina, con una prefazione di Augusto Ponzio e una presentazione di Mario Spedicato, contiene anche la prima traduzione italiana del “Baron d’Otrante” di Voltaire.

Per il lavoro di insegnante nelle scuole superiori, Stasi ha vissuto a Roma, poi a Como e Varese, per ritornare nel 2000 nel Salento, prima al Liceo Classico Capece di Maglie e, infine, al Liceo Scientifico De Giorgi di Lecce. Oggi risiede a Lizzanello, ma è originario di Acquarica del Capo, avito borgo dell’entroterra leucano, che ha dato i natali anche ad un artista musicista, amico d’infanzia di Carlo, il cantante Franco Simone, al quale Stasi ha dedicato nel 2016 Sono nato cantando… tra due mari (radici e canto nella poetica di Franco Simone, cantautore salentino), per le edizioni de I Quaderni del Bardo.

Nel 1981, ancora studente universitario, pubblica Poesie (Gabrieli, Roma), nel 1984 La speranza (Ricerche poetiche), Schena editore, con prefazione di Giovanni Dotoli, nel 1993 Leucàsia, con presentazione di Carlo Scarcella e prefazione di Vincenzo Guarracino, giunto alla quarta edizione nel 2001 (Leucasia Editore); del 2001 è Danza dei 7 pensieri, un poemetto edito da Bollate.

“Mi piace/stare qui/ a pensarti/ pensando/ che mi pensi/ e pensare/ che ti piace/ stare lì/ a pensarmi/pensando/che ti penso/” (Mi piace).

Si intravede fin dalle prime opere poetiche da quali suggestioni letterarie Stasi sia disponibile a farsi irretire, a quali echi delle letterature straniere egli risponda, insomma la sua cifra stilistica è d’abrupto segnata. La lezione di Apollinaire e della poesia calligrammatica porta anche Stasi ad una sorta di “tipografia cubista”, come ebbe a dire Braque dell’autore di Alcools. Comunque, a Mallarmé e alle avanguardie europee novecentesche Stasi frammischia temi tipicamente salentini, alle tentazioni neoavanguardistiche, l’amore per i classici su cui si è formato, i richiami di un surrealismo giocoso e sfrenato che impatta ossimoricamente sulla realtà “pietrosa e murale” della nostra terra. Nei suoi testi il paroliberismo futurista fa i conti con le trame della storia, del paesaggio, delle leggende e della lingua salentini. Il Salento, terra madre, impasta umori sapori e saperi della sua ispirazione, fornisce l’abbrivio, dà fondamento alla sua scrittura.

“Terra del Sud/ terra del sudore/ ore ore ore/ a lavorare/ are are are/ vite intere/ ere ere ere/ o partire/ ire ire ire/” (Echi del Sud).

In questo senso, anche l’uso del dialetto diventa testimonianza di attaccamento alle proprie radici.  Leucàsia, racconti, leggende e poesie di terra, di mare e d’amore… si compagina di sentimenti accorati per la propria terra, il Salento amato e cantato da poeti come Vittorio Bodini, i cui versi, che introducono in esergo le varie sezioni del libro, ne accompagnano la lettura.

Quasi come un manifesto d’intenti, sulla copertina del libro si legge: “Luce abbagliante/E col faro la terra finisce/Ulivi pensosi/Cantano chini sul mare un/Addio di pescatori/” in cui, unendo le lettere iniziali, si ottiene la parola LEUCA e i versi, con un gioco visivo, si dispongono a formare proprio l’estrema punta del Salento, Finibusterrae.

Nella prima parte, E Leuca…sia!,  si trovano alcune leggende e racconti come Leucàsia (bellissimo personaggio femminile, per la cui felice invenzione Stasi ha ricevuto anche l’elogio di Maria Corti), Il mare sfondato, Sub finibus terrae,  La sigaretta e Il materassino.

Nella seconda parte del libro, Impronte di Mare – poemetti del mare-, si trovano diverse liriche di ambientazione o ispirazione marinaresca, come “Palpita di/Ulivi e di/Grotte/La terra rossa/Irrorata da/Antiche rugiade/” (acrostico in cui, unendo le iniziali dei versi, si ottiene la parola PUGLIA); “Lampi palpitanti/Emergono nella notte e/Un desiderio di stelle si/Costella di carezze sino/Al risveglio dell’aurora/” (combinazione linguistica per LEUCA); oppure “Muore l’onda/Ai piedi della sponda/Rinascendo alla brezza con/Eterna dolcezza/” (per MARE); o ancora “Lievi si levano/Effimere luci come/Un sogno d’amore che si/Consuma tra i flutti ed invano/Aspira all’eterno/” (sempre per LEUCA). Nella Sezione intitolata Trittico Salentino, troviamo Donne del Sud, che dice: “le donne/del sud/sospese/ in attesa/ al muro bianco/ nero/ è il loro pensiero/ nere le rughe/ delle gonne/ delle donne/ del sud/ le donne/ del sud/ distese/ in attesa/ sul letto di fianco/ rossa/ è la loro passione/ rosse le foghe/ sotto le gonne/ delle donne/ del sud”.

Molto interessanti anche la poesia visiva sul lenzuolo, in cui i versi si dispongono a formare tanti lenzuoli appesi al filo ad asciugare, e quella sulle gocce d’acqua, formata da tante gocce di versi che cadono dal cielo.

E in Ritorno: “il Salento/ è un angolo segreto/ in fondo al nostro cuore/ una penisola/ dove arriviamo/ dopo che tutti gli altri/ sono scesi/ ed il treno resta/ pieno solo di leccesi/ dagli sguardi complici/ impazienti/ di riveder/ quel sole”. Nella quarta sezione del libro, Attendendo l’onda –poemetti d’amore-, troviamo quelle Sirene e quell’Idrusa, rese immortali dalla penna di Maria Corti, mentre nell’ultima sezione del libro, in cui si sente più forte l’influenza di Bodini, richiamata dal corvagliano titolo Finibusterrae –poemetti della terra-, compare l’acrostico “Sognare è/Arte che è/Legge quaggiù dove non/Esiste che il/ Nulla fatto di/Tutto ed/Ogni cosa è sogno/”, per SALENTO.

Il verso è libero, non obbedisce a nessun “legislatore del Parnaso”, come scrisse Francis Viele-Griffin, il maestro di Breton, nessuna forma fissa può essere considerata come lo stampo necessario per una poesia, l’espressione artistica segue i più variegati percorsi, il poeta obbedisce al ritmo personale. I versi si compongono di allitterazioni, assonanze, consonanze, rime baciate e alternate, la poesia è sempre musica per Stasi (melica, infatti, la chiamavano i Greci) e la musica è una delle variazioni sul genere, potremmo dire, nella sua attività artistica (infatti ha anche scritto testi per canzoni), l’altra è la pittura.

Le sue composizioni sono tributarie di quella grande biblioteca personale che ognuno di noi porta con sé, che è stipata dei testi che abbiamo letto e amato, sicché ogni creazione poetica o narrativa potrebbe definirsi una riscrittura, meglio, un omaggio a quei referenti letterari. Dalla poesia passa alla narrativa.

Nel 2008 pubblica Leucasia e le Due Sorelle Storie e leggende del Salento, edito da Mancarella, che raccoglie racconti fantastici, a metà fra storia e leggenda. Decide quindi di pubblicare una summa della sua produzione poetica, quella della sperimentazione verbo visiva, in questo libro che abbiamo fra le mani.

Il valore iconico dei versi dà una valenza del tutto particolare alle composizioni che, dalla sperimentazione visiva, traggono nuova linfa, come se si alimentassero di ulteriori significati, nascosti ad un primo approccio. Anche nelle liriche più spensierate e leggere, il divertimento linguistico si combina con la ricerca del messaggio, crea un’atmosfera, quella nuance, che è tutta propria di Stasi. Le sue liriche si dilatano in una esplosione plurisemantica, incoraggiata dalle performance live che il “poeta saltimbanco” ama tenere.

È l’idea sinestetica, che abbina in prodigiosa diade immagine e parola, a creare quelli che l’autore chiama “parlagrammi”. Il lettore avvertito potrà così entrare nella joie de vivre di questo libro, ultimo omaggio di Stasi, che in altre occasioni abbiamo definito “George Herber iapigio”.

Leuca luogo dell’anima e del ritorno. Leuca come le colonne d’Ercole

di Antonietta Fulvio

“E tornerà

 il bianco per un attimo a brillare

 della calce, regina arsa e concreta

in questi umili luoghi dove termini, Italia, in poca rissa

 d’acque ai piedi d’un faro.

 È qui che i salentini dopo morti

 fanno ritorno col cappello in

testa”

(Finibusterrae, V. Bodini)

Il luogo dell’anima e del ritorno. Così descriveva Leuca il poeta Vittorio Bodini nella sua “Finibusterrae”. Dal greco leucos, che è bianco ma anche fantasmagorica visione, riprendendo una nota leggenda, secondo la quale se non ci si reca a Leuca da vivi, bisognerà tornarci da morti, prima di salire in cielo. Passaggio verso l’infinito. Una sorta di porta per il Paradiso.

E non può definirsi che paradisiaca la visione dell’alba a Leuca con il sole che si leva dall’Adriatico, così al tramonto quando il disco solare si inabissa lentamente nelle acque dello Jonio.

Qui dove la terrà è sospesa tra il cielo e l’antico Mare nostrum, verso il quale si protende questo lembo d’Italia, il panorama toglie il respiro, azzera il pensiero ed entra per sempre negli occhi…

Leuca è luce, la luce abbagliante che sembra aver ispiratola Metafisica a Giorgio De Chirico, è terra, pietra che corre verso il mare frastagliandosi in mille insenature che da millenni si lasciano scalfire dalle acque facendosi porto per naufraghi e pellegrini.

Ci sono luoghi che entrano dentro. Nell’anima. Che fanno vibrare il cuore come le corde di uno Stradivari e la musica è l’incantevole preludio di un sogno. Un sogno bianco come le scogliere di Leuca, della sua Marina tempestata di grotte misteriose e di atavici approdi.

Qui trovò riparo Enea, scrisse il poeta Virgilio, nel terzo libro dell’Eneide: “Dalla marina d’Oriente un seno/ curvasi in arco, e contro ai massi opposti / delle rupi, le salse onde spumose/ s’infrangono. Celato ad ogni vista/ si spazia il porto interior; di cui/ dall’un fianco e dall’altro un doppio muro/ si protende di scogli, e dentro terra/

Libri/ Leucasia e le due sorelle. Storie e leggende del Salento

di Paolo Vincenti

Con Leucasia e le Due Sorelle  Storie e leggende del Salento (Mancarella Editore 2008), il poeta Carlo Stasi ritorna alla scrittura narrativa, racchiudendo in questo prezioso volume alcuni racconti fantastici, a metà fra storia e leggenda, ai quali da almeno un quindicennio ci ha abituato questo scrittore, nato ad Acquarica del Capo ed approdato, dopo un lungo girovagare fra Lombardia e Salento, in quel di Lizzanello, luogo della sua attuale residenza. Chi legge le cose di Stasi, infatti, sa che egli, oltre alla scrittura in versi ed alla sperimentazione verbo visiva delle sue prove in volume, ama raccogliere fiabe, filastrocche, modi di dire, aneddoti, cunti, che poi dispensa nei suoi interventi su svariati fogli e riviste locali. In questo libro, Stasi riprende un storia molto bella e affascinante, quella di “Leucasia”, ripubblicando ed ampliando quanto già aveva scritto nel libro omonimo del 1993 (che ha avuto altre 3 ristampe fino al 2001), come a voler rivendicare la paternità di questa storia fantastica della quale molti altri si sono occupati nel corso degli anni. “Di nuova alchimia.

Una terra trasformata in miti”: questa la materia del libro, mutuando il titolo

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