I Carignani, signori di Novoli, fra mecenatismo artistico e mecenatismo letterario

di Gilberto Spagnolo

Con la morte di Alessandro III nel 1706, si estingueva a Novoli la stirpe dei Mattei che per circa duecento anni avevano esercitato la loro signoria nel paese. Subito il regio fisco dispose per l’apprezzo dei feudi della contea che nello stesso anno passò a Cornelia Brayda, vedova di Francesco Antonio Paladini e cugina per parte di madre dei Mattei.

Cornelia, nonostante le cospicue ricchezze ereditate dal padre, marchese di Rapolla e dal marito, non si ritenne capace di affrontare le dissestate condizioni economiche dei due suoi nuovi possessi, sicché restituì terre e titoli alla real Corte che, nel 1713, vendette i territori in questione a Felice Carignani.

Novoli, Palazzo della Cavallerizza, stemmi nobiliari dei Carignani, Della Torre, Alfarano Capece, Castriota Scanderbeg

 

Quest’ultimo nell’anno successivo ottenne per la contea di Novoli l’elevazione a ducato. I Carignani tennero Novoli per 92 anni e furono dunque gli ultimi signori del luogo sino alla soppressione della feudalità applicata nel Salento nel mese di agosto del 1806. A noi Novolesi, la dinastia dei Carignani (a differenza di quella dei Mattei, feudatari dal 1520 al 1706) ci è nota soprattutto “solo per l’avidità” di inflessibili feudatari, i quali col tempo avevano accresciuto a dismisura il loro arbitrio e la loro rapacità, lasciando in quei tempi il popolo nella miseria e nell’ignoranza. Basti ricordare al riguardo la dura controversia che vide protagonisti Giuseppe Oronzo Turfani di Lecce, possessore di alcuni poderi nel feudo di Nubilo (Villa Convento) e i fratelli D. Paolo e D. Luigi Mazzotta, Novolesi, possessori nel feudo di detta terra, i quali l’11 gennaio del 1805 contestarono al duca Giuseppe, presso la Camera della Sommaria, una quarantina di esazioni indebite fra decime, tributi e vessazioni ovvero “quei supposti diritti nati unicamente dall’anarchia feudale si sono su quella ignorante popolazione fino agli ultimi tempi accresciuti ed appesantiti dalla prepotenza baronale col timore e colle vessazioni”, contestazioni (di cui esiste un’importante memoria legale) che dettero torto al Duca che fu diffidato di esercitare il suo strapotere.

D. DE ROSSI, Provincia di Terra d’Otranto prima metà del 1700, cartiglio (dedicata a Felice Carignani, coll. Privata).

 

Memoria legale di B. TIZZANI – N. TURFANI sugli abusi feudali dei Carignani a Novoli, Napoli 1805, Frontespizio (coll. Privata).

 

Gli approfonditi studi di Mario Cazzato e Salvatore Errico sul palazzo baronale di Monteroni nonché i contributi di Giovanni Greco sul collezionismo artistico del ‘700 salentino, ci inducono ora a riconsiderare certamente il loro ruolo e a rivalutarlo in relazione ai numerosi aspetti inediti su tale famiglia e sulle loro umane vicende personali che evidentemente rimangono ancora nascoste (e quindi tutte da chiarire) tra le pagine ingiallite degli atti notarili. Ora sappiamo infatti (grazie agli importanti documenti rintracciati da M. Cazzato e S. Errico) che quando nel 1780 i Lopez acquistarono il leccese palazzo Giaconia-Carignani (per 6000 ducati) attaccato alla chiesa leccese di S. Maria degli Angeli, dai fratelli Giovanni (duca di Novoli) e Giovanni Battista Carignani, trattennero tra l’altro anche una straordinaria quadreria che i duchi di Novoli avevano costituito nei decenni precedenti e che dimostrano una spiccata inclinazione di questa famiglia ducale al collezionismo. La consistenza di tale dotazione pittorica (che risulta da un contratto d’affitto del 1744) era di ben 368 quadri “tra grandi, piccoli e tondini”, con opere della scuola del Lanfranco, con opere di Luca Giordano, della scuola del Vaccaro, del Bianco di Casalnuovo, del Ribera, che dimostrano anche che i Carignani erano una famiglia di committenti avveduti e non casuali. Altri episodi orientano in questa direzione, come l’invio da Napoli a Lecce nel 1696 della splendida tela con S. Gregorio Taumaturgo di Paolo De Matteis per l’altare maggiore della cappella del Seminario leccese, acquistato proprio da Giovanni Carignani, fratello di Felice e primo possessore della famiglia del feudo di Novoli, o l’acquisto nel l740 (da parte di Antonio Carignani) dal marchese di Ugento Domenico D’Amore di ben dieci tele in cambio dell’estinzione di un consistente debito ammontante ad alcune centinaia di ducati, valutate da Serafino Elmo “esperto et abile in materie di pitture” in 865 ducati. Che la famiglia Carignani (originaria di Taranto e le cui più antiche memorie risalgono al 1309) debba essere collocata dunque in ben altro “splendore” e “prestigio” sono inoltre diverse testimonianze letterarie che dimostrano appunto quanto tale famiglia (evidentemente per la loro vitalità ed impegno culturale, per il loro sentimento artistico) fosse tenuta in grande considerazione da letterati, storici, artisti (e non per le prepotenze feudali instaurate dai propri componenti). Le riporto sinteticamente qui di seguito riservandoci in altra occasione un necessario ed opportuno approfondimento.

S. PANSUTI, La Sofonisba, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, La Sofonisba, Antiporta.

 

Nel 1726, il letterato napoletano Saverio Pansuti “colto anzi maraviglioso ingegno” consacrava all’illustrissima signora D. Marina Della Torre, Marchesa di Novoli, Baronessa di Carignani, la tragedia “La Sofonisba” presso i Torchi di Domenico Antonio e Niccolò Parrino. La Signora Duchessa D. Marina, moglie di Francesco Carignani, come risulta dalla lettera dedicatoria in questo libro (ed in quello di cui parleremo successivamente) si era degnata di accettare “e sotto la sua protezione tenere” ben quattro tragedie di tale autore, tra cui “Il Bruto” e la “Virginia”. Nel decantare le lodi umane e nobili della baronessa (la cui famiglia era imparentata a quella nobilissima degli Spinola), l’autore scrive tra l’altro: “…..ben da voi questo nobil componimento doveva sì bel lume ricevere, che tanti Eroi, quanti Progenitori vantate, stelle di maggior grandezza del chiaro cielo della Liguria, che ben due volte il trono di quel Venerabile Senato occuparono. Congiunto il vostro chiaro sangue a quel della nobilissima famiglia Spinola, di cui fu germoglio l’inclita vostra madre: Famiglia le di cui chiare gesta la Liguria, l’Italia, e il Mondo tutto illustrarono, e che i bastoni di supremo comando, e le porpore quasi, che indivisibili propietadi in lei per natura contengonsi; accoppiandosi altresì alla Vostra la nobiltà del Signor marchese di Novoli, vostro degnissimo sposo, nobile dell’illustre città di Taranto, il quale per antico retaggio de’ suoi non mai fin’ora interrotti Progenitori, annovera tredici Baroni prima di lui nel possesso del suo nobilfeudo, da cui questa chiara ed antica famiglia à presso il cognome; prerogativa in vero, che pochi Baroni posson vantarsene, ricolmo poi d ‘onori dal nostro clementissimo Cesare, che al riflesso dè suoi meriti, à bene esercitata fin qui verso di lui; però non già resa stanca la sua Reale munificenza. Ma quindi a queste sin’ora addotte riflessioni un’altra di non minor peso a ciò fare mi spinge, ed ella si è il recarmi a memoria il gran numero dè benefici, i quali dalla vostra Illustrissima Casa tutto dì mi prevengono, uniti all’amore, che io godo di vivere all’ombra della vostra onorata protezzione….Nulla però di meno mi do a credere, che non vi apporti dispiacenza, che per un certo sfogo di gratitudine almen colle parole un qualche saggio io ne palesi e diffonda”.

S. PANSUTI, La Virginia, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, La Virginia, Antiporta.

 

S. PANSUTI, Il Bruto, frontespizio (coll. privata).

 

S. PANSUTI, Il Bruto, Antiporta.

 

Nel 1737, il sacerdote D. Giacomo Simidei, dottore di filosofia e di sacra Teologia, Patrizio di Brando, Diocesi di Mariana nella Corsica dedicava all’illustrissimo signore Fra Felice Carignani dei Duchi di Novoli, cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano la sua importante e corposa (pagg. 575 più indici) opera “Compendio della Storia degli Eresiarchi…” (con una descrizione del Regno di Corsica stampata a Napoli per il Parrino). Importanti sono i riferimenti nella lettera dedicatoria (datata Napoli 20 aprile 1737 a firma dello stampatore) alla Duchessa D. Marina della Torre, madre di Felice “Dama di alto e chiaro intendimento oltre il suo sesso fornita” e moglie di Francesco Carignani Duca di Novoli e marchese di Carignano; nonché le annotazioni storico-nobiliari sulla stessa famiglia Carignani che “può andar fastosa e superba per aver dato al mondo un albero che frutti apporta al nostro regno di gran decoro” e su quello dei della Torre unita alla (per ben due volte sul ducale trono del Senato di Genova) famiglia degli Spinola. Scrive infatti lo stampatore Nicola Parrino “E non temo in questo dire, che io dico cosa non vera: imperiocchè in sapere con che gara Voi cogli altri fratelli D. Giulio e D. Giovanni (Giovanni è d’ingegno pronto e di spirito vivace e brioso) vi siete insieme con esso loro inoltrato nelle notizie e delle lettere amene, e di più Scienze nel celebre seminario di Siena, che a coltivare e ammaestrare in sé non raccoglie, da varie Parti, anche Oltramontane, se non se chi scorge d’intelligenza vasta, acuta e penetrante; ed un vedere ora, come né studi sottili e profondi della Matematica (unica a farci daddovero sapere) spiega voli ammirandi la velocissima Vostra Mente fatto io Indovinatore verace, già miro nell’aria, del vostro volto dipinte le prodezze e le gagliardie dello Spirito Vostro nell’affrontare, combattere ed annientare il più fiero nimico di Nostra Santa Fede. E queste generose operazioni, tanto più rare e meravigliose saranno quanto più proveranno dalla difficultà delle Imprese, alle quali sempre si sono posti i valorosi Cavalieri della Sacra Militare Religione di Malta, da che incominciarono a mettere freno alla insolente Potenza Ottomana, la quale, ora di niuno altro più che di loro tema e paventa”.

G. SIMIDEI, Compendio della storia degli Eresiarchi, per il Parrino, Napoli 1737, dedicato a Felice Carignani, frontespizio (coll. privata).

 

N. CAPUTI, De Tarantulae Anatome, et morsu, D. Viverito, Lecce 1714. Dedica a Giuseppe Carignani (rist. anastatica, Ed. Dell’Iride, Tricase 2001).

 

N. CAPUTI, De Tarantulae Anatome etc., Sonetto dedicato a Giuseppe Carignani (ristampa).

 

Nel 1741, per i torchi leccesi di Domenico Viverito, Nicola Caputi stampava il suo Opusculum hoc Historico-Mechonicum intitolato De Tarantulae Anatome et Morsu dedicandolo all’Excellentisimo viro/ D. Josepho/ CARIGNANO / E Sanctae Mariae de Novis Ducibus Tripudii/Dominis, decimae quartae Aetatis Carignani / Feudi Baronibus/ Nobilissimo Tarenti Patrizio./ Morum Probitate, Pritatis ornamento/Scientiae Solertia clarisima…. Nicola Caputi, discepolo del famoso Nicola Cirillo, nacque in Campi intorno al 1695. Si laureò in Napoli in medicina ed esercitò la professione in Lecce con grande successo. Nel 1747 faceva parte anche (oltre, che della R. Accademia Napoletana) dell’Accademia degli Spioni e in Lecce tenne scuola di fisica, matematica, medicina e scienze naturali. Morì a Lecce nel 1761. Al Carignani, il Caputi, in questo testo dedica anche un sonetto del seguente tenore “….quella virtù, che tanto ormai prevale, e in te soggiorna, e ti fa gire onusto di tanto onor che il Secolo vetusto correggi, e al nostro dai vanto immortale… quella sarà, se tu proteggi e guidi queste scipite, e mal vergate carte….”.

B. TAFURI, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Mosca, Napoli 1750, frontespizio (Tomo III. Parte I, dedicati a Felice Carignani, coll. privata).

 

Nel 1750 il noto scrittore Gio:Bemardino Tafuri da Nardò pubblicava in Napoli per il Mosca, il tomo III Parte I della sua famosa opera Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli dedicandola a Sua Eccellenza il Signor Cavaliere Fra. D. Felice di Carignano dell’Ordine Gerosolimitano. Nella lettera dedicatoria è presente oltre che un’importante ricostruzione dinastica della famiglia e dei suoi più illustri componenti, un vero e proprio “ritratto” del protettore (dall’eroico talento ed esemplare perfetto di cavaliere) a cui l’opera è dedicata (già ricordato, come si è scritto, in un’altra precedentemente nominata) con particolari inediti sulla sua vita (sappiamo ad esempio che Felice oltre ad aver dato “gloriosamente il nome nel Sagro Ordine Girosolimitano” aveva tenuto con insigne valore il governo di una galera in qualità di capitano) e di cui “disdicendomi l’impareggiabile vostra modestia, ch’io più m’inoltri nel meritato vostro elogio, contentatevi almeno che rammentando a voi steso la generosa vostra grandezza di cuore, vi supplichi a ricevere benignamente questo libro, che pongo sotto gli invidiabili auspici del Vostro Patrocinio, con quel vero profondissimo ossequio col quale mi do l’onore di dirmi di V. Eccellenza”.

In questo percorso di mecenatismo letterario ricordiamo infine il raro e prezioso documento cartografico che risalirebbe alla prima metà del 1700 (appartenente ad una collezione privata) di cui abbiamo già dato notizia in altro studio) ovvero la Provincia / di Terra d’Otranto / delineata dal Magini /ampliata dal Rossi / e d’ora a miglior perfezione ridotta / secondo lo Stato Presente / dedicata / al Merito dell’Ill.mo Sig.re Fra D. Felice / Carignani de’ Duchi di Novoli Cavaliere dell’ / Ordine Gerosolimitano. La carta che nel cartiglio reca al centro lo stemma nobiliare dei Carignani, è probabilmente un unicum (Novoli è presente con il toponimo Novuli), misura mm 440×540 e sembra facesse parte anche di un atlante o di qualche testo poiché sul margine superiore destro vi è riportato la dicitura pag.585 con a fianco il n° 18 riferito forse alla numerazione delle tavole.

Felice Carignani era nato a Napoli da Giulio Cesare e Francesca Alfarano Capece. Quando i feudi di Novoli e del Convento, dopo i Mattei, furono messi in vendita, fu proprio Felice Carignani a dare l’incarico al suo agente Nicola Latronico di acquistarli. La stipula venne rogata dal notaio Giuseppe Raguccio di Napoli l’11 febbraio 1713. Felice morì a Napoli il 3 marzo 1716.

Epistola di Paolo Moccia (professore di eloquenza) a Francesco Carignani “Novolensium Duci” (in Epistolae, Napoli Tipografia Simoniana 1764, coll. privata).

 

Parte conclusiva dell’epistola di Paolo Moccia a Francesco Carignani.

Pubblicato in “Lu puzzu te la Matonna”, Anno VI, 18 luglio 1999, pp. 19-21.

 

Riferimenti bibliografici essenziali

M.Gaballo, I Carignani ultimi signori di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. IV, 20 luglio 1997.

M. Rossi, Circa le decime, ivi.

G. Greco, Il Duca di Novoli e una vicenda sul collezionismo artistico del ‘700 salentino, ivi.

M. Cazzato, La quadreria del Palazzo Ducale, in “Vita Cristiana”, Monteroni, ottobre 1994, supplemento a “L’ora del Salento”.

O. Mazzotta, Novoli nei secoli XVII-XVIII, Novoli 1986.

Id., Novoli (18061931), Novoli 1990.

G. Spagnolo, Novoli, origini, nome, cartografia e toponomastica, Novoli 1987.

Id., Storia di Novoli, Note e Approfondimenti, Lecce 1990.

L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Vol. I, La città, nuova edizione postillata da Nicola Vacca, Lecce 1964.

M. Cazzato, S. Errico, Il Palazzo baronale di Monteroni, Contributo alla Storia dell’Architettura Salentina, Galatina 1998.

M. Cazzato, Fortune nobiliari e interessi artistici. I Lopez y Royo nella seconda metà del ‘700 in “Presenza Taurisanese”, nov. dic. 1995.

G. Spagnolo, Fonti Bibliografiche per la Storia di Terra d’Otranto; memorie legali dei secoli XVIII e XIX, in “Lu Lampiune”, a. IX, n. 3, Lecce, dicembre 1993.

M. De Marco, Il tramonto della feudalità nel Salento. Una causa a Novoli contro gli abusi dei Carignani, in “Quaderni Salentini”, a. I, n. 3, 18 aprile 1981.

S. Pansuti, La Sofonisba. Tragedia, in Napoli MDCCXXVI, presso Domenico-Antonio e Niccolò Parrino.

Gio: Bernardino Tafuri, Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli, Tomo III, Parte I, in Napoli, Per lo Mosca, 1750.

G. Simidei, Compendio della Storia degli Eresiarchi, MDCCXXXVII per il Parrino in Napoli.

N. Caputi, De Tarantolae Anatome et Morsu, Domenico V. Viverito, Lecce 1741.

Il monumentale palazzo Giaconìa in Lecce

testo e foto di Paolo Cavone

 

Nel 1546 il monsignore leccese Angelo Giaconìa, vescovo di Castro (1530-1563), iniziò la costruzione di un palazzo signorile in Lecce,  nei pressi della chiesa di S. Maria degli Angeli e del convento dei Padri Minimi S. Francesco di Paola.

 

Palazzo Giaconìa
Palazzo Giaconìa

 

Il palazzo ha un lunghissimo prospetto con due portoni simili ed ha avuto sicuramente più fasi di costruzione attuate in tempi successivi in relazione ai diversi proprietari che si sono succeduti, ed occupò l’area urbana creatasi dallo sviluppo ed ampliamento delle mura e coeva fondazione del Castello di Carlo V ad opera di Gian Giacomo dell’Acaya nel 1539.

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Una delle due porte del Palazzo Giaconìa

Successivamente il palazzo fu acquistato dall’allora Sindaco di Lecce, Vittorio De’ Prioli che si insediò nel 1593; già allora un ampio impluvium dava nel lungo giardino retrostante con: colonne, bassorilievi, iscrizioni, statue, e quant’altro di antico il prelato raccolse in scavi praticati a Lecce,  Rudiae e Salàpia. Di tutto questo oggi rimane ben poco: un maestoso albero di alloro alto 20 mt, vestigia di un folto laureto e di un bassorilievo in pietra leccese: “Il Duello e il trionfo di David”, attribuiti a Gabriele Riccardi, cui è assegnato anche l’intero edificio.

 

“Il duello e il trionfo di David” sul gigante Golia, bassorilievo del Riccardi.
“Il duello e il trionfo di David” sul gigante Golia, bassorilievo del Riccardi.

 

La formella relativa al trionfo di David, presenta delle analogie con quelle dell’altare di S.Francesco di Paola in Santa Croce. Sull’architrave di una porta murata, nell’atrio d’ingresso, è incisa una frase, di cui sono leggibili le parole: “MIHI OPPIDU CARCER ET SOLITUDO”. Nessuna traccia di un secondo bassorilievo, citato in letteratura, con il “David che scrive”.

I giardini sono limitati dalle mura della città sulla cui sommità trova posto un pergolato in ferro battuto che si poggia su colonne seicentesche.

 

Giardino e lato interno delle mura di Lecce
Giardino e lato interno delle mura di Lecce

 

Dopo la morte del De’ Prioli (1623), gli eredi alienarono l’edificio ai Carignani duchi di Novoli, che vi si stabilirono abitandolo insieme ad altri nobili. Se il De’ Prioli aveva eseguito alcune opere murarie nella parte interna, per arricchire e sistemare, in particolare, il giardino dove vi sono tutt’ora alcune balaustre del 1600, i Carignani completarono la costruzione nell’ala sinistra.

 

Finestre nel cortile del Palazzo Giaconìa
Finestre nel cortile del Palazzo Giaconìa

 

Il piccolo portale dell’attuale cappella su Piazzetta De Summa e le edicole finestrate appartengono, invece, ai primi decenni del XX secolo.

I due doccioni in pietra leccese che si trovano su prospetti, indicano, con il

cornicione terminale, le altezze originali dell’edificio.

 

Uno dei due doccioni del prospetto.
Uno dei due doccioni del prospetto.

 

Nel 1780 i Carignani vendettero il palazzo ai fratelli Michele e Alessandro Y Royo, Duchi di Taurisano, che ritoccarono i portali apportandovi i loro stemmi in marmo bianco, dividendolo , in pratica, in due palazzi. L’abitazione signorile dei Lopez Y Royo si sviluppava al primo piano. All’inizio dell’ottocento, con l’occupazione francese, divenne dimora di alcuni generali delle milizie. Nel 1817 il duca Antonio Lopez Y Royo, figlio primogenito di Michele, che non aveva figli, lo donò al fratello germano Cav. Bartolomeo. Il palazzo si frazionava ulteriormente con gli eredi dei casati: Tresca e Castriota Scanderberg e solo una parte di questo rimaneva ai Lopez Y Royo.

Con decreto prefettizio del 1927 una parte del palazzo passò all’Istituto dei Ciechi, oggi sede dell’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti.

 

Bibliografia

1)      A. FOSCARINI, Lecce d’altri tempi, in “Iapigia”, Anno VI, Fasc. IV

2)      N. VACCA, Ruderi e Monumenti nella penisola Salentina,  LECCE 1932

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