Acquarica e Caprarica: acqua e capre a volontà (un tempo …)

di Armando Polito

immagine tratta ed adattata da GoogleMaps
immagine tratta ed adattata da GoogleMaps

 

È noto che molti toponimi traggono origine dall’abbondanza in loco di certe risorse, non escluse specie animali e vegetali. Per quanto riguarda il Salento, la cui economia è stata fino a pochi decenni fa se non esclusivamente almeno prevalentemente agricola, le capre non sono mai mancate1, alimentando anche astrattamente, la saggezza popolare come, per esempio, in uno dei tanti proverbi che sottintendevano un rapporto affettivo molto più stretto e, direi, complice tra l’uomo e la bestia, lontano anni luce da  quell’atteggiamento sprezzante che scomoda analogie col mondo animale per stigmatizzare, con un’ignoranza pari alla presunzione, l’infinita gamma dei nostri difetti: ti ddo’ zzumpa la crapa zzumpa la crapetta (alla lettera: dove salta la capra salta la capretta, corrispondente al più lapidario italiano tale madre tale figlia, con particolare riferimento, e ti pareva!, alla vivacità sessuale.

E sul fuoco del sesso getto, è il caso di dire, acqua. Non c’è bisogno di ricordare il siticulosa Apulia2 di Orazio (I secolo a. C.), la quantità di acqua scorrente in superficie è estremamente modesta, direi trascurabile, al contrario dei fiumi sotterranei che scorrono sotto il nostro territorio. Laddove la falda non è molto profonda è stato possibile da sempre sfruttare questa importante risorsa, tanto importante da vivere in due toponimi: Acquarica del Capo e Acquarica di Lecce.

Ecco cosa sull’una sull’altra scrive Giacomo Arditi in La geografia fisica storica della provincia di Terra d’Otranto, Stabilimento tipografico “Scipione Ammirato”, Lecce, 1879-1885:

(Acquarica del Capo)  “Ricco è di acque sorgive, potabili e basse nella zona occidentale, dove sono eccellenti specialmente nei pozzi Longhe e Nocita, non così perfette o a breve profondità nella zona opposta” (pp. 6-7); “Qualcuno l’ha dato come sorto nel IV secolo dell’era volgare pel bisogno delle acque, ma senza fondamento storico …”3 (p. 9). L’Arditi contesta solo la data, tant’è che più avanti (pp. 9-10) afferma: “Le ruberie, i macelli, e le distruzioni dei Saraceni arsero nella nostra Provincia più cruente e feroci dal secolo IX all’XI. Allora, tra tanti altri, credo da quei Barbari invaso e spento anche Pompignano, da cui qualche fiotto di raminghi e miseri avanzi spintosi fin qua e vistasi la bontà ed il profluvio delle acque, che gli antichi consideravano come il quarto elemento, indispensabili quali sono ai bisogni domestici ed industriali, vi si fermarono ed eressero la nuova patria, che da quella specialità appellarono Acquarica, nome composto di due bisillabi, che son acqua ricca. La certezza istorica delle devastazioni barbaresche che, secondo la frase di un dotto amico sono capitoli leggendarii della nostra storia provinciale; la preesistenza e la rovina completa di Pompignano; l’adiacenza e la parte del territorio che colà vi posseggono ancora gli Acquaresi; l’acqua scarsa in quel luogo originario e perciò naturalmente vogliosi di averla abbondante in quest’altro, la tendenza simpatica che essi nutrono ancora per quella contrada quasi arcana radice di affetto per l’antica madre patria, le concordanze topografiche, l’emblema, ed altri dati ed elementi di coerenza, mi han tratto a quella congettura; la quale non mi vien guasta dalla desinenza italiana del nome, perché nei secoli X e XI il volgare italiano si era di già affacciato. Più tardi, poi, i Casali Ceciovizzo e Gardigliano, i loro abitanti vennero ad ingrossare la comunanza di Acquarica, che nelle vecchie carte trovo contrassegnata con l’aggiunta de Lama, voce che nel latino come nell’italiano idioma significa laguna, ristagno d’acqua. Ma se ciò avveniva forse anticamente nel fondo confinante tuttavia denominato Lame, lo sconcio disparve affatto dopo la formazione della Vora che vi sta in mezzo. Chiamossi eziandio Centellas dal cognome del feudatario che n’era il padrone nel 1669, ma cessato appena il breve dominio di costui, ei ripigliò l’avito nome di Acquarica con l’addiettivo del Capo, per distinguersi da una Frazione omonima in Circondario di Lecce. Il paese adunque nacque con la morte di Pompignano, verso il IX e X secolo; crebbe con la caduta di Cecivizzo e Gardigliano; e si chiamò prima Acquarica, poi Acquarica de Lama, indi Centellas, e finalmente Acquarica del Capo”.

(Acquarica di Lecce) “L’aria vi è mala, perché vicine le paludi della massaria Termitito in agro di Vanze, e le Cesine di Acaia … le acque sorgive a circa cinque metri di profondità potabili ma quasi crude” (p. 11); “Acquarica credesi così chiamata dalle acque che vi abbondano nell’abitato e nell’agro, e l’aggiunto “di Lecce” serve per distinguerlo da un Comune omonimo in circondario di Gallipoli. In tal nome stannovi accozzate due parole italiane, acqua ricca, ingentilito l’attributo in rica per togliere l’aspro delle due consonanti. Ciò mi fa credere sorto al secolo X od a quel torno” (p. 12).

Ora metto  da parte provvisoriamente l’acqua e passo alle capre.

(Caprarica del Capo) “… la impresa pubblica che rappresenta una capra con bandiera spiegata” (p. 102); “È vecchia tradizione che quivi in origine esisteva un ovikle di capre, le quali per l’aria ei i prati confacenti davano molto latte. Da ciò una certa agiatezza nei caprari; e perché il benessere invita all’essere e lo moltiplica ei vennero di passo in passo aumentandosi fino a formare un paesello, che dalla natura dell’industria chiamarono Caprarica (capra ricca), seguito poi dall’aggiunto “del Capo” per distinguerlo da un altro villaggio di simil nome sistente in Circondario di Lecce” (p. 103).

(Caprarica di Lecce) “L’impresa civica rivela la storia originaria del paesello, che nacque e fu così chiamato dall’industria che vi prosperava del latte  e delle capre” (p. 104).

Condivido pienamente tutto quello che l’Arditi afferma ma, pur non essendo nemmeno Politi, sono sufficientemente ardito per contestarlo in un solo punto: quel ricca come componente originario dei quattro toponimi (anche se non viene scomodato esplicitamente per Caprarica di Lecce). Oggi la parcellizzazione, per i miei gusti eccessiva, del sapere ha reso indispensabile il confluire di competenze diverse che ai tempi dell’Arditi erano appannaggio di una sola persona; perciò, oggi, un’indagine storica non può prescindere, tanto per risparmiare, dall’apporto, oltre che dello storico, anche dell’archeologo e del filologo; mi meraviglio, perciò, che quanto sto per dire non sia balenato a suo tempo nella mente dell’Arditi, il cui ricca ritengo improponibile per due motivi:

a) sarebbe quanto meno strano il passaggio da ricca a rica (cioè lo scempiamento di –cc-) proprio in un territorio caratterizzato dalla tendenza al raddoppiamento consonantico.

b) ammettendo per assurdo che Acquàrica e Capràrica derivino da Acqua ricca e Capra ricca, non si riesce a capire per quale motivo l’accento si sarebbe ritratto non dando, come ci saremmo aspettati, Acquarìca e Caprarìca, cioè due parole piane che non potevano rinunziare al loro accento perdendo così buona parte di quell’ingentilimento appena appena realizzato con lo scempiamento –cc->-c-. È intuitiva, infatti, la maggiore musicalità di una parola piana rispetto ad una sdrucciola, bisdrucciola o tronca.

È, invece, proprio l’accento sulla terzultima sillaba, a dirci chiaramente che le voci di base sono acqua e capra, cui si è aggiunto un doppio suffisso aggettivale, come per l’italiano coronarica (corona>coronaria>coronarica). Trafila per Acquàrica: acqua>acquàru4>*acquàricu> (terra) acquàrica>Acquàrica; trafila per Capràrica: capra>capràru>capràricu>(terra) capràrica>Capràrica.

Ricca, dunque, è fuori gioco, nonostante allora acqua e capra fossero la ricchezza, più che del capraio, del latifondista di turno …

Ora, per finire, esporrò, brevemente, con l’ausilio preponderante delle immagini (tutte tratte, tanto per cambiare …, dal sito della Biblioteca Nazionale di Francia) ciò che potrebbe aver condizionato l’Arditi (lo storico …) a proporre quel ricca con la vaga giustificazione di concordanze topografiche e, forse, di vecchie carte.

Nel dettaglio di Puglia piana, Terra di Barri, Terra di Otranto, Calabria et Basilicata dell’Atlas sive cosmographicae meditationes de fabrica mundi et fabricati di figura, tavola di Gerardo Mercatore, uscita ad Amsterdam nel 1589, toponimoAQUARICCA.

Nel dettaglio di Terra d’Otranto6 di Antonio Bulifon (seconda metà del XVII secolo), toponimi:

ACUA RICCA DI LECCE     ACQ. RIC. DEL CAPO

Nel dettaglio di Terra di Otranto olim Salentina & Iapigia di Giovanni Antonio Magini (1555-1617), toponimi: CRAPARICA   ACQUARICCA DI LECCIE   ACQUARICA DEL CAPO    CAPRARICCA DEL CAMPO

 

Da notare in CRAPARICA la metatesi capra>crapa (che è poi la forma dialettale salentina).

Nel dettaglio di Terra di Otranto, olim Salentina & Iapigia di Giovanni Giansonio (circa 1660), toponimi:

CRAPARICA  ACQUARICA DI LECCIE  ACQUARICA DEL CAPO   CAPRARICCA DEL CAMPO

Nel dettaglio di Terra di Otranto olim Salentina et Iapigia, tavola del Theatrum orbis terrarum sive Atlas novus di Joan Blaeu, pubblicato nel 16357, toponimi:

CRAPARICA    ACQUARICA DI LECCIA    ACQUARICA DEL CAPO   CAPRARICCA DEL CAMPO; in quest’ultimo toponimo la m si presenta sovrascritta:

L’ultimo toponimo con CAMPO invece di CAPO nelle tre ultime carte appena esaminate mostra la affidabilità non totale di documenti di questo tipo e come spesso il perpetuarsi dell’errore sia dovuto ad una sorta di copia-incolla ante litteram.

 Nel dettaglio della Provincia di Terra d’Otranto già delineata dal Magini e nuovamente ampliata in ogni sua parte secondo lo stato presente e data in luce da Domenico De Rossi e dedicata all’Imparegiabile Virtù e Merito dell’Ill.mo e Rev.mo Sig.re Monsig.re Francesco Maria d’Aste Arcivescovo d’Otranto, Primate de Salentini, Prelato Domestico, e del Soglio Pontificio Vescovo Assistente. Data in Luce da Domenico De Rossi dalle sue stampe in Roma alla Pace con Priv. Del Sommo Pontefice l’Anno 1714, toponimi:

CRAPARICA    ACQUARICA DEL    CAPRA RICCA 

I dettagli che seguono sono tratti dall’Atlante geografico del  Regno di Napoli  di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni con incisioni di Giuseppe Guerra, uscito a Napoli per i tipi della Stamperia Reale dal 1789 al 1808. Toponimi: ACQUARICA  CAPRARICA   ACQUARICA DEL CAPO  CAPRARICA

I nostri due toponimi hanno ormai raggiunto e stabilizzato la forma attuale.

 

__________

 

1 Varrone (I secolo a. C.), De re rustica, II, 3, 10: Contra in Sallentinis et in Casinati ad centenas pascunt (Invece presso i Salentini e nel territorio di Cassino pascolano in greggi di cento capi). Poco prima, parlando di capre, aveva detto che in altre zone le greggi contavano in media cinquanta capi.

2 Epodon libri, III, 15-16: Nec tantus umquam Siderum insedit vapor/siticulosae Apuliae (né mai tanta arsura del cielo calò per la sitibonda Puglia. Altri riferimenti, sempre per la Puglia: Satirae, I, 5, 86-91: Quattuor hinc rapimur viginti et milia raedis/mansuri oppidulo, quod versu dicere non est,/signis perfacile est: venit vilissima rerum/ hic aqua, sed panis longe pulcherrimus, ultra/callidus ut soleat umeris portare viator. Nam Canusi lapidosus, aquae non ditior urna [Da qui siamo trasportati velocemente in carrozza per ventiquattro miglia per restare in una piccola città che non è possibile nominare con un verso ma facilissimo con i dettagli: qui la più diffusa delle cose, l’acqua, viene venduta, ma il pane è di gran lunga il migliore, sicché l’astuto viandante suole portarne oltre in sulle spalle. Infatti a Canosa è duro come la pietra e (la città) non è più ricca di un’urna d’acqua]; Carmina, III, 30, 10-13: Dicar, qua violens obstrepit Aufidus/et qua pauper aquae Daunus agrestium/regnavit populorum … (Si dirà che io, per dove rumoreggia il violento Ofanto e per dove Dauno povero di acqua regnò su popoli agresti …).

 

3 In nota l’Arditi cita Alfano, Istorica descrizione del Regno di Napoli, p. 119.

 

4 Nel dialetto neretino (ma la voce è in uso anche a S. Cesario di Lecce, Galatone, Seclì e Spongano) lacquàru [per agglutinazione dell’articolo, forse per influsso di laccu, che è dal greco λάκκος (leggi laccos)=stagno, da cui il latino lacus e da questo l’italiano lago : l’acquàru>lacquàru>lu lacquàru) è sinonimo di pozzanghera. In provincia di Vibo Valentia c’è il comune di Acquaro.

 

5 Non è da escludere per entrambi un’origine prediale, rispettivamente da Aquàrius e Capràrius, ben attestati nel CIL. I suffissi prediali sono –ànus (prevalentemente) e –icus (quest’ultimo dal greco –ικός (leggi –ikòs). Così si possono ipotizzare degli originari Aquàrica e Capràrica neutri plurali (rispettivamente: cose, possessi di Aquarius e di  Caprarius) o femminili singolari (in tal caso è sottinteso terra). Anche così, però, il ricca è fuori gioco e i nostri due toponimi avrebbero avuto una formazione analoga, giusto per fare un esempio, a Follonica, che molto probabilmente è da fullònica (sottinteso officina)=lavanderia; fullònica, a sua volta è aggettivo femminile singolare da fullo/fullonis=lavandaio. L’origine prediale, però, mal si concilia con la datazione di nascita piuttosto recente (X-XI secolo) proposta dall’Arditi.

 

6 Ecco l’intera tavola ed il dettaglio della dedica a Giuseppe Antonio d’Aragona d’Aijerbe Principe di Cassano, Duca di Alessano etc.

7 Ecco l’intera tavola e il dettaglio della dedica al vescovo di Nardò Fabio Chigi (sul quale vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/02/alessandro-vii-un-papa-gia-vescovo-fantasma-di-nardo-e-il-suo-vice/)

 

 

 

Maria Teresa Sparascio, staffetta partigiana salentina

sparascio
http://www.salogentis.it/2009/05/04/maria-teresa-sparascio-lunica-staffetta-partigiana-salentina/

di Gianni Ferraris

Il 16 ottobre 1906 nasce a Caprarica, comune di Tricase, Maria Teresa Sparascio. Cresce e vive nel basso Salento, nel comune dell’immensa quercia vallonea che ancora troneggia fra Tricase e il mare.

Nel 1932 nella caserma di Tricase arriva il carabiniere Licheri Efisio Luigi. E’ sardo di Villamar (Ca) ed dal1920 hatrovato il suo lavoro nell’arma, lui è nato nel 1901. I due sud si incontrano e si innamorano. Il 28 agosto del1934, inpieno regime fascista, si sposano a Lecce. Un incontro fra due sud, storia comune in fondo.

Ma lui è carabiniere, viene trasferito in Emilia, prima a Farini D’Olmo (Pc), poi a Langhirano (Pr). Intanto nascono Maria D’Itria nel 35, Irene nel 36, Antonietta nel 38 e Giacomo nel 42. Tutto sommato stanno bene, sono alloggiati nella caserma del Carabinieri. La situazione precipita l’8 settembre del 43. Lui diventa appuntato ma rimane fedele alla patria e si congeda dall’arma, sbanda e diventa partigiano nella brigata Pablo con il nome di “Torino”.

Nel luglio del 44 Langhirano subisce rastrellamenti e la ferocia prima della X mas, poi dei nazisti. La provincia di Parma è martoriata come tutto il nord Italia dalla violenza nazi fascista, i consuntivi parlano di 1675 civili caduti dall’inizio della guerra alla liberazione, di questi 506 erano donne, molte ammazzate senza pietà e senza motivi apparenti, come Adele Nardi, colpita da un proiettile nazista mentre giocava con la sua figlioletta in strada.

Maria Teresa intanto aiutava come poteva il marito e la resistenza era staffetta e basista.

Quel maledetto 26 settembre 1944 Efisio era fuori, lei era in casa con la figlia Maria D’Itria che così ricorda gli avvenimenti:

“… Ricordo che mentre si affrettava a mettere a posto alcuni documenti che il marito le aveva affidato per motivi che non potevo conoscere ma che intuivo, e poi a sistemare indumenti di noi bambini e infine a raccogliere da terra, presso al finestra, le scarpe della figlioletta più piccola, mi invitava a tenermi pronta per andare a ripararci anche noi  insieme all’altra sorellina Irene. Dopo qualche minuto una fucilata partita da un mitra piazzato di fronte alla nostra abitazione la colpiva ferendola a morte. Io, che stavo dietro di lei, fui salva per miracolo. Loro, i nemici tedeschi, avevano raggiunto il loro scopo: erano venuti per punire…”*

Maria Teresa, unica partigiana salentina,  morì il 7 ottobre 1944 all’ospedale di Parma, ferita mortalmente ad un polmone.

Scrive Nello Wrona che in prossimità del 50° anniversario della morte di Maria Teresa si spinse a Langhirano per fare ricerche:

“… Non ricordava il sindaco, ma promise ricerche: non ricordava l’arciprete… non ricordavano gli uomini della Resistenza, rintracciati e scovati sotto i nomi di battaglia, sempre disponibili, mai reticenti, spesso sorpresi: “La moglie di Torino? Si, successe qualche cosa, qualcuno sparò – i tedeschi, certo, durante una puntata – ma se fu per vendetta o per errore o per delazione non saprei dire” … Nella capitale del prosciutto la rimozione era totale, quasi fisica.

E così, di questa donna, morta di piombo tedesco per essere stata porta ordini e moglie di partigiano, si può solo scrivere una storia a togliere. E levando di scena tutto, tranne la morte e le origini. Solo in questo modo la sua storia ha un senso. Nella misura in cui Langhirano e Tricase sono sulla stessa latitudine antropologica: “cafoni” da una parte, “scariolanti” dall’altra; mercato della braccia a Lecce come a Faenza o a Parma; la stessa malaria; la stessa staffa di cavallo dietro la porta; gli stessi abiti di cotonina, lo stesso volto rugoso di aceto e tabacco, sotto lo stesso velo nero delle donne…. Così morire a Langhirano o a Tricase, ha solo un valore incidentale, perché il sud è sempre un meridione planetario, sempre uguale quando la storia la scrivono gli altri. Colpisce solo il silenzio di quarant’anni, quando la storia, a scriverla, è una donna, e una donna meridionale….” *

*Da: Maria Teresa Sparascio – Staffetta partigiana salentina. A cura di Francesco Accogli e Massimo Mura Ed. dell’Iride – dicembre 2004 –

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