Gli echi della Magna Grecia e di Bisanzio nell’antologia dedicata al più antico dialetto del Salento

Recensione pubblicata sul Sole 24 ore del lavoro di Brizio Montinaro, Canti di pianto e d’amore dell’antico Salento, Bompiani, Milano 1994-2001.

Un eroico lamento cuore della <gricità>

di Dario Del Corno

A Calimera, un’amena cittadina della Terra d’Otranto che porta nel suo stesso nome il gentile augurio di una “buona giornata”, l’alloro è detto dafni. Così, secondo il mito, si chiamava la ninfa amata da Apollo, che per sfuggire al dio si tramutò nella pianta che incorona i poeti. Per entrambi i nomi, non si tratta di un prestito isolato dall’idioma greco. A Calimera, come in alcuni paesi circostanti ed in altri della Calabria, sopravvive un’isola linguistica dove si parla il <<grico>>, un dialetto che presenta una sostanziale affinità con la lingua della vicina Grecia.

Le tracce di questa derivazione si perdono addietro nel tempo: il Salento fu uno degli approdi privilegiati dagli antichissimi colonizzatori, che tradussero nel nome stesso di Magna Grecia la nostalgia della patria abbandonata e l’ammirazione per il nuovo territorio della loro vita.

Ma la penisola salentina fu anche uno degli epicentri più tenaci della dominazione di Bisanzio in Italia; e ancora nel XIII secolo D. C. i poeti bizantini di Terra d’Otranto, raccolti in una bella antologia da Marcello Gigante (Galatina, 1985), testimoniano la vitalità di una letteratura, che di fronte all’espansione della lingua romanza intendeva rimanere fedele ai modi di una lunga tradizione.
Si discute fra i dotti se il <<grico>> risalga a quei lontani albori della Grecità italica, o se le sue origini vadano piuttosto accostate all’epoca di Bisanzio e alla sua lingua. Per entrambe le ipotesi militano buoni argomenti; ma forse non è necessario ricorrere a una tanto drastica alternativa.

I bizantini sovrapposero un nuovo impulso a una cultura che non aveva mai smarrito il senso della remota ascendenza ellenica, e che proprio per tale

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