Borgoinfesta è BorgoinCanto. A Borgagne

Borgoinfesta 9

a cura di Viviana Leo

X edizione

BORGOINFESTA 2014

BorgoinCanto, la rassegna musicale di Borgoinfesta

 

Dal 30 maggio al 2 giugno

Piazza Sant’Antonio, Borgagne (Le)

Info: 388/7710391

www.borgoinfesta.it

 

Grande musica a Borgoinfesta, il festival eco-culturale di Borgagne (Le) che spegne quest’anno dieci candeline con un programma di eventi imbastito intorno al tema “Essere Comunità”. Protagonista e narratrice di se stessa e della propria storia, la comunità di Borgagne è pronta ad accogliere migliaia di amici nel centro storico del paese in una grande festa che, seppur all’importante traguardo, continua a conservare una dimensione familiare e conviviale in cui sostenibilità, ecologia e solidarietà rappresentano le chiavi per interpretare in modo creativo e virtuoso il territorio e valorizzare la biodiversità culturale, elemento questo che ha portato l’associazione ‘Ngracalati, organizzatrice del festival ad aderire all’Associazione Nazionale Borghi Autentici d’Italia.

 

Programma

 

Venerdì 30 maggio

A inaugurare il programma di BorgoIncanto, la rassegna musicale di Borgoinfesta è Dario Muci che porta sul palco “Rutulì, barberia e canti dal Salento”, spettacolo che rappresenta solo una piccolissima parte del complesso e variegato patrimonio popolare e contadino. I canti riproposti fanno parte di quel repertorio della tradizione orale che attraversa l’Italia e arriva nel Salento, che raccoglie soprattutto un cospicuo repertorio di canti narrativi proveniente dal nord, tipico delle aree alpine. Oltre ai canti, hanno una loro forte presenza gli strumenti a corda, come un fado portoghese o un classico napoletano. Sono fondamentali anche la chitarra e il mandolino, strumenti principi della barberìa, ovvero la musica delle sale da barba, i saloni, dei veri e propri salotti dove si potevano anche ascoltare le novità della musica colta, oltre al repertorio classico di ballabili e serenate. Nel pomeriggio di sabato 31 l’artista salentino conduce “Paravoce”, uno stage di canto polivocale salentino.

La serata si apre con la sfilata di abiti vegetali di Note Fiorite, l’evento internazionale di arte floreale che
quest’anno dedica la passerella al tema del matrimonio. A seguire, dopo il live, la piazza continua a brulicare con canti e balli a cura di Gianni Amati.

 

 

Sabato 31 maggio

C’è grande attesa per il concerto del Canzoniere Grecanico Salentino, che dopo aver girato tutto il mondo arriva a Borgagne con uno spettacolo carico di energia e passione. Lo storico gruppo, passato da qualche anno sotto la direzione artistica di Mauro Durante, si esibisce con un repertorio di canti tradizionali e non che reinterpretano e riarrangiano il ricco patrimonio etnomusicale salentino. A caratterizzare il gruppo è l’affascinante dicotomia tra tradizione e modernità: il gruppo è composto dai principali protagonisti dell’attuale scena pugliese che reinterpretano in chiave moderna le tradizioni che ruotano attorno alla celebre pizzica. Un’esplosione di ritmo e magia, che trascinano in un viaggio dal passato al presente sul battito del tamburello, cuore pulsante della tradizione salentina. Sul palco Mauro Durante (voce, tamburello, violino), Maria Mazzotta (voce, percussioni), Giulio Bianco (zampogna, armonica, flauti, fiati popolari), Massimiliano Morabito (organetto), Emanuele Licci (voce, chitarra, bouzouki), Giancarlo Paglialunga (voce, tamburello), Silvia Perrone (danza).

Ad aprire la serata sono Giana Guaiana e Pippo Barrile con il progetto “Fatti di Terra e d’amuri”, un repertorio di canti in dialetto siciliani, sardo e pugliese, che raccontano l’amore in tutte le sue infinite sfaccettature, che dalle parole più dolci può sfociare in un grido di protesta. Dai canti dei carrettieri a brani più recenti come Mokarta e Dumà, resi celebri dalla voce di Pippo Barrile insieme ai Kunsertu, il live mette in risalto le voci accompagnate dalla chitarra, come nella più autentica tradizione popolare.

Il duo passa poi i microfoni a “Il paese che canta”, ensemble diretto dal maestro Roberto Corciulo che riscrive in chiave corale moltissimi brani della tradizione popolare salentina. Nato sul solco segnato dalle ‘Ngracalate, le cantatrici di Borgagne, “Il paese che canta” conserva e custodisce i canti che nei secoli hanno popolato le campagne salentine. Insieme alle voci maschili e femminili partecipano Stefania Murciano (voce), Sandro Trovè (tamburelli) e Antonio Mariano (chitarra).

 

 

domenica 1 giungo

Grazie al sostegno di Puglia Sounds e l’inserimento nella Rete dei Festival “Mediterranea Network”, Bogoinfesta propone la prima nazionale di “Mediterrante” il progetto musicale del siciliano Mario Incudine, uno spettacolo di canti, cunti, danze dalle due sponde del Mediterraneo, un viaggio tra le musiche nomadi che attraverso i flussi migratori di ieri e di oggi diventano le due facce della stessa medaglia. Accanto a Mario Incudine, sul palco suonano Faisal Taher (cantante palestinese voce storica dei Kunserto e dei Dounia) e Kaballà (autore e cantautore molto raffinato e coinvolgente), e i due percussionisti salentini Riccardo Laganà (musicista dell’Orchestra della Notte della Taranta ma anche di Einaudi, Sparagna, Caparezza) e Carlo Canaglia De Pascali. Da Borgagne si crea un ponte tra Sicilia, Palestina e Salento, in una fusione che dà vita a un concerto coinvolgente e appassionante.

Grande attesa anche per la “Notte delle cento chitarre”, un corteo musicante di strumenti classici ed elettrici, composto da musicisti professionisti, appassionati e dilettanti, per suonare insieme, in un’unica e potente vibrazione di corde e percussioni, un pezzo “aperto” pensato dal leader dei Mau Mau Luca Morino, ideatore del progetto. I cento musicisti suoneranno all’unisono, sotto la direzione di Morino che “chiamerà” i pieni, i silenzi e le armonie da eseguire con i mezzi classici dell’arte di strada, il megafono e il fischietto. Il risultato si annuncia esplosivo ma non lascerà spazio a protagonismi e virtuosismi: pubblico e musicisti saranno sullo stesso piano, entrambi legati da un grande coinvolgimento emotivo e dalla voglia di divertirsi giocando con la tradizione aggiornata al 2014.

Ad aprire la serata è Nicola Briuolo, allievo diretto di Matteo Salvatore, maestro di cui propone un repertorio di canti conosciuti e non, storie di miseria e povertà, di fascismo e di guerra, d’amore e sofferenza. L’eredità di Matteo Salvatore è stata raccolta in tutte le sue sfumature dal suo discepolo che a Borgoinfesta ne ripropone alcuni frammenti con Bernardo Bisceglia (mandolino e voce), Martina Calluso (voce) e Michele Bisceglia (percussioni).

A seguire la piazza continua a brulicare con canti e balli a cura di Gianni Amati.

 

Lunedì 2 giugno

A chiudere BorgoinCanto è Mino De Santis, menestrello tugliese, testimone di usi e tradizioni del meridione e del Salento, di storie di vita tra il triste ed il comico, senza perdere mai l’ironia e la musicalità tipica dei cantautori italiani. I suoi brani sono quadretti pittoreschi di personaggi, vizi e virtù di un’Italia e un Sud alla continua rincorsa di un’identità a suon di valzer, stornelli e fanfare.
Il dialetto viene facilmente tramutato in rime e versi senza mai scadere nell’ingenua poesia popolare. Ad accompagnare Mino De Santis sono Pantaleo Colazzo (fisarmonica) e Mauro Semeraro (mandolino).

Ad aprire la serata è il live di Mute Terre, gruppo che crea un ponte sonoro nel Mediterraneo, tra Balcani e Sud Italia partendo dalla tradizione salentina. Sul palco suonano Ilenia Miceli (voce), Christian Miceli (fisarmonica), Alessandro Trovè (voce e tamburello), Mattia De Luca (flauto traverso e ottavino), Jacopo Montagna (chitarra) e Gabriele Drago (tamburello).

 

 

Borgagne. Borgoinfesta?

 

Borgagne. Ph Raffaele Puce
Borgagne. Ph Raffaele Puce

di Wilma Vedruccio

 

Un sogno ad occhi aperti, di Angelo Pellegrino, diventato un sogno collettivo.

Una scommessa che ogni anno si rilancia sul tavolo da gioco.

Un contagio, se lo sguardo vuol essere negativo.

Una clessidra, dove la polvere d’oro dei giorni di un’intera annata passa dalla strettoia dei giorni di festa e s’ accumula sul fondo quale capitale d’energia per l’anno che verrà quando la clessidra sarà capovolta.

Ma i giorni della festa !!

Rimane il piacevole stordimento della musica ascoltata, una valanga di foto che vorrebbero fermar quei giorni, aneddoti da raccontare.

Resta il gusto di ciò che si è mangiato, ma la ricetta sfugge, bisognerà attendere il prossimo anno per riassaporare piatti che arrivano da tempi di una volta, fino alle nostre moderne papille gustative.

Resta la frenesia della danza nei muscoli e nell’animo sia di chi ha provato la gioia e lo stordimento del ballo collettivo, sia di chi ha solo guardato la folla palpitante pulsare al ritmo della pizzica e di altra musica mediterranea che dalle tarantelle si è lasciata contaminare.

Rimane, in chi è avanti negli anni, la speranza di poter esserci ancora in questa dolce follia collettiva.

Resta l’orgoglio di aver vissuto giorni da città d’arte, respirando la polvere sollevata dagli scalpellini che intagliano la pietra e visitando mostre con istallazioni da provare a capire e a spiegare a chi non c’era.

Di quei giorni rimane il gruzzoletto delle monetine della Solidarietà che assume dignità di ricchezza nella lontana Africa del Benin, nell’orfanotrofio di Ouenou, dove sarà speso per la sopravvivenza.

Alla Comunità del Borgo resta la consapevolezza che si può smovere la crosta dei secoli se si mettono insieme le idee, i progetti, le energie, da condividere per avere tutti insieme un più ampio respiro.

Infine  Borgoinfesta è…la festa che apre le porte alla stagione estiva.

 

Ai cipressi di Borgagne

cipressi

di Pino de Luca

 

Il cipresso è un albero strano. Sempreverde (Cupressus sempervirens) alto e dalla chioma stretta e con radici dal medesimo disegno. Non serve, dicono, praticamente a nulla. La sua ombra è inesistente, magari potrebbe fare lo gnomone di una meridiana gigantesca. Fitto e dai rami sottili, difficile farci i nidi. Brucia male.
I cipressi sono li, a guardia dei morti, o a coronare viali dal fondo polveroso e sconnesso, sabbie mobili per passi perduti per chi cammina senza una meta precisa.
E invece il cipresso è nobilissimo, il primo albero dell’Eden si dice. Del suo nobile e aromatico legno era la freccia dell’arco di Eros, lo scettro di Zeus e la clava di Ercole.
Segno della salvezza (“Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori.” Genesi, 6,14) e della vita (“Se proprio non vuoi bruciare, torna a vivere” disse San Francesco piantando un rametto di cipresso. Quel cipresso è ancora a Santa Croce …)
Segno di eros e di amore perenne. Il suo nome è legato a Ciparisso, giovanetto che, insieme a Giacinto, era l’amato di Apollo.
Apollo, per ringraziarlo della sua disponibilità, gli regalò un cervo ma, un brutto giorno, giocando con il giavellotto Ciparisso colpì il cervo ferendolo a morte. Addolorato per la perdita chiese ad Apollo di rendere perenne il suo pianto e il dio lo trasformò in albero: il Ciparisso o cipresso.
E le galbule? Dioscoride ne fa uno dei medicamenti primari financo contro il veleno degli scorpioni.
Poi, poi viene l’oblìo e, con esso, l’ignoranza. E il cipresso diventa l’albero dei morti e della “sfiga”, l’albero che non ha senso coltivare perché non fa ombra e non fa frutti. Cresce lentissimo e, cosa imperdonabile per gli umani del tempo della fretta, è longevo, molto longevo.
E allora si segano gli alberi, si tagliano e si buttano, perché lo decide qualcuno che magari va in chiesa tutte le mattine e non sa nemmeno di quali legni è fatta la croce di Cristo. Palma, Ulivo, Cedro e Cipresso, per chi lo avesse dimenticato.
Si segano e si buttano incuranti della storia che hanno visto e che possono raccontare.
Sono indifesi gli alberi, non possono fuggire né ferire. Sono lì a guardarci da vivi e anche da morti, a dirci che loro c’erano quando noi non c’eravamo e ci saranno quando noi non ci saremo.
Ma sono utili gli alberi e si possono tagliare, l’importante è che qualcuno sappia per quale ragione, da spiegare ad una cozza che, nel Salento, ricorda i cipressi di Borgagne.
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Borgagne (Lecce). L’altare dell’Immacolata nella chiesa matrice

di Alberto Rescio

Fu la famiglia Pino a volere, nel 1788, la prima cappella ancora oggi dedicata all’Immacolata Concezione di Maria, sul fianco sinistro della chiesa matrice di Borgagne, ornando l’altare di una bella tela coeva.

Il vero protagonista fu Carmine, un notabile del posto ma di origini poggiardesi, economicamente assai agiato, tanto da permettersi di ricostruire l’altare che i suoi avi avevano a suo tempo eretto in onore di San Giuliano di Cuenca.

La committenza fu celebrata con un’epigrafe che ancora si legge, scolpita nel fregio che sovrasta la tela di nostro interesse:

SACELLUM HOC AUGUSTISSIMUM/ DIVO JULIANO CONCESSUM EPISCOPO PROFUSA IN PAUPERES LIBERALITATE EXIMIO/PER MAIORES FAMILIAE PINO OLIM IN TERRA JULIANI UNA CUM SUI PATRONATUS IURE DICATUM DOTATUM ERECTUM/ DEIN VETUSTATE PENE COLLAPSUM/ CARMINUS PINO/ EX MAGIS.(TRO) JO(ANNE) PINO BOARDENSI ET CATHARINA SANTORO BURBANENSI CONIUGIBUS NATUS HIC DEINDE BONAVENTURAE PICO CONNUBIO ADNEXUS/ AVITAE PIETATIS AEQ. AC JURIUM HAERES SUB AUSPICIIS THEOTOCOS SINE LABE CONCEPTAE CUM/ GENTILITIO FAMILIAE SUAE PROPE IPSIUSMET ARAM SEPULCHRO PRAEVIO UNIVERSITATIS PERMISSU/ ET ELEGANTIORI FORMA HIC RESTRUENDUM CURAVIT A.D. MDCCLXXXVIII

Questo augustissimo altarino, dedicato a San Giuliano Vescovo, insigne per la sua splendida munificenza verso i poveri, fu dedicato, dotato ed eretto insieme col diritto di proprio patronato da parte degli antenati della famiglia Pino, un tempo nella terra di Giuliano. Poi, quasi crollato per vetustà, Carmine Pino, nato qui dalle nozze del mastro Giovanni Pino di Poggiardo e Caterina Santoro di Borgagne e successivamente unito in matrimonio con Bonaventura Pico, erede dell’antica pietà e diritti, sotto gli auspici della Madre di Dio concepita senza peccato, insieme al sepolcro gentilizio della propria famiglia presso il suo stesso altare, ottenuto il permesso dell’Università, con più bella forma qui volle che si ricostruisse nell’anno del Signore 1788“.

Il dipinto, di buona fattura, datato 1790, ma di autore ignoto, rappresenta il vescovo Giuliano che intercede presso Maria Immacolata per i poveri, ritratti appena sotto il santo.

Maria guarda al cielo, con la testa inclinata, avvolta tra le nubi, accerchiata da una moltitudine di angioletti colti in diversi atteggiamenti: alcuni conversano tra di loro, di altri si vedono solo i visi quasi confusi con le rotondità delle nubi; uno è aggrappato a un drappo, un altro ancora ci volge la schiena, portando in spalla un fascio di gigli bianchi.

L’iconografia è quella classica e la Vergine con il piede destro schiaccia la testa del serpente, mentre il sinistro poggia sulla mezzaluna, in buona parte nascosta dagli angeli.

Di buona fattura anche la figura del santo, vescovo noto per la prodigalità verso i più poveri,  riprodotta con dovizia di particolari: pregevoli le pieghe del mantello, la stola e i polsini finemente ricamati, la solenne posa del pastorale sorretto da un angioletto in secondo piano.

L’abilità dell’artista non cala nel ritrarre le tre donne in costume popolare dell’epoca, che occupano la parte inferiore sinistra del dipinto, giustamente proporzionate rispetto al restante.

Evidente la figura del committente, a destra, in basso, della tela, anche questo con i vestiti del tempo, che ha voluto perpetuare la propria persona, non ritenendo sufficiente il ricordo perenne offerto dall’epigrafe e dallo stemma di famiglia che domina sulla cimasa dell’altare.

Posto di tre quarti, con lo sguardo rivolto al pubblico, l’offerente posa quasi entusiasta, pur nel rigore dell’abito scuro e del candido colletto riccamente merlettato. Che volesse apparire un uomo di preghiera lo conferma il libretto di preghiere che il donatore tiene con la mano sinistra, il cui indice tra le pagine sottolinea la momentanea distrazione per offrirsi al ritrattista.

Borgagne – Bel suol d’amor

Borgagne su una tela del ‘600

 

di Wilma Vedruccio

Per molto tempo Borgagne non è stato il mio paese, era il paese di mia madre, il paese dei nonni materni che coltivavano garofani in vasi di fortuna, nel loro giardinetto dietro casa, con al centro l’albero di mèndule. La loro casa, sotto un arco di pietra con un rosaio di rosa ndurante per ghirlanda,  in quello che oggi si dice centro storico, si affacciava nella stessa corte dove imperava un geranio  rosso scuro di velluto, dentro una capasa, e dove Romeo, il cacciatore di sanguette, passava i pomeriggi a fumare la pipa e a riposare sul gradone di liccisu.

Odor di rose a maggio, odor di botti di vino in tutte le stagioni.

La poesia di San Martino si mandava a memoria facilmente.

Ora, dopo vicissitudini ed affanni, è il paese in cui vivo stabilmente, io che ho eletto il Salento intero a patria mia poichè un paese solo mi par poco.

Olivi cingono Borgagne tutta in tondo, le vigne le vedi solo se ti inoltri a piedi nel feudo di Pasulo, in alcune conche le puoi ancora trovare, coi cippuni che affondano nell’acqua, nelle annate in cui abbondano le piogge.

Il centro abitato, cresciuto molto negli ultimi decenni, sembra voler assediare gli oliveti,  morde la campagna che si ostina a fiorire intorno, cancella sciardine, innocenti vittime sacrificate al dio delle lottizzazioni, mentre la popolazione è ferma ad un numero costante, circa 2000, che ha cristallizzato istituzionalmente il paese in un dimensione sgradita  di frazione. Poche le sezioni di scuola di base. Tante le macchine e le case.

Duemila anime, dunque, suppergiù, un microcosmo multiforme di culture, dalle roccaforti ancora resistenti di cultura contadina a frange giovanili postmoderne, da stili di vita quasi arcaici a quelli riconducibili a forme sfrenate di consumismo a gogò, con annessa problematica e malcostume inerente a cosa farsene degli oggetti in più, se non abbandonarli nelle campagne quali istallazioni di arte informale.

Il meglio del paese viene fuori nelle occasioni di partecipazione corale a festività, civili e religiose. Dal pellegrinaggio a Roca, nel mese di maggio, alle feste patronali, dalla Maratona di Primavera al premio Vrani, per salentini geniali e operosi, fino allo travolgente Borgoinfesta, tre giorni di ininterrotta giostra di musica, arte, cibo e solidarietà, che si offre a stanziali del Salento e a turisti d’ogni dove e che vuole allungare sguardo e benefici all’Africa lontana del Benin, dove i ragazzi dell’orfanotrofio di Ouenou, guardano a Borgagne quale paese di Bengodi, a ragione.

Ogni iniziativa è frutto di lunga programmazione, di concertazione, di volontariato generoso oltre che di forte motivazione.

La Chiesa Madre è ricca di tracce del passato di cui non si ha memoria,  parla di arte, religione, ricchezza, di pietas e di amore per la natura.

Il santuario di Borgagne è la zona dell’Olmo, sopravvissuta a smanie di lottizzazione. Si trova ai piedi della mappa, quale propaggine naturale per un paese bucolico, da sogno, frammento di coltivi illuminati del passato, quando si combatteva con metodi naturali, la presenza d’acqua, eccessiva.

Ora la zona dell’Olmo è un residuo “culturale” che parla di rapporto positivo fra gente di buona volontà e territorio, di equilibrio fra natura e uomo. Le sue foglie raccontano per tutta la stagione storie scordate.

Lo so, la mia descrizione del paese carezza aspetti di poco conto, marginali, alternativi, non sono queste le cose che contano in banca, che parlano di crescita e di guadagni…voi che ne dite, rincorriamo la modernità ad ogni costo o ci aggrappiamo a ciò che di bello ancora s’intravede?

Borgagne. Bel suol d’amor

 

 

di Wilma Vedruccio

Per molto tempo Borgagne non è stato il mio paese, era il paese di mia madre, il paese dei nonni materni che coltivavano garofani in vasi di fortuna, nel loro giardinetto dietro casa, con al centro l’albero di mèndule. La loro casa, sotto un arco di pietra con un rosaio di rosa ndurante per ghirlanda,  in quello che oggi si dice centro storico, si affacciava nella stessa corte dove imperava un geranio  rosso scuro di velluto, dentro una capasa, e dove Romeo, il cacciatore di sanguette, passava i pomeriggi a fumare la pipa e a riposare sul gradone di liccisu.

Odor di rose a maggio, odor di botti di vino in tutte le stagioni.

La poesia di San Martino si mandava a memoria facilmente.

Ora, dopo vicissitudini ed affanni, è il paese in cui vivo stabilmente, io che ho eletto il Salento intero a patria mia poichè un paese solo mi par poco.

Olivi cingono Borgagne tutta in tondo, le vigne le vedi solo se ti inoltri a piedi nel feudo di Pasulo, in alcune conche le puoi ancora trovare, coi cippuni che affondano nell’acqua, nelle annate in cui abbondano le piogge.

Il centro abitato, cresciuto molto negli ultimi decenni, sembra voler assediare gli oliveti,  morde la campagna che si ostina a fiorire intorno, cancella sciardine, innocenti vittime sacrificate al dio delle lottizzazioni, mentre la popolazione è ferma ad un numero costante, circa 2000, che ha cristallizzato istituzionalmente il paese in un dimensione sgradita  di frazione. Poche le sezioni di scuola di base. Tante le macchine e le case.

Duemila anime, dunque, suppergiù, un microcosmo multiforme di culture, dalle roccaforti ancora resistenti di cultura contadina a frange giovanili postmoderne, da stili di vita quasi arcaici a quelli riconducibili a forme sfrenate di consumismo a gogò, con annessa problematica e malcostume inerente a cosa farsene degli oggetti in più, se non abbandonarli nelle campagne quali istallazioni di arte informale.

Il meglio del paese viene fuori nelle occasioni di partecipazione corale a festività, civili e religiose. Dal pellegrinaggio a Roca, nel mese di maggio, alle feste patronali, dalla Maratona di Primavera al premio Vrani, per salentini geniali e operosi, fino allo travolgente Borgoinfesta, tre giorni di ininterrotta giostra di musica, arte, cibo e solidarietà, che si offre a stanziali del Salento e a turisti d’ogni dove e che vuole allungare sguardo e benefici all’Africa lontana del Benin, dove i ragazzi dell’orfanotrofio di Ouenou, guardano a Borgagne quale paese di Bengodi, a ragione.

Ogni iniziativa è frutto di lunga programmazione, di concertazione, di volontariato generoso oltre che di forte motivazione.

La Chiesa Madre è ricca di tracce del passato di cui non si ha memoria,  parla di arte, religione, ricchezza, di pietas e di amore per la natura.

Il santuario di Borgagne è la zona dell’Olmo, sopravvissuta a smanie di lottizzazione. Si trova ai piedi della mappa, quale propaggine naturale per un paese bucolico, da sogno, frammento di coltivi illuminati del passato, quando si combatteva con metodi naturali, la presenza d’acqua, eccessiva.

Ora la zona dell’Olmo è un residuo “culturale” che parla di rapporto positivo fra gente di buona volontà e territorio, di equilibrio fra natura e uomo. Le sue foglie raccontano per tutta la stagione storie scordate.

Lo so, la mia descrizione del paese carezza aspetti di poco conto, marginali, alternativi, non sono queste le cose che contano in banca, che parlano di crescita e di guadagni…voi che ne dite, rincorriamo la modernità ad ogni costo o ci aggrappiamo a ciò che di bello ancora s’intravede?

La cena della notte di San Giovanni

ASSOCIAZIONE ‘NGRACALATI, SPECIMEN TEATRO E SALENTO IN CAMPO

presentano

LA CENA DELLA NOTTE DI SAN GIOVANNI

Banchetto Medievale nel cuore di Borgagne

Sabato 23 giugno

Ore 20:30

Piazza Sant’Antonio – Borgagne (Melendugno – Le)

 

Dopo il successo dell’ottava edizione di Borgoinfesta, l’Associazione ‘Ngracalati replica per il secondo anno consecutivo “la cena della notte di San Giovanni”, un viaggio alla riscoperta di riti e usanze legate al solstizio d’estate, l’antica “porta di Dio”, proposto dalle associazioni “Specimen Teatro” e “Salento in Campo”.

La rinnovata Piazza Sant’Antonio di Borgagne (Melendugno-LE) accoglierà uno spettacolare banchetto medievale animato da giullari, acrobati, giocolieri, attori, mangiafuoco, musici e danzatori. Gli ospiti potranno gustare i buoni piatti della tradizione salentina e mediterranea, i vini, i nuovi liquori d’erbe, bacche e frutta serviti per tutta la durata della cena da damigelle e garzoni in costume.

Durante la notte, gli ospiti saranno invitati a raccogliere i malli delle noci per preparare il nocino, confezionare in trecce l’aglio, camminare a piedi nudi sulla rugiada magica. Nel frattempo si preparerà “l’acqua di San Giovanni”, si raccoglieranno le nuove essenze aromatiche per la casa, si confezioneranno i mazzetti delle erbe bagnate dalla rugiada che, per tradizione, acquisiscono il potere di scacciare ogni malattia.

La Nottedi San Giovanni è anche motivo per riscoprire la musica della tradizione salentina e del Sud Italia, quella colta e quella popolare, per valorizzare i dialetti, per presentare le erbe e le loro caratteristiche, per provare il piacere di ascoltare i cunti e le tiritere del solstizio d’estate.

LABORATORIO RITMI E RITI

21-23 giugno 2012

Borgagne (Melendugno –Le)

 

L’Associazione Specimen Teatro organizza dal 21 giugno il laboratorio ”Ritmi e Riti”, occasione per vivere passo passo la preparazione della festa di San Giovanni. Sarà possibile partecipare a tutte le attività tra cui: escursioni, prove teatrali e musicali, danze popolari, raccolta delle erbe di San Giovanni, preparazione di oleoliti, mazzetti di erbe e piante aromatiche.

Ingresso: euro 20,00

Info 328 54 73 087; Prenotazioni 389 55 49 520

 

Prevendita: Borgagne – Caffè Petraroli; Lecce – BAR300 mila

Borgagne, incastonata nel paesaggio di pietra e di ulivi…

di Pino de Luca

 

40° 16′ 35” Nord; 18° 20′ 15” Est. Ci vivono circa duemila abitanti, a due passi dal Mare Adriatico, nel cuore del Salento. Borgagne, frazione di Melendugno. Dal 23 al 26 di giugno si veste a festa. Raccoglie poeti, musicisti, scultori e pittori nelle sue corti e nelle sue stradine, s’ illumina questa “chiccara di porcellana” incastonata nel paesaggio di pietra e di ulivi che scivola verso un drappo di costa così bella, così bella che un suo angolo si chiama “Poesia.”

Borgoinfesta non è una festa nel senso classico delle feste, non ha riti propiziatori da richiamare e nemmeno ringraziamenti ultraterreni. Borgoinfesta è un mutuo che si paga per poter godere della felicità. Un mutuo in conto capitale per investimenti sicuri e redditizi. Un mutuo per poter coltivare la memoria al di fuori di ogni retorica, semplicemente come radice feconda che nutre l’albero del presente e fa ben sperare per una copiosa raccolta di frutti nel futuro.

Angelo (si chiama così, quando si dice i nomi …) ha pensato a suo nonno, a quel patrimonio di scienza e di conoscenza che poteva perdersi con la naturale, anche se dolorosa, fine del percorso terreno. E ha messo in piedi questa idea di vita. Condivisa e partecipata perché la memoria non è di Angelo ma di tutti, è diventata un grande appuntamento con un calendario straordinario. Esporlo? Nemmeno per sogno: www.borgoinfesta.it la tecnologia ci soccorre evitandoci la pena della didascalia ed evitandovi la noia dello spulcio.

Immergersi in Borgoinfesta è riprendersi il tempo per pensare, per essere, per vivere: “settàmune nu picca/ ca difriscàmu…” (sediamoci un momento/che riposiamo) dicono due versi della poesia “Sentiti Genti” che apre il racconto.

Entrando a Borgoinfesta non si entra nella sagra paesana, nel fumo di improbabili servole e patatine fritte nel bisunto. Si respira l’aria della comunione di genti che si raccontano con i propri linguaggi, si partecipa ad un piccolo pezzettino di ragioni per le quali vale la pena vivere.

Borgoinfesta è partecipazione di numerose comunità del cibo, è creazione di pozzi in Africa ed ora che i pozzi ci sono, di orti insieme a Slow Food ed al Vescovo di N’Dali, Mons. Martin Adijou, che sarà a Borgagne il 26 giugno.

Gli umani, quando rivendicano il diritto ad essere umani, sono capaci di miracoli strabilianti: a Borgagne canti con le ‘Ngrecalate e torni a Roma più sereno e più lucido, a Borgagne bevi un bicchiere di vino e aiuti una cipolla a crescere in Benin. Io lo trovo semplicemente straordinario.

Ho fatto ad Angelo qualche domanda, anche perfida, dei suoi rapporti con la politica e con le istituzioni. Ed Angelo, candido, mi ha risposto che tutti sono i benvenuti a Borgoinfesta, che ogni contributo è utile a far comunità, a tessere socialità, a includere partecipazione. Lo scrivo nella speranza che chi legge intenda e silente agisca, in cambio di nulla, solo perché va fatto.

E per Slow Food ho chiesto quale fosse il prodotto caratteristico di Borgagne, Angelo non lo sa.

In realtà Borgagne non ha prodotti da presidio. Borgagne potrebbe essre un prodotto da presidiare, anche ricordando quello che disse Antonio Muci al Congresso Slow Food del 2010: “vanno bene i magazzini per prodotti della terra e delle mani dell’uomo, ma forse è ora di edificare anche i magazzini della memoria, scrigni preziosi di conoscenza e di emozioni.”

Si cominci da Borgagne, che chi ben comincia è a metà dell’opera. E da Angelo, e da suo nonno, e da tutti coloro che si impegnano a Borgoinfesta una cosa è evidente: si può fare, basta farlo.

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

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Marcello Gaballo
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