Nardò, il Conservatorio di S. Maria della Purità, ovvero quando l’assistenza era amore e non uno squallido affare

di Armando Polito

Probabilmente tutti quelli della mia età appaiono come laudatores temporis acti (chiedo scusa a chi conosce il latino, ma sono costretto a tradurre a beneficio di tutti gli altri, che non credo numerosi …: lodatori del tempo trascorso), dinosauri nostalgici del passato al quale guardano con il telescopio, mentre utilizzano il microscopio per analizzare e poi stigmatizzare da moralisti arretrati tutto ciò che dei tempi correnti non garba loro. Non sono, però, tanto ingenuo da ritenere che la dirittura morale sia stata lo splendido, esclusivo appannaggio delle passate generazioni e che tutto oggi sia manifestazione di luridume interiore. So benissimo pure che oggi vengono alla luce con più facilità certe miserie che prima restavano nascoste, non solo quelle private, personali,  ma anche le pubbliche, istituzionali. E non basta sciacquarsi la bocca con la parola trasparenza, se essa serve solo ad alimentare, con ammiccamento degli stessi mass media, tv in primis, da una parte curiosità di tipo voyeuristico, dall’altra la stessa lotta politica che è al servizio della democrazia solo se obbedisce ai canoni dell’onestà, quella intellettuale compresa, del rispetto reciproco e della verità. Non bisogna fare di ogni erba un fascio (tante sono, per esempio, le associazioni di volontariato al di sopra di ogni sospetto, alle quali dovrebbe andare la nostra gratitudine e che avremmo il dovere di sostenere e difendere, se è necessario anche con rabbioso trasporto d’amore)  ma nemmeno concludere sconsolatamente: tanto è stato sempre così. Faccio presente che la corruzione e la furbizia sono come le malattie infettive, per le quali la profilassi è fondamentale e nei casi più gravi prevede la necessità di evitare qualsiasi contatto diretto, senza adeguata protezione, anche per medici ed infermieri, col soggetto infetto. A mio avviso questa metaforica epidemia, che in passato colpiva soggetti isolati o gruppi sparuti, nel nostro paese è diventata endemia, come attestano le cronache giornaliere, anche se ognuno di noi è innocente fino a condanna definitiva … E poi anche quest’ultima si scontra con l’incertezza che benevola e benefica aleggia sulla durata effettiva della pena inflitta. E così anche laddove va buca con la presunzione d’innocenza, si mette vergognosamente in campo la favoletta del carcere che deve rieducare e redimere. Solo che qualcuno dovrebbe spiegarci come ciò può avvenire con il sovraffollamento che già di per sé rappresenta una violazione della dignità personale. Da qui, per risolvere genialmente il problema, leggi sempre più a tutela di chi delinque e periodici decreti per sfoltire la popolazione carceraria. Io ormai sono troppo vecchio per cambiar rotta ma, se avessi qualche decennio di meno. non so se sarei in grado di non adeguarmi (non mi mancherebbe, credo, l’intelligenza per farlo senza eccessivi rischi …) all’umiliazione continua del merito, della competenza  e dell’onestà, da cui la cultura, quella autentica,  non può mai prescindere, pur negli inevitabili cambiamenti che il trascorrere del tempo, forse fortunatamente, comporta.

Per provare tutto questo, dopo aver lapidariamente ricordato l’inquietante quadro che sta emergendo a margine dell’inverecondo traffico prima e collocamento poi di migliaia di poveri cristi, senza per questo trascurare l’ospizio-lager che ogni tanto assurge al disonore della cronaca, farò un salto cronologico fino a giungere al 1710, cioé all’anno di istituzione a Nardò, da parte del suo vescovo Antonio Sanfelice, del Conservatorio di Santa Maria della Purità.


JESU CHRISTO SACRATUM VIRGINUM SPONSO/IN HONOREM VIRGINIS PURISSIMAE/ANTONIUS SANFELICIUS EPISCOPUS/A FUNDAMENTIS EREXIT/ANNO MDCCXXII2

(Consacrato a Gesù Cristo sposo delle vergini. In onore della purissima Vergine il vescovo Antonio Sanfelice lo eresse dalle fondamenta nell’anno 1722)

Il tempo coinvolge, con quello degli uomini, anche il destino di ciò (dicono …) che lo distingue dagli altri animali: la parola. E così oggi per conservatorio i vocabolari registrano i significati di (cito dal De Mauro) : 1) istituto di istruzione musicale suddiviso in vari insegnamenti (tecniche vocali e strumentali, composizione, direzione d’orchestra e sim.) di durata variabile dai 5 ai 10 anni, un tempo funzionante come collegio 2) collegio femminile tenuto da religiose; educandato 3) ricovero per poveri, anziani, donne o bambini.

Gli ultimi due significati sono registrati come obsoleti e proprio il terzo era quello che agli inizi del XVII secolo aveva il nostro.

Sulla storia della fondazione sua e dell’annessa chiesa rinvio al post di Marcello Gaballo (https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/03/il-conservatorio-della-purita-a-nardo-e-il-vescovo-antonio-sanfelice/), del quale questo mio scritto vuol essere una modestissima integrazione. Essa non ci sarebbe stata se, come spesso capita, nel corso di un’altra ricerca, non mi fossi imbattuto proprio in qiella sorta di regolamento per il buon funzionamento del conservatorio, redatto dal vescovo in persona, recante il titolo Viva Giesù  Istruzzioni, e regole per le vergini del Conservatorio di Santa Maria della Purità eretto in Nardò l’anno MDCCX approvate nel sinodo diocesano del MDCCXX, stampato per i tipi di Domenico Viverito a Lecce nel 1720. Chiunque lo desideri può leggerlo integralmente all’indirizzo http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ALEKE000268

Nel frontespizio potrebbe suscitare meraviglia prima Giesù e poi istruzzioni; e qualche insegnante allergico (probabilmente per sembrare all’avanguardia o per ignoranza …) al rispetto delle regole grammaticali  (in questo caso in particolare dell’ortografia) potrebbe essere tentato di sfruttare l’occasione per predicare la tolleranza di certe infrazioni o, peggio ancora, l’insegnante non abituato a chiedersi il perché di certi errori (reali o presunti) per dare dell’ignorante al Sanfelice o, addirittura, per mettere sarcasticamente in dubbio l’efficienza educativa (a partire dall’istruzione in senso stretto) del suo istituto. Per quanto riguarda Giesù mi limito a riportare solo due frontespizi (avrei potuto esibirne migliaia) più o meno coevi (ma Giesù è forma attestata fin dal XV secolo), in cui ho evidenziato con una sottolineatura la voce incriminata1.

Pure per istruzzioni potrei esibire migliaia di documenti, ma credo che basti il frontespizio che segue e dire che, come per Giesù siamo di fronte a quella che potrebbe essere definita, in bocca  all’insegnante di cui sopra,  non un’incriminazione ma una calunnia grammaticale2.

Subito dopo il titolo si legge una citazione tratta dalla lettera di S. Girolamo ad Eustochio, avente come tema la custodia delle vergini: Haec omnia, quae digessimus. dura videbuntur ei, qui non amat Christum (Tutto ciò che ho trattato sembrerà crudele a chi non ama Cristo). Un inno alla disciplina e al sacrificio da intonare alla luce della religiosità, concetti che oggi godono di scarso credito o, comunque, di insufficiente applicazione concreta,  nel mondo religioso (in quello istituzionale ed in quello dei credenti) come in quello laico (atei, cosiddetti, compresi); il quale difetto, sia chiaro, non è solo della religione cattolica.
Così mi piace riprodurre dal vivo, delle norme dettate per la vita comunitaria, quelle legate a gesti quotidiani di significato non religioso in senso stretto, ma che dalla sana religiosità traggono ispirazione: Le pp. 204-211 riguardano la figura dell’infermiera.

 

 

La p. 16 è occupata da un’incisione raffigurante la Madonna della Purità. Sarebbe interessante tentare di individuare il modello probabilmente seguito, anche perché mi pare una nota originale, rispetto a rappresentazioni più o meno coeve, lo sfondo costituito da un paesaggio che più terreno non poteva essere.

Lascio ad altri più competenti di me che abbiano tempo e voglia di rispondere a questa domanda ma non posso fare a meno di chiudere con una considerazioni che qualcuno riterrà materialistica. Non potevo,, cioè, non sottolineare la rarità dell’opera, della quale l’Opac registra l’esistenza di un solo esemplare custodito nella biblioteca comunale “Achille Vergari” di Nardò, che è, poi, quello digitalizzato, come mostra l’etichetta sul dorso. La destinazione locale quasi sicuramente limitò il numero di copie stampate ma è indubbio che quest’unico esemplare sopravvissuto che si conosca di quello che sarebbe improprio chiamare opuscolo (consta di 252 pagine) è particolarmente prezioso sotto un duplice profilo, quello storico e storiografico propriamente detto e quello bibliografico-antiquario.4

____________

1 A torto, perché Iesu(m) ha dato nell’immediato Giesù come iam ha dato già, Iove(m) ha dato Giove e iustu(m) ha dato giusto. Poi in –ie– la i è scomparsa, cosa che non è potuta avvenire in ia-, io– e iu-, dove la caduta avrebbe determinato una grave alterazione del suono.

2 La z in italiano è esito per lo più di un originario gruppo latino –ti– seguito da vocale: otiu(m)>ozio. Laddove tale gruppo era preceduto dalla consonante c l’esito all’origine fu –zz-: factione(m)>fazzione; instructionem>istruzzione. E non mancano esempi, per analogia, pure di ozzio.

3 Nella trascrizione che si legge in Emilio Mazzarella, Nardò Sacra, a cura di Marcello Gaballo, Mario Congedo editore, Galatina, 1999, p. 183 risulta omesso SACRATUM ed aggiunto DOMINI.

4) Nell’inventario dei beni del vescovo Salvatore Lettieri redatto dopo la sua morte avvenuta il 6 ottobre 1839 dal notaio Policarpo Castrignanò di Nardò (66/41) in data 30 novembre 1839 a carta 1261v. tra i libri è citato genericamente e senza precisi riferimenti bibliografici (non è l’unico caso) un testo dal titolo Regole per il conservatorio di Nardò, con annessa valutazione di grana dieci. Potrebbe essere una seconda copia del nostro, ma, se tale è, è impossibile dire che fine abbia fatto.

Note per un probabile approfondimento di studio su un incunabolo della Biblioteca comunale Achille Vergari di Nardò

di Armando Polito

Nell’immaginario di chi conosce il significato della parola l’incunabolo assume un valore esclusivamente economico legato essenzialmente, più che al suo contenuto, all’età e alla rarità, due caratteristiche che rendono l’oggetto unico o quasi e, perciò, prezioso, almeno per il bibliofilo con risvolti pratici da antiquario. Per lo studioso, comunque, esso è molto, molto di più, perché segna lo spartiacque tra il manoscritto e la cinquecentina, che sancisce l’affermazione definitiva (poteva essere altrimenti?) e la diffusione della stampa. Bisognerà aspettare mezzo millennio per passare (forse fra pochissimi anni qualcuno dirà ancora una volta: poteva essere altrimenti?) dal libro a stampa al libro digitale o, come oggi è obbligo dire se non si vuol fare brutta figura …, e-book. Ma torniamo all’incunabolo. Incunabula1 i latini chiamavano le fasce dei neonati e, per traslato, il luogo di nascita, l’infanzia, il principio, l’origine, le prime prove. Sottintendete di stampa a quest’ultimo significato ed avrete la definizione più sintetica di incunabulo. E si capirà pure perché gli incunaboli per lo più seguono fedelmente la stessa struttura del manoscritto e, almeno all’inizio, pure i caratteri di stampa adottati imitano quelli adoperati dal copista.

È tempo di abbandonare la teoria e di passare alla pratica. L’oggetto oscuro del desiderio di oggi (si capirà dopo perché mi sono espresso in questo modo) è l’incunabolo così schedato da Maria Pia Vergine in Incunaboli e cinquecentine della Biblioteca comunale A. Vergari di Nardò, a cura di Marcello Gaballo, Congedo, Galatina, 2002:

 

Bersuire, Pierre

Bersuire, Pierre

Dictionarius seu Repertorium morale perutile Praedicatoribus

Norimberga, Anton Koberger, 4. II. 1499

fol., car. got.

H  *2802     IGI  1489     BMC  II, 445     GW  3867    

Opera in tre parti, racchiuse in 3 voll. 

Vol. I

car. got. magg. min., cc.[3], 260, coll. 2, ll. 74, segn. a – z8, aa – ii8, kk8 (-kk8), tit. corr.

c.[1r], titolo: Prima pars Dictionarij // continet dictiones his // litteris incipientibus // A. B. C. D.

c.[1v]: bianca.

c.[2r], con segn. a2, incipit epistola: Iohannes Bekenhaub Moguntinus Lectori Salutem. // … explicit, l. 33: Vale. Ex officina impressorie An//thonij Koberger civis Nurenbergensis. Anno xri(sti) I.4.9.9. mensis Februarij. die quarto. // segue: Dictionarij ad lectorem epygramma.

c.[2v – 3v]: Ordo dictionum prima pars.

c.4r, con n. I e segn. a4, col. 1: In nomine trinitatis individue: Repertorium morale // p(er)utile p(re)dicatoribus. Editum p(er) fratrem Petru(m) bercharij // pictavien(sis) ordinis sancti Benedicti. meritoq(ue) Dictionari//us appellatu(m). q(uonia)m quodlibet vocabulum (saltem p(re)dicabi//le) s(ecundu)m alphabeti ordine(m) dilatat. distinguit auctoritates di//vidit. applicatq(ue) exe(m)pla naturalia. figuras & enigmata. In//cipit feliciter. //…. col. 2, l. 70: Finis prologus.

c.4v, col. 1: Prima pars Dictionarij: ordine alphabetico (ut p(ro)lo//go….

c.263v, col.1 ( unica ), l. 27: Finit prima pars Dictionarij.

Formato risultante: mm. 320×215. Manca l’ultima carta, probabilmente bianca.

Legatura: ottocentesca, in pergamena rigida con dorso nervato. Taglio di testa fortemente rifilato.

Iniziali: solo la “A” iniziale del prologo e quella dell’incipit è disegnata in rosso.

Note manoscritte: rare postille marginali; in rosso qualche segno di paragrafo.

Note di possesso: sotto l’occhietto: “e(st) s. antonij à nerit.o “.

Stato di conservazione: ottimo, carte leggermente imbrunite.

Collocazione attuale: RD – IV – A – 2.

Collocazione precedente: N 139 (sul dorso).

Inventario:  4607

 

Vol. II

car. got. magg. min., cc.[2], 317, coll. 2, ll. 74, segn. A – Z8, Aa – Rr8 (-Rr8), tit. corr., tab.

c.[1r], titolo: Secunda pars Dictionarij // Incipit in littera E finiturq(ue) // in littera O inclusive.

c.[1v – 2v]: Ordo dictionum secunde partis.

c.3r, con n. I e segn. A4, col. 1: Secunda pars Dictionarij. De littera E. ante A. In//cipit feliciter.

c.319v, col. 2, l. 70: Explicit littera .D.

Formato risultante: mm. 320×215. Manca l’ultima carta, senz’altro bianca.

Errori nella segnatura delle carte: A4  A3; G3  I3.

Legatura: ottocentesca, in pergamena rigida con dorso nervato. Taglio di testa fortemente rifilato.

Iniziali: solo la “E” dell’incipit disegnata in rosso, per le restanti spazio con e senza letterina guida.

Note manoscritte: rarissime. Qualche segno di paragrafo in rosso.

Note di possesso: sotto l’occhietto:”Est Sancti Antonij Civitatis Neritinae”.

Stato di conservazione: quasi ottimo, carte imbrunite.

Collocazione attuale:  RD – IV – A – 3.

Collocazione precedente: N 140 (sul dorso).

Inventario:  4608

 

Vol. III

car. got. magg. min., cc.[2], 254, coll. 2, ll. 74, segn. AA – ZZ8, aA – iI8, tit. corr., tab.

c.[1r], titolo: Tercia pars Dictionarij // Incipit in .P. littera usq(ue) // ad fine(m) durans alphabeti.

c.[1v – 2v]: Ordo dictionum in tercia & ultima parte dictionarij.

c.3r, con n. I e segn. AA3, col. 1: Incipit littera .P.

c.256r, con n. CCLIII, col. 2, l. 50, explicit: Regnat p(er) secula seculo(rum). Amen. // Deo gratias.

c.256v: bianca.

Formato risultante: mm. 320×215.

Legatura: ottocentesca, in pergamena rigida con dorso nervato. Taglio di testa fortemente rifilato.

Iniziali: La “P” dell’incipit è disegnata in rosso, per le restanti spazio bianco con e senza letterina guida.

Note manoscritte: rarissime postille marginali e qualche raro segno di paragrafo in rosso.

Note di possesso: sotto l’occhietto: “est S. antonij à nerino”.

Stato di conservazione: buono, carte imbrunite con qualche piccolo foro da tarlo.

Collocazione attuale: RD – IV – A – 4.

Collocazione precedente: N 141 (sul dorso).

Inventario:  4609

 

Dico subito che fino a cinque giorni fa di Pierre Bersuire non conoscevo neppure il nome e che la scelta di parlarne, dopo aver fatto la prima indagine, è maturata quando, nello scrivere il recente post sul tablet2 (complemento di argomento, non di mezzo e, in parte, di luogo …), mi sono imbattuto in rete in un altro incunabolo, in un’edizione diversa, custodito dalla nostra biblioteca. A quel punto chiedere a Marcello l’elenco completo tratto dall’opera da lui a suo tempo curata era un obbligo.

Eccomi, così, dopo l’assaggio del Supplementum Chronicarum di Iacopo Filippo Foresti da Bergamo del 1485 per i tipi De Boninis (Nardò possiede l’edizione veneziana del 1486 per i tipi di Benagli), ad annotare di un autore e di un testo quel poco che ho potuto racimolare, grazie alla rete, in questi ultimi giorni. E, siccome l’appetito vien mangiando, potrebbe venirmi lo schiribizzo di fare la stessa cosa con gli altri incunaboli Il massimo, poi sarebbe che nel frattempo a qualcuno (non necessariamente qualche colosso tipo Google …) venisse in mente di immetterne in rete la versione digitale di tutti (l’operazione, oltretutto, non richiederebbe troppo tempo essendo, debbo dire sfortunatamente, solo cinque); se ciò avvenisse, questa volta mi sentirei obbligato a perfezionare l’indagine già fatta e ad estenderla agli altri esemplari (che fino ad ora non ho visto nemmeno da lontano … ecco spiegato l’oscuro oggetto del desiderio di prima).

Chi era Pierre Bersuire (s’incontrano, fra le altre, anche le scritture Berceure, Bercheure, Berchoir, Bercheur)? Intanto il nome latinizzato era Petrus Berchorius. Nacque a Saint-Pierre du Chemin nel dipartimento della Vandea. S’ignora la data precisa di nascita ma in base a certe circostanze della sua vita e alla testimonianza del Petrarca, suo contemporaneo, con il quale ebbe occasione di incontrarsi, con una buona approssimazione si può affermare che nacque intorno al 1290. Ancora giovane divenne prima frate francescano, poi passò ai benedettini nell’abbazia di Maillezais. Prima del 1330 era ad Avignone, al seguito del cardinale Pierre Du Prat che era vice-cancelliere del Papa Giovanni XXII. Ad Avignone nel 1340 inizia la scrittura prima del Reductorium morale (il libro XV, come estratto, avrà vita autonoma a partire dal 1362 col titolo di Ovidius moralizatus3) e poi (ed è l’opera, la cui scheda ho riportato prima, che mi ha ispirato questo lavoro preparatorio) del Dictionarius seu repertorium morale (sarà completato nel 1359;. Nel 1342 è a Parigi dove corregge le due opere e verso il 1352 inizia la traduzione delle Storie di Tito Livio per incarico del re di Francia Giovanni II, lavoro probabilmente terminato nel 1355. Muore nel 1362.

Delle sue opere (soprattutto della traduzione di Livio) esiste un numero impressionante di manoscritti conservati in varie biblioteche. Comincio proprio da un esemplare del XIV secolo del Dictionarius seu repertorium morale custodito nella Biblioteca Nazionale di Francia, dal cui sito ho tratto le immagini che seguono riproducenti la a copertina e la prima carta di testo di ogni volume (quella del terzo, purtroppo, è vandalicamente mutilata (http://gallica.bnf.fr/Search?ArianeWireIndex=index&p=1&lang=EN&q=PETRI+BERCHORII&x=29&y=7).

Ecco ora il dettaglio del lemma ABIATHAR come è trattato nel primo volume (A-E; dipartimento manoscritti latini n. 8862; per il secondo, F-O, n. 8863; per il terzo, P-Z, n. 8861) dell’esemplare manoscritto e a p. 6 del primo volume dell’edizione uscita a Venezia in 3 volumi per i tipi di Geronimo Scoto nel 1574 (primo e secondo volume) -1575 (terzo volume).

Il modello manoscritto dei tre volumi continua nelle opere a stampa. Di seguito i frontespizi dei tre volumi dell’edizione uscita a Venezia, sempre per i tipi di Geronimo Scoto, nel 1583.

Ecco ora le carte iniziali di alcuni manoscritti del XIV secolo della traduzione delle Storie di Tito Livio custoditi nella stessa biblioteca (dipartimento manoscritti francesi):

n. 31 (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9009504g/f5.image.r=BERSUIRE.langEN):

n. 32 (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9009481x/f6.image.r=BERSUIRE.langEN):

n. 35 (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b9058225p/f4.zoom.r=BERSUIRE.langEN):

n. 6441 (questo è del XIV secolo; http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b90075481/f7.image.r=BERSUIRE.langEN):

n. 63 (risale al 1403 ed è molto importante perché costituisce quasi un frontespizio che, di regola, è assente nei manoscritti; http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8451118s/f4.image.r=BERSUIRE.langEN):

L’importanza del nostro autore è sancita oltre che dal notevolissimo numero di manoscritti da quello altrettanto cospicuo delle edizioni a stampa delle sue opere, dei cui frontespizi offro una breve panoramica.

Opera omnia, 1609 (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1340683.r=BERSUIRE.langEN):

Dictionarium vulgo repertorium morale, 1712 (http://www.bsb-muenchen-digital.de/~db/1063/bsb10634497/images/index.html):

 

Opera omnia, 1730 (https://books.google.it/books?id=Kf04AQAAMAAJ&printsec=frontcover&dq=bersuire+pierre&hl=it&sa=X&ei=_K7pVM31I8itUYq5gqAC&ved=0CB8Q6AEwADgK#v=onepage&q=bersuire%20pierre&f=false):

_________

1 Il vocabolo, neutro plurale, è composto da in=dentro+cunàbula (anche questo neutro plurale)=culla e, per traslato, nido, nascita, origine; a sua volta cunàbula è da cunae=culla. Cunàbula è connesso con cùmbula o cýmbala=barchetta; cuna con cumba o cymba=barca. Evidente il valore diminutivo di cùmbula/cýmbala rispetto a cumba/cymba. In tutto questo c’è lo  zampino del verbo cubare=giacere a letto, sedere a mensa, mangiare, giacere (in senso biblico) essere calmo, cullarsi. Cubare, a sua volta, presenta la radice senza infisso nasale presente invece  nei composti recùmbere=tornare a letto, coricarsi, stendersi, cadere, incùmbere=stendersi sopra, applicarsi, mettersi all’opera e succùmbere=cadere o cedere sotto. Lascio al lettore indovinare le voci italiane derivate (decubito, con le sue piaghe, compreso) e concludo dicendo che cumba/cymba è in rapporto strettissimo col greco κύμβη (leggi kiùmbe)=coppa, tazza, piccola barca, testa.

2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/02/23/il-tablet/

3 Dell’Ovidius moralizatus abbiamo due manoscritti illustrati della seconda metà del secolo XIV, uno conservato a Gotha (Forschungsbibliothek, I 98), l’altro a Bergamo (Biblioteca civica Angelo Mai, Cassaf. 3, 4).  Nell’immagine che segue un’illustrazione (carta 11 r.) del primo:

 

 

Achille Vergari, medico, filantropo, bibliofilo

di Marcello Gaballo

 

Volentieri ripropongo parte di quanto ha scritto pochi anni fa Bruno Achille Vergari, discendente dell’illustre medico ed autore del volume: Achille Vergari, problematiche filosofico – scientifiche in campo medico, edito dall’Editore Congedo di Galatina. Il testo è inserito nel volume “Incunaboli e cinquecentine della Biblioteca Comunale “A. Vergari” di Nardò, edito dalla stessa casa editrice.

ritratto di Achille Vergari

Achille nasce l’8 aprile 1791 a Nardò, dal medico Bonaventura e da Agnese Caselli.

Dopo aver frequentato le scuole primarie, entra in seminario avendo avvertito una profonda vocazione al sacerdozio; ma una legge di Giuseppe Napoleone del 1806, limitante il numero di sacerdoti per ciascuna diocesi del Regno, lo costringe a lasciare il seminario nel 1809. Segue, allora, le orme paterne e inizia a Nardò gli studi di medicina che completerà a Napoli nel 1813. Vivrà la sua vita secondo la primitiva vocazione sacerdotale e non tornerà mai più a Nardò, ma conservando sempre vivo nel cuore il ricordo della terra natia.

Nel 1815, previo concorso, è medico nell’ospedale delle carceri di S. Francesco di Paola e vi resterà fino al 1861, anno del suo pensionamento.

Nel 1817, a soli ventisei anni, apre una scuola di insegnamento medico elementare e dà inizio a una serie di pubblicazioni che faranno parte del suo “Corso di studi medici”. Come ricercatore, collabora con il famoso professore Antonio Miglietta, anch’egli salentino, nella ricerca sui vaccini. Nel 1826 viene nominato Segretario Generale del Regio Ufficio del Protomedicato del Regno di Napoli, che sovrintendeva a tutta l’attività medica e farmaceutica del territorio del Regno. Dal gennaio 1839 al marzo 1844 svolge funzioni  di archiatra del Regno.

I suoi studi hanno riguardato specialmente la vaccinia e ha inventato uno strumento indolore per vaccinare i bambini; oltre gli impegni di ricerca e protomedicali, notevole è stata la sua attività professionale e lodevole specialmente nel 1836-37, al tempo coleramorbo di Napoli.

Visse sempre all’ordine e teneva per epigrafe nella sua biblioteca Ordo est anima rerum.

Nel suo studio di Napoli v’erano duemila volumi che lasciò alla sua città, Nardò, e costituiranno il primo nucleo della costituenda biblioteca che, dopo varie vicissitudini, troverà una definitiva sistemazione così come appare attualmente.

Intensa è stata la sua produzione scientifica, ed è un vero peccato che nella biblioteca di Nardò non sia presente nessuna delle sue opere; esse, invece, si trovano tutte nella Biblioteca Nazionale di Napoli, e qui di seguito riporto i titoli delle stesse:

–         Osservazioni su la norma da tenersi nel fare la relazione di una malattia al perito dell’arte per conseguire il suo avviso – Napoli 1814, Società Tipografica.

–         Nuovo stromento per vaccinare – Napoli 1818, Società Tipografica.

–         Norma per ben ricettare – Napoli 1819, Stamperia della Società Tipografica.

–         Nuovo trattato sulla vaccinia – Napoli 1822, Società Tipografica.

–         Nozioni generali di clinica – Napoli 1825, Società Filomatica.

–         Igiologia – Napoli 1822, Società Tipografica.

–         Preliminari allo studio della scienza salutare – Napoli 1828, Società Filomatica.

–         Patologia generale – Napoli 1830

–         Procedura medica – Napoli 1830, Società Filomatica – impressa tre volte e nel 1840 fu stampata anche a Bologna.

–         Clinica – Napoli 1836, Società Filomatica – due edizioni nello stesso anno.

–         Tarantismo – Napoli 1839, Società Filomatica.

–         Memoria – quattro volumi – Biblioteca Nazionale di Napoli.

–         Ricordi per gli eredi – Biblioteca Nazionale di Napoli.

–         Notizia del Protomedicato Generale del Regno di Napoli – Napoli 1864, Tipografia Tizzano.

Nel 1845, al VII Congresso degli scienziati italiani che si tenne in Napoli, fu incaricato dalla città di Nardò a rappresentarla, e Gaetano Giucci scrisse di lui in “Degli scienziati italiani formanti parte del VII Congresso in Napoli nell’autunno 1845”: Notizie bibliografiche, 1845, p.59, Tipografia Parigina di A. Leban – Napoli.

Muore in Napoli l’11 febbraio del 1875.

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