Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese

Girolamo Marciano e i Discorsi di Guillaime Du Choul, gentiluomo lionese. Contributo su una biblioteca perduta

 

di Gilberto Spagnolo

A Enzo Maria Ramondini.

Alla sua memoria.

Nel 1992, nel corso di una ricerca sulla storia del Seminario Vescovile di Lecce e della sua Biblioteca, la “Innocenziana”, lo studioso Oronzo Mazzotta fortuitamente si imbattè (ironia della sorte), in ben 23 cinquecentine, di cui 13 tomi stampati a Parigi da Dionigi Duval nel 1586 (che contengono “l’Opera Omnia” di S. Agostino curata dai teologi di Lovanio) e altri 10 tomi stampati a Venezia dai Fratelli Sessa nel 1596, che contengono i “Commentaria” al Vecchio e al Nuovo Testamento di Alfonso Tostati filosofo, teologo e vescovo di Avila.

Tutti i volumi, come annotato sui frontespizi, provenivano dalla “biblioteca di Alessandro Mattei.

Improvvisamente, di fronte a una traccia così tangibile, quella biblioteca tanto decantata dal Marciano, scomparsa misteriosamente, dispersa nel nulla, tanto da far pensare a una pura e semplice invenzione del filosofo di Leverano (ospite dello stesso conte) si materializzava, assieme al suo “eruditissimo, saggio e prudentissimo principe” nelle mani di chi aveva avuto “molti interrogativi e poche certezze” al riguardo. Questo corposo numero di libri proveniente “dalla biblioteca di Alessandro Mattei” è stato, dopo il Mazzotta, censito nel 1997 da Lorella Ingrosso e nel 2004, ha avuto un “posto di rilievo” nell’accurato lavoro archivistico condotto con perizia e con lodevole impegno da Maria Elisabetta Buccoliero e Francesca Marzano, studio che valorizza il patrimonio antico (incunaboli e cinquecentine) della Chiesa di Lecce.

La “vicenda” della Biblioteca Mattei, del suo “Museo di libri” di cui ci dà informazione il Marciano che trascorse l’ultimo periodo della sua vita in un “rapporto privilegiato” con il giovane Alessandro, si arricchisce di una nuova e significativa testimonianza, di una “traccia letteraria” (se così possiamo definirla) che oltre a dare un ulteriore riscontro – seppure indiretto – sulla sua esistenza, fornisce soprattutto un certo valore sulla “ricerca delle fonti” del Marciano stesso che qui a Novoli (vi dimorò dal 1615 al 1620) ultimò la sua Descrizione di Terra d’Otranto discorrendone con Alessandro e usando i suoi libri (vi era, infatti, venuto perché “attratto dalla fama del suo sapere e dalla sua ricca biblioteca”).

Scrive Natalia Aspesi, in una recensione su un interessante libro di Alexandra Lapierre che “i colpi di fulmine che fanno innamorare gli studiosi avvengono nella solitudine degli archivi sfogliando vecchie carte consumate, col cuore che batte per una scoperta, una rivelazione, una traccia, una domanda senza risposta, un segreto che si svela”.

Qualcosa di simile mi è personalmente accaduto qualche anno fa quando ho potuto consultare un libro antico bellissimo (appartenente a un privato che lo ha poi immesso sul mercato dell’antiquariato librario) di grande rarità e con un ricco e pregevole apparato figurativo. Il libro in questione è l’opera cinquecentesca (1569) del gentiluomo francese Guillaime Du Choul intitolato DISCORSO / DELLA RELI/GIONE ANTICA / DE ROMANI, / Insieme un’altro (sic) Discorso della Castrame(n)tatione, et / disciplina militare, Bagni, essercitj an-/tichi di detti Romani, / Composti in Franzese (sic) dal S. Guglielmo Choul, Gentil huomo / Lionese, a Bagly delle Montagne del Delfinato, / et tradotti in Toscano da M Gabriel Simeoni Fiorentino. / Illustrati di Medaglie & Figure, tirate de i marmi antichi, / quali si trovano à Roma, & nella Francia / IN LIONE, / APPRESSO GUGLIELMO ROVILLIO. / M.D.LXIX.

1. G. DU CHOUL, Discorso della religione antica de Romani, frontespizio.

 

Da ricerche effettuate, l’opera di DU CHOUL, era appartenuta, come dimostrano le iniziali R.T. incise in oro con il titolo sul dorso verde di una rilegatura ottocentesca, a Raffaele Tarantini (1850-1912), sindaco di Novoli dal 1884 al 1889. Il Tarantini, come abbiamo ricordato in altra occasione, ebbe cura di trascrivere integralmente e fedelmente nel 1876 il testo stampato dall’arciprete Oronzo De Matteis sulla parte riguardante la descrizione di Novoli del Marciano estratta dal manoscritto fatto nel 1783 dal sacerdote cartografo Giuseppe Pacelli di Manduria, facendolo precedere da un frontespizio vergato con il titolo Memorie Antiche di Novoli. Il libro è di notevole importanza per diverse ragioni. Il Du Choul è innanzitutto espressamente citato (anche se non in maniera perfettamente corretta) dal Marciano stesso nel I Libro (“Del Sito e delle Province d’Italia”) Cap. V della sua “Descrizione” e precisamente nel “Della Venuta di Messapo in Italia, dal quale ebbe la provincia il nome di Messapia, del suo Padre Nettuno, e delle Antiche Lettere Messapie ritrovate nel Paese”. Non solo! II Marciano lo utilizza (come si può constatare nelle illustrazioni riportate) ampiamente trascrivendone pari pari il testo a proposito della descrizione delle “monete tarantine” e sulla “venuta di Messapo figlio di Nettuno e dal quale questa nostra Provincia ebbe il nome di Messapia”.

2. G. DU CHOUL, Discorso sopra la castrametazione et disciplina militare de Romani, frontespizio.

 

3. Stemma araldico e motto di G. du CHOUL (retro primo frontespizio).

 

Ma ancora più significativo (se non clamoroso) è il suo utilizzo (come si può verificare), che ne fa nella descrizione di S. Maria de Nove a proposito “di un antico costume de’ Romani” che soleva celebrarsi “il secondo di Pasqua in un’antica chiesa che ivi è di S. Niccolò”.

Del libro di Guillaime Du Choul vanno ancora messi in evidenza altri due aspetti. Nel Discorso De Bagni et Essercitii Antichi De Greci et De Romani la splendida tavola xilografata a piena pagina che illustra il “LABRUM” (“Bagno in volta degli Antichi Romani”), nel suo “linguaggio architettonico” della volta «ad ombrello», essa richiama incredibilmente l’ottagona chiesa novolese del Salvatore (poi di S. Oronzo) voluta da Filippo Mattei II (padre di Alessandro) negli anni Settanta del XVI secolo, su ispirazione del Gesuita Bernardino Realino e che ricorda, come tutti sanno, la soluzione adottata nell’abside della chiesa leccese di S. Croce realizzata dall’architetto-scultore Gabriele Riccardi per la congregazione dei Celestini, nonché artefice della chiesa del convento dei Domenicani nel feudo di Nubilo.

4. G. DU CHOUL, Discorso De bagni et esserciti antichi de Greci et de Romani, il “Labrum” (bagno in volta degli antichi Romani).

 

Ma c’è di più! Sempre nello stesso Discorso, a pag. 135, nella descrizione dei “ginnasij” e de “la Palestra” s’incontra sottolineata a penna la parola stampata a margine XYSTO che il Du Choul così spiega: Per mez(z)o questi alberi, si facevano hypetri spasseggiamenti, chiamati da Greci παραδρομεδες, al modo nostro scoperti, sotto al sole: dove il verno (quando il tempo era chiaro, bello, il Cielo sereno) gl’Athleti chiamati Xystichi; à causa del Xysto, che era coperto, scendevano per passeggiare, correre, essercitarsi. Dopo il xysto era lo stadio luogo della corsa, che era fatto in modo che ogniuno poteva vedere correre gl’Athleti: i quali erano (come scrive Giulio Polluce) tutti quelli, che s’essercitavano nel gynnasio della palestra” (pag. 135). Il termine lo si ritrova, come è stato accertato, nell’epigrafe classico-umanistica di cui è provvista la “fontana” che nel 1700 l’ultimo dei Mattei (Alessandro III) fece erigere “al Dio dell’Ospitalità” sulla “terrazza” del Palazzo Baronale dal Cino, uno dei più importanti artefici del barocco salentino (il Cino poi nel 1704, sempre su incarico di Alessandro Mattei III, realizzerà l’altare nella chiesa del Salvatore con ai lati lo stemma dei Mattei).

Sulla “peculiarità” di questo termine “colto”, correttamente volto in «terrazza» o meglio ancora “con portico coperto”, in tempi non sospetti, ci eravamo già soffermati nel 1998 con l’amico e studioso Mario Cazzato.

Esaminando l’epigrafe, infatti, (in cui sembra condensarsi “la profonda tradizione umanistica della nobile famiglia Mattei”) si era individuato in questo termine classico un “esplicito riferimento, non solo terminologico, all’architettura classica e umanistica”. L’epigrafe di Alessandro III Mattei non era dunque “semplicemente la richiesta di onesti giorni tranquilli; esprimeva invece un concetto più complesso: la sua dimora che non aveva voluto imponente e che invece aveva ornato con la fontana e col portico, offriva agli aristocratici ospiti perché, confortati dall’«ozio onesto», insieme potessero ricreare una perduta e vagheggiata dimensione umanistica”.

In conclusione. Girolamo Marciano ebbe tra le mani, anzi lesse i Discorsi del Du Choul servendosene ampiamente per la sua Descrizione (sono comunque tantissime le citazioni bibliografiche di altri testi, oltre al Du Choul che certamente il Marciano, se li possedeva, non poteva portarsi appresso nelle sue “peregrinazioni” per fare le sue ricerche e i suoi studi).

“Perché” un esemplare di questo libro di straordinaria bellezza e importanza per quei tempi si trovasse a Novoli, come fosse pervenuto nelle mani di Raffaele Tarantini (che tra l’altro ebbe “interesse per le patrie memorie – la trascrizione della “Descrizione” del Marciano su S. Maria de Nove, come a suo tempo abbiamo riportato, ne è indubbia testimonianza) – sono domande per le quali lascio la risposta ai singoli lettori.

Questo contributo sulla biblioteca perduta dei Mattei si è proposto, soprattutto per dimostrare, come abbiamo sempre sostenuto e creduto, la veridicità della testimonianza del Marciano, gli indubbi meriti di Alessandro II Mattei (la cui fama, particolare inedito, era nota anche a Pietro Pollidori, tanto che lo ricorda come coautore, assieme al Marciano, della Descrizione) nel campo culturale e artistico, le virtù mecenatiche e liberali di questa famiglia, i loro rapporti intellettuali che furono certamente non casuali, ma inseriti in “un sistema locale ben determinato nel quale centro e periferia” erano legati da rapporti e da uno scambio continuo di “esperienze e fermenti culturali”.

D’altra parte, come scrive Umberto Eco, “quello che l’infelice non sa è che la biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno nel momento fatale potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te”.

 

* In “Lu Puzzu te la Matonna”, a. XVII, Novoli 18 luglio 2010.

5. Lecce, Archivio Curia Arcivescovile, “Augustini Hipponensis Episcopi”, frontespizio (ex Bibliotheca Alexandri Mathej).

 

6. Nel riquadro a sinistra: Guillaime du Choul dalle pagg. 102, 103, 104; nel riquadro a destra: Geronimo Marciano dalle pagg. 24-471.

 

 

Riferimenti bibliografici essenziali

N. Aspesi, William l’Avventuriero, recensione a Vita Straordinaria di William Petty, avventuriero, erudito e conquistatore, in “La Repubblica – Cultura”, 10 dicembre 2004.

M.E. Buccoliero – F. Marzano, Incunaboli e Cinquecentine della Biblioteca Innocenziana di Lecce, Lecce 2004.

M. Cazzato, Dalle “antiquitate” al “museo” e alla “gallaria”: per una storia del collezionismo aristocratico in Terra d’Otranto, in M. Fagiolo (a cura di), Atlante tematico del Barocco in Italia. Il sistema delle residenze nobiliari. Italia Meridionale, Roma 2010.

M. Cazzato – G. Spagnolo, Profili di committenza aristocratica. Il caso dei Mattei, Signori di Novoli, in “Camminiamo Insieme”, a. XII, n. 1 gennaio 1998.

G. Cosi, Nuovi documenti sulla vita di Geronimo Marciano, in “Contributi”, a. IV, n. 4 Maglie 1985.

F. De Pascalis, Altare con sorpresa, la firma di Cino, in “Quotidiano”, 25 novembre 2003 (durante i lavori di restauro e conservazione dell’altare situato all’interno della chiesetta di sant’Oronzo sono state trovate incise, nella parte superiore destra, le due lettere G. C. ovvero, con molta probabilità, le iniziali di Giuseppe Cino).

U. Eco, Le avventure di un Bibliofilo, “Lectio inaugurale” della XX edizione della Fiera del Libro di Torino, in “La Repubblica – Cultura”, 10 maggio 2007.

L. Ingrosso, Proposte per un recupero del Patrimonio librario della Biblioteca Innocenziana di Lecce. Un fondo da salvare: la biblioteca di Alessandro Mattei Signore di Novoli, in “Lu Lampiune”, a. XIII, n. 2, 1997.

O. Mazzotta, Ex Bibliotheca Alexandri Mathej, in “Camminiamo Insieme”, a. VI, n. 3, marzo 1992. Nel suo breve intervento, il Mazzotta, pur di non ritrattare completamente le sue convinzioni, oltre a dare la notizia del “ritrovamento”, “supponeva” quanto segue (riporto testualmente): “Tutti i volumi, come annotato sui frontespizi, provengono dalla biblioteca di Alessandro Mattei. Sappiamo che Paolo Bonaventura, figlio di Alessandro II, entrò nell’Ordine dei Predicatori e prese il nome di Alessandro. Paolo Bonaventura lasciò il convento, ma i libri vi rimasero, e dopo la soppressione degli Ordini religiosi nel periodo napoleonico, dallo Studio generale dei Domenicani di Terra d’Otranto arrivarono alla biblioteca Innocenziana. Rimane da appurare se i volumi furono da Frà Alessandro (Paolo Bonaventura) comprati oppure ereditati dal padre. La critica testuale mi porta a ritenere che molto probabilmente i libri appartenevano alla biblioteca paterna. Ma mi riservo di tornare più diffusamente sull’argomento in altra occasione”. E in effetti il Mazzotta ci tornò sull’argomento, ma per richiamare Lorella Ingrosso che aveva attribuito impropriamente i libri trovati nell’Innocenziana ad “Alessandro Mattei II, Signore di Novoli, conte di Palmariggi, umanista e Mecenate” (si vedano “Le Fasciddre te la Focara”, a. 43, gennaio 2005). A sostegno di ciò ribadiva di aver dimostrato (sic) nel 1994 “che i libri appartenevano a Paolo Bonaventura Mattei undicesimo figlio di Alessandro II che aveva preso l’abito domenicano col nome di Alessandro” (ivi). Su tale sua “dimostrazione”, personalmente, nel suo libro Il Seminario di Lecce (a parte la pubblicazione dell’elenco dei libri) rilevo solo questa sua dichiarazione: “I Commentari del Tostato insieme all’edizione parigina delle opere di Sant’Agostino, appartenevano alla biblioteca di Alessandro Mattei barone di Novoli. Questa biblioteca tanto decantata dal Marciano all’inizio del Seicento, pare che fosse scomparsa misteriosamente prima ancora dei Mattei tanto assoluto è stato il silenzio delle fonti di ogni genere ad oggi. Nient’altro! Vero è che Paolo Bonaventura Mattei dopo essere diventato frate lasciò il saio e si sposò con la leccese Barbara Paladini dalla quale ebbe un figlio e poi rimase vedovo. Il 13 novembre 1661 avvenne la “consegna di doti e stipula di contratto matrimoniale con d. Paolo Bonaventura Mattei conte di Palmariggi in castro Terrae Sanctae Mariae de Novis”. Nell’inedito documento che abbiamo rintracciato presso la Biblioteca Provinciale di Lecce vi è anche la firma autografa del Bonaventura. Da un confronto fatto con l’ex-libris della biblioteca Innocenziana, le due scritture (particolare non trascurabile) risultano calligraficamente completamente diverse.

O. Mazzotta, Il Seminario di Lecce (1694-1908), Lecce 1994.

O. Mazzotta, I Mattei Signori di Novoli, Novoli 1989.

D. Novembre, Terra d’Otranto nella Descrizione di Geronimo Marciano (Primo Seicento), introduzione alla ristampa fotomeccanica della Descrizione, Origini e Successi della Provincia d’Otranto del Filosofo e Medico Girolamo Marciano di Leverano con aggiunte del Filosofo e Medico Domenico Tommaso Albanese di Oria, Galatina 1996.

P. Pollidori, Expositio / veteris Tabellae / Aereae, /Qua / M. SALVIUS / VALERIUS / Vir Splendidus / EMPORII / NAUNANI / PATRONUS COOPTATUR / AUTORE / PETRO POLLIDORO / VENEZIA, ZANE, 1732. Scrive testualmente Pietro Pollidori: “Non ignobile vetustatis monimentum Jampridem ab aliis de scriptum, Viri carissimi Hieronymus Martianus Liberanensis, & Alexander Matthaejus Palmarici Comes libro 3. descriptionis Sallentinae Provinciae Cap. 15 vulgarunt”.

G. Spagnolo, Tra fonti letterarie e fonti manoscritte: sulla “Geografia di Terra d’Otranto” del Conte Alessandro Mattei, Signore di Novoli, in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. X, 20 luglio 2003.

Id., Memorie antiche di Novoli (note su un manoscritto ottocentesco della Descrizione di S. Maria de Nove di Girolamo Marciano), in “Lu Puzzu te la Matonna”, a. XII, 17 luglio 2005. Raffaele Tarantini di Pietro nacque a Novoli il 16 di agosto del 1850 e vi morì nell’anno 1912. Sposò Teresa Colaci Sansò figlia di Leonardo Colaci Sansò e Nicoletta dei Baroni D’Amelio di Melendugno il giorno 7 giugno del 1884. Lo sposalizio fu benedetto con una messa speciale ed annesse benedizioni da monsignor Luigi Zola, Vescovo di lecce, quando il Tarantini era già sindaco di Novoli. La famiglia Tarantini, una delle “più rinomate famiglie novolesi” si è estinta alcuni anni fa con la morte di Maria Teresa Tarantini, ultima discendente “donna a dir poco straordinaria per intelligenza e cultura” (cfr. M. De Marco, In ricordo di Maria Teresa Tarantini, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XXVII, 17 gennaio 2003, p. 16).

Id., Un cartografo in età barocca. Frate Lorenzo di Santa Maria de Nove, introduzione di Mario Cazzato, Lecce 1992.

Id., Il Principe Perfetto Giovanni Antonio Albricci terzo (testimonianze dall’Ignatiados, poema eroico inedito di Francesco Guerrieri illustre letterato salentino), estratto da Quaderno di Ricerca, Salice Salentino, ottobre 1989.

Id., Storia di Novoli. Note ed Approfondimenti, Lecce 1990.

Id., Dalle rime del Mannarino un sonetto ad Alessandro Mattei, in “Sant’Antoni e l’Artieri”, a. XVI, Novoli 17 gennaio 1992.

 

*   *   *

Il libro in perfette condizioni del Du Choul è in 4° mm. 165×235 h, antiporta con inciso lo stemma di Choul + pp. 296 + 8 di indice con 46 xilografie di medaglie e marmi; antiporta ancora con lo stemma di Choul + [6] + pp. 145 + 6 nn + 43 xilografie nel testo anche a piena pagina + figura del campo dei Romani fuori testo più volte ripiegata.

Vi sono belle marche tipografiche al frontespizio, testatine e capilettera incisi.

La sua legatura è, come già detto, ottocentesca, con titolo e iniziali di Raffaele Tarantini in oro sul dorso verde e piatti marmorizzati rossi.

Note manoscritte di antichi possessori sul primo frontespizio tra cui è leggibile “Soc. Iesu” (vi sono bruniture sparse dovute al tipo di carta).

A tal proposito un’ultima annotazione.

I Gesuiti con Bernardino Realino, proclamato poi santo, ebbero una grande amicizia con la famiglia Mattei.

La famiglia Tarantini ebbe, invece, intensi rapporti con i Carignani che, con Felice, nel 1712 si aggiudicarono i feudi di Novoli e del Convento messi in vendita dalla R. Camera della Summaria dopo la morte di Alessandro III ultimo dei Mattei.

 

Breve storia del Collegio Argento di Lecce

RELIGIONI AC BONIS ARTIBUS[1].

BREVE STORIA DEL COLLEGIO ARGENTO DI LECCE

di Paolo Vincenti

 

La storia della Compagnia di Gesù a Lecce parte nel 1574 sotto la guida di Padre Bernardino Realino[2]. In quella data, nasce a Lecce la prima Casa Professa gesuitica di Puglia che, divenuta in seguito Collegio, è anche la prima per importanza fra i nove collegi pugliesi[3].  Il Collegio, nato nel 1583, viene annesso alla Chiesa del Gesù[4].

La sede dei Gesuiti sorge sull’antica Chiesa di San Nicolò dei Greci, dove si officiava con rito greco, poi divenuta Chiesa del Buon Consiglio, la cui confraternita, in seguito alla presa di possesso da parte dei gesuiti, si trasferisce in San Giovanni del Malato[5]. La Chiesa del Gesù viene solennemente inaugurata e aperta al culto nel 1577[6], e contiene tele dell’Imperato, di Letizia, Antonio Verrio ed altri notevoli pittori[7]. Il Collegio fu fondato dall’Avv. Raffaele Staivano e realizzato anche grazie alle donazioni di numerosi benefattori provenienti dalle famiglie più agiate di Lecce[8].

Dopo Lecce, i Gesuiti si insediarono a Cerignola nel 1578, dove sorse il primo Collegio di Puglia in ordine di tempo; nel 1583, in concomitanza con quello leccese, nacque il Collegio di Bari; nel 1592 quello di Barletta; nel 1605 fu la volta di Bovino; nel 1611 i Gesuiti giunsero a Molfetta, dove nel 1618 nacque anche il Collegio; nel 1613 fu fondato il Collegio di Monopoli; nel 1617 la Residenza di Taranto, che nel 1624 divenne Collegio; infine, nel 1753 vide la luce il Collegio di Brindisi[9].

Ma, come detto, il Collegium Lupiense fu il più importante del Regno dopo quello di Napoli, e qui furono inviati i migliori professori, luminari nelle loro discipline, quali, uno su tutti, il Beato Carlo Spinola (1564-1622)[10].

All’opera spirituale dei Padri si devono poi la nascita delle Congregazioni mariane, dei Ministeri Apostolici e soprattutto delle Missioni[11]. Il Collegio si trovava all’epoca in quell’edificio che oggi è occupato dal Palazzo di Giustizia. Ivi si insegnavano latino, greco, filosofia, teologia, matematica, e queste materie attiravano l’attenzione della classe più agiata della Terra d’Otranto che inviava a studiare i propri rampolli nel Collegio di Lecce.

Un episodio particolare riguarda la permanenza a Lecce di P. Onofrio Paradiso, che il Barrella definisce “il Realino redivivo di Lecce”[12]. Il suo operato era talmente apprezzato che gli stessi sovrani Carlo IV e Maria Amalia pregarono il Provinciale nel 1757 di voler trasferire P. Paradiso nella Capitale. La richiesta incontrò la ferma opposizione non solo dei suoi confratelli del Collegio ma di tutta la popolazione di Lecce dove Paradiso era ormai tenuto in conto di santo, tanto che i cittadini presidiarono l’entrata del Collegio affinché nessuno della pubblica autorità potesse prelevare il frate e addirittura murarono la porta carraia dell’istituto segregando di fatto il Paradiso all’interno della sua stessa casa[13].

Nel 1767 vi fu la prima espulsione dei Gesuiti dal Regno di Napoli e la loro missione educatrice si arrestò. Il loro istituto passò ai Benedettini, come attesta Sigismondo Castromediano in uno scritto in cui rievoca la storia del prestigioso Liceo Palmieri che egli stesso frequentò e dove, per sua ammissione, trascorse gli anni più belli della propria vita[14].

Dopo la cacciata della Compagnia di Gesù dal Regno di Napoli, i resti mortali di Bernardino Realino vennero trasportati nella Cattedrale leccese e poi, nel 1855, nella chiesa di San Francesco della Scarpa, dopo il ritorno dei Gesuiti a Lecce, chiamati a reggere il Real Collegio San Giuseppe (poi divenuto Liceo Palmieri)[15]. Fu il Re Giuseppe Bonaparte a fondare nel 1807 il Real Collegio e Convitto “San Giuseppe” (intitolato al suo santo onomastico) presso l’istituto dei Missionari di San Vincenzo di Paola, fuori Porta Rugge; questi ultimi furono spostati in altra sede.

Con il ritorno dei Borbone, secondo la narrazione del Castromediano, il Collegio San Giuseppe venne trasferito nell’ex Istituto dei frati di San Francesco d’Assisi, che nel frattempo era divenuto deposito del sale, dopo essere stato caserma e ospedale militare. Nel 1832, ritornati in città i Gesuiti, a loro venne affidata la conduzione del Collegio, per sommo disdoro del Castromediano stesso, il quale aveva in uggia l’ordine gesuitico e non risparmia nella sua opera parole avvelenate nei confronti dei padri. Probabilmente, alla base di questo astio, come spiegano Rossi e Ruggiero, vi doveva essere il fatto che Castromediano ritenesse i Gesuiti collusi con la dinastia dei Borboni che era stata causa delle sue tribolazioni, e inoltre egli addebitava ai padri anche la dispersione dei beni archeologici rinvenuti negli scavi di Rugge e custoditi nel loro Collegio[16].

Sta di fatto che la scuola dei Gesuiti contava sempre nuovi iscritti ed un crescente successo. Infatti il Collegio venne notevolmente ampliato sotto la direzione dei lavori del gesuita Gianbattista Jazzeolla, ingegnere, e nel 1833 solennemente inaugurato[17]. Intervennero quindi i torbidi del 1848.

I Gesuiti, come in tutta la penisola, vennero cacciati anche da Lecce. Infatti, in seguito alla soppressione dei Gesuiti, anche nel capoluogo salentino vi furono disordini fra la cittadinanza. Come informa P. Barrella, nella Rivoluzione del 1848, fra le voci entusiastiche ed i festeggiamenti per la concessione della costituzione da parte del Re Ferdinando II, si insinuavano anche moti di dissenso nei confronti dei Gesuiti: liberali e carbonari chiedevano al Papa Pio IX la soppressione dell’Ordine. Quasi ogni sera, sostiene Barrella, si riunivano “gruppi di tumultuosi e giovinastri sotto le finestre del Collegio di Lecce” che gridavano “Viva Gioberti, morte ai Gesuiti!”[18] La Piazzetta di San Francesco della Scarpa si riempì di guardie nazionali che cercavano di placare gli animi dei manifestanti.

Così come a Napoli, dove il popolo furioso invadeva le scuole, le chiese e i collegi dei Gesuiti, gridando “fuori o sangue!”, a Lecce si crearono disordini e tafferugli, i frati vennero cacciati e dispersi fra Brindisi e Taranto, dove furono ricevuti dal clero regolare ed ospitati in attesa di nuova sistemazione[19]. Nel 1850, con il ristabilimento dell’Ordine, i Gesuiti ritornarono anche a Lecce, dove ripresero la direzione del Collegio di San Giuseppe, con nuovo Rettore, P.Carlo M.Turri[20].

Nel 1852 il Collegio dei Gesuiti venne elevato a Regio Liceo. Alle cattedre di diritto civile e penale, vennero aggiunte quelle di medicina, fisiologia, farmacia, anatomia, e inoltre alla dipendenza del Collegio era una casa rurale, Villa Mellone, nella periferia di Lecce, sede di villeggiatura per le vacanze estive degli studenti[21]. Il Collegio era frequentato da un numero crescente di studenti provenienti dalle più illustri famiglie leccesi.

Dopo l’Unità d’Italia, con la definitiva cacciata dei Gesuiti, il Liceo venne intitolato all’illustre economista leccese Giuseppe Palmieri[22]. La prima collocazione dell’Istituto, nel 1874, era stata il Palazzo Rossi di fronte alla Chiesa di San Matteo: successivamente venne spostato nel Palazzo Lubelli, di fronte alla Chiesa delle Alcantarine. Nel 1884 vi fu la concessione del terreno da parte del Comune di Lecce e nel 1888 iniziarono i lavori di costruzione che terminarono nel 1896[23]. Nicodemo Argento fu il primo Rettore, alternandosi con altri Direttori fino al 1904, anno della sua morte.  P. Giovanni Barrella, che è il principale biografo di Nicodemo Argento, ci fa sapere che egli, nato a Monopoli l’11 febbraio 1832, uomo dottissimo e dotato di preclare virtù (certo infiorettate dal correligionario biografo), dopo varie peregrinazioni fra Francia e Italia, giunse nel 1872 a Lecce, come precettore privato presso la famiglia Bozzi-Corso. Dopo una breve permanenza a Napoli, ritornò nel 1874 a Lecce[24]

In quel tempo, dopo l’espulsione dei Gesuiti del 1860, il Collegio leccese, al pari degli altri, era non più esistente e in tutta la Terra d’Otranto permanevano solo 36 gesuiti senza fissa collocazione. Argento ricostituì l’Istituto, come detto, presso il Palazzo Rossi, e successivamente presso il Palazzo Lubelli di fronte alla Chiesa delle Alcantarine, al quale, con il cresciuto numero dei convittori, venne annesso l’attiguo Palazzo De Marco[25]. Proprio per le mutate esigenze del Collegio, lo stabile in cui esso era allocato si rivelò insufficiente, sicché nel 1884 Padre Argento ebbe a censo dal Comune di Lecce una vasta area fuori dalle mura della città dove erigere un nuovo e più ampio edificio[26].

Nel 1888, dunque, con la posa della prima pietra, iniziarono i lavori e, nonostante le enormi difficoltà economiche incontrate, proseguirono fino al completamento, nel 1896, quando i primi studenti si insediarono nelle nuove classi: era lo stesso anno, come non manca di sottolineare Padre Barrella, della beatificazione di P. Bernardino Realino, alla cui intercessione celeste Barrella attribuisce la realizzazione della nuova struttura[27]. E proprio a Padre Argento si deve, a prezzo di un enorme carico burocratico e grazie ai buoni uffici presso la Santa Sede di Roma, la traslazione dei resti mortali di San Bernardino Realino dalla Chiesa di San Francesco della Scarpa nella chiesetta del nuovo Collegio.

Ciò avvenne nel 1896 e insieme ai resti di Padre Realino vennero traslati quelli del Beato P. Onofrio Paradiso[28]. Dopo alcuni Rettori che si avvicendarono alla guida del Collegio, Argento riprese la direzione nel 1903, quando il Collegio versava in uno stato di crisi, dalla quale egli prontamente lo risollevò. Dopo la sua morte, nel 1906, per volontà dei suoi confratelli, gli venne eretta nel Collegio una lapide, inaugurata in pompa magna dal Vescovo Mons. Trama e dalle autorità cittadine, con grande concorso di amici ed ex studenti e colleghi dell’Argento e con la lettura di un discorso commemorativo da parte del prof. Gianferrante Tanzi[29].

Alcuni anni dopo, nel 1915, per volere dei professori Brizio De Santis, che era stato allievo dell’Argento al Regio Liceo San Giuseppe, e Carmelo Franco, che ne sostennero le spese, venne eretto, nell’atrio dell’istituto, un busto in bronzo, opera pregevolissima dell’esimio scultore Antonio Bortone, posizionato su un piedistallo in pietra di Trani, sul quale si legge: “A Nicodemo Argento Gli alunni e gli ammiratori 1915”[30].

Nel 1908 la scuola venne trasformata in Seminario Interdiocesano divenendo il Primo seminario regionale Pugliese[31], Così il Collegio Argento venne chiuso per fare spazio al grandioso progetto voluto dal Papa Pio X[32].

Il primo Rettore fu P. Guglielmo Celebrano, cui seguì nel 1909 P. Arturo Donnarumma e nel 1912 P. Luigi Tullo[33]. Nel 1911 il Seminario Regionale Pugliese venne trasformato in Università teologica[34].

Allo scoppio della guerra, nella quale perse la vita, sul Monte San Michele, P. Pietro Giannuzzi, cappellano del Seminario Regionale Pugliese, primo dei cappellani militari morti sul campo[35], l’Istituto venne requisito e divenne Ospedale Contumaciale delle Regia Marina, fino al 1920, quando riprese le sue funzioni[36]. Le attività del collegio nel frattempo si trasferirono a Molfetta[37]. In quegli anni, la terribile epidemia di spagnola, che si diffuse a Lecce, in particolare nel 1918, non risparmiò nemmeno il Collegio Argento[38].  Dopo la guerra, le attività dell’Argento ripresero più fiorenti che mai fino a giungere ad un grande successo di iscrizioni nell’anno 1924, importante anche per una fausta ricorrenza per i Gesuiti leccesi.

Infatti, in quell’anno, nell’occasione del cinquantenario dell’Istituto, venne scoperta una lapide dedicata a tutti i caduti in guerra ex alunni del Collegio, come riportato da tutti gli organi di stampa dell’epoca. Purtroppo la targa venne poi rimossa e di essa si è persa ogni traccia. Molto probabilmente anche questa targa era opera dell’illustre scultore Bortone ma, essendo irreperibile, non se ne può trovare conferma. In quella solenne occasione, la salma di Padre Argento, grazie all’opera infaticabile del Rettore Barrella, venne traslata dal Cimitero di Lecce alla Cappella dell’Istituto e fu anche inaugurato il busto del fondatore, opera di Antonio Bortone, e nel locale d’ingresso fu apposta una targa ricordo con il testo di Brizio De Santis, Preside dell’Istituto Tecnico di Lecce e che già era stato allievo dell’Argento presso il Regio Liceo San Giuseppe[39]. La salma del Padre Argento venne tumulata ai piedi dell’altare dove erano custoditi anche i resti di Bernardino Realino, il santo tanto amato e venerato dall’Argento.

La cerimonia, presieduta dal Vescovo Mons. Trama, vide una folla immensa di partecipanti, insieme alle autorità cittadine di Lecce e di Monopoli: nella cittadina barese, patria dell’Argento, venne anche collocato un suo ritratto nell’Aula consigliare del Municipio e a lui venne intitolata la stradina dove sorgeva la sua casa natale; nel contempo a Lecce gli fu intitolata una piazza[40]. Nel 1930 il Regio Liceo Argento venne parificato. Nel 1947 un’altra tappa importante fu la canonizzazione del fondatore Padre Realino, con la consegna delle chiavi della città al Santo. L’Istituto venne acquistato dalla Provincia di Lecce che vi realizzò le sedi della Biblioteca Provinciale “Nicola Bernardini” – la cui prima dotazione fu proprio quella proveniente dalla biblioteca dei Gesuiti -, e del Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano”[41].

 

Note

[1] È il motto che campeggia tuttora sulle mura dell’ex Collegio Argento, lo stesso che si trova anche nel più importante Collegio Romano. Si veda: Ilaria Morali, Religioni ac bonis artibus: l’“apostolato scientifico” dei gesuiti in Cina,  in Pianeta Galileo 2009, a cura di Alberto Peruzzi, Regione Toscana, Firenze, 2010, pp. 399-415.

[2] Su San Bernardino Realino (1530-1616), esiste una vasta bibliografia. Fra le fonti più antiche: Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra, Lecce, Tip. Pietro Micheli, 1634, pp. 162-176; Vita del Padre Bernardino Realino da Carpi della Compagnia di Gesù composta dal P. Giacomo Fuligatti della medesima Compagnia, Viterbo, 1644; Menologio di pie memorie di alcuni Religiosi della Compagnia di Gesù, raccolte dal P. Giuseppe Antonio Patrignani della medesima Compagnia e distribuite per quei giorni dell’anno ne’ quali morirono, dall’anno 1538 fino all’anno 1728, v. III, Venezia, Tip. Nicolò Pezzana, 1730, passim; Vita del Venerabile Padre Bernardino Realino della Compagnia di Gesù scritta dal P. Giuseppe Boero della medesima Compagnia, Postulatore della causa, Roma, Tip. Bernardo Morini, 1852; Cenni biografici del Venerabile Padre Bernardino Realino scritti dal suo concittadino Isidoro Maini, Modena, Tip. Immacolata Concezione, 1869; Compendio della vita del V.P. Bernardino Realino d. C[ompagnia] d[i] G[esù] apostolo della città di Lecce, scritto dal P. Giuseppe Broia della medesima Compagnia, Lecce, Tip. Fratelli Spacciante, 1892; Ettore Venturi, Storia della vita del Beato Bernardino Realino: sacerdote professo della Compagnia di Gesù, scritta e illustrata dal P. Ettore Venturi della medesima Compagnia, Roma, Tipografia Befani, 1895; Vincenzo Dente, Un santo educatore e letterato gesuita, in «La civiltà cattolica», n. LXXXII, 1931, pp. 21-36 e 209-225; Giuseppe Germier S.J., San Bernardino Realino, Firenze, Libreria editrice Fiorentina 1942, p. 408; Pietro Tacchi Venturi, Mario Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, v. III, L’epoca di Giacomo Laínez, il governo (1556-1565), Roma, 1964, p. 293. La fonte più recente è Defensor Civitatis Modernità di padre Bernardino Realino Magistrato, Gesuita e Santo. Atti del Convegno Internazionale di Studi a quattrocento anni dalla morte (1616-2016), Lecce, 13-15 ottobre 2016, a cura di Luisa Cosi e Mario Spedicato, Società Storia Patria-Sezione di Lecce, Lecce, Grifo Editore, 2017.

[3] P. Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù nelle Puglie 1574-1767, a cura dell’Istituto Argento di Lecce, Lecce, Tipografia Salentina, 1941, p.17.

[4] Sul Collegio di Lecce: Francesco Schinosi, Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli descritta da Francesco Schinosi della medesima Compagnia, parte prima, libro IV, Napoli, Stamperia Michele Luigi Mutio, 1706, pp. 283-291.

[5]Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra cit., pp.217-218.

[6] P. Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù nelle Puglie cit., p.23.

[7] Ivi, p.26.

[8] P. Giovanni Barrella, Un grande educatore. Vita aneddotica del P. Nicodemo Argento S.I. 1832-1905 con rapidi cenni sul Collegio da lui fondato in Lecce 1874-1950, pubblicata in occasione del LXXV della fondazione del Collegio stesso, Lecce, Tip. Scorrano, 1951, p.70.

[9] P. Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù nelle Puglie cit., p.15.

[10] Ivi, p.24. Sullo Spinola, si vedano: Vita del P. Carlo Spinola della Compagnia di Giesù morto per la Santa Fede nel Giappone del p. Fabio Ambrosio Spinola dell’istessa Compagnia all’Illustriss. e Reverendiss. Signore, e Padron Colendissimo, Monsignor Prospero Spinola Digniss. Vicelegato di Bologna, In Roma e in Bologna, per Clemente Ferroni, 1628; Daniele Frison, The office of procurator through the letters of Carlo Spinola S.J., in «Bulletin of Portuguese – Japanese Studies», vol. 20, giugno, Universidade Nova de Lisboa, Portugal, 2010, pp. 9-70; Idem, ‘La piu difficile, e la piu disastrosa via, che mai fino allora niun altro’ Carlo Spinola and his attempts to get to the Indias, in «Revista de Cultura», Instituto Cultural do Governo da Regiao Administrativa Especial de Macau, 44, 2013, pp.88-109.

[11] Ivi, pp.67-79.

[12] P. Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù cit., p.70.

[13] Ivi, p.77.  Sul Paradiso si veda: Salvatore Bini, Onofrio Paradiso-Apostolo del Salento, Salerno, Ed. Arci Postiglione, 2011.

[14] Sigismondo Castromediano, La commissione conservatrice dei Monumenti storici e di Belle Arti di Terra d’Otranto al Consiglio Provinciale Relazione per gli anni 1874-1875 del Duca Sigismondo Castromediano, Lecce, Tip. Salentina, 1876, pp.14-16.

[15] P. Giovanni Barrella, Un grande educatore cit., p.23.

[16] Aa. Vv., Il gabinetto di fisica del Collegio Argento, I Gesuiti e l’insegnamento scientifico a Lecce. Spunti per una storia, a cura di Arcangelo Rossi e Livio Ruggiero, Lecce, Edizioni Grifo, 1998, p.16.

[17] P. Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù cit., p.109.

[18] P. Giovanni Barrella, Un episodio del 1848 a Lecce. La cacciata dei Gesuiti (da Mss.inediti), Lecce, Tip. Giurdignano, 1923, p.7.

[19] Ivi, p.13.

[20] Nicola Bernardini, Lecce nel 1848: figure, documenti ed episodi della rivoluzione, Lecce, Tip. Bortone, 1913 p.499.

[21] P. Giovanni Barrella, La Compagnia di Gesù cit., p.111.

[22] Sigismondo Castromediano, La commissione conservatrice dei Monumenti storici e di Belle Arti di Terra d’Otranto cit., p.16.

[23] Valentino De Luca, “Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò”. La Prima guerra mondiale nei monumenti e nelle epigrafi di Lecce, Galatina, Editrice Salentina, 2015, p.64.

[24]  P. Giovanni Barrella, Un grande educatore cit., p.11.

[25] Ivi, p.13.

[26] Ivi, p.14.

[27] Ivi, p.22.

[28] Ivi, p.26.

[29] Ivi, p.69.  Il Discorso letto dal Prof. Cav. Gianferrante Tanzi nella cerimonia dello scoprimento della lapide viene pubblicato da Giovanni Barrella, in La figura del P. Nicodemo Argento, Lecce, Tip. Editrice Salentina Fr.lli Spacciante, 1906, pp.5-16, in cui è pubblicato anche 25 giugno 1906, un discorso informale tenuto da Cosimo De Giorgi a mensa: Ivi, pp.17-20.

[30] Ivi, pp.69 -70.

[31] Teodoro Pellegrino, Il Primo seminario regionale Pugliese a Lecce, in “Il popolo del Salento”, 18 febbraio 1955, riportato da Valentino De Luca in Lecce negli anni della Grande Guerra, Galatina, Editrice Salentina, 2019, p.79.

[32] Salvatore Palese, Ugento – Santa Maria di Leuca, in Storia delle Chiese di Puglia, a cura di S. Palese e L.M. De Palma, Ecumenica Editrice, Bari 2008, p. 356: «Il rinnovamento del clero fu originato pure dalla formazione dei giovani chierici nel nuovo seminario regionale che Pio X aveva voluto a Lecce nel 1908 e affidato ai Gesuiti e trasferito a Molfetta nel 1915».

[33] P. Giovanni Barrella, Un grande educatore cit., p.76.

[34] Aa. Vv., Il gabinetto di fisica del Collegio Argento, I Gesuiti e l’insegnamento scientifico a Lecce cit.,  p.11.

[35]P. Giovanni Barrella, Un grande educatore cit., p.76. Sull’esperienza dei cappellani militari, si vedano: F. Lovison, I cappellani militari nell’Europa in guerra, Relazione al Convegno di giovedì 16 ottobre 2014, Pontificio Comitato di Scienze Storiche, Roma, 2014; R. Morozzo Della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti soldato, Studium, Roma, 1980.  Su Mons. Angelo Bartolomasi, primo Vescovo militare italiano: N. Bartolomasi, Mons. Angelo Bartolomasi. Vescovo dei soldati d’Italia, vol. I, Il Vescovo del Carso e di Trieste liberata, edito a cura dell’Opera Mons. Bartolomasi, Roma 1966; con specifico riferimento alla partecipazione del clero pugliese e salentino: Salvatore Palese-Ercole Morciano, Preti del Novecento nel Mezzogiorno d’Italia. Repertorio biografico del clero della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Galatina, Congedo, 2013, passim; V. Robles, Vescovi, clero e popolo di Puglia durante la grande guerra, in La Chiesa barese e la Prima Guerra Mondiale (Per la storia della Chiesa di Bari-Bitonto n. 31), a cura di Salvatore Palese, Bari, Edipuglia, 2016, pp.11-81; Ercole Morciano, La “Grande Guerra” nelle carte dell’archivio Storico Diocesano di Ugento, in «Bollettino Diocesano S. Maria de Finibus Terrae Atti ufficiali e attività pastorali della Diocesi di Ugento – S. M. di Leuca»,  a cura di Mons. Salvatore Palese, a. LXXXI – n. 2, Luglio-Dicembre 2018, pp.788-823, in particolare I cappellani militari, pp.791-794.

[36] Si vedano: P. Giovanni Barrella, P. Nicodemo Argento S.J. e il suo “Istituto” nel primo cinquantenario dalla fondazione dell’ “Istituto Argento” 1874-1924, Lecce, Tip. Lit. Vincenzo Masciullo, 1924; Pietro Marti, Il Collegio Argento, in «Il Salento. Almanacco illustrato», 1933 e Valentino De Luca, “Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò” cit., p.64.

[37] Valentino De Luca, Lecce cit., p.80.

[38]P. Giovanni Barrella, Un grande educatore cit., p.79.

[39] Valentino De Luca, Stringiamoci a coorte cit., pp.61-64.

[40]P. Giovanni Barrella, Un grande educatore cit., p.87.

[41] Valentino De Luca, Stringiamoci a coorte cit., p.64.

 

Gesuiti salentini e i fratelli Antonio e Angelo Stefanizzi

di Alfredo di Napoli

 

Voluto dall’Associazione Autori Matinesi e dal Centro Studi Aldo Bello di Matino, è stato recentemente pubblicato, per le cure di Paolo Vincenti, A Maggior Gloria di Dio. I Fratelli Antonio e Angelo Stefanizzi: da Radio Vaticana allo Sri Lanka.

Il libro ripercorre la vita e la carriera di due straordinari personaggi, entrambi gesuiti e originari della città di Matino: Padre Antonio, tecnico e scienziato, e Padre Angelo, missionario in Sri Lanka e operatore di pace.

Un libro interessante che fa luce sulla vita di due gesuiti contemporanei, ma si pone in ideale continuità con la ricerche proficuamente avviate dal curatore del libro e con un filone di studi inaugurato già da alcuni anni dalla Società di Storia Patria di Lecce teso alla rivitalizzazione di numerose figure dei gesuiti del passato, come sottolinea Mario Spedicato, Presidente della SSPP, Sezione di Lecce, che firma la Prefazione del libro.

Scrive Spedicato: “In questi ultimi anni la ricerca storica ha focalizzato l’attenzione sul ruolo esercitato da non pochi salentini nel settore della scienza, delle arti e dello sviluppo economico-sociale. Sono stati disseppelliti uomini di grande e indiscutibile valore culturale di cui si era persa la memoria, caduti nell’oblio per una colpevole distrazione. Sono emersi via via dalla polvere degli archivi personaggi cui il Salento dovrebbe essere fiero di aver dato i natali, ma che per ragioni oscure sono stati a lungo relegati nel dimenticatoio. La sorpresa più grande è stata quella di scoprire che un numero sempre crescente di queste straordinarie figure si sono formate nella Compagnia di Gesù. Hanno scelto di abbracciare la religione di S. Ignazio di Loyola e di servire la Chiesa in ogni parte del mondo, gesuiti che in modo particolare hanno svolto la loro missione evangelizzatrice lontani dal Salento, ma del Salento sono rimasti fulgida espressione […] Abbiamo iniziato con l’emersione di due gesuiti che sono saliti agli onori degli altari, Francesco de Geronimo di Grottaglie e il salentino di adozione Bernardino Realino, poi recuperato un gesuita di San Cesario di Lecce, Adriano Formoso, missionario in Sud America nel ‘600, rivalutato un altro gesuita missionario di Martina Franca, Michele Salpa, fondatore nel 1610 dell’Università degli Studi di Vilnius in Lituania, e, per ultimo, riscoperto un gesuita di Ruffano, Sabatino de Ursis, missionario e scienziato nella Cina dei Ming.

Ora questo quadro storiografico si arricchisce del lavoro di Paolo Vincenti sui due gesuiti Stefanizzi, interessanti figure del recente passato che danno lustro alla città di Matino, centro che ha dato loro i natali”.

Nel libro, dopo il Saluto del Sindaco della Città di Matino, Giorgio Toma, e l’Introduzione del Presidente dell’Associazione Autori Matinesi, Cosimo Mudoni, Custodi di memorie condivise, si trova un intervento di Don Giorgio Crusafio, decano dei prelati matinesi, Padre Angelo e Padre Antonio Stefanizzi: due frutti della nostra terra. Don Giorgio riporta una testimonianza di affetto e di fede con curiosità ed aneddoti legati alle due figure dei gesuiti suoi concittadini. Dopo la Prefazione di Spedicato, si apre il saggio di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti, intitolato La Lunga Vita di Padre Antonio Stefanizzi, gesuita scienziato, in cui si riscostruisce il profilo bio-bibliografico di Padre Antonio.

Egli è scomparso il 4 ottobre 2020 a Roma all’età di 102 anni, di cui ben 87 vissuti nella Compagnia di Gesù. La stampa nazionale ha dato grande risalto alla notizia della sua scomparsa. Era nato il 18 settembre 1917 in una famiglia numerosa, composta di sette figli, dei quali due, Antonio ed Angelo, indossano l’abito di Sant’Ignazio, e una sorella, Agata, nata nel 1924, diventa suora dell’ordine di Nostra Signora del Cenacolo (è morta a Torino nel 2017). Aveva fatto studi umanistici, ma anche scientifici, tant’è vero che nel 1949 si trasferisce per un corso di perfezionamento negli Stati Uniti, precisamente a New York, alla Fordham University, tenuta dai Gesuiti. Negli USA segue i corsi del professor Victor Hess, premio Nobel quale scopritore dei raggi cosmici. Gli autori della ricerca hanno trovato svariate fonti a stampa americane che parlano di Padre Antonio. Insegna matematica e fisica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e il 24 marzo 1953 viene nominato Direttore della Radio Vaticana. Tocca proprio a lui sovrintendere anche tecnicamente, il 15 agosto del 1954, alla prima trasmissione radiofonica della preghiera dell’Angelus da parte di un Papa. Nel gennaio del 1959 Papa Giovanni XXIII annuncia il Concilio Vaticano II e nel novembre dello stesso anno istituisce la Commissione sui “Mezzi moderni di apostolato”, con il compito di analizzare il ruolo dei nuovi mezzi di comunicazione e la loro valenza pastorale; della Commissione, guidata dal Gesuita Enrico Baragli, fa parte anche Padre Antonio. Ha non solo contribuito tecnicamente alla diffusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, ma ne è stato attore in prima persona. Come esperto di tecnica radiofonica e di telecomunicazioni satellitari, Padre Antonio partecipa a Washington, in rappresentanza della Santa Sede, all’avvio nel 1964 dell’Intelsat (International Telecommunications Satellite Consortium), la prima organizzazione intergovernativa mondiale per lo sviluppo e la gestione delle telecomunicazioni via satellite, di cui la Città del Vaticano era uno degli 11 Stati fondatori. Nell’ottobre 1965, nella storica visita che Paolo VI compie negli Usa tenendo il suo discorso all’ONU, Stefanizzi fa parte del seguito papale.

Nel saggio si sottolinea anche l’importante ruolo svolto da Radio Vaticana sotto la sua direzione negli anni della Guerra Fredda, quando è stata di fatto l’unico strumento che è riuscito a rompere la cortina di ferro; il messaggio del Papa giungeva attraverso l’etere alla cosiddetta “Chiesa del Silenzio” che ha continuato a operare in quegli anni con grandi sacrifici e con spirito di martirio nell’Europa comunista. Padre Stefanizzi contribuisce anche all’organizzazione e all’ampliamento della grande stazione radiofonica cattolica installata a Manila, nelle Filippine, denominata Radio Veritas, con la missione di far risuonare la voce cattolica nelle Filippine, Giappone, Cina, Indonesia e in tutto il Sud- Est Asiatico. Molto intensa anche l’attività culturale di Padre Antonio, ricostruita nella bibliografia che segue il saggio. In particolare egli è assiduo collaboratore della rivista «La Civiltà Cattolica»; è autore del libro, Le nuove tecnologie di comunicazione. Valutazioni e prospettive (1983), ed escono a sua cura diverse pubblicazioni edite da Radio Vaticana durante gli anni della sua direzione.

Studioso e al contempo conduttore radiofonico, sulla scia di Guglielmo Marconi (1874-1937), che può essere considerato il fondatore di Radio Vaticana insieme a Padre Giuseppe Gianfranceschi (1875-1934), che fu il primo direttore. È stato anche membro del Consiglio di Amministrazione del CTV (Centro Televisivo Vaticano) fino al 1997, quando riceve una bella lettera gratulatoria da Papa Giovanni Paolo II. Viene messo in congedo nel 2010 e, come già detto, scompare nel 2020. Nel saggio si ripercorre anche il suo rapporto con la città di Matino soprattutto grazie alla testimonianza di Don Giorgio Crusafio. Prendendo spunto dalla formazione scientifica di Padre Antonio, Francesco Frisullo e Paolo Vincenti dedicano il saggio successivo, Uomini di scienza e di fede, ad un excursus sulle principali figure di gesuiti scienziati nella storia, con particolare riferimento ai salentini.

Si passa quindi a Padre Angelo. Con il saggio Padre Angelo Stefanizzi, il Gandhi dello Sri Lanka. Una biografia spirituale, Frisullo e Vincenti tratteggiano un completo profilo del missionario salentino. Angelo Stefanizzi, missionario per moltissimi anni in Sri Lanka, nasce il 2 ottobre 1919. Come il fratello Antonio, anch’egli entra nella Compagnia di Gesù. Nel 1948 parte per l’India, dove l’anno successivo viene ordinato sacerdote. Dopo aver compiuto gli studi di teologia, nel 1952, intraprende l’attività missionaria nel centro-sud dello Sri Lanka, prima a Yatiyantota come viceparroco, in seguito a Dehiowita, nel 1967, e poi a Maliboda, nel 1983, come parroco.

Egli parlava correntemente tre lingue: inglese, singalese e tamulico. Si dedica all’assistenza della povera gente, in particolare dei lavoratori nelle piantagioni di the a Tamil, e all’assistenza dell’infanzia abbandonata e delle ragazze disagiate, oltre che alla tutela del lavoro, promuovendo nel territorio la formazione professionale per i giovani e avviando preziose esperienze di scuola-lavoro. Si ascrivono a suoi grandi meriti l’avere lavorato alla pacificazione dello Sri Lanka, insanguinato per molti anni da una fratricida guerra civile, e l’aver messo in comunicazione le diverse fedi religiose presenti sul territorio, cosa che gli valse l’appellativo di “Padre Gandhi” con cui era conosciuto. Gli autori poi riservano una doverosa attenzione ad altri due gesuiti matinesi, padre Giuseppe Angelè e padre Cosimo Guida, precursori di padre Angelo nella missione in Sri Lanka, dei quali si ricostruiscono le vicende biografiche con notizie inedite. Padre Stefanizzi ritornò a Matino in occasione del suo cinquantesimo di sacerdozio, nel 2000, festeggiato da tutta la comunità del suo paese. Muore nel febbraio del 2010 e la stampa nazionale indiana dà grandissimo risalto alla notizia.

Ovunque egli viene ricordato in concetto di santità. Come già per Padre Antonio, anche per Padre Angelo viene riportata una utile bibliografia degli scritti. Padre Angelo si pone in continuità con altre figure di gesuiti missionari nell’estremo Oriente, molte delle quali segnalate da Francesco Frisullo e Paolo Vincenti nel saggio successivo: Missionari gesuiti pugliesi in Estremo Oriente e storia della missione dello Sri Lanka. In particolare, gli autori si soffermano sulle figure di missionari pugliesi e salentini come Vincenzo Antoglietta, Francesco Riccio, Giuseppe di Mesagne, Giovanni Andrea Lubelli, Giovanni Giuseppe Costa, ecc. Un utile excursus è quello che dedicano alla storia dell’isola che ha accolto la missione di Padre Angelo.

Nel saggio intitolato Gesuiti salentini in America, Frisullo e Vincenti, sulla scorta del viaggio di Padre Antonio nel Nuovo Continente, offrono una rapida carrellata di gesuiti salentini che lo hanno preceduto nella missione degli Stati Uniti. Si tratta di missionari fra Ottocento e Novecento, come Vincenzo e Vito Carrozzini, Alessandro Leone, i due fratelli Salvatore e Carlo Personè, Eugenio Vetromile, Donato Maria Gasparri, ed altri.

Segue poi un saggio di Livio Ruggiero sugli esperimenti scientifici dei gesuiti sull’elettricità a Lecce fra Ottocento e Novecento, e, nel segno del formidabile binomio scienza e fede, che per tutta la vita hanno coniugato i fratelli Stefanizzi, offre una approfondita riflessione Maria Antonietta Bondanese nel saggio successivo. Completa il volume, curato graficamente da Donato Stifani, una Appendice fotografica.

Il libro è stato presentato a Matino il 17 settembre 2020, presso la Chiesa Madre “San Giorgio”, alla presenza di Cosimo Mudoni, Presidente dell’Associazione che ha patrocinato la pubblicazione, del Sindaco Giorgio Toma, del parroco Don Andrea Danese, del professor Mario Spedicato, di Don Giorgio Crusafio e del curatore Paolo Vincenti, al quale va il merito di avere segnalato alla nostra attenzione così alti e nobili esempi di religiosità salentina nel mondo. L’illustrazione di copertina, Societatis Missiones Indicae, tratta da un’opera del 1640, ci sembra la più bella per significare il profondo valore morale e civile di questo libro.

 

A MAGGIOR GLORIA DI DIO. I FRATELLI ANTONIO E ANGELO STEFANIZZI: DA RADIO VATICANA ALLO SRI LANKA

A CURA DI PAOLO VINCENTI

ASSOCIAZIONE AUTORI MATINESI, CENTRO STUDI ALDO BELLO, MATINO, TIP. SAN GIORGIO, 2020, PP. 186.

 

Sull’argomento vedi anche:

Libri| I Fratelli Antonio e Angelo Stefanizzi – Fondazione Terra D’Otranto

Il salentino padre Antonio Stefanizzi della Compagnia di Gesù, classe 1917 – Fondazione Terra D’Otranto

Gesuiti salentini in America – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

Libri| I Fratelli Antonio e Angelo Stefanizzi

A Maggior Gloria di Dio. I Fratelli Antonio e Angelo Stefanizzi: da Radio Vaticana allo Sri Lanka, a cura di Paolo Vincenti

 

Prefazione di Mario Spedicato

In questi ultimi anni la ricerca storica ha focalizzato l’attenzione sul ruolo esercitato da non pochi salentini nel settore della scienza, delle arti e dello sviluppo economico-sociale. Sono stati disseppelliti uomini di grande e indiscutibile valore culturale di cui si era persa la memoria, caduti nell’oblio per una colpevole distrazione. Sono emersi via via dalla polvere degli archivi personaggi cui il Salento dovrebbe essere fiero di aver dato i natali, ma che per ragioni oscure sono stati a lungo relegati nel dimenticatoio. La sorpresa più grande è stata quella di scoprire che un numero sempre crescente di queste straordinarie figure si sono formate nella Compagnia di Gesù. Hanno scelto di abbracciare la religione di S. Ignazio di Loyola e di servire la Chiesa in ogni parte del mondo, gesuiti che in modo particolare hanno svolto la loro missione evangelizzatrice lontani dal Salento, ma del Salento sono rimasti fulgida espressione. Riposizionando la ricerca storica su questo terreno, ancora scarsamente esplorato, si è potuto ricostruire il contributo da loro fornito all’elevazione spirituale dei popoli e, conseguentemente, verificare a largo spettro quanto noi uomini contemporanei siamo debitori alla missione svolta nelle diverse epoche in cui è emerso il loro protagonismo.

Siamo ancora all’inizio di un lavoro che richiederà anni per censire tutti i gesuiti salentini che meritano l’attenzione storiografica finora negata. Qualcosa però è stata fatta e ci pare opportuno segnalare lo sforzo che chi scrive ha prodotto in questo ancora lungo percorso di ricerca. Abbiamo iniziato con l’emersione di due gesuiti che sono saliti agli onori degli altari, Francesco de Geronimo di Grottaglie e il salentino di adozione Bernardino Realino, poi recuperato un gesuita di San Cesario di Lecce, Adriano Formoso, missionario in Sud America nel ‘600, rivalutato un altro gesuita missionario di Martina Franca, Michele Salpa, fondatore nel 1610 dell’Università degli Studi di Vilnius in Lituania, e, per ultimo, riscoperto un gesuita di Ruffano, Sabatino de Ursis, missionario e scienziato nella Cina dei Ming[1].

Ora questo quadro storiografico si arricchisce del lavoro di Paolo Vincenti sui due gesuiti Stefanizzi, interessanti figure del recente passato che danno lustro alla città di Matino, centro che ha dato loro i natali. Una meritevole iniziativa, patrocinata dall’Associazione Autori Matinesi, che va oltre modo apprezzata. L’urgenza del momento, l’empito delle emozioni o il vincolo di affetto personale non sono i migliori alleati dello storico, perché possono fare velo a quella lucidità che sempre chi si occupa di ricerca storica deve mantenere, insieme al rigore dell’analisi documentaria, per consegnare ai lettori e alla comunità degli studiosi un prodotto scientificamente irreprensibile. Tuttavia il curatore dell’opera non corre nessuno dei rischi sopra richiamati in quanto né l’amicizia personale, né alcun debito di affetto e di riconoscenza lo legano ai personaggi trattati nel libro e nemmeno ragioni di sterile campanilismo. Il suo non è da considerare un lavoro agiografico, quindi, ma una ricerca nata da un interesse erudito nei confronti dei due padri protagonisti del volume che, uniti dalla comune appartenenza all’ordine religioso dei gesuiti, si segnalano alla nostra attenzione per meriti indiscutibili, sia pure in ambiti diversi. Padre Antonio Stefanizzi, scomparso nel 2020 all’età di 102 anni, è stato un esperto di tecnica radiofonica tanto che ha ricoperto per molti anni l’incarico di Direttore di Radio Vaticana, l’emittente dello Stato Pontificio. Questo incarico lo ha portato a collaborare strettamente con molti Papi e a partecipare ad importanti convegni ed incontri di studio non solo in Italia ma in tutto il mondo. Proficua la sua esperienza americana, avendo egli studiato alla Fordham University di New York, dove ha potuto collaborare con il premio Nobel Victor Franz Hess, lo scopritore dei raggi cosmici. Professore di matematica e fisica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, è stato autore di molti interventi, soprattutto sulla rivista “La Civiltà cattolica”, sui temi a lui più congeniali. La formazione scientifica di padre Stefanizzi ben si inquadra in un ordine quale quello dei gesuiti notoriamente aperto alla scienza e alla tecnica fin dai suoi esordi. E in questo senso, gli autori del profilo bio-bibliografico, Francesco Frisullo e Paolo Vincenti, ben sottolineano la continuità di padre Stefanizzi con tantissimi illustri gesuiti scienziati del passato ai quali dedicano un apposito capitolo. Allo stesso modo, prendendo spunto dall’esperienza americana e dal prestigio di cui godeva come studioso padre Stefanizzi nel Nuovo Continente, gli autori offrono un altro saggio in cui elencano una serie di gesuiti missionari negli Stati Uniti, fra Ottocento e Novecento, con figure quali quelle di Vincenzo e Vito Carrozzini, Alessandro Leone, i due fratelli Salvatore e Carlo Personè, Eugenio Vetromile, ed altri, fornendo alcune interessanti notizie del tutto inedite. Padre Antonio ha vissuto da protagonista l’esperienza del Concilio Vaticano II, ed anche dopo la fine del suo impegno a Radio Vaticana, ha continuato a servire la Santa Sede come consulente del “Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali”, ed è stato fra l’altro, uno dei fondatori del Centro televisivo vaticano.

Non meno interessante si presenta la parabola umana di padre Angelo Stefanizzi, missionario per moltissimi anni in Sri Lanka. Egli parlava correntemente tre lingue: inglese, singalese e tamulico. Si dedicò all’assistenza della povera gente, in particolare dei lavoratori nelle piantagioni di the a Tamil, e all’assistenza dell’infanzia abbandonata e delle ragazze disagiate, oltre che alla tutela del lavoro, promuovendo nel territorio la formazione professionale per i giovani e avviando preziose esperienze di scuola-lavoro. Si ascrive a suo grande merito quello di avere lavorato alla pacificazione dello Sri Lanka, insanguinato per molti anni da una fratricida guerra civile e aver messo in comunicazione anche le diverse fedi religiose presenti sul territorio, cosa che gli valse l’appellativo di “Padre Gandhi” con cui era conosciuto. Padre Angelo si pone in continuità con altre figure di gesuiti missionari nell’estremo Oriente, molte delle quali segnalate da Francesco Frisullo e Paolo Vincenti in un altro capitolo del libro. In particolare, gli autori si soffermano sulle figure di missionari pugliesi e salentini come Vincenzo Antoglietta, Francesco Riccio, Giuseppe di Mesagne, Giovanni Andrea Lubelli, Giovanni Giuseppe Costa, ecc. Degna di nota, ci è parsa, all’interno di questo contesto, l’attenzione riservata ad altri due gesuiti matinesi, padre Giuseppe Angelè e padre Cosimo Guida, precursori di padre Angelo nella missione in Sri Lanka, dei quali si ricostruiscono le vicende biografiche con notizie inedite. E un utile excursus è quello che dedicano alla storia dell’isola dello Sri Lanka e della missione che ha accolto lo stesso padre Angelo.

Il volume è ulteriormente arricchito da un saggio di Livio Ruggiero sugli esperimenti scientifici dei gesuiti sull’elettricità a Lecce. Nel 1859 infatti il gesuita Nicola Miozzi accese a Lecce una lampada ad arco in occasione della visita del Re Ferdinando II. Il Miozzi aveva già effettuato un esperimento nel 1852 e queste sue dimostrazioni sono state forse tra le prime del genere in Italia. P. Miozzi insegnava fisica nel Collegio S. Giuseppe di Lecce e stimolò un grande interesse per l’elettricità in Giuseppe Candido, un giovane seminarista che si dedicò con grande passione alla costruzione di apparecchi elettrici per la sua casa, tanto da potersi considerare un precursore della domotica[2]. Per alimentare i suoi apparecchi Candido ideò la pila a diaframma regolatore, che ottenne una menzione onorevole all’Esposizione Universale di Parigi del 1867 e dal 1868 al 1874 costruì una rete di quattro orologi da torre sincronizzati elettricamente, un primato per la città. Nel 1898 Lecce realizzò un altro primato con il tram elettrico fino a S. Cataldo, che con i suoi 12 chilometri era la più lunga linea a trazione elettrica d’Italia[3]. Anche la figura dei due religiosi scienziati si pone in stretta continuità con quella di padre Antonio Stefanizzi, che ha coniugato per tutta la vita il formidabile binomio scienza e fede, sul quale ci offre una approfondita riflessione Maria Antonietta Bondanese nel saggio inserito nel volume, che vale la pena riprendere nelle sue linee essenziali per dare sostanza anche ai problemi, non trascurati e storicamente elaborati, dalla stessa Compagnia di Gesù[4].

Il Discorso sulla dignità dell’uomo di Giovanni Pico della Mirandola è il “manifesto” di un Umanesimo che valorizza l’individuo nelle sue capacità razionali senza però negarne l’intima tensione al divino. Ma la modernità, privilegiando una ragione strumentale, lascia insoluti gli enigmi dell’esistenza. Uno strumento, il cannocchiale, disincanta il mondo, infrange il thaumazein e distoglie la riflessione dal “perché” una cosa è, sulla questione del “come” essa è. Esclusa la contemplazione dal suo orizzonte, l’homo faber, che “tanto può quanto sa”, assoggettava il mondo mediante la tecnica, sospeso tra due estremi, il sogno di “addomesticare” la natura, anche la propria, e la desertificazione esistenziale della mancanza di significati. Oggi, la portata, gli obiettivi e le conseguenze della tecnologia sono così inediti da imporre una nuova dimensione della responsabilità, non più circoscritta al singolo individuo ma estesa all’agire collettivo. Occorre allora riconoscere che esistono diversi livelli del sapere, fra i quali stabilire integrazione e differenze. Cade, in particolare, questo l’assunto del saggio, l’idea della irrilevanza reciproca tra scienza e fede, esito di un’antropologia sdivinizzata che intendeva congedare il soprannaturale. Su questo versante è opportuno tenere aperta la riflessione e il confronto all’interno del mondo dei saperi umani. Questo ci viene suggerito dai due Stefanizzi, la cui densa biografia non potrà essere esaurita, per ovvie ragioni, dall’ottimo lavoro di Paolo Vincenti.

 

Note

[1] Per il De Geronimo si rinvia a Mario Spedicato (a cura di), Nelle Indie di quaggiù. S. Francesco de Geronimo e i processi di evangelizzazione nel Mezzogiorno moderno, Atti del Convegno di Studio, Grottaglie, 6-7 maggio 2005, Galatina, EdiPan, 2006; sul Realino si veda Luisa Cosi- Mario Spedicato (a cura di), Defensor Civitatis Modernità di padre Bernardino Realino Magistrato, Gesuita e Santo. Atti del Convegno Internazionale di Studi a quattrocento anni dalla morte (1616-2016) Lecce 13-15 ottobre 2016, Società Storia Patria Sezione di Lecce, Lecce, Grifo Editore, 2017; sul Formoso: Antonio Fernando Guida, Adriano Formoso da San Cesario di Lecce 1601-1649. Un gesuita salentino nelle Missioni del Sudamerica, Società di Storia Patria Puglia, Sezione di Lecce, Trepuzzi, Maffei Editore, 2015; sul Salpa si attende la celebrazione del convegno di Vilnius per la pubblicazione degli Atti; su de Ursis si rinvia alla recente monografia di Francesco Frisullo e Paolo Vincenti, L’apostolato scientifico dei gesuiti nella Cina dei Ming. Il missionario salentino Sabatino de Ursis, Società di Storia Patria Puglia Sezione di Lecce, Castiglione, Giorgiani Editore, 2020.

[2] Si veda, al riguardo, Livio Ruggiero- Mario Spedicato, Giuseppe Candido tra pastorale e scienza,Società di Storia Patria Puglia Sezione di Lecce, Galatina, EdiPan, 2007.

[3] Cfr. Carmelo Pasimeni, Il Tram del Mare. La tramvia elettrica Lecce-San Cataldo, Lecce, Conte Editore, 1998.

[4] Sul tema all’interno della Compagnia di Gesù vi è una solida tradizione storiografica ben documentata da  Ugo Baldini, «Legem impone subactis». Studi su filosofia e scienza dei Gesuiti in Italia 1540-1632, Roma, Bulzoni, 1992; Idem, Saggi sulla cultura della Compagnia di Gesù (secoli XVI-XVIII), Padova, CLEUP,2000.

Dall’Accademia degli Affumati di Bologna al Collegio Argento di Lecce. Bernardino Realino

chiave civica di Lecce 

di Piero Barrecchia

Lecce gentile, imponente, cinta dalle sue mura urbiche che si possono, ora, notare a scorci. Lecce, capitale di Terra d’Otranto, briosa, come il suo barocco. Lecce archeologica, restaurata, nobile e popolare, conservatrice. Lecce, antica, innovata e innovatrice. Lecce, Città aperta, invitante ed ospitale, che accoglie nel suo ventre gli innumerevoli visitatori dai suoi varchi più famosi: porta Rudiae, porta S.Biagio e porta S.Giusto (più nota, ora, come porta Napoli).

Da quest’ultima fece il suo ingresso un uomo, al volgere del 1500, la cui fama aveva preceduto la sua venuta ed al quale i leccesi sarebbero rimasti legati, consegnandogli la chiave di quegli accessi e dell’intera Città.

Giace, quella chiave in una tomba, ai piedi del patrono dimenticato.

No, non parlo del trio agostano: Oronzo, Giusto e Fortunato, né della precedente gestione, affidata ad Irene! Per tutti questi elencati vi è la consegna della Città a seguito di interventi attribuiti “post mortem”. Parlo della consegna delle sorti cittadine ad un uomo, in quel tempo vivente, capace di intendere e di volere, non ancora canonizzato. Insomma, una consegna a corpo presente! Parlo di un dialogo tra vivi, anche se uno lo sarà ancora per pochi giorni, al quale gli viene riconosciuto lo sconvolgimento positivo della Città, da quando è arrivato in zona, da quando ha abbattuto ogni tipo di barriera, da quando è presente tra quella gente. A lui, per la Città, il signor sindaco chiede la tutela, gratuita da vivo e promessa da morto!

Un patrono, ora, dimenticato, che, però, è l’unico a detenere la chiave lupiense.

Si chiama Bernardino Realino, padre gesuita. Lui, non ha i natali in queste contrade, viene dal territorio modenese, da Carpi, ma, è  a Lecce che il suo sapiente spirito crea. La sua formazione culturale ed umana lo vide, prima, membro dell’Accademia degli Affumati in Bologna e successivamente, socio della Compagnia di Gesù, che lo destinò al nostro territorio, dove non conobbe limiti nel dialogare, comprendere, studiare e costruire.

lapide commemorativa

Un gran personaggio che andrebbe riscoperto nella fede e soprattutto, nella cultura, che da sempre connota il suo ordine e per quella missionarietà,  peculiare dei gesuiti, che conquistano terre con il sapere (non sempre, ma questo è il caso!), compreso questo lembo salentino.

A Lecce, Bernardino, sovrintende alla costruzione della magnifica Chiesa del Gesù (e del Buon Consiglio) e dell’attiguo istituto, a tutti, successivamente, noto come collegio “Argento”. Non mi dilungherò narrando di biografia ed agiografia, né mi soffermerò sulla fenomenologia del soprannaturale che accompagnarono le vicende del Nostro. Basti pensare al sol fatto che Bernardino operò una scelta fondamentale per la sua vita. Tra i fasti della sua brillante carriera amministrativo-giudiziaria, predilesse la strada che lo condusse alla sequela di Ignazio di Loyola, nella Compagnia di Gesù, che non contemplava, nello statuto, la ricerca di alcuna autorità. Venne, dunque,  a Lecce, che mai più lascerà fino alla morte. Anche se più volte, gli alti vertici stabilirono il suo trasferimento, per la sua chiara fama, un Vertice, ancor più alto, impedì ogni suo spostamento dall’ospitale Città, lacerandolo con febbri improvvise, misteriosamente annullate con la revoca dei provvedimenti.

Tuttavia, consiglio  una sbirciata ad una delle sue tante biografie che non lascerà indifferente il lettore, donandogli, oltre alla narrazione della vita del Nostro, uno spaccato storico di Lecce agli albori del barocco, alla sua conformazione geografica e politica. Ed in quel contesto, la figura carismatica del nostro Bernardino, di levatura spirituale e culturale fuori dal comune. Passa il tempo e gli stili.

operaio è fuori dalle mura di città, intento a terminare il suo operato quotidiano, magari, chinato sulla rubra terra che dissoda, in quel meriggio afoso. unica sua compagnia. Nelle urbiche mura, in uno stabile alle spalle del Gesù, in una galatea stanza, un crocefisso, in cartapesta, riceve gli ultimi sguardi di un moribondo che gli fa da ombra distesa, sul penultimo giaciglio, come fuori fa il sole, calante sulle spighe.

Bernardino riceve le ultime, illustri visite. Sigismondo Rapana, sindaco della Città, accompagnato da alcuni notabili, si reca presso quel corpo, non ancora esanime, per aver il tempo di porgere l’ultimo saluto ad un uomo che tanto ha fatto per Lecce, per tutta quella popolazione. E’ un uomo fortunato, Bernardino! Oltre alle quotidiane e comuni fatiche e dolori, in fondo, a lui non è andata poi così male. Anzi, la sua posizione di riconosciuta integrità, non ha dovuto combattere tanto, contro i poveri diavoli locali e sorprendentemente, mentre altrove si bruciano libri e si stagliano duelli, Bernardino, nella sua umiltà, ha trasformato gli animi. Tutti gli vogliono bene. Può andar via soddisfatto!

cappella con la richiesta del patronato

Si allungano le ombre delle dimore ed un mascherone barocco, apotropaico, cangia il suo aspetto, mentre la luce sfiora il suo profilo e proietta la sua grigia ombra sul pavimento della stanza, preludio alla notte. Ma ancora, in questo tenue bagliore, si intrattengono gli ospiti di Bernardino, forse silenziosi. Mentre il signor Sindaco, implora dal morente la futura protezione sulla Città, così come ha dimostrato da vivo. Un rantolo, un conato assale Bernardino, che, vorrebbe dar risposta certa ma, stenta a parlare quel predicatore di una vita! Allora, con tutta la forza che un agonizzante può avere e con un luccichio negli occhi anziani, che hanno visto anche questa, Bernardino dà la sua rassicurazione! La mano, tremula sul petto, appena sollevata, batte più volte sul cuore! Un sorriso accennato ed appagante; poi, un breve cenno del capo, che a fatica si discosta da quel cuscino ed a stento, si percepiscono alcune parole : “…Signori, ….sì!”.

In quel modo, Bernardino diviene, ufficialmente, figlio onorario e padre dell’amata città di Lecce. Vibra, l’ultimo dardo, il disco infuocato e cala la sera. Torna a casa il forese ed anche il sindaco ed i notabili. Tutti un po’ più soli, attendendo l’estremo e sicuro verdetto, contando le ore che li separano da quella promessa strappata in tempo. Tutti un po’ più soli, tranne Bernardino che, solo in quella stanza, nell’estrema ora, ha tutti i leccesi al suo fianco. Lecce, 1616, vespro del due luglio. Un altro sole tramonta su Lecce. Ormai giace, quel corpo esanime nella sua chiesa del Gesù, tra la sua gente, nel giorno della Visitazione e dell’annuale ricorrenza della traslazione delle reliquie di Irene, patrona, alla quale Bernardino, da non ancora santo, farà compagnia, fino al rinnovato culto oronziano.

Il 22 giugno del 1947, in occasione della canonizzazione, così Pio XII, ufficializzò il forte legame che unì Bernardino Realino e Lecce : “Onore e incoraggiamento si spande anche sopra di voi, cari pellegrini di Carpi, di Modena, di Napoli, e soprattutto figli di quella « nobilissima, devotissima e cortesissima città di Lecce », come il Realino si compiacque di chiamarla. (…) siate ben sicuri che, se egli accolse da vivo la domanda di essere vostro patrono, nella gloria celeste non mancherà di dimostrarsi quello che promise e volle essere, grande intercessore” (ACTA PII PR XII IN SOLLEMNI CANONIZATIONE BEATORUM  IOANNIS DE BRITTO MARTYRIS, BERNARDINI REALINO ET  IOSEPHI CAFASSO  CONFESSORUM  DIE XXII MENSIS IUNII A. MDCCCCXXXXVII IN VATICANA BASILICA PERACTA).

Non si poteva scegliere di meglio. Bernardino Realino, tra un patrono e l’altro, lui sta nel mezzo ed è l’unico a detenere la civica chiave, che, come è sicuro il ritorno dell’alba, ancora è lì, in un’urna, ai piedi di una cornice barocca, immortalante la scena familiare della consegna di Lecce al suo patrocinio, nella sua Chiesa del Gesù, dove i leccesi farebbero bene a tornare, anche per rispolverare un po’ della loro storia, a conoscere quell’instancabile benefattore di Lecce ed a vedere che fine abbia fatto la chiave della loro Città!

Preciso, che, per concordanza delle fonti, non vi è dubbio che la richiesta del patronato sia coeva ai fatti narrati. Non la stessa sicurezza, si può ostentare per quel che concerne la vicenda della chiave. Infatti, i testi consultati, così doviziosi di particolari nelle scene e nella descrizione delle suppellettili, ci privano della visione della chiave.

L’unica testimonianza che ci riporta alla consegna dell’urbica chiave è una memoria marmorea che risale, al 1937.

Peraltro le fonti parlano di un monumento funebre a Bernardino, ma non accennano alla visibilità dei suoi resti mortali, come si possono scorgere adesso. Non si fa menzione inoltre, del simulacro ligneo, ai cui piedi è adagiata, su un cuscino recante lo stemma civico lupiense, la chiave urbica. Tale urna, contenente il simulacro, è anteprima a quella retrostante, contenente i sacri resti, così ricomposti nell’ultima ricognizione del 22.10.1894. In ogni caso, nessun torto a nessuno, se la Città gode di più protettori ed il suo stemma civico è assegnato a tutti!

E mentre Oronzo scruta dall’alto la Lupa ed il Leccio, Irene, a breve distanza , li reca scolpiti sul frontespizio teatino e a chiare lettere ne reclama il patronato, Bernardino, privilegiato nell’essere stato eletto patrono da vivo,  custodisce il civico simbolo forgiato sulla chiave urbica. In questa celeste competizione, appaiono considerazioni molto più umane. Infatti, si può, senza dubbio, affermare che Lecce sia la città sperimentale della “par condicio”, che i leccesi, sapientemente, colgono tutte le occasioni possibili, strappando anche i patronati, che io non abbia mai visto, in qualsiasi parco nazionale, tante lupe e lecci più di quanti ve ne siano in Città e che, infine, Lecce sia un regno dei cieli visto dalla terra!

 

Per ulteriori approfondimenti, segnalo, tra gli altri, i seguenti siti:

https://archive.org/details/storiadellavita00ventgoog

http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-bernardino-realino_(Dizionario-Biografico)/.

http://books.google.it/books?id=k65cAAAAcAAJ&pg=PA3&lpg=PA3&dq=sacra+congregatio+rituum+bernardino+realino

http://www.forgottenbooks.org/readbook_text/Storia_Della_Vita_del_Beato_Bernardino_Realino_1300023583/413

https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/06/una-sponsorizzazione-femminile-dellanfiteatro-di-rudiae-nella-travagliata-storia-di-una-fantomatica-epigrafe-cil-ix-21-prima-parte

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/08/31/lecce-e-gli-strumenti-della-passione-di-cristo-araldica-religiosa-e-reliquie

Salento terra di santità. San Bernardino Realino

 
da http://www.sjweb.info

 

 

di frà Angelo de Padova

Diventa patrono di una città  da vivo. Siamo a Lecce, nell’estate del 1616: il gesuita Bernardino Realino sta morendo, 42 anni dopo esservi arrivato. I reggitori del Municipio lo vanno allora a visitare in forma ufficiale, gli fanno la sbalorditiva richiesta di voler essere il protettore della città  per sempre. Il moribondo acconsente, tranquillo e lieto. D’altra parte è già amico, consigliere, soccorritore dei cittadini  da più di quattro decenni. Anche se non è leccese.

E’ emiliano, nato in una famiglia illustre di Carpi; per i suoi primi studi aveva i maestri in casa, poi andò all’Accademia modenese. Negli studi lo attira tutto: la letteratura classica  e poi a Bologna la filosofia, poi ancora la medicina. Infine, all’età di 26 anni, si laurea in diritto civile e canonico. Suo padre è un collaboratore del cardinale Cristoforo Madruzzo, che come vescovo di Trento è stato il “padrone di casa” del Concilio, fu governatore di

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