Diego Tafuro da Lequile (XVII secolo): un frate fra santi, prìncipi e parole (2/3)

di Armando Polito

Nella parte di manoscritto esaminata nella precedente puntata il Lezzi registra, per quanto riguarda le opere del Tafuro, sei titoli, ai quali il De Leo ne aggiunge uno.  Tenendo conto della diffusione della stampa nel secolo XVII, della la tiratura che per le opere specialistiche si suppone ancora oggi limitata, degli strumenti di ricerca limitati, e comunque, molto laboriosi, ai tempi del Lezzi e del De Leo, tutto ciò appare prodigioso1 e mi chiedo cosa sarebbero stati in grado di fare studiosi del loro calibro se avessero potuto fruire dei mezzi moderni, in primis la rete, con l’aiuto della quale illustrerò più estesamente ed integrerò il loro elenco. Seguirò l’ordine cronologico di pubblicazione.
1) Sentenze di S. Antonio di Padova disposte in proposizioni quadragesimali da F. Diego da Lequile Minorita della più stretta osservanza serafica, Cavallo, Napoli, 1646 (https://books.google.it/books?id=82o67g3Dtg0C&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false).

Curioso è il fatto che, come si legge nel frontespizio, il testo fu pubblicato a spese del M(olto) R(everend)o D(on) Giovanni Battista Fulino da Copertino Dottor di S(acra) T(eologia) e paroco di S. Giovanni à Porta di NapolI, il quale nello stesso anno, presso lo stesso editore e sempre a sue spese pubblicò Avvento con le proposizioni di S. Antonio di Padova. L’autore è quel fra Diego de Lequile, che sotto i piedi del niente, ò perde affatto l’essere di buono scrittore, ò è manco del nulla in bene scrivere. Un salentino che stronca un salentino rifacendosi alla teoria aristotelica ricordata da me ricordata all’inizio della prima parte.

2) La vite mariana di S. Antonio di Padova, Micheli, Lecce, 1648

3) L’ epenodoro del p. Tafuro Academico Sconosciuto nell’annuncio di buon Capo Danno all’ill.mo et ecc.mo signore il sig. D. Gio. Girolamo Acquaviva D’Aragona conte di Conversano, duca delle Noci, di Nardò, Micheli, Lecce, 1649

Epenodoro è neologismo  composto da due parole greche: ἔπαινος (leggi èpainos)=lode, approvazione e δῶρον=(leggi doron)dono. In greco, però, oltre ad ἔπαινος sostantivo esiste anche il suo quasi omografo ed omofono (cambia solo l’accento, l’etimo è lo stesso) aggettivo ἐπαινός/ἐπαινή/ἐπαινόν (leggi epainós/epainé/epainón)=terribile, terrificante (non a caso, al femminile, era l’appellativo di Persefone). Il significato dell’aggettivo deriva da quello del sostantivo attraverso una trafila concettuale basata sull’assunto che è prudente lodare o approvare il detentore del potere e che il terrore è l’arma principale di quest’ultimo. Tuttavia non riesco nemmeno di sospettare che il Tafuro, così vicino, come vedremo, a poteri ben più grandi di quelli cittadini, fosse consapevole dell’ambiguità etimologica di un termine che, invece, metterei le mani sul fuoco, ha utilizzato col valore semantico positivo creando un termine che non mi risulta usato da altri. 

Academico Sconosciuto: anche per quanto detto a proposito di epenodoro mi pare impossibile sospettare un pizzico di umiltà non tanto in academico (in cui lo scempiamento di c è dovuto ad un latinismo, visto che accademia deriva dal latino academia) quanto in Sconosciuto (ne è una spia l’iniziale maiuscola, nonostante l’uso spropositato che se ne faceva nel XVII secolo); l’Accademia degli Sconosciuti, però, era stata fondata a Guastalla dall’abate Giuseppe Negri e dal conte Alessandro Pegolotti nel 1724. Dunque, quando essa nasceva, Diego era passato da tempo a miglior vita. E allora?

In Giovanni Battista Spada, Giardino de gli epiteti, traslati et aggiunti poetici italiani, Erede di Vittorio Benacci,  Bologna, 1648, s. p. è nominato un poeta Girolamo Prioli con il soprannome di accademico sconosciuto. Non è l’unico, considerando,   nostante a sconosciuto si aggiunga unito, i frontespizi,  che seguono, di due volumi encomistici, appartenenti, cioè, al filone prediletto dal Tafuro.

Credo si possa legittimamente sospettare, dunque, uno scimmiottamento, sia pur parziale, da parte di Diego, on tanto del Prioli quanto dell’autore di questi due volumi, dei quali, forse, aveva letto non il solo titolo.

4) Novo quaresimale ripieno di pensieri, e concetti eruditi con tutti li Sabbati delle prediche di Maria N. Signora, Storti, Venezia, 1650

5) L’Anna rappresentata; overo, La grazia, e la bellezza in teatro guerregianti, festegianti, trionfanti. Con la sua prosa nel fine [da] Lequile, Agricola, Innsbruk, 1651

6) L’ arciduca d’Austria Fernando-Carlo conte regnante del Tirolo: ouero Panegirici poetici in sua lode con le lor prose politiche: con un essatto racconto delle opinioni piu ò meno famose intorno l’augustissima casa d’Austria. Opera dedicata alla S(ua) c(esarea) M(aestà) di Ferdinando III Austriaco Augusto composta dal F. Diego Lequile R(iformato) di S(an) F(rancesco) T(eologo) Predicatore e Cronista Arciducale, in Anversa nella  Officina Plantiniana, 1653

Alla fine della dedica, quasi si vergognasse della città d’origine, si spaccia per napoletano:

7) Il santo di Padova, Agricola, Innsbruck, 1654. Di seguito il frontespizio e due tavole che lo corredano.

8) Sanctus magnus Nicolaus Myrae episcopus, Agricola, Innsbruck, 1654

9) Relazione delle principali curiosità di questo contado del Tirolo,  Wagner, Innsbruck,  1655

 

Alla fine della relazione le pagine 398-409 contengono il resoconto delle opere pubblicate e di quelle destinate ad esserlo e questa sorta di stacco pubblicitario si conclude con queste parole:

10) Festivus adventus virginis Christina, Wag, Innsbruck, 1655

11) Collectaneae P. Lequilis de omnibus Austriis rebus sub unico ac felicissimo pietatis symbolo septies varieque auspicatus,  Agricola, Innsbruck, 1656

Visto il tema e il dedicatario, il volume non poteva non essere impreziosito dall’antiporta di seguito riprodotta, con la sua pomposa didascalia costituita da due distici elegiaci, con il primo verso del primo citato da Virgilio (Eneide, I, 33).                                                                                                                                    

Tantae molis erat Romanam condere gentem ,/unde Leone potens Austria origo fuit./Ars divina facit, reverenter Mundus honorat,/persequitur Satan, servat ab hoste Deus (Di tanta mole era fondare la gente romana,donde fu l’Austria potente per il leone Il mondo l’onora, Satana la perseguita. Dio la salva dal nemico.

La citazione del verso dell’Eneide non è casuale e la presunta trafila virgiliana Enea>gens Iulia>Augusto  qui si arricchisce dell’ultimo passaggio; l’Austria, con la celebrazione poetica della didascalia, quella grafica del dettaglio in alto al centro e quella, per così dire, teorica, di un passo che a p. 141 del suo volume Diego cita da Cornelio Vitignano, Vera geneaologia e discendenza dell’augustissima ed invittissima prosapia d’Austria …,  Carlini e Pace, Napoli, 1599:

E, ad integrare definitivamente tutto ciò con una sintesi visiva, alcune tavole di formato ridotto, in pratica una serie di slides (a me questo modo di procedere solo per convincere e suggestionare gli altri e fare infuriare pochi, tra cui il sottoscritto,   mi ricorda qualcuno …):

Chiudo la disamina di questo volume riportando le altre tre tavole a pagina intera:


Austria dum trina PIETATIS imagine visa/septem cum stellis Herculis Hydra perit. Altera victa cadit, dum victrix altera surgit/exprimit ac Orbi quidquid in Orbe beat (L’Austria vista con una triplice immagine della Pietà con sette stelle,mentre l’Idra di Ercole perisce. L’una cade vinta mentre l’altra vincitrice si solleva ed esprime al mondo tutto ciò che nel mondo bea).

Nobile et antiquum AUSTRIADUM quae prodit imago,/haec Genus, horrendum comprimit alma caput./Ac pede colla simul multorum inimica potenter/ calcat, et in stirpes unica Sole micat (La nobile ed antica stirpe drgli Austriadi, che quest’immagine mostra, calpesta benefica un orrendo capo. E nello stesso tempo nemica di molti col piede preme potentemente i colli e unica tra le stirpi brilla al sole).

Hic Pietatis honos fulgens sculptura triumphans/AUSTRIACA, ingenuos pandit in Orbe Toros./Quae laqueos FORTUNA pares fecundior,/attulit. Europae splendida iuga trahens? (Qui l’onore della pietà fulgida scultura austriaca che trionfa spiega nel mondo nobili letti nuziali. Quale destino più favorevole portò mai all’Europa pari legami, conducendo splendidi gioghi?).

12)  Colossus angelicus, Austriacus, siue Austriae sobolis admiranda moles apocalypsea, religione constans, maiestata rara, matrimoniis ingens. Item Austriacae pietatis per felicissima coniugia, et omnia Catholica connubia in unico CXVII. interfecti Colubris reciso capite triplex triumphus, nouo apparatu exhibitus a F. Didaco, de Lequile, atque ab eodem ad Catholicum Regem  Philippum IV missum, ad quem auctor alterum etiam sui laboris Gentilitium consecrans, varia modo una cum insigni historia de Christina Suetiae Regina scribit, duplici iacta eicone, super qua nonnulla, haud quidem spernenda commentantur, Oenipontui, excudebat Hyeronimus Agricola, 1659 Superiorum permissu

Questo volume può essere considerato la riedizione rinnovata del precedente, con le stesse tavole ed una diversa disposizione dei capitoli.
13) Il santo di Padova dall’estrema Spagna all’estrema Italia epiche narratiue del Lequile a cinque gran monarchi per mezzo di cinque reverendissime eminenze, Dragondelli, Roma, 1662

 

14) Il santo di Padova dicerie miscellanee del Lequile sopra le sue epiche narrative, Dragondelli, Roma, 1662

 

15) Hierarchia Franciscana in quatuor facies historicè distributa, Dragondelli, Roma, 1664

Questo frontespizio ci offre una nota biografica dall’improbabile sfumatura di modestia con con Minimo inter Minores S. Francisci Transiberini de Urbe coenobita (Monaco minimo tra i Minori di San Francesco di Roma). È il convento di San Francesco a Ripa, passato ai Riformati nel  1579.  Il volume è corredato della tavola di seguito riprodotta.

3

16)  Franciscus ter legislator evangelicus, Ercole, Roma, 1667

 

Anche qui, come nel precedente volume, quasi a ridimensionare quel monaco minore tra i Minori , la nota biografica data da Ord(inario) Hist(oriae) ad S(anctum) Franc(iscum) Transt(iberinum)=ordinario di storia presso (il convento di) S. Francesco trasteverino (alias il già visto S. Francesco a Ripa).

17) Relatio historica huius reformationis Sancti Nicolai -1647. Il manoscritto di quest’opera fu ritrovato nei primi anni ’70 da padre Benigno Perrone nell’archivio del collegio francescano irlandese di S. Isidoro a Roma e da lui  pubblicato per i tipi di Edizioni del Grifo a Lecce nel 2004.

 

Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/11/diego-tafuro-lequile-xvii-secolo-un-frate-fra-santi-principi-parole-13/

Per la terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/30/diego-tafuro-lequile-xvii-secolo-un-frate-fra-santi-principi-parole-33/

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1 Tanto più che un autore quasi contemporaneo registra solo due titoli: Nicolò Toppi, Biblioteca napoletana, Bulifon, Napoli, 1678, p. 70:

S. Maria della Pietà dei frati Minori Osservanti di Ugento

Riproponiamo il saggio di Luciano Antonazzo sulla chiesa e convento di S. Maria della Pietà dei frati Minori Osservanti di Ugento. La scorsa notte, tra il 15 e 16 febbraio 2011, sconosciuti hanno appiccato un incendio nella sagrestia della chiesa, distruggendo molti dei sacri paramenti e una antica statua di Cristo morto in cartapesta. Sembra che le fiamme non abbiano arrecato danni al prezioso coro ligneo dei Fratelli Candido di Lecce.

Sull’entità del danno e sull’identificazione degli autori stanno indagando i Carabinieri e le Autorità competenti.

Spigolature Salentine si associa allo sgomento e al dolore della popolazione di Ugento per così grave e inqualificabile gesto.

 

 

Intorno alla fondazione del convento  e della chiesa di S. Maria della Pietà dei frati Minori Osservanti di Ugento[1]  

 

di Luciano Antonazzo

SS. Cosma e Damiano, affresco del convento di Ugento (ph Stefano Cortese)

Molto poco si conosce della storia degli edifici civili e sacri di Ugento  e quel poco è sovente frutto di affermazioni non supportate da alcuna indagine storica o critica.

Paradigma di tale modo di procedere e che ha assunto dignità di verità acquisita è la data di fondazione del convento, con annessa chiesa, dei Francescani Minori Osservanti.

La loro erezione dagli scrittori locali si fa risalire al 1400, ma questa datazione è la conseguenza di una errata lettura del De Origine Seraphicae Religionis del 1587 di Francesco Gonzaga. Questi aveva testualmente scritto che nel 1430  l’“Illustrissima, atque Franciscanae Observanti familiae addictissima Bauciorum prosapia[2] aveva fondato entro la cerchia muraria della città il convento “sub invocatione B. Mariae de Pietate”, senza indicare il nome di chi lo volle.

Padre Bonaventura da Fasano nelle sue Memorabilia[3] riferì invece, seguito in ciò dal Wadding,[4] che ad erigerlo era stato Raimondello Orsini del Balzo.[5]

Gli scrittori posteriori presero per buona l’indicazione di quel nome, ma avvedutisi dell’anacronismo per cui Raimondello non poteva essere il fondatore del convento in quanto egli era deceduto nel 1406 ritennero di superare tale discrasia anticipandone l’erezione al 1400.

Raimondello nel 1391, al ritorno di una campagna in oriente per combattere i turchi, avendo sperimentato la bontà ed assistenza caritatevole offerta dai francescani, aveva voluto loro testimoniare la sua gratitudine facendo costruire in Galatina la superba Basilica di Santa Caterina d’Alessandria,

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