Il Camaleonte mediterraneo

Foto tratta da: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=369676556464611&set=o.343833822369902&type=1&theater
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di Oreste Caroppo
Il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon Linneus, 1758) è l’unica specie di camaleonte presente in Europa. Autoctono, anche se rarissimo, ma presente in natura anche in Salento, sud della Puglia dove vi si riproduce, non a caso, spontaneamente. Ne è stato ritrovato un nucleo selvatico negli anni passati nella contrada Arneo, l’ ultima vasta contrada salentina ad esser stata selvaggiamente disboscata nel Salento, denaturalizzata dall’ uomo, e per questo ancora con alcuni interessanti relitti floro-faunistici da salvaguardare e ridiffondere.
Si tratta di una specie diffusa in maniera ormai frammentaria in diverse località dell’ Europa meridionale: in Grecia, Penisola Iberica (come in Andalusia), ex Jugoslavia, Bosforo, Creta, Puglia, e alcune segnalazioni di questa specie europea anche in Sicilia e a Malta, e nei decenni passati anche in Sardegna, Friuli e Delta del Po!!! Vive poi la medesima specie anche nel Sud-Est Asiatico e nel Nord Africa.
A rischio di estinzione da scongiurare assolutamente attraverso il suo ripopolamento e ricostruzione dei suoi habitat mediterranei, che ben deve essere attuata dagli enti preposti alla tutela della biodiversità originaria euro-mediterranea! Tale diffusione selvatica della specie ancor oggi, a macchia di leopardo purtroppo ormai, è comunque una prova ulteriore, se ve ne fosse bisogno, dell’autoctonato di questa specie selvatica in Europa meridionale nel passato, quando la sua diffusione era certamente ben più omogenea.
Ma oggi, il paradosso: tale rarità, e gli occasionali rinvenimenti, la perdita della memoria storica naturalistica, portano talvolta taluni, come accaduto nel Salento, a gridare all’ alloctonato e alla specie aliena da “sterminare”, al ritrovamento di un così importante assolutamente innocuo ed importante vivo fossile vivente dell’antica fauna euro-mediterranea! Immaginate che assurdità, si rinviene qualcosa dal passato, ancor vivo, e invece di gridare “evviva, ergo massima cura, tutela e impegno ambientalista”, si rischia di scatenare follie sterminatrici eco-suicide! E poi come può meravigliare la presenza di un rettile così discreto di un genere dalla maggiore diffusione nella vicina Africa, che tanti dimenticano è un continente vicinissimo all’ Europa e che bagna tante coste mediterranee!? E lo stesso Salento è geologicamente connesso alla zolla-placca tettonica africana, geologicamente parlando. Come può meravigliare tale fauna odierna, quando i nostri progenitori sapiens incontravano in Europa, e rappresentavano sulle pareti delle nostre grotte in epoca paleolitica, leoni, elefanti e rinoceronti, che molto probabilmente i nostri stessi progenitori contribuirono ad estinguere localmente!!!?
Nel centro storico di Lecce è persino ben rappresentato questo nostro camaleonte in un antico fregio in locale pietra leccese sul prospetto di una casa! Questa la foto del Camaleonte scolpito a Lecce, scoperto, fotografato e pubblicato dall’ amico e studioso, Sandro d’Alessandro: qui in link http://cerbi.ldi5.com/IMG/jpg/bip26f024.jpg (e di cui segnalo anche un suo studio proprio dedicato al Camaleonte nel Salento http://www.criptozoo.com/it/criptozoologia/dossier/criptidi-terrestri/item/114-il-camaleonte-nel-salento-una-realtà-tra-storia-e-leggenda).
E nel Salento, il Camaleonte è un animale ammantato di tante leggende! Alcuni esemplari recentemente ritrovati, mi hanno raccontato, pare siano stati definiti da cittadini locali, di cultura “grika”, cioè greco-salentina, “dracuddhi”, draghetti, traducendo dal dialetto grecanico salentino. Un termine greco, “drago”, frequente e di lato impiego nel regno dei rettili.
009fig020 Basilisco e stemma di Basilea XVI sec Ottfried Neubecker
Non solo, secondo   una interpretazione etimologica, il termine greco “dragon”, deriverebbe da una radice significante proprio vista, occhio, guardare, e nel camaleonte proprio la vista e le particolarità del suo sguardo sono elementi che affascinano e colpiscono molto l’ osservatore attento. Ma il camaleonte salentino era, con ogni provabilità, anche il mostruoso mitico “fasciuliscu”, della tradizione basso salentina, ed in particolare del magliese.
Si diceva, raccontavano le nonne di Maglie (città nel cuore del basso Salento), fosse un piccolo mostro che, diceva la gente, nasceva dall’uovo deposto eccezionalmente da un gallo, che notoriamente in quanto maschio non depone le uova come la sua femmina, la gallina.
Tale essere mostruoso e dalle piccole dimensioni con il suo sguardo terribile era in grado di uccidere gli animali, solo puntando i suoi occhi negli occhi delle sue vittime, si riteneva, motivo per cui se si osservavamo strane, difficilmente spiegabili altrimenti, morti di animali domestici, anche di grandi dimensioni, si immaginava fosse nato un “fasciuliscu” e si doveva andare alla ricerca del mostruoso piccolo essere per ucciderlo e fermare così la moria. A volte, in alcune varianti, si racconta che ipnotizzasse le vittime, le “fatasse”, con lo sguardo. Si riteneva fosse solito nascondersi sotto “le pile”, le grandi vasche scavate in blocchi unici di pietra diffuse nella civiltà contadina salentina e talvolta sollevate da terra su dei sostegni, poste in cortili e masserie.
basilisco
basilisco
A volte viene descritto come avente un solo occhio, e come somigliante grosso modo ad un mostruoso “purginu”, il pulcino appena nato dall’ uovo. E’ infatti “fasciuliscu” una corruzione locale salentina del nome dell’antico temibile “basilisco” dei bestiari antichi, simbolo oggi del paese griko di Sternatia (Lecce) nella sua iconografia fantastica.
Termine di origine greca, “basilisco”, che vuol dire piccolo re; era ritenuto il “re dei serpenti”, da cui il suo nome greco. Del mito del basilisco abbiamo già attestazioni di epoca romana, ed è meraviglioso osservare come, con continuità culturale ininterrotta, il mito popolare sopravvissuto nella città di Maglie del “fasciuliscu” conservi elementi delle leggende sul basilisco riportate per iscritto già in età romana e poi nel medioevo.
basilisco
L’identificazione con il camaleonte, pur nelle aggiunte mitico-fiabesche, è più che certa! La conformazione della testa dell’animale, il camaleonte è un rettile, a mo’ di corona, o meglio di mitra, da cui l’appellativo di re dei serpenti, dei rettili. La sua cresta da cui l’ associazione con la cresta del gallo. La presenza nel mito del basilisco dell’ elemento dell’ uovo, e il camaleonte depone le uova, come in genere ogni rettile. La commistione con uccelli, il gallo, e anfibi, il rospo in particolare, che talvolta coverebbe secondo i bestiari medioevali l’uovo deposto da un anziano gallo, da cui nascerebbe il basilisco; la raffigurazione mitologica del basilisco che innesta elementi morfologici del gallo per la testa e del camaleonte, (ad esempio la coda e il busto del basilisco son quelli del camaleonte), e che affonda anche le sue ragioni nelle vicinanze ben visibili, e filogenetiche tra anfibi, rettili e uccelli, osservabili nel camaleonte; e poi il discorso nei bestiari dello sguardo e del fiato mortale del basilisco, ben traducono a mio avviso la caratteristica del camaleonte di fulminare le sue prede con lo sparo della lunghissima lingua retrattile ed appiccicosa con cui cattura e porta fulmineamente alla bocca le sue prede, solitamente insetti.
Basilisco
Da non confondere il basilisco della antica tradizione popolare e dei bestiari, con alcuni rettili scoperti e viventi nell’ America tropicale, (come quello qui in foto, un Basilisco verde), che tassonomicamente dagli zoologici sono stati chiamati con l’ uso del medesimo antico e mitologico nome, “basiliscus”, per designarne il loro comune genere.
Siamo nella genesi dei miti anche spesso di fronte a forme di tentativi proto-scientifici di spiegazione dell’ osservazione naturalistica. E poi l’incedere lento del camaleonte senza fuggire via, (sperando di passare inosservato, mimetizzato ad eventuali suoi possibili predatori), come quasi di chi non ha alcun timore, come un re coraggioso; lo sguardo del camaleonte quasi unico tra gli animali superori, e dalle suggestioni misteriose, con i suoi bulbi oculari che possono ruotare indipendentemente l’uno dall’ altro, un aspetto che pare quasi conferire all’animale il magico potere di destabilizzare ed ipnotizzare la sua vittima; elemento della intensità dello sguardo che spiega anche la variante fiabesca magliese del “fasciulisco” con un solo fatale occhio.
AMIAMO IL NOSTRO CAMALEONTE SALENTINO!
SPERO DI POTER VEDERE NASCERE NEL SALENTO INTERE RISERVE OASI NATURALI DI TUTELA E RIPOPOLAMENTO CON OGNI CURA SCIENTIFICA DEL NOSTRO CAMALEONTE, (per poi da lì poter passare ad una sua ridiffusione in tutto il territorio), COME SON PRESENTI AD ESEMPIO IN SICILIA, PENSIAMO AL PARCO NATURALE DEI NEBRODI E A QUELLO DELLED MADONIE DOVE LA MEDESIMA SPECIE ANCORA VIVE!
BASTA SPERPERI IN INUTILITA’ VERGOGNOSE CHE PARLANO DI BIODIVERSITA’ NEL SALENTO MA CHE IN REALTA’ SON SOLO VORAGINI INUTILI DI SPECULAZIONE, GLI ESEMPI, TANTISSIMI… a cui è ora di dire BASTA!
Nota tratta da internet: “Nella terra salentina il camaleonte è stato segnalato nella penisola italiana, per la prima volta, in Puglia, il 5 settembre 1987 da Roberto Basso; sito di ritrovamento furono le campagne di Nardò, in provincia di Lecce. La scoperta suscitò non poche perplessità e diffidenze fra gli erpetologi. Successive ricerche portarono all’individuazione di un’area estesa (un rettangolo di circa 50 x 20 km), sempre sul versante jonico dove la specie è diffusa e nota ai contadini, che anzi lo ricordano “da sempre”; basti dire che – per la sua stranezza e presunta pericolosità e comunque in accordo con l’atavica avversione dell’uomo agricoltore per tutto ciò che è rettile e selvatico – se lo trovano, puntualmente lo uccidono, o lo uccidevano (va registrata oggi un’acquisita sensibilità in seguito agli appelli, alle informazioni corrette e ad un’opera di divulgazione naturalistica).”

Le uova dei galli e il basilisco

Un piccolo rettile al centro di una stupida credenza neritina dei secoli scorsi

 

ATTENTI AL BASILISCO!

Chiunque avesse incrociato il suo sguardo, sarebbe rimasto paralizzato o morto all’istante

basilisco

di Emilio Rubino

Il basilisco (vasiliscu per gli amanti del dialetto salentino), nome di derivazione greca (βασιλίσκος), è un piccolo rettile che a malapena raggiunge i 50 cm. di lunghezza. Oggi è quasi del tutto scomparso. I pochi esemplari superstiti s’incontrano immobili sulle pietraie o nei campi incolti a godersi il caldo sole d’estate. A vederli, sembrerebbero delle bestiole insignificanti per le modeste dimensioni e per l’innata paura dell’uomo.

Avevano tutt’altra opinione i popolani di Nardò dei secoli andati, molti dei quali prestavano fede ciecamente a una stupida credenza, che dipingeva l’animaletto come un’orrenda bestia da cui stare alla larga. La leggenda nasce, presumibilmente, per via dell’ispida cresta che, partendo dalla testa dell’animale, si protrae per tutto il dorso, sino ad arrivare in prossimità della coda, e per gli occhi un po’ sporgenti e arrossati. Per tali caratteristiche, il basilisco sembra un piccolo drago, pronto a sputare fuoco e a creare seri problemi a chi ne venga investito. E invece, si tratta di una bestiola timida e inoffensiva che ama vivere nei luoghi isolati. Come tutti i rettili, va in letargo durante il periodo invernale e si risveglia in primavera ai primi tepori del sole d’aprile, uscendo di tanto in tanto dalla tana per brucare la tenera erba o cibarsi di qualche incauto insetto. La sua attività più intensa è svolta d’estate, sia per fare un carico di sole sia per dedicarsi, come ogni specie vivente, all’accoppiamento.

Ma torniamo alla leggenda neritina.

Basilisco

Pare, secondo la superstizione popolare di quel tempo, che la bestiola nasca da un uovo.

Beh!… su questo non ci piove, considerato che i rettili sono animali ovipari. La stranezza sta nel fatto che l’uovo è deposto, non già da una “basilisca”, ma… udite, udite… da un gallo!

No, non mi sto sbagliando!…

Qualcuno potrebbe obiettare che non dovrebbe trattarsi di galli, ma, al limite, di galline, giacché sono queste a deporre le uova. E invece, no: si tratta proprio di galli!

Ma di quali galli?!…

Stando sempre alla leggenda neritina, gli unici a deporre uova così strane, sarebbero i galli di età superiore ai sette anni, i quali, per uno strano e incomprensibile sortilegio, una volta superata quest’età, sono condannati da Madre Natura a una pesante punizione, cioè procreare basilischi. Perché ciò avvenga è necessario che il gallo deponga l’uovo sul letame e che in seguito sia fecondato da un rospo. Dopo pochi giorni di incubazione, nasce il basilisco, una creatura con la testa di gallo, dalla cresta squamosa rossa, grandi ali spinose e coda di serpente. Il suo sguardo incenerisce, secca le piante, contamina le acque; il suo alito uccide, brucia l’erba ed è velenoso. Il basilisco può autoincenerirsi, se, per sua sfortuna, si guarda in uno specchio. Questa figura, per certi versi mitologica, ha due nemici mortali: le donnole e i galli, il cui canto le è letale. Stando a questa nefasta credenza, avevano ben ragione i salentini, e maggiormente i neritini degli anni andati, ad aver enorme paura dei basilischi.

Proprio per questo motivo tutti i galli prossimi ai sette anni venivano ammazzati e mangiati; anzi, per non correre troppi pericoli, i contadini li uccidevano ancor prima dei cinque anni. Capitava, però, che qualche imprudente neritino, non sapendo far la conta, lasciasse superare all’animale i fatidici sette anni e allora… apriti cielo!

Se in una determinata zona della vasta campagna neritina morisse qualcuno in circostanze misteriose o per cause ignote, allora c’era sempre un Tizio o un Caio che tirava in ballo la storia del basilisco.

Sapiti comu è muertu cumpare Gricoriu?…E’ muertu ca l’ae sfiatatu ‘nu vasiliscu!”1.

E tutti a diffondere la notizia per la città. Sta di fatto che erano in molti a non avvicinarsi più alla campagna di Gricoriu, per non fare la sua stessa fine.

Perciò in ogni famiglia si badava bene a non far sopravvivere un gallo oltre il settennio per non incorrere nel malefico mostriciattolo e creare un’infinita serie di luttuosi accadimenti.

Narra una leggenda nella leggenda che, alla fine del Settecento, nella masseria Tagghiutisu, in agro di Nardò, della quale oggi non si ha più notizia (forse per la strana storia del basilisco), la massara ebbe a dimenticarsi dell’età di alcuni galli (forse perché colpita da un’incipiente forma di Alzheimer), per cui un bel giorno uno dei pennuti, avendo superato il limite d’età, depose il “fatale” uovo, ma non nel pollaio, bensì su un mucchio di letame. La sfortuna volle che un rospo se ne accorgesse e lo fecondasse. Il nuovo “nato”, per non incappare nel canto malefico di altri galli, preferì allontanarsi in tutta fretta dalla masseria e nascondersi nelle vicine pietraie. Il basilisco crebbe sino a raggiungere l’età matura. Con fare baldanzoso e prepotente, decise di abbandonare il sicuro ricovero della tana e visitare la masseria. E’ inutile dirlo che, una volta entratovi, l’animale fece strage di tutti coloro, uomini e bestie, che sfortunatamente lo incrociarono con lo sguardo. In un primo momento si pensò che un’improvvisa malattia si fosse abbattuta in quel luogo, ma, dopo che alcuni contadini superstiti rinvennero le impronte e gli escrementi dell’orrenda bestia, tutti abbandonarono la masseria, ormai ritenuta luogo maledetto, per non farvi più ritorno.

E così, divulgatasi di bocca in bocca la ferale notizia, la gente, annichilita e terrorizzata, non osò per molti decenni frequentare quella contrada, mantenendosi alla larga per un raggio di un chilometro.

Quelle terre, abbandonate per tanti anni, non furono più coltivate e si inselvatichirono al punto da essere considerate come luoghi preferiti dai basilischi. Solo dopo oltre mezzo secolo qualcuno cominciò a ricredersi.

Salvatò, sta’ bbìndinu la massaria “Tagghiutisu”!”2– ebbe a dire una giovane moglie al marito, alquanto danaroso.

E cce bbuei cu ndi la ccattamu?!3”.

Salvatò, ‘òlinu picca ducati!… Ete ‘nu veru affare!4”.

Ci no’ nc’eranu li vasilischi, la ccattava subbitu!…” – gli rispose quello – “…None Cuncettina, nu’ mbògghiu cu ffazzu la fine c’hannu fattu tanti cristiani!”5.

In seguito, grazie all’incidere della civiltà e dopo ripetute visite di alcuni uomini coraggiosi in quella masseria, si intuì che la storia del “micidiale basilisco” fosse soltanto frutto di una stupida superstizione popolare. Finalmente, all’inizio del Novecento, quei luoghi ritornarono a essere frequentati e coltivati come un tempo.

Perciò, meditate gente, meditate!… e ricordate che soltanto grazie a un’adeguata istruzione è possibile abbattere l’ignoranza e, soprattutto, la stupidità delle super- stizioni.

Da allora i basilischi vissero felici e contenti, ma i galli, sebbene fosse stata sfatata la superstizione, continuarono a essere ammazzati, così come gli agnelli, le anguille, i capitoni e altri animali, che, per altre incrollabili credenze, subirono e subiscono tutt’oggi, in certi periodi dell’anno, un’inconcepibile mattanza.

Bisogna lavorare tanto per sconfiggere definitivamente le lucide pazzie dell’uomo moderno… moderno per modo di dire, perché, a mio modesto avviso, si vive ancora nell’Alto Medioevo, nonostante le numerose conquiste mediche, scientifiche e tecnologiche.

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