DI MICHELE SAPONARO …E DELLA SUA TERRA D’ORIGINE

di Maurizio Nocera

Michele_Saponaro
«Michele Saponaro – afferma Antonio Lucio Giannone, ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso la Facoltà di Lettere  e Filosofia dell’Università del Salento, dalle cui pubblicazioni trarrò molte delle notizie sullo scrittore contenute in questo scritto – è stato uno degli scrittori di maggior successo in Italia nella prima metà del Novecento”.

I suoi libri sono stati pubblicati dagli editori più importanti del secolo passato e venivano  continuamente ristampati, ottenendo sempre un grande favore presso il pubblico dei lettori. La sua firma compariva sui principali quotidiani e su riviste prestigiose. Per oltre mezzo secolo insomma Saponaro è stato al centro della società letteraria italiana.

[…] Direi che Saponaro merita di essere letto ancora oggi perché aveva doti di autentico scrittore, al di là dell’immagine di narratore “di consumo”, che proprio il convegno [di San Cesario, marzo 2010] ha definitivamente rifiutato» (v. G. Virgilio, “Lo scrittore ritrovato”, in «il Paese nuovo», 1 aprile 2010, p. 6).

Questo giudizio su Michele Saponaro, espresso in occasione del Convegno di studi nel Cinquantenario della morte dello scrittore, tenuto a San Cesario di Lecce il 25-26 marzo 2010, è del massimo esperto in Salento sulla vita e l’opera del sancesariano. Effettivamente la produzione letteraria di Michele Saponaro, che scrisse e pubblicò anche con lo pseudonimo di Libero Ausonio, è stata vastissima, oserei dire impressionante: molti i romanzi, le biografie romanzate, i reportage, i saggi, le opere teatrali, gli articoli, e tra le tante anche delle liriche, raccolte postume in un libro del 1963. Si calcola che abbia pubblicato 42 titoli, molti dei quali con la casa editrice Mondadori, ma pubblicò anche con altri editori, tra cui Bideri di Napoli, Amalia Bontempelli di Roma, Puccini di Ancona, Vitagliano e Ceschina di Milano, sicuramente con altri ancora. Ecco perché, a guardare la sua imponente produzione scrittoria, sembra di trovarsi davanti a un autore che abbia svolto gran parte della vita scrivendo. L’amore per la letteratura e la scrittura sicuramente gli venne dalla continua frequentazione degli ambienti dei libri (biblioteche e librerie) e dalle redazioni di prestigiosi giornali e riviste. È risaputo che lo scrittore fu inizialmente impiegato bibliotecario a Catania e, successivamente, a Brera; fu redattore e giornaliste di testate come «La Tavola Rotonda» (1906-9), sulla quale pubblicò il “Manifesto del Futurismo” (14 febbraio 1909), quando ancora questo importante documento non era stato pubblicato dal quotidiano parigino «Le Figaro»; fu direttore della «Rivista d’Italia» (1918-20), giornalista di «Sera» (1924-8), «Corriere della Sera», «Stampa», «Giornale d’Italia», «Resto del Carlino», «La Gazzetta del Popolo», «Nuova Antologia», «Rassegna Contemporanea». Importante fu anche la sua partecipazione, come collaboratore (1908-9), alla rivista «Poesia», dove conobbe e frequentò Filippo Tommaso Maria Marinetti.

Come si vede, si tratta di una molteplice attività letteraria, che egli svolse per buona parte dei suoi 74 anni di vita e che, indiscutibilmente, è un dato che lo pone fra i più importanti scrittori della prima metà del Novecento.

Michele Saponaro era nato a San Cesario di Lecce il 2 gennaio 1885 e morì a Milano il 28 ottobre 1959.  Si era laureato in Giurisprudenza all’Università di Napoli nel 1906 ma, senza ombra di dubbio, il suo primo e più grande amore fu scrivere e, infinitamente, gli piacque stare nel mondo dei libri.

Col suo vero nome e, prima ancora, con lo pseudonimo di Libero Ausonio, firmò alcuni libri di un indubbio successo editoriale, quali: “Novelle del verde” (Napoli 1908) con prefazione di Luigi Capuana; “Rosalocci” (Ancona 1912); “La vigilia” (Roma 1914); “Il peccato” (Milano 1919); “Amore di terra lontana” (Milano 1920); “La perla e i porci” (Milano 1920); “Le ninfe e i satiri” (Milano 1920); “La casa senza sole” (Milano 1920); “Nostra madre” (Milano 1920); “Fiorella” (Milano 1920); “L’idillio del figliol prodigo” (Milano 1921); “L’altra sorella” (Milano 1923); “Un uomo: l’adolescenza” (Milano 1924-25); ripubblicato col titolo “Adolescenza” (Galatina 1983) a cura di Michele Tondo; “Inquietudini” (Milano 1926); “Un uomo: la giovinezza” (Milano 1926-27); “La bella risvegliata” (Milano 1928); “Io e mia moglie” (Milano 1928, 1929, 1930); “Paolo e Francesca” (Milano 1930); “Avventure provinciali” (Milano 1931); “Zia Matilde” (Milano 1934); “La città felice” (Milano 1934); “Bionda Maria” (Milano 1936); “Il cerchio magico” (Milano 1939); “Prima del volo” (Milano 1940); “L’ultima ninfa non è morta” (Milano 1948); “Racconti e ricordi” (Torino 1957/8); “Il romanzo di Bettina” (Milano 1959).

Importante la sua produzione di commedie e tragedie: “Mammina” (Milano 1912, premio naz. Sonzogno); “Sogno” (1922); “Filippo” (Milano 1954); “Andromaca” (Milano 1957); “Antigone” (Milano 1958).

Come importante fu anche la sua produzione di biografie di grandi personaggi della storia: “Vita amorosa di Ugo Foscolo” (Milano 1939); “Carducci” (Milano 1940); “Leopardi” (Milano 1941); “Mazzini” (Milano 1943-4, due tomi); “Michelangelo” (Milano 1947); “Gesù” (Milano 1949); “I discepoli” (Milano 1952, 1954).

Sua è la firma della prima guida Touring “Attraverso l’Italia. Puglia” (Torino 1937). Dall’editore Ceschina di Milano, fu pubblicato postumo il suo “Diario 1949-1959” (Milano 1962), che dà la dimensione vera dello scrittore e delle sue sconfinate relazioni letterarie.
Intensa fu la sua corrispondenza con gli autori più noti in quel momento in Italia, come Luigi Capuana, Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Giovanni Gentile, Arnaldo Momigliano, Eugenio Montale, Ada Negri, Luigi Pirandello, Giovanni Verga e altri.

I suoi numerosi carteggi li sta studiando il prof. Antonio Lucio Giannone sulla base del «prezioso Archivio dello scrittore, donato dai figli Giovanni e Silvia attraverso la mediazione di Tondo, […all’Università del Salento e conservato] presso la Biblioteca del Dipartimento di Filologia, linguistica e letteratura».

Michele Saponaro non disdegnò la politica e il fare politico, svolti sempre in un ambito democratico repubblicano e socialdemocratico (ad una delle legislatura degli anni ’50, fu candidato per il partito di Giuseppe Saragat), attento ai movimenti culturali e, quando fu il tempo dannato del fascismo, non si appiattì sulle problematiche del regime. Anzi, fu uno dei firmatari del Manifesto antifascista di Benedetto Croce. Certo fu uno scrittore amato soprattutto dalla piccola e medio borghesia illuminata prevalentemente del nord Italia, ma egli, da buon figlio del Meridione, non si fece influenzare dai costumi e dai modi di vita di quella classe, anche se non li escluse del tutto ma, al contrario, fu invece lui ad iniettare in essa molti dei sentimenti e della condizione psicologica della gente del Sud. Per questo Saponaro viene spesso indicato come l’autore di romanzi e novelle, al cui interno i personaggi sono indagati dal punto di vista esistenziale con un’attenzione quasi sempre autobiografica, che poi noi sappiamo qual era la sua condizione di figlio del Sud.

«Per il gusto naturalistico, per la tematica fortemente ancorata alla terra d’origine – scrive A. L. Giannone – i testi sono vicini ai maestri del verismo, Verga e Deledda; per il linguaggio letterariamente sostenuto paiono risentire dell’influenza di Carducci e D’Annunzio. […] Ci sono vari aspetti dell’attività […] dello scrittore che meritano di essere riscoperti. Ce ne sono almeno tre principali e altri secondari. Innanzitutto ovviamente c’è l’aspetto del narratore. Saponaro è autore di numerosi romanzi e racconti che rientrano quasi tutti […] nella categoria della narrativa d’intrattenimento, [… tuttavia] anche questa produzione di carattere più commerciale presenta notevoli motivi di interesse perché permette di conoscere concezioni, valori, ideali che si sono affermati nella società italiana, o in determinati gruppi sociali, in un preciso momento storico. […] Ma soprattutto occorre individuare il nucleo più genuino e valido della sua opera e verificarne la tenuta ai nostri giorni, perché Saponaro ebbe anche indubbie qualità letterarie che si rivelano, in modo particolare, in certi romanzi a sfondo autobiografico, nei quali è costantemente presente il motivo della terra d’origine.

Sulla tesi della sua terra d’origine come personaggio principale delle opere di Michele Saponaro, Giannone ritornerà ancora rispondendo ad una domanda dell’intervistatrice Serafino: «Il ricordo del Salento riecheggia sempre nella scrittura di Saponaro sin dal suo primo romanzo “Vigilia”, del 1914. […] A Saponaro si deve il merito di aver inserito, per la prima volta, il Salento nella geografia letteraria del Novecento» (v. Pamela Serafino, “Michele Saponaro, un raffinato narratore”, in «EspressoSud», settembre 2010, p. 27).

È una tesi questa confermata recentemente anche dallo studioso Ginò Pisanò che dello scrittore-poeta, rileggendo la sua ode “Su lo Jonio” (canto per Gallipoli), scrive: «Correva l’anno 1906 quando un giovane poeta salentino, ormai lontano dalla sua terra, la rievocava in versi sospesi fra dolente nostalgia e vitalistica coscienza» (v. G. Pisanò, “Gallipoli in un’ode barbara di Michele Saponaro”, in «Anxa news» (settembre-ottobre 2010, p. 11). Pisanò coglie bene il senso profondo dell’operare letterario di Michele Saponaro, soprattutto per quanto riguarda la sua poesia. Ecco perché, qui, mi piace chiudere proprio con un riferimento al suo libro “Poesie” (Laterza, Bari 1963), introdotto dalla bellissima presentazione di Mario Sansone e Michele Tondo, due suoi meritevoli amici, che scrivono: «Questi versi […] ripropongono i temi di affetto, di memoria, di disincanto che appaiono nella sua narrativa: un gusto autobiografico che si scioglie lentamente dalle tentazioni del moralismo e dell’ironia o di certa satira un po’ indispettita, per salire ad un timbro idillico, originale nella dosatura del sentire e del colore: un patire quieto ed accettato, ma con una sua dignità e forza, un idillismo che, se mai, trova il suo limite nelle pretese reattive e pungenti, non nell’invocato oblio della vita e delle sue responsabilità» (p. 5).

Un gusto autobiografico spesso dolente e vibrante come si effonde dalla seguente lirica: «Terra dammi le tue linfe,/ perché il mio corpo riviva/ nei tronchi, nelle radici,/ nei rinascenti germogli/ della foresta profonda./ Ecco, disteso nel solco,/ la fronte rivolta al cielo,/ sento il mio peso carnale/ solversi nella natura./ Cielo, dammi le tue ali,/ perché il mio cuore riviva/ nelle nuvole, nei venti,/ e nelle innumeri stelle/ del firmamento infinito.// (novembre 1946)» (p. 35).

 

pubblicato su Il Filo di Aracne

 

Uno scrittore e la sua storia: Michele Saponaro

di Paolo Vincenti

Con Michele Saponaro cinquant’anni dopo  (Congedo editore), vengono pubblicati gli Atti del Convegno Internazionale di Studi tenutosi a San Cesario di Lecce e Lecce il 25 e 26 marzo 2010, per le cure di Antonio Lucio Giannone. Questo volume costituisce il punto d’arrivo di una intensa attività di ricerche sulla figura e le opere di questo importante letterato figlio della nostra terra salentina, brillantemente condotte da alcuni studiosi pugliesi fra i quali, in primis il professor Giannone, ordinario di Letteratura Italiana Contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Lecce, al quale va ascritto il merito di aver dato l’imprimatur a questo fiorire di studi sulla figura del letterato sancesarino.

Michele Saponaro (San Cesario 1885-Milano 1959), conosciuto anche con lo pseudonimo di  “Libero Ausonio”, autore di numerosi romanzi, raccolte di novelle e biografie di uomini illustri , collaborava come giornalista con le più importanti testate nazionali, quali “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Il Giornale d’Italia”, ecc. Dopo la sua morte, però, nessuno più si interessò di lui, ad eccezione di Michele Tondo che, nel 1983, curò una ristampa del suo romanzo “Adolescenza” (Congedo Editore) e, a partire dal 2000, del già citato Giannone, con una serie di iniziative e scritti che sarebbe qui troppo lungo riportare. L’ultima pubblicazione degna di nota era stata “Uno scrittore e la sua terra. Omaggio a Michele Saponaro” (Manni Editore), a cura di A.L. Giannone, un agile opuscolo, voluto dal Comune di San Cesario, nel 2008. Già allora,

Libri/ Uno scrittore e la sua terra. Omaggio a Michele Saponaro

di Paolo Vincenti

Uno scrittore e la sua terra. Omaggio a Michele Saponaro, a cura di Antonio Lucio Giannone, è una pubblicazione, edita da Manni, con la quale il Comune di San Cesario vuole ricordare, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, la figura di un illustre letterato figlio di questa nostra terra patria salentina.

Un omaggio ad uno dei protagonisti del mercato editoriale italiano della prima metà del Novecento, affinché la sua voce non venga tacitata dall’oblio del tempo implacabile. Il Comune di San Cesario, quindi, in collaborazione con il CUIS (Consorzio Universitario Interprovinciale Salentino)e con il Dipartimento di Filologia, linguistica e letteratura dell’Università di Lecce, ha voluto questo agile libretto che si inserisce nel programma di rivalutazione dello scrittore Saponaro, anche se ben più importanti iniziative ha in serbo il Comune, grazie alla collaborazione del prof. Giannone, responsabile scientifico del progetto.

Michele Saponaro (San Cesario 1885-Milano 1959), in arte “Libero Ausonio”,  è autore di numerosi romanzi come “La vigilia” del 1914, “Peccato”del 1919, raccolte come “Le novelle del verde”, 1908,  “Rosolacci”, 1912, biografie di

Maglie e Federico Garcìa Lorca (1898-1936)

MAGLIE E FEDERICO GARCIA LORCA. DALLA “LUNA GITANA” ALLA  “LUNA DEI BORBONI”

di Paolo Vincenti

“Federico Garcìa Lorca fu una creatura straordinaria. Creatura questa volta significa più che uomo. Federico infatti ci metteva in contatto con la creazione, con questo tutto primordiale dove risiedono le fertili forze. Quell’uomo era prima di tutto sorgente, freschissimo zampillo di sorgente, trasparenza originaria alle radici dell’universo”: così ricorda Federico Garcìa Lorca il suo amico Jorge Guillèn, nel suo Prologo alle Obras completas di Lorca, riportato da Claudio Rendina in “ Libro de Poemas. Edizione intergrale” (Newton Compton 1995).

Al grande poeta spagnolo è stata dedicata, mercoledì 6 dicembre, una serata, “ Omaggio a Federico Garcìa Lorca (1898-1936)”,  dal Liceo “Francesca Capece” di Maglie. Aggiungere il qualificativo “bellissima” al termine “serata può sembrare una formula di rito, così come siamo abituati a sentir definire “glorioso” lo storico Liceo Capece di Maglie. Però, mai come in questo caso, gli usati aggettivi sono appropriati: perché una serata che ha regalato fortissime emozioni agli astanti dall’inizio alla fine ed è riuscita a mettere tutti d’accordo sulla sua ottima riuscita non è se non un piccolo miracolo ( abituati come siamo alla  superficialità e all’improvvisazione delle serate culturali a cui mediamente assistiamo,) e un Istituto Scolastico che riesce ad organizzare tutto ciò conferma che la ottima fama di cui gode è più che meritata.

Nel 70° Anniversario della morte di Lorca, si è tenuta, nell’Aula Magna del Liceo magliese, una Tavola Rotonda e un Recital di musica e poesia nel segno del grande poeta del Romancero gitano. Tutte queste arti infatti si intrecciano nella sua poesia, la cui vasta teatralità è stata messa in evidenza da tutti i critici,  secondo quanto lo stesso Lorca aveva affermato, cioè che “il teatro è la poesia che si eleva dal libro e si fa umana” (dall’intervista di Felipe Morales in Obras completas).

L’amore per il teatro da parte di Lorca trova ampie conferme nella sua carriera, a partire da El maleficio de la mariposa, la sua prima, fallimentare, rappresentazione teatrale con marionette disegnate dal pittore uruguaiano Rafael Barradas, fino a La Barraca, teatro popolare da lui progettato, nel 1931, gratuito e ambulante.

Dopo l’Introduzione del Prof. Vito Papa, Preside del  Liceo Capece, hanno preso la parola la Prof.ssa Valentina Sgueglia, vice presidente dell’Adi Sd, Le-Br-Ta, il Prof. Diego Simini, docente di Lingua e Letteratura Spagnola dell’Università di Lecce, e il Prof. Antonio Lucio Giannone, docente di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università leccese. Gli interventi dei relatori sono stati intervallati dalle esibizioni di danza curate dalla Prof.ssa Maria Josè Cueto Martìnez e dalla lettura di poesie lorchiane, nella doppia versione spagnola e italiana, ad opera degli studenti delle V Classi internazionali di Spagnolo del Liceo Capece e da canti, ad opera degli stessi studenti, di alcuni famosi brani di Lorca, con la Direzione artistica e musicale a cura dei Professori Angelo Pulgarìn Linero, Soledad Negrelos Castro e Josè Manuel Alonso Feito. Gli studenti della sezione spagnola del Liceo Capece  sono coordinati dalla Prof.ssa Isabel  Alonso Devila, che è stata anche relatrice della serata.  La musica era stato il primo amore del poeta spagnolo, che aveva studiato piano e composizione con il maestro Antonio Segura, scrivendo numerose canzoni, ed aveva avuto una speciale amicizia col grande maestro spagnolo Manuel De Falla.

Il nome di Garcìa Lorca, poeta molto amato e conosciuto in Italia, è legato anche al  Salento, grazie alla magistrale traduzione che hanno fatto dei suoi versi due grandi intellettuali ed ispanisti della nostra terra, vale a dire il magliese- fiorentino Oreste  Macrì (soprattutto con Canti gitani e prime poesie, pubblicato con Guanda nel 1949, poi ampliato e pubblicato col nuovo titolo Canti gitani e andalusi e con nuova sua Introduzione nel 1951 e ancora nel 1961 ) e il leccese Vittorio Bodini ( in particolare, Tutto il teatro 1952).

Macrì e Bodini costituiscono, insieme a Carlo Bo (cui spetta forse il primato degli studi lorchiani in Italia, a partire da Poesie, pubblicato nel 1940 con Guanda, che ha avuto numerosissime riedizioni, passando per Poesie sparse, Guanda 1976), la triade dei maggiori studiosi del poeta spagnolo (cui aggiungeremmo, anche per quantità di contributi offerti, Claudio Rendina). Nel suo intervento alla serata del 6 dicembre, A.L.Giannone si è occupato del rapporto fra Garcìa Lorca e Vittorio Bodini, scrittore leccese a Giannone da sempre molto caro.

Il docente, che ha dedicato a questo argomento molti suoi studi , soprattutto Corriere Spagnolo (Manni 1987), che raccoglie reportage dalla Spagna e prose di Bodini,  ha tracciato un profilo delle influenze che direttamente o indirettamente il Bodini poeta ha tratto dal Bodini ispanista, o, per meglio dire, le influenze che Bodini ha ricevuto, nella sua produzione poetica,  dalla poesia di Lorca, di cui è stato fine traduttore.

Bodini ha avuto nella sua carriera una lunghissima frequentazione con la letteratura spagnola, avendo tradotto, oltre a Lorca, il Don Chisciotte di Cervantes (Einaudi 1957), Visione celeste di J.Larrea e le Poesie di Salinas (Lerici 1958), il Picasso di V. Aleixandre (Scheiwiller 1962), l’antologia I poeti surrealisti spagnoli ( Einaudi 1963;  ed è stato proprio Bodini, come ha sottolineato Giannone, a definire tale questa scuola poetica spagnola, mutuando la definizione dal surrealismo francese), I Sonetti amorosi e morali di Quevedo (Einaudi 1965), Degli Angeli di Rafael Alberti (Einaudi 1966) e Il poeta nella strada dello stesso autore (Mondatori 1969), infine il Lazarillo de Tormes (Einaudi 1972).

L’amore di Bodini per Lorca era iniziato già nel 1945 con la prima traduzione europea della farsa di Lorca,  Il Teatrino di don Cristobal, del 1931, come ricorda Ennio Bonea in “Comi Bodini Pagano. Proposte di lettura” (Manni 1998). Anche Giannone, così come Macrì, ricordato da Bonea nel saggio testé citato, ritiene che l’influenza del grande Lorca su Bodini  inizi già prima del suo viaggio in Spagna del 1946.

La permanenza nella penisola iberica , comunque, dal 1946 al 1949,  fu fondamentale per l’ispanismo di Bodini e rafforzò ancora di più la sua ricerca, perché, come scrive Giannone nella sua Introduzione a “Barocco del Sud. Racconti e prose” (Besa 2005), “gli permette di scoprire un altro Sud, che gli serve per capire meglio anche il suo. Nei reportage e nelle prose che egli continuò a pubblicare dopo essere tornato in Italia, è possibile notare il tentativo di penetrare nella realtà profonda della Spagna, alla scoperta della sua dimensione invisibile e sconosciuta, del suo ‘spirito nascosto’ per usare un’espressione di Lorca. Proprio Lorca, che diventa la guida ideale di Bodini in questo viaggio, gli insegna a scavare nell’inconscio collettivo del suo popolo partendo dalle manifestazioni più tipiche del folclore iberico: il flamenco, la corrida, i serenos, i combattimenti dei galli, i riti della Settimana Santa e così via. Lo scrittore leccese si va gradualmente accorgendo delle numerose affinità tra il popolo spagnolo e quello salentino, legati anche nell’intimo da un sentimento tragico della vita, e trova in quel paese il ‘suo’ Sud, come egli stesso scrive in una poesia di Dopo la luna, Omaggio a Gongora[…]”.

“L’interesse per Lorca”, ha spiegato Giannone durante il suo intervento, “è culminato con la pubblicazione, presso Einaudi, nel 1952,  del Teatro”, ed ha citato alcune parole di Bodini, tratte dalla sua Prefazione dell’opera, da cui si evince che Bodini, da acuto interprete e autentico poeta, aveva colto perfettamente il messaggio della poesia di Lorca: “ La sua [di Lorca] presenza aderiva alla vita in modo così pienamente meraviglioso che egli era la vita stessa nel suo infinito presente. Tutta la sua poesia era una dichiarazione obbiettiva dell’essere, che la mancanza di sforzo rendeva estremamente gioconda: bastava che dicesse luna e la luna esisteva, che dicesse coltello e un coltello brillava, che dicesse stella, cavallo, fiore …”.

Il 1952 è lo stesso anno in cui Bodini pubblica la sua prima opera poetica La luna dei Borboni (di cui, recentemente, è stata pubblicata una nuova versione, a cura di Antonio Mangione, da Besa, 2005) ) e Giannone ha rilevato quanto forte fu l’influenza che le traduzioni di Lorca ebbero su questa sua poesia. “Tipicamente lorchiana”, ha detto Giannone, “è, ad esempio, l’apparizione improvvisa, straniante, di figure e animali, che a prima vista risulta inspiegabile, come ‘il cavallo sorcino’ che ‘cammina a ritroso sulla pianura’, il ‘gatto’ che ‘trotta magro e sicuro nel Sud nero’, definizione, quest’ultima, ripresa proprio da Lorca che aveva definito la sua ‘Spagna nera’.

E a Lorca, da lui definito ‘il poeta più cromatico che il mondo conosca’, risale la ricchezza dei colori nella poesia bodiniana, come, ad  esempio, il ‘nero’ dei gatti e dei capelli delle donne, del catrame, delle monache, il ‘bianco’ della calce, il  ‘rosso’ del sangue, dei peperoni e dei pomodori, il ‘verde’ dei portoncini, il ‘giallo’ dei limoni e delle zucche, ecc.  Nella raccolta I poeti surrealisti spagnoli, poi, è presente la traduzione integrale della raccolta Poeta en Nueva York, composta da Lorca negli Stati Uniti e che è considerata da Bodini, come scrive nella sua Introduzione, ‘un grido di appassionata protesta contro l’americanismo e la civiltà meccanica raffigurate come un ossessionante trionfo della morte’.

Questo libro ebbe un innegabile influsso sulle raccolte bodiniane Metamor, Zeta e La civiltà industriale, dove il surrealismo che contraddistingue queste raccolte si carica di valenze polemiche nei confronti della società tecnologicamente avanzata”.

Gino Pisanò individua un ideale asse Salento-Spagna, similate “in un’unica spazialità categoriale il cui baricentro era costituito dall’ecumene mediterranea”, nel suo saggio “La leucadia salentina nell’archivio letterario del Novecento” (in “Andrano e Castiglione d’Otranto nella storia del Sud Salento”, Pubbligraf 2004). In quello che definisce “l’animismo folklorico-surreale di Vittorio Bodini”, i cui connotati indica nella triade “luna-gufo-gatto”, “segni persefonici di un universo infero e invisibile”, Pisanò traccia dei parallelismi fra la Spagna nera di Lorca e il Salento luttuoso e misterioso di Bodini, iconizzato dalla dominanza del buio dei suoi paesaggi e dal vocalismo chiuso e fonosimbolico di molte sue poesie.

Anche secondo Pisanò, la “pena vivente” dei gitani di Lorca è la medesima dei contadini del sud, degli ppoppiti bodiniani, e l’autore della Luna dei Borboni, fatalmente attratto dall’archetipo lorchiano, “trasfigura il Salento in emblema del Sud, di ogni Sud trascorso da presenze-assenze, introiettando e restituendo omologati il duende di Lorca, los angeles di Alberti, i lemuri salentini”.  Giannone, a conclusione del suo intervento, si è anche soffermato sulla morte del poeta di Canciones, i cui veri motivi, a distanza di tanti anni, rimangono ancora poco chiari. “Yo tengo el fuego en mis manos”, dice Lorca a Gerardo Diego, in “Poesia espanola contemporanea” (Madrid 1962) per  definire l’origine della sua poesia. Da Poema del cante jondo a Oda a Walt Whitman, da Romancero gitano a Divàn del Tamarit, la sua poesia continua a scorrerci dentro, bruciando come fuoco nelle vene.

Libri/ Vincenzo Ampolo tra politica e letteratura

 

VINCENZO AMPOLO, POETA SURBINO DELL’OTTOCENTO

 

di Paolo Vincenti

La Societàdi Storia Patria-Sez.di Lecce, in collaborazione con il Comune di Surbo, ha pubblicato gli Atti del Convegno di Surbo del 2004 Vincenzo Ampolo tra politica e letteratura tomo II, edito, per la collana “Cultura e storia”, a cura di Antonio Lucio Giannone.

La parabola di Ampolo si sviluppa nella seconda metà dell’Ottocento, un periodo di grandi trasformazioni politiche, sociali ed anche culturali in Italia. Ampolo rientra a Surbo nel 1871, dopo aver completato gli studi universitari a Napoli e stringe amicizia con importanti esponenti del ceto intellettuale salentino, collaborando con alcune riviste locali come Don Ortensio, Il Pungiglione, Il Progresso, Cronaca letteraria.

Ma chi era Vincenzo Ampolo? Il libro prende le mosse dal Convegno di studi, svoltosi nella Sala consiliare del Comune di Surbo, nel novembre del 2004, in occasione del centenario della morte del poeta e politico Ampolo, nato a Surbo nel 1844 ed ivi morto nel 1904. In questo libro, si vuole approfondire la figura del poeta e letterarato Ampolo, mentre nella precedente pubblicazione, sempre a cura della Società di Storia Patria-Sez.Lecce (che, da molti anni, pubblica la rivista  L’Idomeneo), si analizzava la figura del politico e dell’amministratore Ampolo.

Antonio Lucio Giannone (del quale è stato recentemente pubblicato, sulla Rivista di letteratura italiana, 2006, un contributo sul Futurismo ed i rapporti fra lo scrittore di San Cesario Michele Saponaro, alias Libero Ausonio, e Filippo Tommaso Marinetti), traccia, nella Prefazione, un profilo d’insieme del libro. Prima d’ora, l’Ampolo era conosciuto grazie al volume di Donato Valli, Ampolo, Nutricati, Rubichi (1980), inserito nella “Biblioteca Salentina di cultura” edita, all’epoca, da Milella e diretta da Mario Marti; al libro Surbo di Angelo De Masi (Capone 1981), che pure si occupava della figura di questo illustre concittadino di Surbo; e soprattutto grazie a Notizia

Libri/ I Fibbia

di Paolo Vincenti

Antonio Lucio Giannone continua ad occuparsi di quegli scrittori salentini che, pur essendo, in certi casi, dei veri talenti letterari, non hanno fino ad ora avuto l’attenzione del pubblico ed il meritato riconoscimento della critica. Questa volta, Giannone cura la pubblicazione del  romanzo “I Fibbia”, di Salvatore Paolo , edito da Calcangeli.

Salvatore Paolo, insegnante di italiano e storia,  era nato a Carmiano nel 1920, ed al proprio paese natale  era rimasto sempre legato. Carmiano entra, infatti, anche nelle sue opere e da Carmiano egli mai si mosse, ma intrattenne comunque preziose corrispondenze con importanti  esponenti del mondo letterario salentino e nazionale. Fino ad ora, erano conosciuti solo due romanzi di Paolo: “Il Canale” (Milano-Nuova Accademia 1962) e “I millepiedi e altri animali” (Milano-Mursia 1971). Inoltre, due racconti di

Libri/ Barocco del Sud

 di Paolo Vincenti

E’ un bel libro questo  Barocco del Sud  – Racconti e prose (Besa editrice), una raccolta di scritti, fino ad ora poco conosciuti, della vastissima produzione di Vittorio Bodini. Il suo curatore, Antonio Lucio Giannone, da molti anni  è impegnato sul fronte della promozione culturale e della divulgazione dell’opera dei principali esponenti della cultura letteraria meridionale contemporanea.

Seguendo questi scritti bodiniani, si può conoscere più a fondo l’anima dei salentini del secolo scorso, quegli “ppoppiti”, che popolano molti di questi racconti e che possiamo considerare la controfaccia salentina dei “gitani” di Garzia Lorca, autore molto amato e magistralmente tradotto dall’ “ispanista” Bodini.

Se oggi si fa un gran parlare di Vittorio Bodini, Girolamo Comi e Vittorio Pagano, lo si deve a studiosi come Giannone che, insieme a Mario Marti, Ennio Bonea, Oreste Macrì, Donato Valli, ha profuso un impegno costante nella riscoperta e valorizzazione della letteratura “salentina”, e dei suoi rappresentanti di spicco,  per troppo tempo ingiustamente sottovalutati ed ignorati dalle antologie letterarie nazionali. Negli ultimi tempi, forse,la triade Comi-Bodini-Pagano, nelle preferenze delle nuove generazioni, è stata sostituita da un’altra, cioè quella composta da Antonio Verri- Claudia Ruggeri-Salvatore Toma.

L’ondata di recenti celebrazioni e ripubblicazioni ha interessato soprattutto Antonio Verri , il cui nome è richiamato, ormai  puntualmente, in ogni

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