In arrivo un bastimento carico di A…mianto. Nel Salento

Amianto

di Gianni Ferraris

 

“E’ in arrivo un bastimento carico di A” era un giochino che mi facevo mia nonna quando imparavo i nomi delle cose. A seconda delle lettere che metteva al posto della A immaginavo meraviglie: Trenini, Macchinine, Palle, Cioccolato…

L’incanto è finito, ora lo faccio io il giochino, quel carico di A sbarcherà, pare, nel porto di Gallipoli. Amianto siciliano DOC. E dire che sembra che possa essere così sono le diverse versioni che, in un altro giochetto tipicamente italico, si chiama rimpallo di palle. La ditta R.E.I. s.r.l., titolare della discarica in contrada Castellino in agro di Galatone, dovrebbe incassare dalle 25.000 tonnellate, almeno sei milioni e 250 mila euro, fatto 0,65 euro al Kg. Un bel business per una s.r.l. che ha chiesto ed ottenuto il permesso di trattare rifiuti inerti dal 2009 e dell’amianto dal 2011. Fatto salvo però il veleno che arriva da regioni terze.

Forse per questo l’azienda si affretta a dire che non si tratta di 25.000 tonnellate, piuttosto di 5.000 sole di terriccio proveniente da una bonifica ambientale e contente inezie di tracce di amianto, frammenti. Roba da archeologi insomma che fra 50.000 troveranno dei frammenti. Ora, non per fare i pignoli, però se questo “terriccio” non può essere utilizzato per invasare gerani e arriva da una bonifica, non si potrebbe vagamente ipotizzare che proprio sano sano non è?

Dalla Capitaneria di porto di Gallipoli fanno sapere che al momento hanno solo una richiesta non formale di attracco. E’ ipotizzabile che una nave da carico possa chiedere un attracco senza citare il tipo di materiale trasportato? E ancora, da 25.000 a 5.000 tonnellate il salto è un pochettino alto, a pensare male si fa peccato però a volte si azzecca, diceva un noto politico fra un bacio a Riina e una sosta a palazzo Chigi.

E ancora, se la ditta R.E.I. non può smaltire materiale proveniente da altre regioni, perchè lo fa? Misteri da chiarire. L’unica certezza pare che da quando la camorra è sotto osservazione, il Salento sia terra ambita da “turisti” di ogni risma.

Un post che avrei fatto volentieri a meno di scrivere

di Armando Polito

Mi è successo già altre volte di non poter condensare nel breve spazio di un commento la mia modesta integrazione a qualche contributo. Oggi succede per Eternit, Nord e Sud uniti nella lotta all’amianto apparso di recente su questo sito (https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/19/eternit-nord-e-sud-uniti-nella-lotta-allamianto/).

Condivido dalla prima all’ultima parola quanto nel post è scritto e mi soffermo solo a fare qualche riflessione su questa proposizione: Dicono che il minerale era noto al tempo di Cesare e anche nell’Impero si crepava al suo contatto.

Chi conosce la mia quasi maniacale attenzione per le fonti può immaginare cosa ho provato di fronte a quel dicono che

Ciò che segue è il risultato dell’iniziale moto di stizza subito seguito da un umile, anche se ispirato dalla diffidenza …, tentativo di saperne di più.

AMIANTO dal latino amiantu(m) e questo dall’aggettivo greco ἀμίαντος/ἀμίαντον (leggi amìantos/amìanton)=incontaminato, incorruttibile; la voce greca, poi, è composta da – (con valore privativo) e dal tema del verbo μιαίνω (leggi miàino)=macchiare. In greco amianto è ἀμίαντος λίθος1 (leggi amìantos lithos)=pietra incorruttibile. Ecco la testimonianza di Dioscoride (I secolo d. C.), De materia medica, V, 156: Λίθος ἀμίαντος γεννᾶται μὲν ἐν Κύπρῳ, στυπτηρίᾳ σχιστῇ ἐοικὼς ὃν ἐργαζόμενοι ὑφάσματα ποιοῦσιν ἐξ αὺτοῦ, ὄντος ἰμαντώδους πρὸς θέαν·ἃ βληθέντα εἰς πῦρ ϕλογοῦνται μὲν λαμπρότερα δὲ ἐξέρχονται, μἡ κατακαιόμενα (L’amianto nasce a Cipro, simile all’allume fissile; quelli che lo lavorano ne fanno tele essendo filamentoso alla vista. Esse gettate nel fuoco s’infiammano ma ne escono più splendenti senza essere bruciate); segue Plinio (I secolo d. C.), Naturalis historia, XXXVI, 33: Amiantus, alumini similis, nihil igni deperdit. Hic veneficiis resistit omnibus, privatim Magorum (L’amianto, simile all’allume, resiste perfettamente al fuoco. Esso resiste a tutti gli incantesimi, specialmente a quelli dei maghi).

ASBESTO dal latino  asbèsto(n) trascrizione del greco  ἄσβεστον=cosa inestinguibile, neutro dell’aggettivo  ἄσβεστονς/ἄσβεστον e questo composto da – (con valore privativo) e dal tema del verbo σβέννυμι (leggi sbénnumi)=spegnere. Come vedremo, in Plinio è àsbestos.

Varrone (I secolo a. C.), De lingua latina, V, 131:  Multa post luxuria attulit, quorum vocabula apparet esse Graeca, ut asbeston (Poi il lusso introdusse molte vesti i cui nomi sembra che siano greci, come l’asbesto).

Plinio, op. cit., XXXVII, 54: Asbestos in Arcadiae montibus nascitur, coloris ferrei (L’asbesto nasce sui monti di Arcadia e ha il colore del ferro); XIX, 4: Inventum iam est etiam quod ignibus non absumeretur. Vivum id vocant ardentesque in focis conviviorum ex eo vidimus mappas, sordibus exustis, splendescentes igni magis, quam possent aquis. Regum inde funebres tunicae, corporis favillam ab reliquo separant cinere. Nascitur in desertis adustisque sole Indiae, ubi non cadunt imbres, inter diras serpentes:  adsuescitque vivere ardendo, rarum inventu, difficile textu propter brevitatem. Rufus de cetero color, splendescit igni. Quum inventum est, aequat pretia excellentium margaritarum. Vocatur autem a Graecibus asbestinum ex argumento naturae. Anaxilaus auctor est linteo eo circumdatam arborem, surdis ictibus, et qui non exaudiantur, caedi. Ergo huic lino principatus in toto orbe (Si è trovato già pure un tipo di lino che resiste al fuoco. Lo chiamano vivo e in occasione di convivi ho visto tovaglie fatte con questo che ardevano splendenti al fuoco, dopo che le macchie erano state bruciate, più che se fossero state messe al bucato. Le vesti funebri dei re fatte con questo lino separano la fiamma del corpo dalla restante cenere. Nasce nei luoghi deserti e assolati dell’India, dove non cadono piogge, tra terribili serpenti e ardendo si abitua a vivere, raro a trovarsi, difficile a tessersi perché molto corto. Per il resto il colore è rossiccio, lucido al fuoco. Quando è stato trovato eguaglia il valore delle gemme eccellenti. Dai Greci poi è chiamato asbestino per la sua naturale proprietà [di resistere al fuoco]. Anassilao scrive che un albero circondato da questo lino viene tagliato con colpi sordi e che non si sentono. Dunque questo lino detiene il primato in tutto il mondo).

Le fonti che ho citato confermano la conoscenza dell’amianto ed il suo sfruttamento ai tempi di Cesare (I secolo a. C.). Rimane il dubbio che Plinio quando scrive dell’asbesto abbia confuso la fibra minerale con quella vegetale di cui parla il contemporaneo Dioscoride, mentre la testimonianza di Varrone è ambigua perché dal contesto è impossibile capire se asbeston è il nome della fibra o della veste confezionata.

Una soluzione di compromesso al dubbio potrebbe essere trovata ipotizzando la tessitura mista di fibre vegetali e minerali (il che spiegherebbe la eccellente resistenza al fuoco che delle tele viene messa particolarmente in luce). Ad ogni buon conto va ricordato che a Pompei nel settembre 1874 fu portato alla luce  un frammento di tessuto d’amianto (Giuseppe Fiorelli, Giornale degli scavi di Pompei, v. III, Tipografia nel Liceo V. Emanuele, Napoli, 1874 pag. 253); sarebbe interessante sapere che fine ha fatto.

Quanto alla pericolosità del minerale: si può pretendere che ne fossero al corrente in quell’epoca, considerando che per collegare con l’amianto quella che sarà chiamata asbestosi (il dizionario De Mauro reca il 1933 come data di nascita della voce insieme con silicosi) dovrà passare quasi un millennio e forse secoli, purtroppo, dovranno trascorrere per la bonifica dell’intero pianeta? Eppure non è che i Romani non applicassero misure di protezione. Ecco, per esempio, cosa ci ha tramandato il solito Plinio a proposito di coloro che avevano a che fare con il minio, all’epoca utilizzato anche come pigmento pittorico: (Naturalis historia,  XXXIII, XL: Qui minium in officinis poliunt, faciem laxis vesicis inligant, ne in respirando pernicialem  pulverem trahant et tamen super illas spectent (Coloro che lucidano il minio nelle botteghe legano al viso larghe vesciche1 perché nel respirare non aspirino la pericolosa  polvere e tuttavia possano vedere).

Se un analogo strumento di protezione non venne adottato per chi stava a contatto con l’amianto, significa che all’epoca non si aveva la minima consapevolezza della sua, peraltro subdola, pericolosità.

Sicuramente ci furono pure allora innumerevoli morti per asbestosi, ma, per quanto ho detto prima, le fonti non ce ne forniscono notizia alcuna. Per evitare, infine, ogni equivoco: il rimpianto del titolo non è per nulla connesso con una criminale voglia di tacere ma solo con la profonda amarezza che certe situazioni provocano e con lo sdegno nei confronti di coloro che tante morti avrebbero potuto evitare e che, invece,  in ossequio al dio profitto, non hanno mosso un dito;  e di coloro che ancora oggi di fronte al problema della bonifica non si fanno carico di nulla e ritengono più importante destinare il pubblico denaro a manifestazioni pseudo culturali che alla salvaguardia della salute pubblica.

Mi pare di sentirli ribattere in un insospettabile rigurgito di spessore culturale abbastanza strano in chi, bene che vada, di solito mostra di non capire nulla di quello che riesce a leggere …:  – Lo dice o non lo dice la stessa etimologia che l’amianto o asbesto è indistruttibile, praticamente eterno? -.  E poi, imitando il Maurizio Ferrini di Quelli della notte: – Eternit, lo dice la parola stessa! -.

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1 Le vesciche animali avevano una vasta gamma di applicazioni. Oltre a fungere da mascherine protettive, venivano utilizzate pure come parte semitrasparente di lanterne di qualità meno elevata rispetto a quelle in corno, o come cuffia per tenere a posto i capelli: Marziale (I secolo d. C.), Epigrammi, XIV, 62: Cornea si non sum, numquid sum fuscior? aut me/vesicam, contra qui venit, esse putat? (Se non sono di corno, forse sono meno luminosa? O chi mi viene incontro pensa che sia una vescica?); VIII, 33, 19: Fortior et tortos servat vesica capillos/et mutat Latias spuma Batava comas (Più energica la vescica tiene a posto i capelli ritorti e la schiuma batava tinge le chiome romane). Nello stesso autore vesica è usato in senso metaforico:  Epigrammi, IV, 49, 7-8: A nostris procul est omnis vesica libellis,/Musa nec insano syrmate nostra tumet (Ogni ampollosità è lontana dai miei libriccini e la mia poesia non si pavoneggia in una pazza veste a strascico).

Ancora: la vescica veniva utilizzata in medicina:  Celso (I secolo d. C.) , De medicina, III, 21: Auctoresque multi sunt inflatis vesicis pulsandos tumores esse (E molti scrivono che i gonfiori [da idropisia] debbono essere premuti con vesciche gonfie); III, 27: Cucurbitulae quoque saepe dolenti parti admovendae sunt, pulsandusque leviter inflatis vesicis bubulis  locus est (Spesso alla parte dolente vanno pure applicate ventose e la parte va leggermente premuta con vesciche di bue gonfiate); IV, 6: Utilius igitur est cerato primum liquido cervicem perunguere; deinde admovere vesicas bubulas vel utriculos oleo calido repletos, vel ex farina calidum cataplasma, vel piper rotundum cum ficu contusum (È alquanto utile dunque dapprima ungere il collo di liquido incerato, poi applicare vesciche di bue o uteripieni di olio caldo o un cataplasma caldo di farina o pepe rotondo con fico pestato)

Varrone (I secolo a. C.) in un frammento delle Satire menippee mediante un gioco di parola ci fa capire che la voce vesica veniva usata anche nel senso traslato di borsello,  di qualità più scadente rispetto a quello di cuoio:  In quo nobis utilius est philippeum quod accipimus quam quod bibimus, cum alterum addamus in bulgam, alterum in vesicam (In questo per noi è più utile la moneta di Filippi che mettiamo da parte che quella che spendiamo in bevute poiché l’una la mettiamo nel borsello di cuoio, l’altra nella vescica).

Il compassatissimo Seneca (I secolo a.. C.-I secolo d. C.), Naturales quaestiones, II, 27), poi, ce ne tramanda anche un uso che potremmo definire ludico (a Nardò si chiama scattalòra e consiste nel far scoppiare una busta, un tempo di carta oggi di plastica …)  per ricordare il rumore di certi tuoni:  Aliud genus est acre, quod crepitum magis dixerim quam sonum: qualem audire solemus cum super caput alicuius dirupta vesica est (Un altro tipo è acuto, lo definirei più crepito che suono, quale siamo soliti sentire quando una vescica è stata fatta scoppiare sulla testa di uno).

Eternit, Nord e Sud uniti nella lotta all’amianto

Amianto

di Francesco Greco

 

Infido, silenzioso, sfuggente: quel fiocco di neve racchiude un algoritmo. Incuba per 10 anni, poi esplode a ritmo esponenziale, atrofizza i polmoni, soffoca la vittima sacrificale sull’ara di un modello di sviluppo criminale, perseguito da un capitalismo assassino, “avido” (Antonio Mariello, ex operaio Eternit, malato: “Viviamo con la paura addosso…”) da albori della rivoluzione industriale, quando bambini e cavalli diventavano ciechi scendendo nel cuore nero del mondo, le miniere di carbone.

Non è un caso che la Svizzera, pure erede di Calvino e Jean Ziegler, dopo tale lasso di tempo non riconosce come invalidante la malattia causata dall’amianto e scoraggia vertenze e richieste di indennizzi. “C’è del metodo nella follia”, direbbe Shakespeare. “Come i truffatori italiani, spesso manco i nostri pagano…”, riflette amaro Dieter Bachman, intellettuale svizzero con casa a Urbino.

Dicono che il minerale era noto al tempo di Cesare e anche nell’Impero si crepava al suo contatto. Se non è leggenda metropolitana è segno che 20 secoli sono passati e la vita dell’operaio dell’Urbe valeva quanto quella di Ippazio Chiarello da Corsano, “uomo di polvere”, il primo morto nel Capo di Leuca, 20 anni in Svizzera a lavorare le “ternitte”: lo ha ucciso nel 1990, a 55 anni, lasciando sola Assunta a crescere 3 figli: “Lavorava alla macchina macina-sale, da quella polvere faceva la pasta d’amianto e nel frattempo firmava la sua condanna a morte…”.

Poi i morti verranno da Alessano, Andrano, Tiggiano, Salve, ecc.: ondate di flussi migratori fra i ’60 e gli ’80. Fiocchi pregni di semantica, si trasfigurano in un’idea filosofica: la vita, il lavoro, la paga assimila la malattia e poi la morte, le incarna, si sovrappone, coincidono. E c’è una beffa allegorica anche nell’etimologia: asbestos significa candido, Eternit richiama l’indistruttibilità del materiale come dell’ultimo sigillo, la manciata di malta che chiude la lapide.

Ma i tempi cambiano: nuovi soggetti irrompono nell’agorà, portatori di altre percezioni, sensibilità, rivendicazioni di diritti naturali recuperano linfa, magistrati coraggiosi, gente che ci mette la faccia. Il web è il volàno: sparge contaminazioni a ogni angolo del mondo, rafforza coscienze. Oggi nessuno può dire: non sapevo, non mi hanno dato la parola. Il 13 febbraio 2012 la giustizia italiana (pur aggredita e relativizzata da anni) ha scritto una pagina gloriosa: gli industriali svizzeri dei fiocchi di neve assassini condannati a pene severe dal Tribunale di Torino: non potevano non sapere che i loro operai si ammalavano e morivano d’amianto (oltre 2000). Confermate dall’appello di giugno. Infranto il sillogismo vita-morte. Non si può morire per vivere. Vittoria storica per i lavoratori di tutto il mondo, i loro diritti, il primo: la vita.

Nelle stesse ore, il docu-film “Se solo i petali volassero-Amianto mai più” (su youtube il trailer) era premiato per la terza volta nelle rassegne cinematografiche di tutto il mondo e alla Mexapya Produktio (www.mexapya.net) i registi Isidoro Colluto, Donato Nuzzo e Fulvio Rifuggio, in post-produzione davano gli ultimi ritocchi a “L’Eterneide” (gli operai pugliesi dell’Eternit di Niederurnen), 1a nazionale a Castiglione d’Otranto, Stazione ferroviaria, dibattito condotto con passione civile dalla bellissima Tiziana Colluto (foto di Mario Monsellato).

I due lavori durano un’ora. Il primo nasce nell’autunno 2011, porta la firma di 28 studenti della IV F del Liceo delle Scienze Sociali “Laura Bassi”, Bologna, finanziato con cene, feste, un cd di musica folk (“Induo Band”): girato fra Bologna, Roma, Casale Monferrato: “Abbiamo conosciuto una donna che ha perso il marito, un fratello e una sorella”, dice Angelica Bucca. Aiutati dal prof. Roberto Guglielmi, dopo Casale M. (sentenza di primo grado), a Roma, al Senato: “Abbiamo chiesto a Felice Casson – spiega – perché lo scandalo dell’amianto assassino era esploso e i politici stavano zitti…”. Il senatore Pd ha incartato le loro 7 proposte (http://www.facebook.comAmiantoMaiPiu: sensibilizzazione sui rischi dell’amianto nella scuola e nella società, una rete nazionale di segnalazione, prevenzione, controllo del territorio, un numero verde per segnalare abbandoni, rimozioni abusive, ecc. e un  database per monitorare in tempo reale la bonifica, obbligo per le Regioni di realizzare discariche apposite, eliminare la differenza fra amianto in materia compatta e friabile, uno sportello comunale che informi sui servizi offerti, obbligo di auto-denuncia dei mca, manufatti contenenti amianto e del certificato di fabbricato), in un progetto di legge che affronta razionalmente la materia: 80mila tonnellate di amianto avvelenano il paesaggio e le nostre case, i costi dello smaltimento scoraggiano i cittadini: perché le istituzioni non se ne fanno carico?

Anche Bologna (OGR, Officine Grandi Riparazioni) ha pagato un prezzo ai fiocchi velenosi: circa 200 morti per patologie absesto-correlate. E mentre leggiamo nel mondo altri operai stanno morendo: solo 60 Paesi l’hanno messo al bando: India, Brasile, Cina, Canada indugiano. D’altronde, qui si è andati avanti sino all’esaurimento scorte (1998): è il profitto, bellezza! Il documentario dei cineasti pugliesi dà voce ai protagonisti, fra Svizzera e Puglia, ma anche a un oncologo, a Bruno Pesce (portavoce Associazione vittime di Casale M.), Raffaele Guariniello procuratore capo di Torino. Lo stile è quello essenziale, rapsodico dei documentaristi inglesi, tedeschi, francesi (noi non abbiamo grandi tradizioni: moralisti e servili, ci parliamo addosso). Denuncia, realismo crudo, a tratti aspro, scorre sulla forza della parola. Autofinanziato col crownfunding: “Le produzioni dal basso – dicono i registi – garantiscono maggiore libertà d’espressione”. Sarà portato nel mondo: Bari (Fiera del Levante), Napoli, Svizzera, Brasile, ecc. Come dire: Nord e Sud del mondo uniti nella lotta all’amianto.

 

 

AMIANTO-ETERNIT: un pericolo da non sottovalutare

di Maria Grazia Presicce

Triste spettacolo di qualche giorno fa sulla litoranea Gallipoli-Porto Cesareo

Dopo la sentenza che ha condannato i dirigenti e proprietari della fabbrica criminale di eternit di Torino, sarebbe bene che il problema “AMIANTO-ETERNIT “ non  tornasse nel dimenticatoio. Non basta l’indignazione e lo scalpore della notizia solo al momento del verdetto finale, le conseguenze connesse con questo problema sono quanto mai incombenti ed il rischio è esteso a tutta l’Italia, da nord a sud.

Purtroppo  solo con riferimento alla suddetta sentenza se n’è ripreso a parlare come se fosse un problema pertinente solo a quell’area e, in ogni modo, anche lì, dopo il primo clamore, l’allarme  è parso sopirsi per poi completamente addormentarsi tanto, chi è morto ormai non c’è più, i congiunti hanno preso i quattrini, “ chi s’e visto s’è visto” e amen.

Dovremmo invece scuoterci  davvero tutti e dare voce al problema, affrontando l’argomento eternit,  allertando il cittadino e rendendolo consapevole dell’effettiva pericolosità di questo materiale tanto diffuso ancora  su tutto il territorio nazionale. Sicuramente, riguardo  il suo l’utilizzo,   non c’è stato sufficiente allarmismo in un passato, tra l’altro, molto prossimo. Nessuno degli organi competenti, e meno che mai dei nostri ambientalisti  hanno  cercato di affrontare con fermezza l’argomento. Eppure l’amianto è, purtroppo ancora oggi, alla portata di tutti. Basta farsi un giro per le nostre campagne, spesso nei giardini delle nostre abitazioni, per rendersi conto della

Uno studio di CoperAttivi sulle discariche abusive a Copertino

di Corrado Nestola (Amministratore web CoperAttivi)

E’ stato protocollato in data 20/05/2011 un documento-studio indirizzato alla cittadinanza tutta e sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione Comunale e del Sindaco di Copertino, contenente una catalogazione delle discariche abusive presenti nel territorio comunale.

Tale documento è stato redatto da CoperAttivi – Copertinesi Attivi , un gruppo di giovani cittadini copertinesi che si propone di accogliere tutti gli individui

SALENTO, LU SULE LU MARE E L’INQUINAMENTO!

Le mine antiuomo che costellano il Salento

 

di Pier Paolo Tarsi

Il Salento è colmo e costellato ovunque di maledette mine antiuomo. Non ci credete, lo so, eppure è proprio così! Pensate forse che queste infernali trappole siano problemi non riguardanti noi abitanti del mondo “opulento”? Siete forse convinti che il nostro non sia un territorio di guerra? Sbagliato, tutto sbagliato! Non c’è in realtà posto al mondo in cui non vi sia una guerra in corso, poiché anche laddove si siano deposti i fucili e le divise, le guerre si devono condurre contro nemici ben più terribili di ogni esercito armato: uno di questi è l’ignoranza.

Grazie a questo mostro ognuno di noi è circondato da un numero incalcolabile di mine, pronte a scoppiare non una ma infinite volte, ovunque e per secoli, finché non si provvederà. Il problema riguarda TUTTI, nessuno escluso: nella vostra stanza da letto, nel vostro salone, nella vostra cucina, nelle lenzuola di vostro figlio, nel piatto in cui mangiate, nei panni che stendete al sole, ovunque si può nascondere una letale mina antiuomo. Se non avete ancora compreso di cosa sto parlando, basta semplicemente uscire di casa, fare due passi verso una qualunque periferia dei nostri comuni ed eccole là, quasi sempre, le trappole antiuomo, sul ciglio della strada, visibili a tutti: cumuli di amianto nella forma di Eternit, micidiale amianto abbandonato ad ogni angolo delle nostre campagne, in ogni sentiero, tra gli alberi, tra i cespugli, tra le pietre. Non scandalizzano più nessuno questi cumuli di morte. Forse ci siamo persino assuefatti a incontrarli nel corso delle nostre passeggiate primaverili, quasi fossero ormai elementi caratteristici del paesaggio tanto quanto gli ulivi, i fichi d’india, i fiori spontanei,  i muretti a secco…

Ma è davvero tanto pericoloso l’amianto? Non è forse esagerato ed allarmistico il paragone con le infami mine antiuomo? Per rispondere a queste domande bastano pochi dati scientifici su cui ragionare.

1) Lo IARC (International Agency for Research on Cancer), agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) cui spetta il compito di classificazione del rischio relativo ai tumori di agenti chimici e fisici,  include

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