Borgagne (Lecce). L’altare dell’Immacolata nella chiesa matrice

di Alberto Rescio

Fu la famiglia Pino a volere, nel 1788, la prima cappella ancora oggi dedicata all’Immacolata Concezione di Maria, sul fianco sinistro della chiesa matrice di Borgagne, ornando l’altare di una bella tela coeva.

Il vero protagonista fu Carmine, un notabile del posto ma di origini poggiardesi, economicamente assai agiato, tanto da permettersi di ricostruire l’altare che i suoi avi avevano a suo tempo eretto in onore di San Giuliano di Cuenca.

La committenza fu celebrata con un’epigrafe che ancora si legge, scolpita nel fregio che sovrasta la tela di nostro interesse:

SACELLUM HOC AUGUSTISSIMUM/ DIVO JULIANO CONCESSUM EPISCOPO PROFUSA IN PAUPERES LIBERALITATE EXIMIO/PER MAIORES FAMILIAE PINO OLIM IN TERRA JULIANI UNA CUM SUI PATRONATUS IURE DICATUM DOTATUM ERECTUM/ DEIN VETUSTATE PENE COLLAPSUM/ CARMINUS PINO/ EX MAGIS.(TRO) JO(ANNE) PINO BOARDENSI ET CATHARINA SANTORO BURBANENSI CONIUGIBUS NATUS HIC DEINDE BONAVENTURAE PICO CONNUBIO ADNEXUS/ AVITAE PIETATIS AEQ. AC JURIUM HAERES SUB AUSPICIIS THEOTOCOS SINE LABE CONCEPTAE CUM/ GENTILITIO FAMILIAE SUAE PROPE IPSIUSMET ARAM SEPULCHRO PRAEVIO UNIVERSITATIS PERMISSU/ ET ELEGANTIORI FORMA HIC RESTRUENDUM CURAVIT A.D. MDCCLXXXVIII

Questo augustissimo altarino, dedicato a San Giuliano Vescovo, insigne per la sua splendida munificenza verso i poveri, fu dedicato, dotato ed eretto insieme col diritto di proprio patronato da parte degli antenati della famiglia Pino, un tempo nella terra di Giuliano. Poi, quasi crollato per vetustà, Carmine Pino, nato qui dalle nozze del mastro Giovanni Pino di Poggiardo e Caterina Santoro di Borgagne e successivamente unito in matrimonio con Bonaventura Pico, erede dell’antica pietà e diritti, sotto gli auspici della Madre di Dio concepita senza peccato, insieme al sepolcro gentilizio della propria famiglia presso il suo stesso altare, ottenuto il permesso dell’Università, con più bella forma qui volle che si ricostruisse nell’anno del Signore 1788“.

Il dipinto, di buona fattura, datato 1790, ma di autore ignoto, rappresenta il vescovo Giuliano che intercede presso Maria Immacolata per i poveri, ritratti appena sotto il santo.

Maria guarda al cielo, con la testa inclinata, avvolta tra le nubi, accerchiata da una moltitudine di angioletti colti in diversi atteggiamenti: alcuni conversano tra di loro, di altri si vedono solo i visi quasi confusi con le rotondità delle nubi; uno è aggrappato a un drappo, un altro ancora ci volge la schiena, portando in spalla un fascio di gigli bianchi.

L’iconografia è quella classica e la Vergine con il piede destro schiaccia la testa del serpente, mentre il sinistro poggia sulla mezzaluna, in buona parte nascosta dagli angeli.

Di buona fattura anche la figura del santo, vescovo noto per la prodigalità verso i più poveri,  riprodotta con dovizia di particolari: pregevoli le pieghe del mantello, la stola e i polsini finemente ricamati, la solenne posa del pastorale sorretto da un angioletto in secondo piano.

L’abilità dell’artista non cala nel ritrarre le tre donne in costume popolare dell’epoca, che occupano la parte inferiore sinistra del dipinto, giustamente proporzionate rispetto al restante.

Evidente la figura del committente, a destra, in basso, della tela, anche questo con i vestiti del tempo, che ha voluto perpetuare la propria persona, non ritenendo sufficiente il ricordo perenne offerto dall’epigrafe e dallo stemma di famiglia che domina sulla cimasa dell’altare.

Posto di tre quarti, con lo sguardo rivolto al pubblico, l’offerente posa quasi entusiasta, pur nel rigore dell’abito scuro e del candido colletto riccamente merlettato. Che volesse apparire un uomo di preghiera lo conferma il libretto di preghiere che il donatore tiene con la mano sinistra, il cui indice tra le pagine sottolinea la momentanea distrazione per offrirsi al ritrattista.

Non stegmata nobilitant

ph Alberto Rescio
 
L’obiettivo fotografico di Alberto Rescio si è soffermato su un’insolita epigrafe (NON/ STEGMADA/ NOBILITANT), probabilmente settecentesca, sormontata da due putti e posta a lato dell’arco di una piccola corte del centro storico di Tricase. Replicata sul prospetto per due volte, testimonia il chiaro messaggio ai passanti di ieri e di oggi da parte dei residenti.
 
La mancata ostensione dello stemma, che avrebbe potuto trovare giusta allocazione nel cartiglio, sembra volersi rifare alle parole di Sallustio: la vera nobiltà non deriva dalla stirpe, ma dalla virtus e dalla buona condotta (Bellum Iugurthinum). Anche questo è Salento!
 
Grazie ad Alberto per avercelo segnalato. 

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