Alan Lomax (1915-2002) è stato uno dei più importanti e influenti etnomusicologi del XX secolo. Uno studioso appassionato, uno studioso irregolare, uno studioso la cui figura si staglia ancora oggi imponente sulla cultura musicale del Novecento. Non esagera perciò Brian Eno quando sostiene che senza Alan Lomax probabilmente non ci sarebbe stata l’esplosione del blues, e neppure i Beatles, i Rolling Stones e i Velvet Underground. Dalle registrazioni pionieristiche degli anni Trenta nel Delta del Missisipi, ai successivi ritorni sul campo negli anni Quaranta e Cinquanta, egli ha infatti scavato nel cono d’ombra dell’America della segregazione razziale e della Grande Depressione per recuperare le indimenticabili “biografie cantate” di personaggi leggendari che altrimenti sarebbero stati relegati nell’oblio dell’anonimato.
Ma nell’universo esistenziale e culturale di Lomax non scorre solamente un’anima musicale, ma anche il senso intrinseco dell’incontro tra esperienza etnografica, pratica riflessiva e percorso politico. Resta giustamente celebre, alla luce di quanto affermato, la campagna di rilevazione, svolta nel 1954-55 insieme a Diego Carpitella, che ha in un certo senso fondato l’etnomusicologia