La terra d’Otranto del XVII secolo nei versi di un autore coevo

di Armando Polito

Oggi l’Italia arranca disperatamente in Europa e nel mondo e le roboanti, giornaliere  dichiarazioni su un presunto riconoscimento altrui del nostro prestigio rappresentano solo un tentativo di gettare fumo negli occhi per avere consensi in cabina elettorale. Ancora più desolante è il quadro se lo sguardo per settori si sofferma sul profondo sud. Che la situazione, soprattutto sotto il profilo economico, per quanto territorialmente ci riguarda fosse radicalmente diversa quattro secoli fa, lo mostra non solo una vasta letteratura specialistica con le sue testimonianze del tempo, ma anche la produzione poetica. Prenderemo in considerazione, per quanto riguarda quest’ultima, Paolo Antonio Di Tarsia1 e la sua opera Europa pubblicata a Madrid nel 1659, prima edizione ormai introvabile. Una seconda uscì a Lione nel 1661 e ad essa farò riferimento2.

L’opera, tutta in latino,  contiene all’inizio ben tre dediche: due in prosa, rispettivamente di uno di coloro a spese dei quali l’opera fu pubblicata (C. Bourgeat) a Giovanni Clemente di Belle-Croix e del Di Tarsia a Pasquale d’Aragona; la terza, ancora del Di Tarsia, in distici elegiaci, a papa Alessandro VII, che già era stato vescovo di Nardò3. Seguono 14 elegie celebranti l’Europa. Alla fine il volume contiene note esplicative per ogni elegia (in questa seconda edizione, come si legge nel frontespizio, sono del fratello Biagio.

Appare significativo che nella parte dedicata al Regno di Napoli (Elegia V, pp. 19-22) sono ricordati, ognuno con una o più peculiarità, ben dieci centri di Terra d’Otranto. Siccome vi compaiono in ordine sparso nelle pp. 21-22, ne riproduco i dettagli dopo averli estrapolati (nota esplicative comprese, laddove ci sono), aggiungendo alla trascrizione la traduzione e qualche nota. Le elegie, superfluo dirlo, sono in distici elegiaci; di solito, però, ogni toponimo non occupa l’intero distico ma solo la prima o la seconda parte, cioè o l’esametro o il volgarmente detto pentametro. La E o la P in parentesi tonde accanto ad ogni toponimo hanno questa funzione indicativa. Anticipo che dominanti sono i riferimenti all’economia o al paesaggio, ad eccezione di quelli culturali di Rudie e Martina Franca.

 

                                                                          BRINDISI (E)

Brundusium commendant Castra, Via Appia, Portus. (Fanno apprezzare Brindisi i castelli, la via Appia, il porto)

                                                                           TARANTO (E)

Aequor ut immensum, extendit se fama Tarenti. (Come l’immenso mare si estende la fama di Taranto)

 

                                                                            GALLIPOLI (P)

Gallipolis cultros, vinaque, vela facit. (Gallipoli produce coltelli, vini, veli)

Gallipolis. Vela ibi fiunt ex bombacio sive xylo, aureis sericisque filis intexta, quibus Mulieres tegendis, ornandisque capitibus utuntur. (Gallipoli. Ivi si fanno veli di bambagia ovvero cotone, intessute di fili di oro e di seta, dei quali le donne si servono per coprire e ornare la testa)

E dopo? Si legge in Pietro Maisen Valtellinese, Gallipoli e suoi dintorni, Tipografia municipale, succursale della Tipografia Garibaldi in Lecce, Gallipoli, 1870, pp. 53-54: Uno sguardo retrospettivo di due o tre secoli, ci addita Gallipoli la città delle industrie e delle belle arti. Avevansi diverse manifatture come di mussolini e veli di finissima ventinella, fregiati di vari colori, ed altri travagli di cotone di cui era molto esteso il lavoro. Si fabbricavano guanti e calze di finissima ventinella, di cui i Maltesi, i Veneziani, i Genovesi e Siciliani ne facevano grande smercio; ma ora tali lavori decaddero in depreziamento per le esotiche manifatture che s’introdussero a prezzi mitissimi, di cui non ponno sostenere la concorrenza le indigene.

 

                                                                            LECCE (E)

Dulce domos ornent pelles, quas pingit Aletum. (Le pelli che colora Lecce, piacevole cosa, ornino le case)

Aletum. Vulgò Lecce. Provintiae Hydruntinae caput. Pelles ibi coccinei coloris ex Oriente delatas,auro et coloribus graphicè exornant, pinguntque,quibus sellas, mensas, scrinia, ephippia, caeteraque utensilia tegunt. (Aleto. Correntemente Lecce. Capitale della provincia otrantina. Ivi con oro e colori adornano e dipingono artisticamente le pelli di colore scarlatto importate dall’Oriente, con le quali rivestono sedie, tavoli, cofanetti, selle e altri utensili) 

Aletum mi appare come deformazione di Aletium (nulla a che fare con l’attuale Alezio) che il Galateo (XV-VI secolo) riporta come una delle tante varianti: Urbem hanc alii Lupias, alii Lypias, alii Lopias, alii Lupium, alii Lispiam, alii Lypiam, alii Aletium, alii Licium, alii Lictium, a Lictio Idomeneo, alii Liceam: omnia haec nomina idem sunt. (Alcuni chiamano questa città Lupie, altri Lipie, altri Lopie, altri Lupio, altri Lispia, altri Lipia, altri Alezio, altri Licio, altri Littio da Littio Idomeneo, altri Licea: tutti questi nomi sono la stessa cosa)

                                                                        GALATONE (P)

Vite, oleis, plena est Galata, melle, croco. (Galatone è piena di vite, di ulivi, di miele, di zafferano)

Quanto allo zafferano ancora oggi, nonostante tutto, fiorisce spontaneamente, almeno nella campagna in cui, a Nardò, ho la fortuna di vivere, ma la storia è vecchia. Scriveva, infatti, il già citato Galateo: Hic coelum salubre, ac tepidum, aurae salutares, et suaves, ager apricus semper vernans floribus, et bene olentibus herbis, thymo, thymbra, pulegio, serpillo, hysopo, melolotho, camomilla, calamentho, ubique abundans; unde et caseum nobile, et mel gignit, non deterius Hymectio, ac crocum laudatissimum. Itaque ut apud Marsos, et Pelignos Sulmonensis, sic et apud Salentinos Galatanensis crocus ceteris praestat. Temporibus patrum nostrorum in Salentinis hic, non alibi crocus habebatur. Unde huc venerit incompertum est: attamen videtur hoc solum sponte sua crocum gignere. Omnis ager, ubi sues non sunt, silvestri croco abundat; qui flore, bulbo, capillamentis, ortensi sive sativo similis est; tempore etiam conveniunt, uterque enim floret post ortum Arcturi.(Qui [nel territorio di Galatone] il clima è salubre e tiepido, l’aria salutare e soave, la campagna soleggiata che sempre si ricopre di fiori e di erbe profumate: timo, santoreggia, puleggio, serpillo, issopo, meliloto, camomilla, nepeta abbondante ovunque. Perciò produce pregiato formaggio e miele non inferiore a quello dell’Imetto [monte della Grecia famoso nell’antichità per la bontà del suo miele] e zafferano apprezzatissimo. E così, come presso i Marsi e i Peligni il croco di Sulmona, presso i Salentini lo zafferano di Galatone supera gli altri.Ai tempi dei nostri padri il croco c’era qui in Salento, non altrove. Da dove sia giunto qui, non si sa, tuttavia si vede che questa terra lo produce spontaneamente. Ogni campo dove non ci sono maiali  abbonda di zafferano selvatico, che nel fior, nel bulbo, nei filamenti è simile a quello dei giardini o coltivato. Concordano pure nel tempo: entrambi infatti fioriscono dopo il sorgere di Arturo [stella visibile in primavera guardando ad est])

 

                                                                         GROTTAGLIE (E)

Spumantes offert bibulis Cryptalla racemos. (Grottaglie offre ai bevitori spumeggianti vini)

Si legge in Vincenzo Corrado, Notiziario delle produzioni particolari del Regno di Napoli, Nicola Russo, Napoli, 1792, p. 128 : Produce di particolare il territorio di questa Terra [Galatone] grossissime e gustose mela granate; puranche saporite uve, per cui il vino delle Grottaglie vanta un’eccellenza superiore agli altri vini della Provincia.

                                                                               OSTUNI (E)

Ostuni Diana dedit sua munera sylvis. (Diana diede i suoi doni alle selve di Ostuni)

In Giovanni Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Parrino, Napoli, 1703, parte II, p. 177: Nelle selve assai feconde di Salvaggina, e fra’ Campi fertili di odoroso, e gratissimo Vino, di Olio, di Formento, e di altro esquisito, siede questa [Ostuni ]

Sarebbe interessante sapere quanto esattamente è rimasto di quella selva e, questa volta, per colpa di quale dio o sedicente tale…

 

                                                                                   RUDIE (P)

Eversas Rudias Ennius erudiit. (Ennio erudì la devastata Rudie)

                                                                                   EGNAZIA (E)

Olim ignes factos, Equites nunc Gnatia gignit. (Egnazia ora genera cavalieri, un tempo fuochi fatti [senza che si vedessero4])

Gnatia. Nunc Monopolis, Urbs praeclara, et nobilis in Apulia Peucetia. Hic olim thura liquescere credebant Gentiles in primo templi aditu,sine igne, supero nimirum calore, de quo Horatius lib. serm. saty. 5. (Egnazia. Ora Monopoli, città illustre e nobile nella Puglia peucezia. Qui un tempo i pagani credevano che gli incensi si liquefacessero nel vestibolo del tempio senza il fuoco, senza dubbio per il calore celeste, della qual cosa [parla] Orazio, libro I, satira 5)

Ed ecco il pezzo oraziano (vv. 97-100):… dein Gnatia Lymphis/iratis exstructa dedit risusque iocosque,/dum flamma sine tura liquescere limine sacro/persuadere cupit. (… poi Egnazia dalle acque adirate5 diede occasione di ridere mentre vuol farci credere che sulla sacra soglia l’incenso si liquefà senza fiamma)

 

                                                                   MARTINA FRANCA (E)

Me iuvenem Martina dedit Grecumque Latinum. (A me giovane Martina diede il greco e il latino)

Martina. Alludit ad doctissimum Ludimagistrum Iosephum Caramiam in ea Urbe natum, à quo Auctor, Graecis Latin(is)que Litteris Cupersani imbutus fuit. (Martina. Allude al dottissimo maestro Giuseppe Caramia nato in quella città, dal quale l’autore fu istruito a Conversano nelle lettere latine e greche)    

 

                                                                          OTRANTO (P)

Ex Hydruntinis citria mala pete. (Agli otrantini chiedi cedri)

Oggi non so, ma questa caratteristica permane nel XVIII secolo; si legge in Francesco d’Ambrosio, Saggio istorico della presa di Otranto .., Giuseppe De Bonis, Napoli, 1751, p. 3: Questa Città ha breve il suo orizonte,per il sito basso che tiene, vedendosi per terra circondata da valloni; e però sarebbe di aria mal sana, se i molti arbori di cedri, e melaranci, de’ quali nelle sue vicinanze abbonda, non la purificassero col grato, e continuo odore. E in Francesco Antonio Primaldo Ciatara, Relazione di fatti che interessano la fedelissima città di Otranto, Stamperia Simoniana, Napoli, 1772, p. 6: Il terreno della Città di Otranto poi è molto atto agli aranci, cedri, e limoni per le acque, che lo bagnano.

                                                                               NARDÒ (P)

Stragula Neriti xylina lectus amat. (Il letto ama le coperte in cotone di Nardò)

Neriti. Urbs Neritonensis celebris est.
Texuntur ibi stragula, sive lectorum tegumenta lemniscata ex bombacio, sive Xilo, quae sunt in pretio. (Di Nardò. La città di Nardò è celebre. Vi si tessono coperte o coperture di letti decorate di nastri di bambagia ovvero cotone, che sono apprezzate)

Coverte di bombace di Nardò ricorre, quasi a mo’ di etichetta, negli inventari presenti in atti notarili fino alla fine del secolo XIX e riferentisi, è ovvio, a famiglia abbienti.

____

1 Nato a Conversano nel 1619 , morto a Madrid nel 1670, pubblicò anche: 

De S. Io. Baptistae humanae salutis prodromi laudibus oratio panegyrica. Ad illustrissimum, D. D. Iulium Aquavivam Aragonium, Francesco Savio, Napoli, 1643

Divae Virginis insulanae cupersanensis historia, Iuliano De Paredes, Madrid, 1648

Historiarum Cupersanensium libri tres, Iuliano De Paredes, Madrid, 1649

Memorial politico-historico, s. n., Madrid, 1657

Succus prudentiae sacropoliticae ex nonnullis r. Pp. Ioan. Eusebii Nierembergii, Societ. Iesu, operibus expressus, & per locos communes digestus, a spese di Claude Bourgeat e Michel Lietard, Lione, 1659

Vida de Don Francisco de Quevedo y Villegas, S. M. Redondo, s. n., 1663

Tumultos de la ciudad y Reyno de Napoles, en ano de 1647, En Leon de Francia: a costa de Claudio Burgea, mercador de libros, 1670

2 https://books.google.it/books?id=kJhf-zqGOCcC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false

3 https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/02/alessandro-vii-un-papa-gia-vescovo-fantasma-di-nardo-e-il-suo-vice/ . Credo che questa dedica e l’altra della prima opera indicata nella nota 1 a Giulio Acquaviva (marito di Caterina d’Aragona duchessa di Nardò) siano due dati non sufficienti ad ipotizzare un qualche rapporto tra il Di Tarsia e Nardò, tanto più che il futuro papa da vescovo non vi mise mai piede e la stessa Caterina dopo le nozze risiedette stabilmente nella città del marito, a Conversano.

4 Per comprendere il senso della traduzione e di questa integrazione è necessario leggere il seguito.

5 Questa è la traduzione letterale di lymphis adiratis, locuzione la cui oscurità ha propiziato fin dai tempi antichi una ridda di interpretazioni: chi vi ha trovato un’allusione alla penuria di acqua dolce, chi, quasi collateralmente, all’abbondanza di acqua salmastra, chi al potere distruttivo dei torrenti precipitanti dalle Murge (in questo caso la traduzione sarebbe “distrutta dalle acque adirate”.

 

 

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