Dialetti salentini: cuddhura

di Armando Polito

Avrei potuto intitolare questo post con Non tutto il male vien per nuocere, ma avrei fatto un torto imperdonabile a chi prima di me si è occupato brillantemente della cuddhura, cioè Roberto Panarese nel suo Cuddura e collirio: che ci azzecca? uscito su questo blog il 20 aprile scorso (https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/04/20/cuddura-e-collirio-che-ci-azzecca/). A quella data ero in piena convalescenza, rivelatasi più lunga del previsto, dalla prima operazione per cataratta bilaterale e solo qualche giorno fa, recuperata la piena funzionalità visiva, mi è stato possibile leggere quest’interessantissimo contributo. Mi ha sorpreso il fatto che nessuno ha postato un commento e ho sentito perciò il dovere di esprimere il mio non relegandolo nello spazio riservato ai commenti ma condensandolo in questo scritto per dare maggiore visibilità non a me stesso ma al post appena ricordato ed al suo autore. Il mio intervento si limiterà soltanto a due integrazioni riguardanti le due fonti citate da Roberto: la professoressa Maria Luisa Agati e un articolo divulgativo risalente al 2008 (http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/biotech/2013/01/08/Ecco-collirio-Plinio-Vecchio-_8040351.html?idPhoto=1). Per quanto riguarda le note etimologiche della professoressa aggiungo che la voce greca antica κολλύρα (leggi colliùra) è derivato da κόλλα (leggi colla), che significa glutine, colla; superfluo ricordare che da κόλλα deriva, attraverso un latino *colla,  l’italiano. Diminutivo di κολλύρα è κολλύριον (leggi colliùrion) che significa pessario, collirio, pagnotta, pasta su cui apporre il sigillo delle lettere; trascrizione di κολλύριον è il latino collyrium, dal quale è l’italiano collirio. L’etimologia, dunque, dà ragione del carattere pastoso (sfruttando un altro derivato di κόλλα, direi colloidale) non solo della pagnotta, ma anche degli antichi colliri. Ad ulteriore precisazione aggiungo che collyrium presso gli autori latini aveva il significato generico di unguento, pomata e che l’uso di tale tipo di prodotto a fini oftalmici si deduce dal contesto1.

E qui passo alla seconda fonte. Plinio nella Naturalis historia non ci ha lasciato il ricordo di un collirio2 ma solo, e in ordine sparso, di alcuni ingredienti che entravano nella preparazione di unguenti o pomate. Cito di seguito i passi relativi in cui tali pomate sono destinate anche, sottolineo anche, agli occhi:

­­­­­­­­­­­­­ XXIV, 14:

Similis hammoniaci natura atque lacrimae, probandae ut diximus. Mollit, calefacit, discutit, dissolvit. Claritati visus in collyriis convenit, pruritum, cicatrices, albugines oculorum tollit, dentium dolores sedat …  (Simile è la natura dell’ammoniaco3 e  e le sue lacrime da provare, come dicemmo. Rammollisce, riscalda, scioglie. È utile alla chiarezza della vista nelle pomate, elimina il prurito, le cicatrici, elimina i leucomi, calma il dolore dei denti …)

XXV, 92

Anagallida aliqui acoron vocant. Duo genera eius: mas flore phoeniceo, femina caeruleo, non altiores palmo, frutice tenero, foliis pusillis, rotundis, in terra iacentibus. Nascuntur in hortis et aquosis. Prior floret caerulea. Utriusque sucus oculorum caliginem discutit cum melle et ex ictu cruorem et argema rubens, magis cum Attico melle inunctis. Pupillas dilatat, et ideo hae inunguntur ante quibus paracentesis fit. Iumentorum quoque oculis medentur (Alcuni chiamano l’anagallide acoro. Due sono i generi: il maschile dal fiore rosso, il femminile dal fiore ceruleo, non più alti di un palmo, con stelo tenero, foglie piccole, rotonde, prostrate a terra. Nascono nei giardini e in luoghi ricchi di acqua. Fiorisce prima la cerulea. Il succo di entrambe elimina gli offuscamenti degli occhi con miele e il sangue fuoruscito a causa di un colpo e le ulcerazioni rosse della cornea soprattutto in unione a miele dell’Attica. Dilata le pupille e perciò esse sono unte prima a coloro ai quali si fa la paracentesi. Curano pure gli occhi dei giumenti).

Paracentesi è la puntura di una cavità dell’organismo per aspirare del liquido. Il passo testimonierebbe che al tempo di Plinio la cataratta veniva operata con un ago, l’antesignano del laser e degli ultrasuoni attuali?

Lascio la risposta ad altri più competenti di me e vado a mettermi due gocce di collirio (ne avrò fino al 5 del prossimo mese). A dire il vero ne consumerò molte di più perché mantenere durante l’operazione l’occhio aperto è per me un’impresa; meno male che i colliri attuali, a differenza di quelli del tempo di Plinio, sono liquidi …

__________

1 Orazio, Satire, I, 5, 30: Hic oculis ego nigra meis collyria lippus inlinere (Qui io affetto da congiuntivite applicai ai miei occhi neri colliri)

Giovenale, Satire, 6, 578-579: … Si prurit frictus ocelli/angulus, inspecta genesi collyria poscit (Se prude l’angolo irritato dell’occhio, dopo aver dato uno sguardo all’oroscopo chiede i colliri).

Columella, De agricultura, VI, 6: Vel salis sextans cum cepis decem conteritur et admixto melle decocto collyria immittuntur alvo, atque ita citatus bos agitur (Oppure si pesta un sesto di libbra di sale con dieci cipolle e, mescolato miele cotto, le pomate vengono immesse nell’ano e così il bue viene reso più attivo).

Cornelio Celso  nel capitolo 28 del libro V del De medicina riporta la composizione di parecchie pomate (collyria) usate nella cura delle fistole.

2 Opportunamente nell’articolo divulgativo citato si legge “collirio”.

3 Gommoresina essudante dal tronco di alcune piante ombrellifere in forma di granelli o di lacrime. Ancora oggi viene usato viene usato nell’industria per confezionare mastici e, in farmacia, come balsamico, espettorante, anticatarrale.

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9 Commenti a Dialetti salentini: cuddhura

  1. PER UNA BUONA “CUDDHURA”, CI VUOLE “OCCHIO”! ….

    “[…] meno male che i colliri attuali, a differenza di quelli del tempo di Plinio, sono liquidi …”!!!

    MOLTISSIMI AUGURI E COMPLIMENTI

    AL LUCIDO E INTREPIDO PROF. ARMANDO POLITO!

    Federico La Sala

  2. l’attardatissima apertura di “questo aggeggio infernale ” non mi ha consentito seguirvi e congratularmi – ma : ora vi faccio ridere – quandu rria lu quarantale – nn’à togghia scinde e llaura sale – vivissimamente a Lei -prof. Polito -con ogni bene e a Tutti cordialità sempre – peppino martina

    • La ringrazio e mi permetto di tradurre il proverbio da lei ricordato (l’esatta scrittura, secondo me, è: quandu ‘rria lu quarantale, nna togghia scinde e l’aura sale) a beneficio di qualche non salentino amante dei dialetti che dovesse leggere il suo commento. Alla lettera sarebbe: Quando arrivano i quaranta anni, una doglia scende e l’altra sale. Sotto questo punto di vista posso, nel complesso, ritenermi molto fortunato, in particolare per quanto riguarda la cataratta, che, invertendo il significato dei due verbi, come “doglia” mi è “salita” (ma la saracinesca. metafora più immediata della cataratta, di regola per chiudere scende) a settantaquattro anni e “scesa” (ma la stessa saracinesca per aprire di regola sale) dopo qualche mese …

  3. PROF. : che bellezza ascoltarci – e io – ” mi fingo nel pensiero ” -di incontrarLA – con tutto il bene possibile – peppino .

  4. sono commosso e ringrazio – cercherò il modo – pertanto cordialità sempre – peppino

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