Dialetti salentini: èrtula

di Armando Polito

Va detto prima di tutto che la voce dialettale di oggi è usata, parlo per Nardò,  solo al plurale e solo nella locuzione ota li èrtule e sciàndile! (alla lettera: gira le bisacce e andiamocene!), invito rivolto anche ad un compagno immaginario quando non è il caso, per motivi vari, di trattenersi oltre, Anche le locuzioni dialettali, come le singole parole, diventano progressivamente obsolete, come la nostra, pagando l’inesorabile tributo al tempo e a quello che progresso. Debbo confessare che di questa voce molto probabilmente non mi sarei occupato se non avessi avuto l’occasione di incontrarla a p. 59 del volontariamente leggero ma prezioso Con decenza parlando di Pasquale Chirivì, uscito per i tipi di Kurumuny a Calimera nel 2010.  Non è la prima volta che cito questo lavoro come ispiratore, sia pur epidermico ed occasionale, di qualche mia escursione linguistica (la partenza è sicura, il ritorno alla base con qualche risultato non sempre è garantito …).  Così questa parola e l’intera locuzione sono riaffiorate nella mia memoria e ho sentito il bisogno di renderla per un attimo meno volatile, visto che è sempre più raro sentirla, sostituita, come è stata da qualche decennio, da riccugghi li fierri, ota l’Ape e sciàndile (alla lettera: raccogli i ferri, fai conversione di marcia con l’Ape e andiamocene!)1. In riferimento alla mia età chi dei nostri nonni avrebbe potuto immaginare che l’ertula sarebbe stata sostituita dall’Ape e chi dei nostri padri che il nome di un modello di veicolo ispirato per la sua forma dall’ìnsetto2 e dalla capacità,se non di volare, almeno di spostarsi, sarebbe diventato un acronimo con la vezzosa aggiunta dell’anglico social, che, in verità, riscuote paradossalmente maggiore successo quando resta da solo …

In attesa della nascita di un altro acronimo simile che, sommandosi agli altri, farà della la nostra lingua un osceno e incomprensibile mescolio di grugniti, sbadigli, rutti e scorregge, mi pare sensato rifugiarmi nel passato di èrtula e, quando si parla della storia di una parola, inevitabilmente entra in campo l’etimologia.

Un aiuto fondamentale, come ben sanno gli addetti ai lavori, possono fornirlo le varianti. Nel nostro caso la voce vertulari presente nel Catasto onciario di Lecce del 1755 e segnalata da Nicola Vacca in Professioni e mestieri a Lecce nel 1700, articolo comparso in Rinascenza salentina, anno I, 1933, pp. 196-201. A p. 197 leggo; “Cosa facevano i vertolari? Erano molti. Vertola, mi si dice, era la bisaccia. Ѐ rimasta tra noi la frase : otu le ertule e me ‘ndiau, per dire faccio fagotto e me ne vado. Il vertolaro sarebbe, dunque, portatore di bisacce o vastasi, o, italianamente, facchino?”.

Al di là della sua conclusione dubitativa, al Vacca, che non era un filologo,  va ascritto il merito di aver enucleato, sia pure di passaggio, questa voce, e molto probabilmente senza di lui il Rholfs, del quale era amico, non l’avrebbe inserita nel suo Dizionario dei dialetti salentini3.

Ecco come il filologo tedesco ha utilizzato il suo contributo:in II, p. 208:

vertularu (L ces) m. venditore di roba fatta al telaio [cfr. il calabrese vèrtula bisaccia, dal latino averta idem] v. vèrtula.

vèrtule [1](L ar, ru) f. pl. masserizie, attrezzi in disordine [cft. il calabrese vèrtula bisaccia, dal latino averta idem.

e in I. p. 216:

èrtula otu le èrtule e mme ndi àu (L 19, l, sq) locuzione faccio fagotto e me ne vado.

Apprendiamo così che all’epoca in cui il Rholfs raccoglieva sul campo,  e di persona, i fiori del nostro dialetto,le tre voci erano in uso solo nel Leccese e più precisamente: vertularu a SanTa Cesarea Terme (L ces), vèrtule ad Aradeo e Ruffano  (L ar, ru), èrtula a Lecce e Squinzano (L l, sq) con citazione dell’articolo del Vacca (L 19).

Non è da escludere che la locuzione sia ignota alle nuove generazioni di quei centri in cui essa era in uso ai tempi del Rohlfs, tant’è che essa è assente nel Dizionario leccese-italiano di Antonio Garrisi uscito per i tipi di Capone a Cavallino nel 1990. Il lemma presente “èrtule sf. pl. I vari prodotti dell’orticello” è chiaramente altra cosa.

Senza la presunzione di rallentare gli inesorabili effetti del trascorrere del tempo, a questo punto non mi è parso fuori luogo cercare di saperne di più sulla voce latina averta dal Rohlfs segnalata, anticipando le conclusioni nella trafila: averta>*avertula (diminutivo del precedente)>*vèrtula (dal precedente con aferesi di a-4 e usato solo al plurale vèrtule)>èrtula (dal precedente per aferesi di v-5).

Ecco come esso è trattato nel glossario del Du Cange:

(AVERTA, nella legge 12 del codice sulla viabilità pubblica 1.47, 48, Codice teodosiano sotto lo stessi titolo, Ѐ una bisaccia o zaino; così infatti interpreta questa voce un antico interprete di Orazio nella satira 6 del libro I: Averta è una bisaccia o zaino per riporvi i vestiti da viaggio e altro necessario. [Confronta il glossario della media grecità alla voce Ἀβέρτα]- Da qui

AVERTARIUS Cavallo, nella legge 22 del codice teodosiano sotto lo stesso titolo; Cioè (il cavallo) che viene impiegato per trasportare l’averta, il cavallo da soma, mallier6).

La prima attestazione di averta, dunque, sarebbe contenuta nel codice di Teodosio, che fu promulgato nel 438. Tuttavia i tre passi che  che ci interessano contenenti disposizioni sulla circolazione sulle pubbliche vie e che di seguito riporto dall’edizione Mommsen e Meyer, Widman, Berlino, 1905 (VIII, 5, 47 e 48, p. 388 e VIII, 5, 22, p. 381), risalgono, riSpettivamente, al consolato di Arcadio e Bautone (388), di Onorio ed Evodio (389) e di Valentiniano e Valente (368).

Quoniam veredorum quoque cura pari ratione tractanda est, sexaginta libras sella cum frenis, triginta quinque vero averta non transeat, ea condicione, ut, si quis praescripta moderaminis imperatorii libramenta transcenderit, eius sella in frusta caedatur, averta vero fisci viribus deputetur. (Poiché dev’essere trattata con pari criterio anche la cura dei cavalli di posta, la sella con le redini non superi le sessanta libbre, trenta non superi le sessanta libbre, trentacinque la bisaccia,  con la condizione che, se qualcuno abbia superato i pesi prescritti della disposizione imperiale, la sua sella sia fatta a pezzi, la bisaccia invece sia confiscata)

Si aurum sacrarum largitionum vel argentum ad comitatum nostrum destinatur, una raeda quingentis auri libris, mille vero argenti, si vero privatarum, auri trecentis, quingentis vero argenti lib(ris) oneretur. Sint praeterea duo palatini prosecutores singularum raedarum cum tribus servi[s,] habentes quinquagenarum librarum avertas et saga, quibus par erit eos pro itineris necessitate muniri, ita ut, si quid ultra praescriptum nostrae serenitatis inventum fuerit, ad comitatum nostrum protinus dirigatur. (Se l’oro o l’argento di sacre elargizioni è destinato alla nostra scorta, una sola carrozza sia caricata di cinquecento libbre di oro, di mille d’argento; se di offerte private, di trecento libbre di oro, cinquecento d’argento. Ci siano inoltre due due guardie del palazzo imperiale per ogni singola carrozza con tre servi aventi bisacce di cinquanta libbre ciascuno e mantelli dei quali sarà conveniente che siano muniti per le necessità del viaggio, così che, se qualche cosa oltre il prescritto per la nostra sicurezza si sia presentato, ci si rivolga alla nostra scorta)

Praeterea illud adiungimus, ut parhippum vel avertarium nullus accipiat, nullus inpune praesumat, nisi eum nostrae serenitatis arbitrio aliqua necessitate cogente vir inl(ustris) magister officiorum textui evectionis addiderit. (Inoltre aggiungiamo che nessuno prenda un cavallo supplementare o da soma, nulla presuma di farlo impunemente se ad arbitrio della nostra sicurezza l’ufficiale addetto costretto da qualche necessità non l’abbia aggiunto al contesto del trasporto).   

Qui avertarius, derivato di averta, non è altro che l’antenato animale dell’umano vertolaro modellato su vertola. Facilmente intuibile è, però, come averta fosse in uso già prima del 368. Infatti la voce è presente in un editto sui prezzi (De pretiis rerum) di Diocleziano che fu imperatore, da solo,  dal 284 e, dal 286 come Augusto d’Oriente con Massimiano, come Augusto d’Occidente, fino al 305. Ce lo tramanda un’iscrizione (CIL 12, 69) replicata in più zone dell’impero: … de lor[amentis]/averta primae formae in caruca (denariis) mill]e quingent[is] … (sulle corregge: una bisaccia di prima forma su carrozza millecinquecento denari …)

Purtroppo non è dato sapere quale fosse questa prima forma (probabilmente, vista la tariffa, era quella più voluminosa) ma dalle fonti fin qui riportate, si evince che l’averta era, sostanzialmente, quello che è il bagaglio dei viaggi attuali.

Alla fine del lemma AVERTA il Du Cange rinvia al suo glossario greco e precisamente al lemma Ἀβέρτα. Lo riproduco, lo traduco e commento, come ho appena finito di fare per AVERTA.

(ΑΒΈΡΤΑ, Ἀβέρτης. Glosse laline-greche Liba, Ἀβέρτης. Glosse di Servio: Averta, Ἀβέρτης. Suida: molti ora chiamano Ἀβέρτα la ἀορτἠ. È un contenitore e un nome macedone. Da Esichio invero è spiegato ἀορτἠ come la cinghia della spada (è chiamata) dai Macedoni. Ma averta significa altro per i latini: è infatti la bisaccia o zaino per i vestiti da viaggio, come affermiamo nel glossario della media latinità. Libro 57 della Basilicorum synopsis maior titolo 17 dal libro 12 Codice sulla pubblica viabilità: Poiché è necessario trattare pure dei cavalli, di sessanta libbre siano la sella e il freno. La bisaccia, cioè lo zaino che si porta sulla schiena (è chiamata bisaccia dal fatto che è volta all’indietro) sia anche questa di sessanta libbre. Se qualcuno andrà oltre questa misura stabilita, la sua sella sarà fatta a pezzi e la bisaccia confiscata. Dove le Ecloghe hanno βέρτα)

Al di là dei dubbi espressi dal Du Cange sui rapporti tra la latina averta e le greche Ἀβέρτα/βέρτα/ἀορτἠ, mi pare che la cronologia parli chiaramente sull’origine latina della voce: Esichio fiorì nel V secolo: la Suda, pur rifacendosi a fonti antiche, risale al X secolo e così pure la Basilicorum synopsis, il cui brano riportato è quello dell’editto teodosiano. Si hanno, dunque, buoni motivi per ritenere che la latina averta, da voce comune, abbia assunto una sorta di nobilitazione giuridica e come tale si sia diffusa nel mondo bizantino con la trascrizione Ἀβέρτα/βέρτα.

A riprova, comunque, della sua sopravvivenza basti considerare, oltre alle salentine vertola e èrtula, la variante bèrtola presente nella letteratura napoletana del XVII secolo:

Giambattista Basile, Le Muse napoletane, Polinnia overo lo vicchio nnammorato, Egroca settema (cito dall’edizione Mollo, Napoli, 1693, p. 106): :… ch’è tiempo d’allestire/le bertole da fare lo viaggio … ( … è tempo d’allestire i bagagli; per fare il viaggio …); Pentamerone, IX, 3  (cito dall’edizione Lupardi, Roma, 1679, pp. 906-907: Cossì decenno, puostose no capopurpo ncuollo, li calantrielle à li piede, na vertola a travierzo le spalle … (Così dicendo, postosi sul collo una rete per la pesca dei polpi, gli stivali ai piedi, una vertola sulle spalle …).

Filippo Sgruttendio di Scafato, La tiorba a taccone, corda IX, A Cecca la catubba (cito dall’edizione Porcelli, Napoli, p. 247: … Tene janche doie zizzelle7,/che ne ncaca8 a Galione:/si se move fa squaselle9,/fanno mpietto tordeglione10/e le puoie tenere mbraccia/comm’a bertola, o vesaccia ... ( … Ha bianche due mammelle con cui fa schifo a Galeone: se si muove fa moine, sembrano mosconi che danzano in petto e le puoi tenere in braccio come bertola o bisaccia …). E non posso non citare,  oltre al sardo bèrtula,  il proverbio siciliano Aviri li vertuli chini e la panza vacanti (Avere le bisacce piene e la pancia vuota), icastico quadretto di chi pensa solo ad accumulare ricchezza risparmiando, magari, sui bisogni fondamentali.

Così il nostro èrtula, pur nella relativa ed inevitabile incertezza di alcuni passaggi semantici e non solo, è la tappa finale di un lungo viaggio quasi sicuramente, per quanto ho detto all’inizio, destinato a perdersi nelle tenebre, nelle quali il tempo lentamente ma inesorabilmente avviluppa le nostre memorie e, con esse, le nostre parole.

_______

1 Anche questa locuzione è registrata nel libro del Chirivì a p. 128 nella variante Riccogghi li scercule ca giramu l’Apu. Per scèrcule vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/03/06/sscercule/.

2 Prodotto, com’è noto, ancora oggi dalla Piaggio, che a suo tempo lanciò, con ispirazione onomastica simile, la mitica Vespa.

3 Verlag der Bayer. Akad. d. Wiss., München, 2 volumi (1956-1957) e 1 suppl. (1961), ristampato da Congedo Editore, Galatina, nel 1976.

4 L’aferesi di a- potrebbe essere stata indotta dal fenomeno dell’errata concrezione dell’articolo (avertula>l’avertula>la vertula>vertula). Tale fenomeno è presente pure in italiano: lastrico (da astrico>l’astrico>lastrico>il lastrico, forse per incrocio con lastra).

5 L’aferesi, questa volta di v– è altro fenomeno ricorrente: basti ricordare che il leccese vastasi citato dal Vacca diventa astasi a Nardò.

6 Voce francese antica che definiva il cavallo da posta.

7 Formalmente è diminutivo di zizza, ma qui, secondo me, assume un valore dispregiativo in linea con quanto segue.

8 Alla lettera: riempie di cacca.

9 Da Parole del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano, Porcelli, Napoli, 1789:

10 Corrisponde all’italiano tortiglione, che designa genericamente un oggetto avvolto a spirale; in particolare è un tipo di acconciatura femminile, una decorazione architettonica a forma di treccia o si corda ritorta, una candela spiraliforme, un tipo di pasta e, in entomologia, l’insetto chiamato anche sigaraio. Nella mia traduzione ho voluto mettere in campo quest’ultimo per recuperare, con l’idea del volo fastidioso,  un’efficacia espressiva che, secondo me, l’autore voleva dare alla similitudine.

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2 Commenti a Dialetti salentini: èrtula

  1. MITO, FILOLOGIA, TESSITURA. UN PREZIOSO SPIRAGLIO SUI TEMPI CHE “BERTA FILAVA” ….

    DIALETTI SALENTINI: “ÈRTULA”. PREMESSO E CHIARITO CHE il filologo tedesco [il Rholfs] ha utilizzato il suo [di Nicola Vacca] contributo «in II, p. 208″: vertularu (L ces) m. venditore di roba fatta al telaio [cfr. il calabrese vèrtula bisaccia, dal latino averta idem] v. vèrtula […] Apprendiamo così che all’epoca in cui il Rholfs raccoglieva sul campo, e di persona, i fiori del nostro dialetto, le tre voci erano in uso solo nel Leccese e più precisamente: vertularu a Santa Cesarea Terme (L ces), vèrtule ad Aradeo e Ruffano (L ar, ru), èrtula a Lecce e Squinzano (L l, sq) con citazione dell’articolo del Vacca (L 19)», SI PUO’ DIRE CHE i motivi addotti sono buoni e si può ritenere, sicuramente, «che la latina “averta”, da voce comune, abbia assunto una sorta di nobilitazione giuridica e come tale si sia diffusa nel mondo bizantino con la trascrizione “Ἀβέρτα/βέρτα”».

    AVERTA/BERTA. SE LE COSE STANNO così, la preziosa indagine del prof. Polito ((cfr.: https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/03/15/dialetti-salentini-ertula/) sollecita non solo a riflettere di più e meglio sul significato del modo di dire “ai tempi che Berta filava” (https://it.wikipedia.org/wiki/Ai_tempi_che_Berta_filava), ma anche a pensare alle molte allusioni di Rino Gaetano ( https://it.wikipedia.org/wiki/Rino_Gaetano) quando cantava “E Berta filava” (https://www.youtube.com/watch?v=aycwxHB5d6I), e, al contempo, a ripensare a quali e quanti prodotti – oltre le “vertule” – i “vertulari” vanno a comprare alla bottega di Atena (Minerva), ma non di Aracne (Ovidio, “Metamorfosi” – VI) – non ieri, ma oggi! *

    Federico La Sala

    * SUL TEMA, CFR. LA LUNA (“LA SCIANA”), IL DESIDERIO (“LU SPILU”), E IL FILO DI ARACNE. Quanti millenari pregiudizi (https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/03/10/dialetti-salentini-sciana/#comment-218601).

  2. Le – Vostre eccellenti prerogative ci portano a scoprire e riscoprire le tante allocuzioni sulla parola e sull’idioma Salentino: beneficio dello spirito – dell’intimo godere su quanto poi significativamente coniuga l’intero pensiero. Qui in agro di Arnesano – Monteroni – Magliano – Carmiano – Novoli -si ritrova come : ” caricate le irdignule e abbande – suono di rimprovero per chi ha commesso errori : cioè – prendi le tue cose o robe e vai via – l’altro : tra serio e faceto – direi scherzoso pure ” mma cce ta caricate ste irdignule e sti straquenzi ” sarebbe l’aver portato o preso cose inutili oggetti superflui .
    Aggiungo a questo proposito – una scoperta dell’Architetto Vetrugno di Novoli di miei scritti ( dicono poesie che richiama appunto ” irdignule “) riprodotte su ambientazioni fotografiche del territorio dalla prof. Turca di Istambul e esposte come mostra d’Arte a “Centrum ” – sede commerciale in Lecce dal 27-ottobre al 30 dicembre 2018 – sottolineate anche dalla stampa.
    E – la invio : Spiritu te lu ientu
    ca tramuntana cacci
    mena – caricate le irdignule e fuci fore
    tramuntana noscia ca nfrizzuliscia
    spacca musi – ncurta e ncuzza trimulandu
    ni riscela e ni scumbina comu lu tittu
    quista facia quagghiare lu mieru intru l’utti
    cordialità sempre- peppino

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