Dal Salento, spigolature su cronache di ieri e di oggi, in chiave riflessiva

 di Rocco Boccadamo

 

Qualche voce sentenzia che stiamo precipitando, che ci troviamo già sull’orlo dell’abisso?

Per mia natura genetica e, forse, grazie anche ai capelli bianchi, e purtroppo radi, che mostro oramai da lunga pezza, non sono solito indulgere o cedere a sfoghi di allarmismo o disfattismo.

Anzi, l’astro, da cui ho scelto di lasciarmi guidare, irradia giorno e notte, in prevalenza, positività, fiducia nel buon esito delle azioni e delle situazioni, vuoi quando il cielo è azzurro o magicamente stellato e il mare beatamente calmo, vuoi nei frangenti che appaiono delicati e durante le stagioni procellose.

La prossima pietra miliare che mi sfilerà accanto reca inciso il numero 78, sono stato, dunque, autore o piccolo artefice o protagonista di eventi dalle più svariate sfaccettature, con prevalenza, per mia buona sorte, del carattere o risultato positivo e costruttivo.

Al primo posto, ovviamente, l’aver formato una famiglia di apprezzabile consistenza, arrivata ad arricchirsi, addirittura, di una squadretta di nipotini.

In aggiunta, ho sempre espletato con piacere e slancio l’attività lavorativa intrapresa sotto i vent’anni e protrattasi per circa quaranta calendari, traendone, oltre tutto, preziose conoscenze, esperienze, soddisfazioni, successo e carriera.

Una volta esauritasi quella fase interessante, sono diventato amico stretto, sodale e complice per intenti positivi, della penna, con ciò arrivando, in una sorta di seconda vita, a generare novelle creature, che, seppure non in carne e ossa, a parer mio sono parimenti animate: racconti, narrazioni, rievocazioni.

Non so valutare, e osando farlo, di certo, non scommetto sull’attendibilità e validità dell’esito, se sia una fortuna personale e un arricchimento la circostanza di aver percorso, tra fanciullezza e senilità, realtà temporali, insiemi, modelli sociali e di costume così nettamente differenti, quasi avulsi fra loro e senza tracce di collegamento e continuità.

E, però, sia come sia, in seno a queste righe, desidero pormi e navigare a guisa di testimone-osservatore di fatti ed eventi, soffermandomi sul ritmo del loro accadere, sul volume del loro clamore e sull’effetto conseguenziale alla loro risonanza e diffusione.

E’ vero, fra i poli di partenza e di arrivo dell’artigianale disamina in questione, c’è stato il mutamento, lo sviluppo, l’innovazione dei mezzi e canali di comunicazione, generandosi, in tal modo, tante rivoluzioni, da costringere le menti umane e, con raggio più allargato, il comune diffuso sentire, a uno sforzo notevole e profondo su un percorso di adattamento e adeguamento.

A ogni modo, nulla, realmente nulla, è rimasto come prima.

Si è andati più verso il bene o, al contrario, più verso il male? Nemmeno riguardo a questa soglia di quesito, mi cimento in un responso; una cosa, tuttavia, penso sia da condividersi unanimemente: le stesse coscienze si sono in qualche modo modificate, non conferiscono più le risposte, naturali e genuine, dei tempi andati.

A latere, sono andati progressivamente dominando gli influssi delle mode, le spinte all’emulazione cieca, i rigurgiti di aridità nelle relazioni e sul piano della mutua socialità, con il pretesto-alibi di una miserevole auto domanda:” Ma chi me lo fa fare?”.

La propaganda a ogni piè sospinto e con intenti di mero dualismo e contrapposizione verso l’altro, concorrente o semplicemente simile, dagli strati più umili e semplici, fino alle massime rappresentanze e istituzioni politiche o governative, là dove si svolge il fondamentale esercizio del potere e della gestione della cosa pubblica, con ricadute determinanti e vitali sull’ interezza della comunità.

Ripetendo in sintesi, con tanto di nuovo e con gli effetti di una trasformazione così radicale, le cose e la qualità dell’esistenza in senso lato sono migliorate o peggiorate?

Pur essendo venuto al mondo e avendo vissuto fino a diciannove anni in un paesino di poche anime, ho preso, già da piccolo, a familiarizzare, attraverso la radio e gli sparuti quotidiani o riviste su cui occhieggiavo, abusivamente, all’interno della rivendita di Sali e Tabacchi che ne esponeva le copie, con le notizie di cronaca, gli eventi e gli accadimenti in genere.

Primizia di siffatte consultazioni, nell’anno 1946, sapevo appena scrivere le lettere dell’alfabeto, il caso Rina Fort, a Milano, incentrato, come è noto, sull’atto criminale perpetrato da una giovane donna, proveniente dal nord est, la quale, sulla scia e/o dopo il naufragio di una relazione affettiva intrattenuta con un altro immigrato nel capoluogo lombardo, tale Ricciardi di origini siciliane, massacrò la di lui moglie e ben tre figlioletti.

Poi, nel 1953, il caso della giovane Wilma Montesi, rinvenuta morta sulla spiaggia di Torvaianica, un evento che vide coinvolti anche alcuni conosciuti personaggi romani, tra cui il figlio di un importante ministro, quest’ultimo costretto, di riflesso, a dimettersi dalla carica.

Quindi, nel 1958, in Emilia-Romagna, la vicenda, sempre di cronaca nera, Ghiani – Fenaroli, e quella di Giuffrè, il cosiddetto banchiere di Dio, artefice di una clamorosa truffa.  

Includo, in questa breve ma pesante carrellata, l’uccisione di un ricco possidente dell’Alto Salento, nel 1976, per mano del figlio, studente universitario fuori corso.

Avvenimenti, come si evince, tragici, drammatici, sensazionali e, non di meno, scaglionati nel tempo, sì da tenere, singolarmente, a lungo banco nell’ambito dell’opinione pubblica, nella sensibilità e nella sfera emotiva delle persone.

Tutt’altra faccenda, chiaramente, si verifica il giorno d’oggi, con le rivoluzioni intervenute e gli sconvolgimenti annidatisi nelle stesse menti e nei cuori.

Episodi clamorosi, uno a seguire strettamente l’altro, così sovrapponendosi, un baillame di notizie che sgomenta e confonde; nonostante l’indiscussa gravità di ciascun fatto, l’eco di un evento scivola via velocemente per effetto del successivo, giungendo a passare rapidamente in sordina quando non nell’oblio completo.

Dicevo sopra, si registra finanche l’alterazione delle coscienze.

Sul più prestigioso quotidiano italiano, in prima pagina, alcuni giorni fa era richiamata la vicenda della donna che, probabilmente per un’insana reazione alla fine di una storia sentimentale con un uomo sposato, ha soppresso la moglie del medesimo.

Mi ha colpito, specialmente, un particolare riportato in quella notizia. Raccontava, al cronista, il marito della vittima, che, trovatosi a tu per tu con l’ex amante all’interno della caserma dei carabinieri, dopo l’arresto, la donna gli aveva sussurrato:” Posso farti una carezza?”.

A parer mio, beninteso senza trascurare o sminuire una serie di concause, molta parte nei notevoli mutamenti e reazioni verificatisi intorno a noi, sia da porre a carico della pubblicità.

Ma è, quest’ultima, un’opinione del tutto personale, anche se obiettiva e disinteressata.

Riandando, se è concesso, ai miei natali, mi si para innanzi la figura di un compaesano, tale Fiore B. ‘u pisca, di mestiere pescatore e forse anche figlio di un pescatore, il quale, utilizzando un minuscolo gozzo in legno, servendosi di una lunga asta, detta ronca,  terminante in una sorta di arpione, mercé  l’ausilio, infine, di uno “specchio” (secchio metallico chiuso alla base con un vetro) per scrutare i fondali, pescava, fra l’altro, modiche quantità di ricci di mare, li sistemava in un paniere in vimini e, la domenica mattina, li proponeva, in piazza all’uscita dalla S. Messa, ai marittimesi, al prezzo di una lira per ciascun riccio.

Attualmente, la quotazione degli stessi frutti è di cinquanta centesimi d’euro al pezzo, circa mille volte in più. Ordinandone una decina in un ristorante e facendoseli servire a tavola dischiusi, a fronte di dette prelibatezze con gli aculei possono essere richiesti anche venti euro.

Mi piace terminare riallacciandomi a un’iniziale personale annotazione.

Ci troviamo, forse, quasi al punto da scorgere l’abisso sotto di noi, ma io credo che permanga un’àncora utile a preservarci; occorre, però, che tutti, proprio nessuno escluso, compiamo uno sforzo serio e sincero, mettendo in gioco la nostra onestà, la nostra buona volontà, la nostra correttezza, la nostra diponibilità solidale e la nostra buona coscienza vecchia maniera.

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