La poesia popolare del Salento (parte I)

C’è l’influenza del mare nei canti e nelle poesie popolari del Salento

di Cristina Manzo

Quandu nascìì ièu foi spenturata,

parse te l’ura la spentura mia,

stese tre giurni lu mare quagghiatu, lu sule scìa te fore e nu’ paria.

Me purtara alla chiesa a battiscìare,

me morse la mammàna pè la via,

se persera le chiài te l’egghiu Santu

e puru quidde te la sacrestia,

catìu la fonte e ‘ccise la cummàre,

rimasi turchicèdda, mara mie.

(Mala sorte, trad. nelle note)1

Il rombante salire delle maree, il flusso delle correnti, il frangersi dei flutti schiumosi, sono le più spettacolari testimonianze del perpetuo movimento delle acque. Una grande orchestra di flauti, arpe, trombe e archetti, diretta dal grande maestro che è la natura, una rappresentazione in cui mai, in nessun caso, le note seguono uno spartito, il mare è passione che si improvvisa colonna sonora della vita. Un’onda è energia propagata attraverso l’acqua. Quando si avvicina alla spiaggia, urta contro il fondale basso e altera la sua forma, increspandosi in un ricciolo spumeggiante, esse arrivano da lontano e galoppano sul mare come cavalli selvaggi con le criniere al vento. Quando si spalmano sulla battigia, sciogliendo le gesta nervose, diventa, talvolta, un incontro di strumenti musicali.

le zone interessate dallo studio e dalla ricerca sui canti popolari salentini

 

“Se tutta l’Italia è un paese mediterraneo, il Salento, che è l’estrema punta della Puglia, è un paese più particolarmente marino, proteso com’è, in stretta lingua, tra l’Adriatico e lo Jonio; in più, appare come un ponte avanzato verso l’Oriente. Questa particolare posizione ha determinato la storia e la cultura di questa regione, così come ne ha determinato via via, di era in era, i caratteri etnografici, linguistici, folklorici. Sicché essa appare oggi anche all’occhio del profano viaggiatore un caratteristico paese che si distacca nettamente dal resto della Puglia, con un che di grazia e di gentilezza, di acume e di indolenza, di progredito e di antichissimo sia nella popolazione, sia nell’atmosfera, nella cultura dei campi, nell’architettura, in quell’essenza, insomma, che spira da ciascun paese”2.

Salento o Terra D’Otranto è quella regione che si estende in forma di penisola tra il mare Jonio e l’Adriatico. I confini settentrionali di essa, sino ai primi dell’ottocento, si estendevano da Egnazia, Ostuni, Martina Franca, Mottola, Castellaneta, La Taverna del Viglione, sino alla foce del Bradano, si allargavano fino a racchiudere Matera e terminavano alle foci del Basento. Noi col nome di Salento, designiamo quella regione che, sino ad alcuni decenni fa, costituiva un’unica provincia, cioè la provincia di Lecce e che si è poi scissa nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Questa regione ha caratteri geografici, storici, etnici, linguistici, e pertanto folkloristici, peculiari ed unitari che ne fanno una regione a sé, entro la Puglia stessa.

Chi ben guardi la popolazione di questa regione e il suo essere e il suo manifestarsi, la trova antichissima e attuale, con una vitalità remota e complessa, con una civiltà progreditissima ed intima, disincantata e sognante, scettica e raffinata, consapevole ed aperta, quale solo un popolo antico, mediterraneo, cioè esposto da millenni agli influssi più vari e profondi che hanno solcato questo mare può essere. Proteso com’è il Salento nel mare, lingua di terra ultima del tallone d’Italia, trampolino di lancio verso l’oriente, ma parimenti partecipe dell’occidente, vicinissimo alle coste dell’Asia e dell’Africa, non può non essere uno dei paesi più mediterranei d’Italia. È mediterranea per la lingua, cultura e civiltà; nell’architettura e nella scultura, nell’arte, nella poesia e pertanto nell’etnografia e nel folklore. Fascino di un popolo le cui origini sono ancora inviolate – giacciono pietre mute e misteriose le iscrizioni messapiche ancora indecifrate: che cosa mai diranno a chi riuscirà a farle parlare? – ; di un popolo che è stato profondamente greco, romano, bizantino, che ha ancora l’isola linguistica, la «Grecìa», dove si parla il greco, e conserva usi, tradizioni, canti che si ricollegano alla Grecia. Un popolo che ha lottato contro i turchi, che ha scritto la pagina immortale degli ottocento martiri di Otranto; un popolo che partecipa dell’occidente e dell’Oriente, che parla una lingua pura e differente da quella delle altre regioni pugliesi3.

Narrano di queste gesta e di questa influenza straniera nelle vicissitudini e nella cultura dei luoghi storie e leggende numerose e diffuse intorno a castelli, fortezze, punte e insenature, scogli e isolotti lungo le coste.

Una storia in particolare, raccolta a Castro, narra di una scorreria dei Turchi, forse della presa di Castro, perchè dice:

“La pìjàta che fìcera li Turchi una de quelle roba caricàu, una caricàu più de tutti ‘nu grande tesoru nde purtàu. A manu ‘na donna turca ricapitàu era ‘rrivata ‘lli dudici mesi e nu’ sgravidàva. Addài se truvàva ‘na scava cristiana: «’Sta pupa allu paese ne devi mannàre». La donna che sintìa dòje crudeli antru ‘nu grande vascellu la ulìa mannàre ma pìja ‘na barchetta sconsolàta la mina ‘n mare cu l’aria brunita. La sira se parte de Turchia, antra ‘na notte fice tanta via. La gente utrantina hannu vista ‘na lumèra se minàra a mare li marinari la Madonna indietru se tiràu. Sona Capitulu e scise Bonsignòre la Madonna ‘nterra se tiràu.Ca mò se scivi a quellu Santu Papa che s’ha truvàta una gentile rosa.Lu Papa lu giupilèu ci ha dispinsàtu cu’ parduna e cu’ sarva ogni peccatu”4.

        Allude quindi ad un avvenimento noto e ben determinato, non ad una qualsiasi presa dei Turchi. In questa presa i Turchi caricarono sulle loro navi molta roba, specialmente una nave caricò “un gran tesoro” — dice la storia — cioè una statua della Madonna. Questa statua capitò nelle mani di una donna turca, la quale, essendo sul punto di dare alla luce un figlio, non riusciva a partorire. Lì si trovava una schiava cristiana (notevole l’elemento schiavitù di cristiani presso i Turchi, fatto evidentemente comune e noto al popolo che appare adusato a questo fatto, se ne parla senza dare spiegazioni). La quale, spiega la recitatrice, ha capito che la turca non avrebbe potuto partorire se non avesse rimandato in patria, cioè in terra cristiana, la statuetta della Madonna, negletta nella casa di infedeli, anzi, precisa la recitatrice, abbandonata come cosa vile sotto il letto. “Dovresti mandare questa pupa al suo paese”, dice la schiava cristiana alla turca. La quale, poiché sentiva doglie così crudeli, senza esitare, prende la statuetta e la mette in mare su di una barca verso l’imbrunire. La barca, senza guida, in una notte, fece tanta strada che dalla Turchia giunse presso le coste italiane. I pescatori che erano sulla spiaggia al mattino, vedono avvicinarsi la barca con la statua della Madonna e si gettano in mare per portare la statua a terra. Ma la statua arretra, mostrando così di voler essere accolta con tutti gli onori. Infatti suona la campana che riunisce il Capitolo e scende il Vescovo: la statuetta allora da sé scende a terra. Perciò la Madonna dispensa un Giubileo per perdonare e assolvere ogni peccato.

Se risaliamo all’epoca del viaggio di Enea, quando Enea stesso ed altri eroi troiani approdarono alle coste salentine e si installarono in vari luoghi, dando origine a città e civiltà nuove; e poi al tempo della Magna Grecia in cui i legami con la civiltà greca d’oltre mare furono più forti che con la civiltà della penisola, terrestre. Nel periodo della decadenza dell’Impero Romano d’Occidente, la penisola salentina rimase strettamente legata all’ Impero d’Oriente cioè a Bisanzio, particolarmente per opera del Monachesimo Orientale che vi era fiorito.

(continua)

Note

1 Mala sorte (fa parte dei canti raccolti in Lecce), canto recitato da Addolorata Potì, detta Pillàlla, nata in Lecce nell’anno 1858, venditrice di uova, già contadina, non scrive e non legge. Trad.: Quando nacqui io, fui sventurata, si vide da subito la sventura mia, rimase per tre giorni il mare immobile, e il sole usciva fuori ma non si vedeva, mi portarono in chiesa per battezzarmi, mi mori la mamma per la strada, si perdettero le chiavi dell’olio Santo e anche quelle della sacrestia, cadde la fonte (battesimale) e uccise la comare (la madrina), rimasi offesa (fisicamente) povera me, p.282 in Irene Maria Malecore, La poesia popolare nel Salento, Leo S. Olschki Editore MCMLXVII, Firenze, 1967. Biblioteca di «Larès» Organo della società di etnografia italiana e dell’Istituto di Storia delle Tradizioni Popolari Dell’università di Roma. Vol. XXIV.

2 Il mare nel folklore del Salento, di I. M. Malecore, Provincia di Lecce – Mediateca – Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina)         a cura di IMAGO – Lecce. http://www.culturaservizi.it/vrd/files/ZG1959_mare_folklore_Salento.pdf

3 Irene Maria Malecore, La poesia popolare nel Salento, Leo S. Olschki Editore MCMLXVII, Firenze, 1967. Biblioteca di «Larès», Vol. XXIV.

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2 Commenti a La poesia popolare del Salento (parte I)

  1. Vi presento il giovane Alessandro Leogrande scrittore e poeta Salentino nato a Taranto 20/Maggio 1977 morto il 26 Novembre a Roma prematuramente, ci eravamo salutati il 22 novembre 2017 a Campi Salentina durante l’evento “La città del libro”, ha scritto numerosi libri: Il naufragio- uomini e caporali-
    il mare nascosto-l’ancora del mediterraneo era Direttore del mensile “Lo Straniero”

    Proprio nel suo Salento e stata l’ultima sua uscita in pubblico prima della morte improvvisa pochi giorni dopo a soli 40 anni anche il Salone del libro di
    Torino ha perso un grande collaboratore.
    .
    Noi Salentini vogliamo ricordare che Alessandro ha lavorato con la ex squadra Pugliese vincente al Salone Internazionale del libro di Torino
    con al timone il Presidente Massimo Bray,”LE” il Direttore artistico Nicola Lagioia”BA” e Alessandro Leogrande “TA”consulente prezioso,
    Alessandro è stato ricordato alla Casa di reclusione di Saluzzo.

    Amici di questo amato ragazzo, piccoli editori emergenti ecc…partecipate scrivendo il vostro pensiero su questo importante portale,
    un cordiale saluto
    dagli amici di Alessandro
    Torino Ersilio Teifreto

  2. Grazie mille Ersilio per questa importante presentazione di Alessandro. Noi salentini non dimentichiamo i nostri artisti, grazie a loro a cultura e la conoscenza si amplificano e arricchiscono le pagine della nostra storia.

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