I simulacri lignei delle sante martiri e vergini, venerate nelle città di Latiano, Torre Santa Susanna ed Erchie

Busto reliquiario di Santa Lucia

 

di Domenico Ble

 

Il momento principale che riunisce ogni comunità cittadina è senza ombra di dubbio quello della festa patronale. Si tratta di un’occasione di grande coinvolgimento, gli abitanti di ogni comunità cittadina si sentono protagonisti e responsabili della buona riuscita del momento festoso.

Da molti anni, diverse feste patronali pugliesi sono divenute note, anche a livello nazionale, per delle peculiarità folcloristiche ed artigianali. Fra tutte le feste spicca, ad esempio, quella in onore di santa Domenica a Scorrano in provincia di Lecce, divenuta tappa di curiosi e turisti per le famose luminarie.

È importante sottolineare che il cuore di ogni festa patronale è la processione religiosa ossia il momento in cui il simulacro, raffigurante il santo protettore, viene portato in spalla per le vie del paese. L’arte torna ad essere oggetto dominante perché i simulacri, in argento, lignei o in cartapesta, sono veri capolavori dell’arte scultorea.

In questo saggio mi occuperò della devozione nei confronti di tre sante vergini e martiri, omaggiate in tre differenti comunità locali: santa Margherita d’Antiochia a Latiano, santa Susanna a Torre Santa Susanna e santa Lucia a Erchie.

Prima di proseguire nell’analisi dei simulacri, è doveroso accennare alla situazione dell’arte, nel Seicento e Settecento, nel Salento.

Nei territori della grande provincia di Terra d’Otranto, terra di confine rivolta ad Oriente, crocevia di grandi traffici commerciali e di scambi culturali, vi fu in questo periodo in ambito artistico, dal punto di vista pittorico, scultoreo e architettonico, una fusione di molteplici stili, ancora oggi osservabili sulle facciate dei monumenti e nei particolari delle opere mobili.

I contatti artistici non mancarono soprattutto con Napoli, capitale del regno e centro artistico principale del bacino mediterraneo. La committenza presente in Terra d’Otranto e nell’intera Puglia, composta principalmente dai feudatari, dal clero diocesano, dagli ordini sacri e dalle Università, commissionava alle botteghe presenti nella capitale e in provincia la realizzazione di tele, statue, manufatti di vario genere[1]. Fra le richieste, ovviamente rientravano anche le statue lignee, tra cui quelle raffiguranti i santi protettori a cui erano devoti i committenti. Una domanda ulteriormente accresciutasi alla fine del XVII secolo ad opera soprattutto della committenza ecclesiastica[2].

Busto reliquiario di Santa Susanna

 

Fra le varie tipologie di statue, erano molto richiesti i busti-reliquiari[3], i quali potevano essere lignei o di argento ed avevano una funzione devozionale, in quanto i fedeli, attraverso l’ausilio dell’immagine, rivolgevano le loro preghiere alla santa o al santo raffigurati. Allo stesso tempo, svolgevano anche la funzione di contenere le reliquie dei santi: erano questi i motivi per cui tali manufatti assumevano un grande valore artistico e religioso[4].

Santa Susanna è patrona dell’omonima città[5]. La devozione del popolo torrese nei confronti della santa martire, è legata a due episodi a cui è attribuita la sua intercessione per la protezione del popolo: il terremoto del 1743 e il colera del 1837[6]. La tradizione lega comunque il culto, in suo onore ad un episodio ambientato in epoca tardo-romana secondo il quale un soldato romano cristiano realizzò un disegno raffigurante la santa vergine e martire romana su una parete all’interno di una torre presente nel territorio. Non vi sono, tuttavia, fonti scritte che certifichino l’accaduto. L’unica certezza è che a mantenere vivo il culto, fu la presenza di un edificio sacro bizantino, situato poco fuori la città e dedicato a santa Susanna. Tale edificio oggi non è più esistente, tuttavia è bene menzionarlo in quanto dalle mura di questo luogo sacro nacque la città[7].

Santa Margherita d’Antiochia (foto di Vincenzo Doria)

 

Nella chiesa matrice di Torre Santa Susanna, nell’ultima cappella della navata di sinistra, all’interno della teca dell’altare, è conservato il busto-reliquiario ligneo raffigurante la giovane martire romana. In quest’opera la santa è rappresentata con il capo aureolato, rivolto verso l’alto. Con la mano destra tiene la torre, allegoria che ricorda la leggenda da cui deriva il nome della città, e con la mano sinistra la palma del martirio. Indossa un abito in stile seicentesco indorato. Al centro, sul petto, è collocata la piccola teca circolare al cui interno è posta la reliquia.

Nel 1664, in occasione della visita pastorale del vescovo Raffaele Palma,[8] viene riportata la presenza del simulacro all’interno di un armadio collocato nella sagrestia e si fa anche riferimento al colore dorato degli abiti.[9] L’opera potrebbe essere stata realizzata un decennio prima della data in cui la riporta il vescovo nella sua visita pastorale.

Nella vicina città di Erchie sorge il santuario di santa Lucia[10], vergine e martire. Il culto in onore della giovane siracusana ebbe inizio a seguito dello spostamento del corpo da Siracusa a Costantinopoli[11] per volere del generale bizantino Giorgio Maniace. Durante il tragitto, il Maniace e i soldati si fermarono nella foresta oritana, all’interno di una rientranza rocciosa nei pressi del villaggio di Hercle, odierna Erchie. La leggenda vuole che alcuni monaci basiliani che dimoravano lì vicino, visto il corpo della santa siracusana, appena i soldati lasciarono il luogo in cui avevano sostato, decisero di trasformare il posto in luogo di culto e affrescarono le pareti immortalando l’episodio[12]. Ben presto il luogo divenne meta di pellegrinaggio.

A questo luogo è legata un’altra leggenda, quella «della mucca», racconto risalente al XVI secolo. Durante un periodo di grande siccità, si narra, che un vaccaro abitualmente portasse le sue mucche al pascolo proprio vicino alla cappella (grotta). Mentre era nel luogo del pascolo, si accorse dell’allontanamento di una mucca dalla mandria. Questo accade per diversi giorni a seguire, il vaccaro decise di seguire l’animale scoprendo che si allontanava dalla mandria per andare a bere ad una fonte che sgorgava proprio vicino ad un quadro raffigurante santa Lucia. Il popolo di Erchie interpretò questo segno come un prodigio, rinnovò la cappella, collocando il quadro raffigurante la santa sull’altare[13]. Da qui fu poi edificato in epoca moderna l’odierno santuario.

Il simulacro ligneo vede Santa Lucia raffigurata a mezzo busto, con il capo aureolato rivolto verso l’alto. Indossa una semplice veste, con la mano destra regge un vassoio su cui sono poggiati gli occhi, un rimando al martirio ricevuto, mentre con la mano sinistra tiene la palma e un libro. Al centro, sul petto, si trova la piccola edicola in cui è conservata la reliquia.

Alla stessa maniera del busto-reliquiario di santa Susanna, ad esclusione delle mani e del volto, la parte restante è coperta dall’indoratura.

Il simulacro fu realizzato nel 1638, in sostituzione del quadro che era posto sull’altare maggiore e l’indoratura del busto fu effettuata solo dodici anni dopo la realizzazione del simulacro (1650). Questo fu possibile, stando a quanto scrive il Morleo, grazie alla vendita di una chiusura d’olive.[14] L’indoratura del simulacro, caratterizza questa tipologia di statue lignee realizzate per lo più nel XVII e nel XVIII secolo. Questa particolare colorazione veniva adoperata con lo scopo di impreziosire il manufatto, attraverso l’imitazione del metallo[15]. Stando alle fonti, si potrebbe ipotizzare che il simulacro raffigurante santa Lucia sia stato realizzato all’incirca nel primo quarantennio del XVII secolo.

Entrambi i manufatti sono di buona fattura e rievocano per alcuni versi quelli conservati nella chiesa di San Francesco a Manduria, realizzati nell’arco di tempo che va dal 1624 al 1633, e attribuiti a degli intagliatori napoletani[16]. Si potrebbe ipotizzare, che i simulacri di santa Susanna e santa Lucia, siano stati realizzati da autori differenti in quanto la staticità del busto raffigurante santa Susanna è contrapposta alla posa, quasi arcuata verso destra, del simulacro raffigurante santa Lucia. Anche i basamenti sono differenti: quello di santa Lucia è più basso rispetto a quello di santa Susanna che è più massiccio e soprattutto decorato.

A partire dal 1650, nella città di Latiano si venera come patrona Santa Margherita d’Antiochia di Pisidia[17]. Alle origini del culto c’è la famiglia Francone,[18] feudataria di Latiano dal 1511 al 1611[19].

Il nome Margherita ricorreva con grande frequenza all’interno della stessa famiglia e, come riporta lo storico Salvatore Settembrini, a Latiano vi era anche una chiesa intitolata a santa Margherita e posta sotto il patronato dei Francone,[20] i quali affidarono poi l’edificio ai frati domenicani. Agli inizi del Seicento, l’edificio fu demolito e nel 1678 fu edificata al suo posto una nuova chiesa annessa al convento. I frati diedero così un forte impulso alla diffusione del culto in onore della santa.

Nella chiesa madre, all’interno della nicchia posizionata sull’altare di sinistra del transetto, è conservata la statua raffigurante Santa Margherita d’Antiochia tuttora portata in processione ogni 20 di luglio per le vie del paese. Il simulacro vede raffigurata la santa tutta per intero. Questa rivolge lo sguardo verso il cielo, ha il braccio destro in avanti e con la mano sinistra tiene il lembo della veste e la palma. Dal braccio destro pende la catena con la quale tiene legato il diavolo, posizionato in basso ai suoi piedi e raffigurato con dimensioni inferiori e con le fattezze di un arabo. Sempre al braccio destro sono legate delle chiavi, che simboleggiano le chiavi della città di Latiano.

La giovane vergine, schiaccia con il piede sinistro il drago, un rimando figurativo all’animale fantastico che sconfisse in prigione, indossa una veste verde ed è avvolta da un manto rosso. Dietro al capo è posizionata la corona in stile barocco: si tratta di un riferimento alla corona del martirio. L’autore, ancora ignoto, ha raffigurato tutti gli attributi iconografici ad esclusione della croce.

In merito all’anno di realizzazione dell’opera, ipotizzo che possa risalire ai primi dell’Ottocento e questa risulta essere l’ipotesi più valida, in quanto in pieno XIX secolo si assiste in Terra d’Otranto al crescente successo delle statue in cartapesta. Ciò induce a pensare che la realizzazione lignea debba necessariamente essere avvenuta prima dell’affermarsi della cartapesta.[21]

La statua, di grande pregio e raffinatezza, è finemente resa nei minimi particolari, basti osservare il panneggio della veste, le mani, la gestualità e l’espressività del volto, da cui traspare l’emotività. A mio avviso, l’opera è di fattura napoletana, un restauro riporterebbe alla luce le giuste tonalità dei colori.

Come ben sappiamo, il gusto napoletano continuò ad affermarsi in maniera abbondante nel Salento, nel XVIII secolo, a seguito di una crescente richiesta da parte della committenza[22]. Il trionfo della scultura lignea, in area brindisina e tarantina, è confermato dalla presenza di numerose statue lignee, di maestri napoletani. Ad esempio, allo scultore Francesco Del Vecchio, vengono attribuite la Madonna della Fontana, custodita nella chiesa matrice di Francavilla Fontana[23] e l’Immacolata Concezione conservata nella chiesa matrice di Ceglie Messapica.[24] Ai fratelli Gennaro e Michele Trillocco viene attribuita la statua di San Gregorio Magno, conservata nella chiesa della S.S Trinità a Manduria.[25] Giuseppe Picano, realizza l’Immacolata nell’Oratorio del SS. Sacramento di Grottaglie e un’altra Immacolata per la chiesa di San Francesco di Manduria.[26]

Santa Margherita d’Antiochia (Foto di Vincenzo Doria)

[1] d. Pasculli Ferrara, Napoli e la Puglia in Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Schena, Fasano 1986, pp. 12-19.

[2] R. Casciaro, Napoli vista da fuori: sculture di età barocca in Terra d’Otranto e oltre in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, a cura di R. Casciaro e A. Cassiano, De Luca Editori Arte, Roma 2007, p. 57.

[3] p. Leone De Castris, Sculture in legno di primo Seicento in Terra d’Otranto, tra produzione locale e importazioni da Napoli in Sculture di età barocca, cit., p. 23; P. Staffiero, Appunti per lo studio della scultura lignea in Simulacri Sacri. Statue in legno e cartapesta del territorio C.R.S.E.C (a cura di R. Poso), Grafema, Taviano 2000, p. 38.

[4] Dei pregiati esempi di busti reliquiari, validi esemplari non solo per la capitale ma anche per le province, sono quelli conservati nella lipsanoteca della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli.

[5] Torre Santa Susanna. Originaria di Roma, la santa visse nel III secolo d.C. Dal punto di vista agiografico è difficile ricostruirne le vicende storiche nonostante le diverse testimonianze presenti. Durante il VI secolo fu composta una passio, in cui si racconta che Susanna era figlia del sacerdote Gabino, cugino dell’imperatore Diocleziano. La giovane fanciulla fu chiesta in sposa per Massimiano, il figlio dell’imperatore. Ella non accettò tale decisione e fu uccisa. (Bibliotheca Sanctorum, Vol. XII, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova Editrice, Roma 1969, pp. 78- 79).

[6] Aa. Vv., Santi di casa nostra. La Puglia dei Patroni e delle feste patronali, Schena, Fasano 2000, p. 90.

[7] A. Trinchera, Torre Santa Susanna. Lineamenti Storici, Edizioni del Grifo, Lecce 2005, p. 79; M. Morleo, Torre Santa Susanna. Pagine sparse di storia e arte, Locorotondo, Mesagne 2013, p. 41.

[8] Mons. Raffaele Palma fu vescovo della Diocesi di Oria dal 1650 al 1674.

[9] M. Morleo, Torre Santa Susanna, cit., pp. 201-202.

[10] Santa Lucia, era di Siracusa e visse a cavallo fra III e IV secolo d.C. Nella passio, si racconta che durante un pellegrinaggio al sepolcro della martire Agata a Catania per implorare la guarigione della madre, le apparve la santa che le preannunziò il martirio. Ritornata a Siracusa decise di rinunciare al matrimonio e cominciò a distribuire i suoi beni ai poveri. Fu denunciata in quanto cristiana e dunque le furono afflitte diverse tentazioni affinché rinnegasse la sua fede. Fu torturata e nonostante questo non rinnegò. Alla fine, fu trucidata. (Cfr, Bibliotheca Sanctorum, cit., vol. VIII, pp. 242 – 258.). Jacopo da Varrazze in merito a santa Lucia scrisse: “Lucia deriva da luce. La luce infatti è bella da vedere, dato che come dice Ambrogio, essa è tale che fa risplendere tutte le cose belle. Si diffonde inoltre senza perdere purezza […] Con ciò si intende che la conformità del nome è dovuta al fatto che la beata vergine Lucia brilla della purezza della verginità senza alcuna macchia, infonde la carità senza amore che non sia puro, direttamente si rivolge a Dio, senza mai deviare, e sa seguire fino in fondo la via tracciata dalla volontà divina, senza mai adattarsi nella negligenza…” (J. Da Varrazze, Legenda Aurea, a cura di A. e L. Vitale Brovarone, Einaudi, Torino 1995, p. 34; iconograficamente viene raffigurata con la palma del martirio, la corona in testa e sulla mano mantiene il piatto con sopra gli occhi. Quest’ultimo attributo è per via della leggenda che vuole che alla santa siano stati strappati. Altri simboli associati, anche se con meno frequenza, sono il libro, la lampada, il calice e la spada.

[11] C. V. Morleo, Erchie, dalle origini ad oggi, Italgrafica Edizioni, Oria 1993, p. 165.

[12] Ibidem, 166.

[13] Ibidem, pp. 167-168.

[14] Ibidem, pp. 171-172.

[15] P. Staffiero, Appunti per lo studio, cit., p. 35. Raffaele Casciaro, in merito alla tecnica dell’indoratura, sui busti – reliquiari, ha scritto: “Il persistente successo della scultura dipinta, nonostante gli anatemi delle accademie, si deve indubbiamente all’efficacia devozionale delle statue colorate, che le province continuano a richiedere senza sosta, anche dopo l’estinzione delle dinastie degli scultori napoletani e oltre i limiti temporali della fortuna della cartapesta leccese.” (Cfr. R. Casciaro, Napoli vista da fuori, cit., pp. 49-50).

[16] R. Casciaro-A. Cassiano, Sculture di età barocca, cit., pp. 172-179.

[17] Santa Margherita, o Marina in Oriente, era una giovane di Antiochia di Pisidia, vissuta nel III secolo d.C. Secondo quanto narrato nella passio, Margherita era figlia di un sacerdote pagano e fu cresciuta da una balia cristiana che la educò al cristianesimo. Il padre, appena apprese della fede cristiana della figlia, la cacciò via. Un giorno mentre pascolava il gregge, fu notata dal prefetto Olibrio, che se ne innamorò subito e la reclamò come sposa. Margherita lo rifiutò e consacrò la sua vita alla fede. Il prefetto, la denunciò in quanto cristiana e fu arrestata. Subì diverse torture in prigione, fra cui anche la tentazione del demonio, che secondo la leggenda, gli apparve sotto forma di drago. Mostro che sconfisse con la croce. Le torture non le infliggevano alcun dolore e così le fu tagliato il capo; Bibliotheca Sanctorum, Vol. VIII, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova Editrice, Roma 1967, pp. 1150 – 1166. Iconograficamente santa Margherita viene raffigurata con la palma del martirio, la corona sul capo, la croce e il drago.

[18]A. foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Forni Editore, Sala Bolognese, pp. 97- 98: “Nobile ed antica famiglia napoletana, le cui memorie risalgono al tempo de’ Re Angioini. Essa godette nobiltà in Napoli (al Seggio di Montagna), in Mesagne ed in Lecce, ove probabilmente fu importata sul finire del sec. XIV da Andrea Francone che sposò Antonia Lettere. Possedette questa Casa di Marchesato di Salcito; e, in Terra d’Otranto, i Casali di Castrifrancone e Trepuzzi col feudo di Terenzano e metà del feudo di San Donato, in territorio di Oria, sin dal 1396, tutti portati in dote al sudetto Andrea da sua moglie Antonia Letterem e i Casali di Latiano, Lizzano che Claudio Francone, nel 1592 comprò da Marco Antonio de Raho per ducati 29 mila, e Sava (1633). Oliviero su governatore di Lecce nel 1415. La famiglia Francone imparentò con Lettere, dell’Acaya, dell’Antoglietta, Mosco, Maresgallo, de Noha, Sanseverino, Caracciolo, Dentice, Sanfelice e altri. Arma: D’azzurro, spaccato; nel 71 al leopardo d’oro, armato e lampasato di rosso; nel 2. a tre rose di rosso, 1, 2”;

[19] S. Settembrini, Sindaci, notai e famiglie feudatarie di Latiano, Neografica, Latiano 2002, pp. 149-166.

[20] Ibidem, p. 9.

[21] Sull’introduzione e il successo della statuaria in cartapesta nel Salento, ne parla Giuseppe De Simone: “Il XIX secolo fu il secolo in cui la cartapesta leccese, ormai da tempo acquisita una propria identità, si rafforzò e si diffuse moltissimo […] Fu il secolo dei grandi maestri (capiscuola) attorno ai quali si avvicendarono molti discepoli che, a loro volta, divennero bravi statuari, che alimentarono una tradizione viva sino ai giorni nostri.” (G. De Simone, Tesori di carta. Le raffigurazioni in cartapesta nelle chiese antiche di Lecce, Edizioni del Grifo, Lecce 2002, p. 18).

[22] C. Gelao, La scultura in Puglia dal 1734 al 1799 in La Puglia al tempo dei Borbone. Storia e cultura, a cura di C. Gelao, Mario Adda Editore, Bari 2000, pp. 133-147.

[23] G.G. Borrelli, Madonna col Bambino in Sculture di età barocca, cit., pp. 308-311; E. VALCACCIA, Scultura lignea del Settecento a Napoli. Nuovi spunti e proposte, Nicola Longobardi, Castellammare di Stabia 2018, p. 49.

[24] R. Casciaro, Napoli vista da fuori: sculture di età barocca in Terra d’Otranto e oltre, in Sculture di età barocca, cit., pp. 69-70; E. Valcaccia, Scultura lignea del Settecento, cit., p. 57.

[25] Ibidem, p. 60.

[26] C. Gelao, La scultura in Puglia, cit., p. 146.

 

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