Dialetti salentini: picusia

di Armando Polito

L’amico Pasquale Chirivì mi ha chiamato in causa in un suo post del 7 u. s.. Per fare più presto evito di trascriverne il testo e lo riporto in formato immagine integralmente e con i commenti che ci sono stati, aggiornati fino alla data in cui scrivo (9).

 

il quesito posto è, almeno per me, particolarmente intrigante per i seguenti motivi:

1) non ho mai sentito tale parola.

2) Essa non è registrata nell’opera che ancora oggi è un fondamentale, imprescindibile punto di riferimento per chi, addetto ai lavori o semplice curioso, nutra interessi (sicuramente malsani per i tanti avventurieri della finanza e della politica …), cioè il Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto) di Gerard Rholfs, di tal genere dal Rhollfs (Vocabolario dei dialetti salentini, Congedo, Galatina, 1976. Nemmeno Antonio Garrisi la riporta nel suo Dizionario leccese-italiano, Capone, Cavallino, 1990 ed essa è assente anche nel blog di Giuseppe Presicce Il dialetto salentino come si parla a Scorrano (http://www.dialettosalentino.it/scumagnare.html).

Con tali premesse dare una risposta soddisfacente a Pasquale appare impresa improba. Dico subito che tale resterà fino alla fine di questo post, almeno che qualche lettore di questo blog non fornisca nel suo sempre auspicabile (son qui per questo …) commento qualche valido suggerimento.

Posso dire solo che a prima vista la parola forse si colloca nell’ampia lista di quelle terminanti in –ia. Di queste alcune hanno origine greca, per esempio: fantasia (leggi fantasìa), che è dal verbo φαντάζω (leggi fantàzo, che significa  rendere visibile, creare un’illusione, ingannare, a sua volta da φαἱνω (leggi fàino), che significa far vedere, apparire; altre derivano dal latino medioevale ma si rifanno al greco. per esempio come nostalgia, che è dal latino medioevale nostalgĭa(m), dal greco nóstos che significa ritorno + ἂλγος (leggi algos) che significa dolore, alla lettera dolore del ritorno, quasi una definizione poetica …); altre ancora sono di formazione più o meno recente, come ritrosia, che è dall’aggettivo ritroso.

Sulla scorta di tali osservazioni e procedendo per esclusione (non ho trovato voce greca o latina cui potesse collegarsi nessuna voce greca o latina che potesse collegarsi picusìa), ho pensato per la nostra voce ad una formazione relativamente recente e ad un’origine aggettivale.

Il dialetto napoletano antico (chiedo aiuto agli amici napoletani per l’eventuale sopravvivenza della voce) registra pecuso o (in alcune edizioni) picuso: Giovan Battista Basile, (1575–1632), Lo viecchio nnammorato, Egroga settema (cito da Le Muse napolitane, Egloghe di Giovanni Domenico Montarano1, Napoli, 1635, p. 221 (è Millo che parla):

Ma dato e, e non concesso, che sta bella guagnastra2 se voglia strafocare, e perdere la bella gioventute co no schianta-malanne, co no viecchio picuso , co no brutto vavuso3, dimme, che pesce piglie, che pensiero è lo tujo? Comme starranno insieme, che questo no sparenta na polletra à na stalla, e na jommenta4.

Gabriele Fasano (1654-1698), La Gierosalemme libberata, xviii, 23 (cito da Collezione di tutti i poemi in lingua napoletana, tomo XIV, parte 2a, Porcelli, Napoli, 1786, p. 163): Vede, ch’addove passa, esce la rosa,/lo giglio, giesommine5 e ttolepane6:/foglia torzute7 la cchiù bella cosa/de lo Munno; cetrole, erve, e ffontane/. E attuorno, e ncoppa ad isso la pecosa/serva8 spozzà pareale9; comme llane10/(pocca porzì11 la scorza mmerduta12 era/de ll’arvole13) nce stesse Primmavera.

Nel libretto, opera di Gennaro Antonio Federico (morto nel 1744), della commedia Lo frate ‘nnamorato,. musicata da Giovanni Battista Pergolesi, rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1732 e poi, con modifiche, dello stesso autore, sempre a Napoli, in occasione del Carnevale (è Marcaniello che parla): Schiatta: so’ biecchio ‘nterra, pedagruso, pecuso, catarruso; tengo tutto l’Incurabbile ‘ncuollo; e ppuro è vero ca m’aggio da ‘nzurare e ppigliareme Nina.

Il contesto consente solo di affermare con sicurezza, fatta eccezione per la pecosa serva del Fasano, che la voce ha un’accezione negativa. Per saperne di più vengono in soccorso:

Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si discostano dal dialetto toscano, Porcelli, Napoli, 1789, tomo II, p. 20:

Pietro Paolo Volpe, Vocabolario napolitano-italiano, Gabriele Sarracino, Napoli, 1869, p. 236:

 

Raffaele D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, Tipografia Chiurazzi, Napoli, 1873,. p. 281:

 

Il lettore noterà che nel Volpe sorprende la locuzione vuosco pecuso resa in italiano con bosco broccuto, dal momento che al bosco mal si addice il concetto, per quanto traslato, di asmatico. Tuttavia, tenendo conto che broccuto o broccoso significa pieno di nodi o di grumi e che la voce deriva da brocco che può significare cavallo di scarso valore (pure con riferimento traslato a persona) oppure ramo secco, spina, dal latino broccu(m) che significa dente sporgente, lo slittamento metaforico da asmatico alla necessità di respirare a bocca aperta mostrando i denti più o meno sporgenti (con l’età, poi, la piorrea alveolare farà il resto …) e da questi ai rami nodosi del bosco il passo è piuttosto breve. Vuosco pecuso è tal quale la pecosa serva del Fasano. Va aggiunto che per la seconda serie di significati il D’Ambra mette in campo la pica, ma non dà nessuna indicazione per la prima serie. Tuttavia poco prima registra il lemma pecone:

Il fatto che al lemma pecuso non rinvii a pecone mi fa ipotizzare che secondo lui non c’è nessun rapporto tra pecone e la prima serie di significati di pecuso. va detto, fra l’altro, che il D’Ambra sembra parafrasare (non mi spingo a dire copiare, ma i motori di ricerca svelano tanti altarini, recenti e  datati ….) il trattamento con cui il lemma  pecune \appare nel dizionario del 1789 che prima ho citato:

Il secondo riprende nel primo significato il precedente broccoso ingentilito in peloso, setoloso e nel secondo quello di asmatico con l’aggiunta di tossicoloso, catarroso, aggiungendovi pure la proposta etimologica della pica, il cui verso appare come una metafora del suono emesso da chi tenta ripetutamente di schiarirsi la gola e la voce, tipico di chi è affetto da catarro.

Dopo tutta questa litania giungiamo alla desolante conclusione che dal napoletano pecuso/picuso il nostro picusia appare lontano le mille miglia, almeno stando alla definizione datane da Pasquale.

E allora? Nella ricerca di un etimo si deve sempre mettere in conto il fatto che la parola propostaci abbia subito una deformazione rispetto all’originale. Ciò può dipendere dai fattori più strani, come la somiglianza rispetto ad altra parola con la quale viene confusa oppure incrociata, senza escludere qualche difetto personale uditivo o di pronuncia da parte di chi l’ha ascoltata, fatta sua e poi tramandata. Premesso che tutto ciò non sia da ascrivere a Pasquale, del quale conosco il rigore documentario, non mi resta che ipotizzare che picusia derivi da piccusu (che come l’italiano piccoso e il napoletano picusu significa cocciuto, ostinato ed è da picca, arma con in cima una punta di ferro) deformato in picusu. Il picuso appena citato non trova riscontro nella letteratura napoletana del passato, il che autorizza a supporre che sia di formazione recente. Di conseguenza il nostro picusia, se derivasse dalla voce napoletana, sarebbe anch’esso di formazione recente e, tenendo conto della definizione data da Pasquale, partendo dal carattere genericamente ossessionante dell’ostinazione, avrebbe assunto un significato, per così dire, specialistico, in cui l’ostinazione è diventata una vera e propria mania.

Il suffisso -ia nel nostro caso denoterebbe, così, una disposizione della mente che, a differenza, per esempio, delle normali manifestazioni della fantasia e della nostalgia, qui assume un carattere patologico, come la gelosia eccessiva, che si nutre di sospetti.sovente infondati e di insicurezze sedimentate. Non a caso geloso è dal latino tardo zelosu(m), che significa pieno di zelo, derivato di zelus, che è a sua volta dal greco ζῆλος. E, a proposito di zelo, credo che esso non sia mancato da parte mia nell’affrontare la questione, anche se i risultati sono, lo dico io, non pienamente soddisfacenti …

_____________

1 Pseudonimo anagrammatico (quasi perfetto …) di Gian Battista Basile.

2 ragazza di mondo (da guagliona=ragazza, con sostituzione del presunto accrescitivo -ona con il dispregiativo -astra.

3 bavoso.

4 non rioesce a distinguere in una stalla una puledra (giovane cavalla non ancora domata) da una giumenta (cavalla da sella).

5 gelsomino-

6 tulipano.

7 larghe, robuste.

8 selva.

9 gli sembrava sbocciare.

10 come se lì.

11 pure perché.

12 inverdtita.

13 alberi.

 

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Un commento a Dialetti salentini: picusia

  1. Mi pare eccellente e scientifica la definizione data da Pasquale Chirivì, e vista la rarità del termine, che comunque ho sentito molti anni addietro, vedrò di cercare conferme tra qualche anziano. Se ricordo bene era riferito più alle donne, delle quali si voleva descrivere l’eccessiva pignoleria. Ma approfondirò, anche perché è stata una occasione per recuperare un termine oramai scomparso

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