La Felce di S. Giovanni o del Solstizio tra leggenda, magia e medicina popolare

di Gianfranco Mele

 

La Felce ricorre in molti miti come pianta magica. Si tratta di una pianta particolare poiché non produce fiori (ma nella leggenda, il fiore appare, nella notte di S. Giovanni) e vive nel sottobosco; secondo un mito nordico, le felci si diffondono di notte, quando nessuno vaga nei boschi, e nascono dalla polvere magica dispersa da una fata.[1] Sembra inoltre che la felce fosse offerta al dio Pan durante i riti propiziatori in suo onore.

Nell’ambito dei verbali inquisitori pervenutici dal Tribunale del Santo Officio di Oria, la masciàra Grazia Gallero racconta, nel 1679, di una herba incantata utilizzata per i legamenti d’amore, e questo è uno dei pochi passi dei verbali orietani nei quali si fa espressamente il nome della pianta (le herbe son sempre presenti ma difficilmente se ne specifica il nome): trattasi di una Felce.

Ho fatto ancora l’herba incantata, la quale serve pure per far volere bene, e si fa in questo modo. La notte di S. Giovanni Battista sono andata con un sacerdote più volte in campagna a raccogliere la sementa dell’herba, chiamata filice, ponendola sopra un panno d’altare, portato dal sacerdote stando esso presente colla stola, e doppo la detta sementa l’ho sanata al sole, e conservata perchè mi viene domandata e venendo l’occasione di qualche huomo, ò donna, che la vuole, ne ho pigliata un poco, e postala sopra la pianta della mano, coll’altra pianta della mano, l’ho stricata e vedettala come polvere, dicendo tre volte, fra tanto, diavolo vogli bene alla tale persona, e doppo la detta polvere l’ho data a chi me l’ha domandata, acciò la buttasse sopra la persona desiderata”. [2]

La “Felce magica” è presente nelle leggende di diversi luoghi: si credeva che facesse semi che nascevano e cadevano nella sola notte di S. Giovanni, per cui bisognava andarla a cercare a mezzanotte della vigilia: tali semi avevano il potere di tener lontani i malefici[3] (in realtà la felce non si riproduce attraverso semi, ma grazie a spore, che evidentemente venivano scambiate per semi).[4] Le erano attribuiti anche altri poteri, come si evince da questa citazione che raccoglie alcune credenze abruzzesi:

nella notte di S. Giovanni fiorisce la felce. E’ questa un’erba che nessuno ha mai vista in fiore; perchè, in un momento della stessa notte fiorisce, forma il seme, e torna ad essere come prima (fiurisce e sfiurisce); e sarebbe atto empio stare a spiare il momento di quella fioritura. Chi, steso un fazzoletto sotto la pianta, andasse a un crocicchio, poggiando il mento su di una forca, vedrebbe un andirivieni di streghe, stregoni, maghi, diavoli, beffantisi di lui; ma, in compenso, passata la notte, e raccolto il fazzoletto, coi fiori che per avventura vi cadessero, avrebbe seco un talismano potentissimo per ottenere da altri qualsiasi cosa: per es. favori, merce a buon mercato, e quasi gratis, etc.; perchè quei fiori eserciterebbero una forza irresistibile, da far piegare qualunque volontà”. [5]

 

In Lazio, a Sora (FR), al confine con l’ Abruzzo, si racconta che

Lungo il fiume Liri, in questo giorno [di S. Giovanni], le donne di Sora battono l’acqua con scope e scongiuri per allontanare le streghe; nel suo corso sono soprattutto raccolte le felci, un uso contro il quale si pronunciano due Sinodi di Ferrara del 1599 e del 1612, che ritenevano questa raccolta un’invenzione diabolica e fraudolenta. Nel 1612 veniva condannato anche il costume di esporre i panni alla ‘guazza’. Secondo la testimonianza dell’erborista Pierandrea Mattioli, dalle felci, tagliate e portate in casa, si traeva il seme disseccato per usarlo contro il diavolo, con l’accompagnamento di incantesimi. Nella stessa notte si raccoglieva la Salvia sulla quale si tracciavano scritte per combattere la febbre terzana, l’Artemisia, la Ruta, il Finocchio e la Fava. Le donne per ottenere la fecondità bevevano infusi di queste erbe o se ne cingevano le reni. Le stesse erbe si usavano in filtri amatori”.[6]

Il Mattioli ci fornisce una dettagliata descrizione sia delle proprietà che delle credenze popolari sulle Felci, nonché degli usi medici in antichità :

“Il volgo crede che il seme della Felce, non si possa ricorre, se non la notte di San Giovanni, con alcuni incanti, coi quali vogliono, che scaccino i diavoli, che gli fanno la guardia. Ma queste superstizioni non hanno credito appresso di me veruno; delle quali così al 2° capo del 9° lib. dell’ istoria delle piante scrisse Teofrasto, dicendo: La Felce femmina incorporata con Mele, è utile contra i vermini larghi dell’interiora: e contra i lunghi, data con farina di orzo nel Vino dolce. Sconciansi le donne grosse, che se la bevono, e l’altre (secondo che dicono) diventano sterili. E’ veramente differenza dalla Felce femmina al maschio; perciocchè, questo ha le frondi, che procedono da un solo picciuolo, e la radice lunga, nera, e grossa: Credesi, che la natura generasse più per fare sterilità, che per altro. Scrissene parimente Plinio al 9° capo del 27° libro così dicendo. Sono di Felce due specie, che non producono né seme, né fiore. Quella si stima, che sia il maschio, che produce più Felci da una sola radice, lunghe più di due gombiti, e che non sono d’odore fastidioso. L’altra ha un sol fusto, e non è ramusculosa, nè folta, ma più breve, e più tenera. Ha più dense frondi, e incavate appresso alle radici. Ingrassansi i porci delle radici d’ambedue. Le foglie sono pennute d’ambedue i lati, e in ambedue le spezie sono le radici lunghe, non dritte, e di nero colore, e massimamente quando sono secche, ma bisogna seccarle al Sole. Nascono per tutto, e specialmente in luoghi frigidi. Debbonsi cavare nell’ascondersi delle Vergilie. Usansi le radici il terzo anno, perchè non sono buone nè prima, nè poi. Cacciano i vermini del corpo; i larghi bevute con Mele, e gli altri bevute con Vino dolce per tre giorni continui. L’una, e l’altra è nociva allo stomaco. Solvono il corpo, e prima cacciano la collera, e poi l’acqua, e i vermini larghi meglio con Scamonea, mettendovene ugual peso. Vale la radice bevuta con acqua al peso di due oboli, dopo l’astinenza d’un giorno, alla reuma, ma bisogna prima mangiare un poco di Mele. Nè l’ una, nè l’altra si deve dare alle donne, perchè fa sconciare le gravide, e fa sterili l’altre. Trite in polvere, giovano all’ulcere maligne, e mettonsi parimente in sul collo del buoi. Le foglie ammazzano le Cimici, e e cacciano via i Serpenti. E al 6° capo del 18° lib. La felce, diceva, muore in due anni, quando non se gli lascia mettere le frondi. Il che si fa più efficacemente, quando con un bastone si rompono i suoi germini; perciocchè il succo, che poscia ne distilla, ammazza le radici. Dicono, che cavandosi nel tempo del solstizio non rinascono, nè manco quelle che si tagliano colle Canne, ovveramente arandosi il terreno con un pezzo di Canna legato al vomero. Fece della Felce menzione Galeno all’ottavo della facoltà de’ Semplici, così dicendo: La Felce ha la sua radice veramente utilissima; imperocchè ammazza i vermini larghi del corpo. Il perchè non è maraviglia, se nel medesimo modo ella ammazza il fanciullo nel corpo della madre, e caccia fuori il morto. E’ ella al gusto amara, e alquanto costrettiva. Il che fa, che messa in su l’ulcere, le disecchi valorosamente senza mordacità alcuna. “[7]

Secondo molte leggende i “semi” della felce danno al loro possessore il dono dell’invisibilità[8] e quello della profezia[9] (le ceneri del rizoma venivano deposte vicino all’orecchio durante il sonno), mentre in Tirolo si credeva potessero aiutare a trovare tesori nascosti;[10] inoltre, si credeva potesse aiutare a provocare la pioggia. Si credeva che portasse fortuna indossandola, e che se indossata dagli uomini, avesse il potere di attirare le donne. Le ceneri, conservate in casa, attiravano ricchezza e prosperità, e allontanavano gli spiriti malvagi.

I poteri di invisibilità attribuiti ai semi di Felce sono citati anche da Shakespeare nell’ Enrico IV, difatti Gadshill, il ladro, dice: “Noi rubiamo come se fossimo dentro una botte di ferro, perfettamente sicuri; abbiamo la ricetta dei semi di felci, camminiamo invisibili”.

Vi sono numerose leggende e poteri attribuiti alle felci in varie parti del globo, ad esempio in Boemia i semi venivano mescolati al denaro per farlo aumentare, e inoltre si credeva risplendessero come oro. Il fiore leggendario della Felce, poteva essere visto solo da pochi eletti, e tale vista procurava una grande fortuna. In Germania si credeva che la pianta fosse nata nel giorno di San Giovanni da tre gocce di sangue del sole, emesse in seguito alla ferita dell’astro procurata da uno sparo di un cacciatore.[11] In Russia si utilizzava la felce per un rituale nella foresta, prima della mezzanotte del 24 giugno: a seguito del rito, sarebbero apparsi tre soli, e la foresta si sarebbe illuminata a giorno e riempita di risate e voci femminili. Chi avesse assistito a tutto ciò avrebbe acquisito il potere di prevedere il futuro.[12]

Ancora, in Germania, la Felce maschio (Dryopteris filix-mas) è chiamata anche Walpurgiskraut (pianta di Valpurga), perchè nella notte di Valpurga[13] le streghe utilizzavano la pianta per divenire invisibili.

Franz Xaver Simm (1899): Walpurgisnacht

 

Nel suo Congresso notturno delle lammie, Girolamo Tartarotti riporta la “ricetta” per guarire i malefiziati con la Felce, mutuata da un trattato di un suo contemporaneo, tal “Ottavio Liguorio, Sacerdote Napolitano”, intitolato “Discorsi Medici, ed eruditi” e dato alle stampe dal sacerdote nel 1719:

Recipe cenere di Filice, e fiorume di fieno, e fanne lisciva, colla quale ben colata, lavisi l’infermo da capo a piedi, poi ricolisi bene detta lisciva, che nel panno, col quale si ha fatto la colatura, si troveranno gli strumenti de’ Malefizi. Torna di nuovo a lavar tutto l’infermo, ricolar la lisciva; e ciò tante volte replicherai, finchè nel colatoio non vi restino de’ malefizi strumenti alcuni; perchè allora l’infermo sarà del tutto liberato; fatte però prima le solite benedizioni ed esorcismi”. [14]

Nella medicina popolare, la felce era utilizzata come vermifugo (si utilizzavano le radici in decozione)[15]; le foglie in decozione, contro la gotta (o, in alcune varianti, applicate fresche sulla parte malata); la tintura, era utilizzata per uso esterno contro i dolori reumatici (a questo scopo erano utilizzate anche le foglie verdi, applicate direttamente sulla parte dolorante)[16]. La pianta era utilizzata anche come ricostituente (contro l’anemia e il rachitismo), come astringente, come diuretico, stimolatore della secrezione biliare, tossifugo.

Tuttavia, la pianta presenta una notevole tossicità (concentrata soprattutto nel rizoma e nella base delle fronde), la cui sintomatologia, all’ingestione, è: nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, allucinazioni (caratterizzate dal colore giallo come dominante), depressione cardiocircolatoria, aritmie, depressione del S.N.C., cecità temporanea o permanente.[17] Sono riferiti casi di gravi intossicazione di bestiame che ha ingerito foraggio contenente Felce aquilina (Pteridium aquilinum).[18]

La componente psicoattiva è stata poco studiata, in ogni caso gli antichi Vichinghi preparavano una birra psicoattiva con vari ingredienti tra cui il Polypodium vulgare (Felce dolce).[19]

Hipolito Ruìz, un botanico spagnolo del XVIII secolo, riporta gli utilizzi delle foglie di una felce in Perù e in Cile, nota come cucuacua, incapocam, o “coca degli Inca” e utilizzata alla stessa stregua della coca. Ruiz descrive la pianta sotto il nome Polypodium incapocam (nomen nudum), che resta indeterminabile. La polvere della pianta, secondo testimonianze indigene, era fumata per “schiarire la testa”.[20] E’ stato riportato anche, che la radice di una specie di Polypodium (non è specificata l’identità), viene ingerita assieme ai semi di Anadenanthera colubrina. [21]

Rätsch riporta anche di felci inebrianti utilizzate in Messico (Pellaea cordata).[22]

Nella tradizione, la felce ha anche altri impieghi che esulano da quelli di tipo magico e/o medicamentoso. Le fronde essiccate della Felce aquilina venivano utilizzate come paglia per protezione dei tetti o dei prodotti agricoli, e per confezionare pagliericci.[23] Alcune felci venivano utilizzate per tingere di verde le stoffe, e fasci di felci si appendevano in cucina come acchiappamosche. [24]

[1] A.A.V.V., Experimenta ’03. Il mondo tra magia e scienza, Time & Mind Edizioni, Pag. 141

[2]Atti Curia di Oria, Sortilegi e stregonerie in Francavilla Fontana ai tempi di Monsignor C. Cozzolino, Denuncia contro Nicodemo Salinaro, anno 1679, f. 32

[3]Remo Bracchi, Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera, Walter de Gruyter Ed., 2009, pag. 392

[4]“Le spore cadono al suolo e germinando producono un piccolissimo organismo, detto protallo, composto soltanto da una laminetta verde e dalle cellule sessuali. L’ambiente tranquillo e umido del sottobosco permette alle cellule sessuali di incontrarsi. Dalla loro unione nasce la pianta di felce che tutti siamo abituati a vedere”. ( A.A.V.V., Experimenta ’03. Il mondo tra magia e scienza, Pag. 141)

[5]Remo Bracchi, op. cit., pag. 392

[6]Ibidem

[7]Pietro Andrea Mattioli, Discorsi di M. Pietro Andrea Mattioli Sanese, Medico Cesareo, ne’ sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Della materia Medicinale: Colle figure delle Piante, ed Animali cavate dal naturale, Pezzana, Venezia, 1744, pp. 705-706

[8]Grimm (Jacob, N.D.A.), nel suo “Teuthonic Mythology” riferisce di come un uomo della Westphalia stesse cercando la notte della vigilia di Midsummer (24 giugno) un puledro che aveva perduto e gli capitò di attraversare un prato proprio mentre stava maturando il seme di una felce, così che esso cadde dentro le sue scarpe. Al mattino egli arrivò a casa, andò nel salotto e si sedette ma trovò strano che né sua moglie né alcuno della sua famiglia gli chiedesse nulla. “Non ho trovato il puledro” disse. Quindi tutti quelli che erano nella stanza sobbalzarono e guardarono allarmati, perché udivano la sua voce ma non lo vedevano. Sua moglie allora lo chiamò, pensando che si fosse nascosto, ma lui rispose solo: “Perché mi chiami? Sono qui davanti a te.” Infine divenne consapevole di essere invisibile e, ricordando come aveva camminato nel prato la sera precedente, lo colpì la possibilità di avere dei semi di felce nelle scarpe. Così se le tolse  e, quando le scosse, ne fuoriuscì il seme di felce ed egli non fu più invisibile”(da: http://erbemagiche.blogspot.com/2015/03/la-felce.html). Interessante la possibile derivazione della credenza sulla invisibilità provocata dalla Felce, che è così spiegata: “ Immaginiamo una giornata di sole abbacinante e una distesa di Felce aquilina in piena sporificazione. La persona che attraversa la distesa si ricopre di spore e di scagliette di felce e quando esce, almeno in determinate condizioni, riflette la luce del sole e … scompare. Questa è solo una teoria, ma non è consigliabile provarla perchè alcuni studi recenti hanno dimostrato che l’eccessivo contatto con le spore e le scagliette   di questa felce può provocare malattie” ( A.A.V.V., Experimenta ’03. Il mondo tra magia e scienza, cit., Pag. 141). Ma la spiegazione più semplice del potere dell’invisibilità attribuito alla felce è nel fatto che si credeva che i semi della felce fossero invisibili e dunque, per trasferimento delle proprietà, si pensava che il possessore del seme di felce potesse allo stesso modo essere invisibile.

[9]Remo Bracchi, op. cit., pag. 392

[10]Grazia Vulpiani, Le felci, rivista mensile Vivere la montagna, n. 52, febbraio 2008

[11]http://hedera.altervista.org/la-felce-nelle-leggende-del-folklore-nordeuropeo/?doing_wp_cron=1531833799.2787458896636962890625

[12]Gianluca Toro, Flora psicoattiva italiana, Nautilus Edizioni, 2010, pp. 54-55

[13] La notte di Valpurga (Walpurgisnacht), è il derivato cristianizzato (dedicato a Santa Valpurga) di una festa celtica, una celebrazione pagana della primavera che avveniva nella notte tra il 30 aprile ed il 1º maggio.

[14]Girolamo Tartarotti, Del congresso notturno delle lammie Libro Terzo, Pasquali, Venezia, 1749, pag. 208

[15]Antonio Costantini, Marosa Marcucci, Le erbe, le pietre, gli animali nei rimedi popolari del Salento, Congedo Ed., 2006, pag.81: gli autori riportano anche la ricetta e la posologia del “decotto per espellere la tenia”: una tazza al mattino a digiuno (gr. 30 di radice bolliti in un litro d’acqua per 15 minuti)”.

[16]Jean Valnet, Fitoterapia.Guarire con le piante, Giunti Ed., 2005, pag. 325

[17]Gilberto Bulgarelli, Sergio Flamigli Piante tossiche e velenose, Hoepli Ed., 2010, pag. 104

[18] Ibidem

[19]Gianluca Toro, op. cit., pag. 55

[20] Christian Rätsch, The Encyclopedia Of Psychoactive Plants. Ethnopharmacology And Its Applications, Park Street Press, Rochester, 2004 pag. 577

[21]Ibidem

[22]Ibidem, pp. 577-578

[23]Gilberto Bulgarelli, Sergio Flamigli op. cit., pag. 104

[24] Domenico Nardone, Nunzia Ditonno, Santina Lamusta, Fave e favelle. Le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di studi salentini Edizioni, Lecce, 2012, pag. 243

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