Lessico salentino del letto di una volta

di Armando Polito

Non occorre essere geni per supporre che il primo letto dell’uomo fu la nuda terra. Non è difficile immaginare neppure come il nostro lontano progenitore ben presto si rese conto di dover rendere più confortevole il suo riposo e decise di interporre tra il suo corpo e la nuda terra uno o più strati di foglie. Cominciò molto probabilmente così l’evoluzione di quell’oggetto che accompagna la maggior parte di noi dalla nascita fino alla morte: il letto.

Oggi il mercato offre molteplici soluzioni, che vanno dalla più semplice (una rete con piedi incorporati) alle più sofisticata (letto a scomparsa o meno con regolazione elettronica delle varie sezioni della rete, macchina per il caffè, tv, radio, pc e telefonino incorporati, etc. etc.), per non parlare, andando oltre la struttura di base, dello sterminato corredo di accessori che comprende materassi a tecnologia spaziale, cuscini vibranti, etc. etc. …

Eppure fino agli anni ’50 del secolo scorso il letto “modello base” era sostanzialmente costituito da un supporto che aveva la funzione di elevarlo rispetto al pavimento e di sostenere le assi su cui distendere un pagliericcio (per i più abbienti la lana sostituiva la paglia). Questo post non pretende certo di suscitare interesse nei giovani e bene gli andrà se qualche anziano lettore proverà un pizzico di nostalgia e, sarebbe il massimo, lo integrasse col suo commento.

Molte voci dialettali (ma questo vale anche per la lingua nazionale, anzi per tutte le lingue) sono fatalmente destinate all’oblio, perché progressivamente scompaiono gli oggetti da esse designati e, anche quando l’oggetto stesso acquista un valore antiquario, è difficile, comunque, che ne sopravviva il nome. Per questo le parole che sto per elencare inevitabilmente eserciteranno il loro potere evocativo solo su quelli che hanno la mia età:

liettu come il corrispondente italiano letto è dal latino lectus. Derivato è littera, che designa il giaciglio delle bestie, ma è usato anche per indicare un letto lasciato in disordine. L’italiano lettiera ha lo stesso significato ma designa pure, stranamente, la sabbia o altro apposito materiale posto nella cassettina per gli escrementi dei gatti domestici; e il gatto, è noto, è un animale pulitissimo …

trastieddhi  erano i cavalletti di ferro (due per il letto singolo, quattro per quello matrimoniale). Trastieddhu denota un suffisso diminutivo (-ieddhu) aggiunto ad un inusitato *trastu, che, però, è, senza ombra di dubbio, dal latino medioevale trastrum, a sua volta dal classico transtrum, che significa traversa, trave di sostegno. Molto probabilmente transtrum è da trans=attraverso + la radice di trahere=trarre. Ho detto che il primitivo trastu non è in uso nel nostro dialetto, ma va precisato che il latino medioevale trastum ha dato in italiano trasto, che designa la struttura di sostegno per il banco dei rematori o il banco stesso nelle antiche imbarcazioni e sulle gondole,

tàule erano le assi di legno (due per il letto singolo, quattro per il matrimoniale) che poggiano sui tratieddhi. Tàula è dal latino tàbula, da cui pure l’italiano tavola. Le misure approssimative di ogni tavola erano: circa m. 1,80 di lunghezza, circa m. 0,30 di larghezza e circa 0,03 di spessore.

saccone era il pagliericcio, l’antenato del materasso. Saccone è accrescitivo di sacco, il contenitore della paglia. Sacco è dal latino saccum, a sua volta dal greco σάκκος (leggi saccos).

lanzulu come il corrispondente italiano lenzuolo è dal latino linteolum, che significa tela di lino, ma è intuitivo che a corredo del letto “medio” il lenzuolo era di vile cotone (percalla, dal francese percale e questo dal persiano pargāla, che significa pezzo di tessuto.

capitale come la voce italiana, è dal latino capitale, aggettivo neutro derivato da caput che significa testa, per cui il salentino capitale è più fedele al significato letterale della voce latina, che è ciò che riguarda la testa.

manta coperta invernale, di lana filata molto grossolanamente. La voce è dallo spagnolo manta.

Non posso omettere di ricordare due oggetti complementari che avrebbero trovato la loro evoluzione nella coperta termica. Si tratta della mònica e dello scarfaliettu. La mònica ra un attrezzo di legno, formato da due coppie di assicelle ricurve, unite agli estremi, poste lateralmente sopra e al di sotto di una gabbia cuboidale aperta, avente base quadra centrale ricoperta di lamiera. Su di essa veniva appoggiato lo scarfaliettu, cioè un piccolo braciere con manico. La struttura in legno aveva la funzione di tenere sollevate le coperte e la sua base in lamiera quella di evitare bruciature provocate da eventuali fuoriuscite di faville dal braciere.  Quest’ultimo poteva anche essere usato da solo  con vari passaggi sulle lenzuola, quasi fosse un ferro da stiro-Non è chiaro perché si chiamasse monica, ma, visto che in altre zone d’Italia si chiamava prete, frate o suora, non escluderei il riferimento metaforico, frutto della malizia popolare e probabilmente evocato da qualche racconto pruriginoso o boccaccesco1, al supposto fuoco nascosto sotto la tonaca. In ogni i caso la metafora appare maschilista: per il prete o il frate viene evocato un motivo di motivo di vanto virile, per la monica e la suora di vergogna femminile.

Infine alle locuzioni italiane rifare il letto e disfare il letto corrispondono in salentino ccunzare lu liettu e scunzare lu liettu. Ccunzare ha il suo corrispondente italiano in conciare, da un latino *comptiare, forma desostantivale dal latino medioevale comptio, che significa il mettere insieme, l’aggiustare. Nel latino medioevale esiste pure comptare col significato di ornare; comptare è stato modellato su comptum, supino di còmere (che significa adornare) secondo una tecnica di formazione molto frequente (un solo esempio: captare (che significa cercare di prendere), da captum, supino di càpere, che significa prendere. Scunzare corrisponde all’italiano sconciare, che è da conciare con aggiunta in testa di s- estrattiva o privativa (dal latino ex, che significa lontano da.

 

I trastieddhi

 

Letto col saccone e la mònica

 

La mònica e lo scarfaliettu

 

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1 Uso quest’aggettivo anche in senso letterale e letterario, perché potrebbe non essere estranea la seconda novella della nona giornata del Decameron. Per i più curiosi, anche non sanamente …, segnalo https://it.wikisource.org/wiki/Decameron/Giornata_nona/Novella_seconda

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5 Commenti a Lessico salentino del letto di una volta

  1. Oltre le lenzuola ricordiamo anche “li casciuni”, probabilmente di tessuto diverso, comunque con lo stesso significato.
    La “buttita”, ovvero la coperta imbottita, che non poteva mancare nella dote muliebre.
    E “li chene ti lu capitale”, ovvero le federe. Forse sarebbe utile integrare anche con le diverse coperte portate in dote, oltre la “buttita”: “cuperte a pipiceddhu, cuperte damascate, manta” e soprattutto “li cuperte azzate”, vero vanto della donna neritina che poteva permettersi di averne una.

    • Ben venga ogni tipo d’integrazione, anche se la mia intenzione era quella di limitarmi alle voci fondamentali relative alla struttura del letto del ceto medio/basso e non di estenderla ad accessori a suo corredo o arredo più sofisticati di quelli nominati (per esempio, la piritera …). Ciò non toglie che sarebbe interessante rexuperare, fra l’altro, le voci relative a quello che una volta era quasi più importante della stessa sposa, cioè il corredo che portava in dote. Chissà quante, di voci, verrebbero fuori dai capitoli matrimoniali oltre a quelle da te ricordate e sulle quali aggiungo brevemente qualcosa circa l’etimo, laddove esso non è immediatamente evidente. Per “cascione” (più regolare nell’evoluzione fonetica la variante “chiasciune”) il Rholfs ricorda le varianti “plaione” in documenti baresi dell’XI secolo e Il settentrionale “blaione” del secolo IX, giungendo alla conclusione che si tratta di voce di origine longobarda. La “cuperta a pipiceddhu (alla lettera “coperta a piccolo pepe”) era in tessuto a mo’ di grano di pepe. La “cuperta azzata” (alla lettera: coperte sollevate) erano il non plus ultra e quelle prodotte a Nardò venivano esportate non solo nel resto d’Italia ma anche in Inghilterra ed in Russia.

  2. Lu scarfaliettu era anche un piccolo braciere rotondo con manico di legno, che si passava velocemente sul lenzuolo di sotto per riscaldarlo alla meglio.

  3. plaudo a tutto quello che avete scritto : aggiungo -cistieddhri – ntaulati -venivano posti su i cistieddhri a regolare distanza rispettando le dimensioni dei medesimi – casciuni- grandi casse per il corredo -ma- su alcune più basse e larghe si posavano -li sacchuni in funzione di letto-grazie sempre e cordialità -peppino

  4. Altro luogo del letto: pediera, in dialetto putignanese “piir”. Quando il mattino ci si leva da piir, anzichè da capetel, la giornata gira male.

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