L’oratorio perduto del Santissimo Crocifisso a Parabita

di Giuseppe Fai

Di recente, nella chiesa Madre di Parabita è stato restaurato il Crocifisso ligneo posto sull’altare maggiore e la scoperta di ciò che, fino ad oggi, era stato celato dallo strato di copertura in cartapesta ha posto numerosi interrogativi sulla sua origine e sulla sua collocazione originaria.

La storia di questo Crocifisso sembra, infatti, intersecarsi con quella di una struttura sacra, oggi scomparsa, che faceva parte della sagrestia della chiesa matrice e che meriterebbe di essere riportata alla luce.

Per comprendere questo collegamento, bisogna partire prendendo in considerazione ciò che l’arciprete don Vincenzo Ferrari (1774[1]-1828), il 18 ottobre 1792, scrive al vescovo della Diocesi di Nardò, Carmine Fimiani (1792-1800[2]), in merito allo “Stato delle Chiese e luoghi Pii della Terra di Parabita”, a seguito della visita pastorale di quest’ultimo, avvenuta pochi giorni prima, il 9 ottobre.

L’arciprete parla di “…un picciolo Altare nell’Oratorio attaccato alla Sagrestia per li Sacerdoti infermi e Vecchi impotenti sotto l’Invocazione di un grande Crocefisso di Legno…”, passando, poi, in rassegna gli altri altari situati in chiesa.

Un altro riferimento è riscontrabile, trentatré anni dopo, quando il viceparroco don Donato Marzano, facendo le veci dell’infermo arciprete Ferrari, su sollecitazione del nuovo vescovo Salvatore Lettieri (1825-1839[3]), nelle “Risposte alle dietro scritte dimande”, menziona “…undici altari, incluso l’altare Maggiore, e quello dell’Oratorio dentro la Sagrestia…[4].

Due anni dopo, in risposta alle notizie richieste sempre dal vescovo Lettieri, in preparazione alla visita pastorale che avverrà di lì a breve, a Parabita, il 6 marzo 1827, la descrizione dell’oratorio è la medesima formulata nel 1792 da don Vincenzo Ferrari. E nel documento relativo alla visita, datato 9 marzo, si legge che “…Passò quindi il Monsignore Illustrissimo nella Sagrestia, e visitò il Luogo in cui si apparecchiano i Sacerdoti prima della celebrazione, dove esiste un Altare dedicato al SS. Crocifisso, con Tabernacolo, in cui si ripone la Pisside nei tre giorni della Settimana Santa, ed ogni cosa ritrovò decente…[5].

Dopo questi documenti, dell’oratorio sembrerebbero perdersi le tracce e, allo stato attuale, si può tentare di ricostruirne la storia grazie all’importante testimonianza fornita dal signor Luigi Tornesello, che è stato sagrestano della Chiesa Matrice dagli anni ’40 agli anni ’90 del secolo scorso.

Il signor Tornesello racconta che, dove oggi sorge lo studio del parroco, c’era una diversa struttura, in cui si trovava un Cristo crocifisso ligneo e, davanti a questo, l’affresco della Deposizione di Cristo (Foto)[6], ancora oggi conservato nello studio.

Sulla volta di questa struttura, “una specie di volta a stella”, erano dipinti quattro rosoni e altri affreschi, raffiguranti degli angeli con motivi vegetali. Il Cristo crocifisso era privo della croce, ma aveva una cornice affrescata e, ai suoi piedi, solo una piccola mensola. In questa struttura non c’erano finestre, ma due entrate: una la metteva in comunicazione con la sagrestia e l’altra, poi murata, si affacciava su via san Nicola ed era dotata, inoltre, di una scala, in corrispondenza dell’attuale finestra dello studio.

Il signor Tornesello ricorda che, durante il mandato del parroco don Giuseppe Ferenderes (1961-1994), nel periodo in cui i Padri Redentoristi svolsero la loro missione a Parabita, a causa dell’umidità e della scarsa manutenzione, si verificò il crollo della volta e pezzi degli affreschi furono usati per riempire i locali sottostanti il salone parrocchiale in fase di costruzione. Il Crocifisso si salvò, ma riportò dei danni, mentre l’affresco della Deposizione rimase intatto. Furono, così, avviati dei lavori che portarono alla realizzazione dell’attuale studio del parroco così come lo vediamo oggi.

Prima della testimonianza del 1792 di don Vincenzo Ferrari, nelle visite pastorali l’oratorio del Crocifisso sembra comparire una sola volta, in quella del 1744, durante l’episcopato del vescovo Francesco Carafa (1736-1754), in cui si parla di una visita ad un altare del SS. Crocifisso nell’oratorio.

La storia di questa antica struttura può essere ricostruita anche attraverso le opere artistiche a noi pervenute, come già detto: il Cristo crocifisso ligneo, l’affresco della Deposizione di Cristo e alcuni affreschi ritrovati anni fa.

Il recente restauro del Crocifisso ha evidenziato come, tra gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento, all’opera lignea sia stato aggiunto uno strato di gesso e cartapesta ricavata da “sacchi di cemento”, sotto cui si celavano seri danni, come, per esempio, il distacco di un piede dal resto della gamba e di alcune dita delle mani e dei piedi[7].

Tenendo, quindi, in considerazione la testimonianza del signor Tornesello, è possibile pensare che il Crocifisso sia lo stesso di cui parlano nelle loro relazioni i sacerdoti Ferrari e Marzano e il vescovo Lettieri e a cui era dedicato il piccolo altare dotato di un tabernacolo.

E’ probabile, dunque, che, negli anni ‘60, con il crollo della volta, il Crocifisso, salvatosi miracolosamente e già privo della Croce, abbia riportato i danni emersi durante il restauro e che il parroco dell’epoca, don Giuseppe Ferenderes, con un intervento approssimativo, abbia fatto realizzare lo strato in cartapesta e una nuova croce per salvare l’opera, decidendo, da quel momento, la sua nuova collocazione, presso l’altare maggiore.

Considerando, inoltre, che la missione dei Padri Redentoristi, come indicato dalla piccola edicola sulla facciata della canonica, si è svolta nel 1967, si può notare che le informazioni dedotte dal restauro del Crocifisso giunto sino a noi coincidono perfettamente con le vicissitudini occorse al Crocifisso che si trovava nell’oratorio.

La datazione del Crocifisso, risalente, presumibilmente, al XVII secolo, e forse riconducibile alla figura dello scultore gallipolino Vespasiano Genuino, risulta, inoltre, compatibile con il probabile periodo di costruzione dell’oratorio, il Seicento.

L’altra opera artistica, fondamentale per una possibile datazione di questa struttura sacra, è l’affresco della Deposizione di Cristo, salvatosi dal crollo della volta e recante, nell’angolo in basso a sinistra, una data, 1688, che potrebbe essere la data di realizzazione degli affreschi presenti nell’oratorio.

Questa Deposizione ritrae, oltre alle consuete figure, la Madonna, san Giovanni e Maria Maddalena, anche san Francesco d’Assisi e, forse, santa Chiara d’Assisi: il che potrebbe essere un indizio riguardo a chi abbia realizzato gli affreschi, forse un autore legato all’ambito francescano pugliese.

Le ultime tracce dell’oratorio potrebbero, in conclusione, essere gli affreschi, ritrovati durante i lavori eseguiti nei locali parrocchiali alcuni anni fa, gli unici che, ricomposti, potrebbero un giorno dirci di più sul ciclo pittorico di questo oratorio andato perduto.

Considerando la presenza del Crocifisso ligneo e della Deposizione, potremmo essere, quindi, di fronte a un tema iconografico ben preciso, cioè quello della Passione di Cristo, insieme a putti con decorazioni a tema vegetale.

Dando credito agli scritti del sacerdote Donato Marzano e del vescovo Salvatore Lettieri, questo oratorio era il luogo più sacro all’interno della sagrestia, il cui attuale ambiente, affrescato con temi profani, come quello delle marine salentine, pertanto, precedeva quello che era l’ambiente affrescato, invece, con immagini sacre.

Il ciclo di affreschi dell’attuale sagrestia, datato 18 gennaio 1700, e quelli dell’oratorio, dunque, potrebbero essere stati realizzati durante l’episcopato di Orazio Fortunato, vescovo della Diocesi di Nardò dal 1678 al 1707[8].

Questa struttura, comunque, stando alle visite pastorali, non ha un’intitolazione ben precisa, anche se è sempre collegata alla presenza del Crocifisso ligneo.

Nell’oratorio, non solo celebravano la messa quei sacerdoti che, a causa dell’età avanzata o di un’infermità fisica, non potevano più svolgere in chiesa le loro funzioni sacre, ma era anche quel luogo dove i sacerdoti indossavano i paramenti sacri prima di entrare in chiesa. Probabilmente, dunque, l’oratorio era in comunicazione con l’attuale sagrestia.

Nel Novecento, con ogni probabilità, la struttura perse la sua funzione di oratorio sacro, per divenire uno studio per l’arciprete; nella seconda metà degli anni ‘60, poi, ormai in pessimo stato conservativo, crollò, forse durante i lavori di costruzione del salone parrocchiale, e questo spiegherebbe come mai siano stati utilizzati proprio gli affreschi dell’oratorio come materiale di risulta.

Grazie alla testimonianza del signor Tornesello, quindi, e con l’aiuto delle fonti e dei resti dell’oratorio, ho provato a ricostruire un piccolo tassello della storia della Chiesa Madre di Parabita, dimenticato da anni e sconosciuto a molti. I risultati dell’indagine su questa antica struttura, dunque, potrebbe essere determinanti per ulteriori studi sull’attuale sagrestia, vista la stretta correlazione che sembra intercorrere tra questi due ambienti.

[1] O. Seclì, Parabita nel ‘700 – Dinamiche storiche di un secolo, Parabita, Martignano Litografia, 2002

[2] https://www.diocesinardogallipoli.org/diocesi-nardo-gallipoli/cronotassi-dei-vescovi-della-diocesi-di-nardo/

[3] Idem

[4] Archivio Storico Diocesano “Mons. Domenico Caliandro” – Nardò

[5] Idem

[6] Questa e le altre due foto sono di Foto di Salvatore Leopizzi

[7] “Relazione intervento di restauro del SS. Crocefisso di proprietà della Parrocchia Matrice di Parabita” eseguita da don Marcello Spada e Maurizio Specchia

[8] https://www.diocesinardogallipoli.org/diocesi-nardo-gallipoli/cronotassi-dei-vescovi-della-diocesi-di-nardo/

Pubblicato su nuovAlba, anno XVIII – numero 1 – maggio 2018, a cura dell’Associazione “Progetto Parabita”

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