Lecce e una sua veduta cinquecentesca (1/4)

di Armando Polito

Preliminarmente è doveroso precisare che le vedute di città che spesso corredano i testi antichi vanno accettate con beneficio d’inventario, cioè non è da credere ciecamente che esse costituiscano sempre una rappresentazione fedele dello stato dei luoghi all’epoca in cui vennero realizzate, anche perché spesso alcuni dettagli (case, campanili, etc. etc.) sembrano ricalcare modelli stereotipi e non seguire un intento realistico.

Credo che questo valga anche per l’immagine che segue, che è poi il frontespizio di un volume custodito nella Biblioteca Innocenzo XII di Lecce dal titolo Breviarium Liciense ex antiquo ecclesiae ritu nuper correctum et reformatum nunquam alias impressum novis quibusdam additis officiis: tabulis: atque rubricis suo loco necessariis: iuncto etiam foliorum numero ad quodvis facile inveniendum pro maiori orantium clericorum facilitate atque devotione (Breviario leccese secondo l’antico rito della chiesa recentemente corretto e riformato mai altra volta stampato con l’aggiunta al loro posto di certi nuovi servizi, tavole e rubriche necessari al loro posto, aggiunto anche un numero di fogli per trovare facilmente qualsiasi cosa per maggiore facilità e devozione dei chierici preganti).1

Il volume è prezioso non solo per il suo valore antiquario, trattandosi di una cinquecentina2, ma anche per i motivi che saranno detti alla fine.

Nel frontespizio, oltre al titolo prima trascritto, si legge, all’interno dell’immagine SANCTA ERINA D(I) LICII e in basso Ad instantiam Francisci De Ferrariis et magistri Donati Sommerini bibliopolae sociorum Liciensium. 1527 (Su richiesta di Francesco de Ferrariis e di mastro Donato Sommerino venditore di libri, soci leccesi, 1527).

L’immagine mostra la città di Lecce con le sue mura e a sinistra S. Irene, sua protettrice fino al 1656, che regge nella destra, accostata al petto, una lampada votiva ed appoggia la destra sulla cima del campanile del duomo3. Questo, che sarebbe stato ricostruito tra il 1661 e il 1682 per volere del vescovo Luigi Pappacoda su progetto di Giuseppe Zimbalo, mostra i due livelli  superiori movimentati ciascuno da un’ampia bifora.  Ai piedi di S. Irene si vede una chiesa la cui copertura ricorda quella di S.Maria della Porta, che, però, stando all’Infantino, fu  ampliata nel 15674.

Tornando al campanile, va notato che appare come una via di mezzo tra come si vede in una tavola della prima metà del XVII secolo5

e come si ammira oggi.

Di seguito il dettaglio in sequenza comparativa.

Pare scontato che la santa appoggi la mano sul campanile del duomo, che è il punto più elevato della città in duplice senso, quello materiale o fisico o paesaggistico o laico e quello spirituale o religioso. Tuttavia io non escluderei nella rappresentazione un riferimento a quanto sul campanile si legge in Antonio Beatillo, Historia della vita, morte, miracoli, e Traslatione di Santa Irene da Tessalonica, Vergine, e Martire, Longo, Napoli, 1609, pp. 299-301: … volendo un Vescovo di LECCE per nome Formoso nell’anno del Salvatore mille cento, e quattordeci,.fare à sue spese per ornamento  della città. e per accrescimento maggiore di divotione ne’ suoi Leccesi, un Vescovato nuovo ion honor della  Beatissima  Vergine nostra Signora, come tosto lo mandò ad effetto, il Conte della stessa città, ch’era all’hora un certo Goffredo, vi eresse dalla parte di fuori à man sinistra, in luogo de’ campanili ordinari, una torre molto alta, e di bellissima prospettiva. E perche il suo intento fù di far questa torre à memoria, et honore della Santa vergine IRENE, s’informò à pieno, con mandar gente sin là, del modo com’era quell’altra, che in Tessalonica il Rè Licinio edificò alla Santa nell’anno sesto dell’età sua. Et havendo trovato, che quella havea cinque appartamenti l’un sopra l’altro con una real corona di belle fabbriche nel più sublime luogo delle stanze, fece egli, che la sua torre, qual fabbrico nel Vescovato Leccese, fosse se non di quella grandezza, almeno dell’istessa forma, e figura. Ma che avvenne? Da lì à cento, e sedeci anni, cioè nel mille ducento, e trenta, havendo il Vescono di all’hora, che Roberto si domandava, scoverta per certa occasione la Chiesa per levarne il tetto, che gli stava di sopra, cascò repentinamente il Vescovato di Formoso con tutta la torre, che il Conte Goffredo vi havea fatto per le campane. Spiacque al buon Prelato la disgratia, ma non per questo si perdè d’animo; anzi confidato nell’aiuto divino, e nella liberale benignità de’ Leccesi, cominciò subito a rifar la sua Chiesa da’ fondamenti con fabriche assai più sode di quel ch’erano l’altre di prima, e ridusse per l’essatta sua diligenza tra poco tempo à perfettione quel Vescovato, che ancor hoggi stà in piedi. E perche gli fù insinuato da’ divoti di Santa IRENE protettrice della città, che il Campanile antico era stato tanti anni prima dal buon conte Goffredo eretto à somiglianza della Torre di Tessalonica in memoria, et honore della loro Padrona, in un tratto lo fè Roberto rifare per l’istessa caggione della medesima grandezza, e figura. Di ciò prese tanto contento il popolo di LECCE, c’havendo fino à quel tempo fatto per insegna ò arme, che vogliam dire, della città un albero di Quercia, ò Elce che sia, con una Lupa di sotto, si risolse mutarla, e per l’avvenire, in luogo delle cose già dette, far nel suo feudo una torre simile in tutto à quella del Vescovato. Ma perche le cose di questa vita patiscon sempre mutationi, e vicende, havendo non sò che tuoni, ò saette, che nel decimosesto secolo della nostra salute vi cascarono, data occasione, che si buttasse à terra buona parte della torre del Duomo, i Leccesi ancora ripigliaron di nuovo l’insegna antiche della Lupa, e della Quercia, non già perche havessero lasciata la divotione della loro antica protettrice, ma perche in altro modo non le sarebbero stati ammessi da’ padroni, et officiali del Regno quei privileggi antichi della Lupa, e della Quercia.       

Per la seconda parte: http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/03/lecce-e-una-sua-veduta-cinquecentesca-2-4/

Per la terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/10/lecce-e-una-sua-veduta-cinquecentesca-3-4/

Per la quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/14/lecce-e-una-sua-veduta-cinquecentesca-4-4/

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1 Integralmente leggibile e scaricabile da http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3AUBOE037128.

2 L’OPAC (http://opac.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/scheda.jsp?bid=IT%5CICCU%5CNAPE%5C007851) non registra il nostro esemplare ma un altro con nel titolo Psalterium invece di Breviarium; impossibilitato a controllare, ipotizzo che l’errore sia atato indotto dal colophon che è in calce alla prima parte contenente, appunto, il salterio) custodito nella Biblioteca provinciale “Nicola Bernardini” a Lecce. L’ICCU (http://edit16.iccu.sbn.it/scripts/iccu_ext.dll?fn=10&i=53093)  registra la presenza di tre soli esemplari custoditi, rispettivamente, nella Biblioteca provinciale “Nicola Bernardini” a Lecce (è quello dell’OPAC), nella Biblioteca comunale dell’Archiginnasio a Bologna e nella Biblioteca Angelica a Roma.

3 Nella scheda descrittiva in  http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/viewItemMag.jsp?case=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3AUBOE037128&hits=0 leggo che la chiesa rapprerentata è quell di S. Irene, che, però, all’epoca in cui il volume uscì non esisteva, essendo la sua costruzione iniziata nel 1591.

4 Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra, Micheli, Lecce, 1634, p. 71.

5 Giulio Cesare Infantino, op. cit.

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