Wikipedia, la cittadinanza romana e Brindisi. Ovvero come svilire la storia cittadina (prima parte)

di Nazareno Valente

Uno dei temi più usati dalla fantascienza è quello degli universi paralleli dove, a dirla in parole povere, due (e anche più) mondi simili coesistono senza incontrarsi mai, salvo non si riesca ad intraprendere un viaggio nel tempo che consenta il passaggio da una dimensione ad un’altra.

Sempre facendo riferimento alle antichità, puntando questa volta l’attenzione sull’assetto politico-amministrativo di Brindisi del periodo repubblicano, potremmo riscontrare che in tal caso Wikipedia e la storiografia ufficiale sono un perfetto esempio di realtà parallele che nessun buco nero potrà mai collegare.

Racconta l’enciclopedia in linea nella scheda dedicata alla mia città1: «Nel 267 a.C. Brindisi, come l’intero Salento, fu conquistata dai Romani e divenne un importantissimo scalo per la Grecia e l’Oriente, quindi venne elevata al rango di municipio nell’83 a.C. e ai brindisini fu riconosciuta la cittadinanza romana (240 a.C.)».

A parte la poca consequenzialità e l’esplicita mancata indicazione delle fonti da cui sono state ricavate le notizie, veniamo così a sapere che Brindisi, conquistata nel 267 a.C., ottiene la cittadinanza romana nel 240 a.C. e, successivamente, nell’83 a.C. diviene municipium, senza però comunicarci quale rango, per usare lo stesso termine, essa avesse avuto prima di quest’ultima data.

Le parti s’invertono nella scheda che caratterizza il Salento2. Qui apprendiamo che «Brindisi con il suo porto, intorno al 240 a.C., venne dichiarata municipio insieme a Taranto… dopo l’ultima grande ribellione guidata da Taranto nell’80 a.C. fu riconosciuta la cittadinanza romana». Quindi, municipium sin dal 240 a.C. e, solo nell’80 a.C., ottenimento della cittadinanza.

Trattando la storia del Salento3, Wikipedia riporta che «Brindisi, intorno al 240 a.C., venne elevata al rango di municipio e ai brindisini fu riconosciuta la prestigiosa cittadinanza romana», come dire che i due avvenimenti sono qui dati coincidenti.

Nella schede sul cavaliere brindisino Lucio Ramnio4 non c’è, invece, alcuna indicazione sulla struttura istituzionale assunta dalla città: molto semplicemente Brindisi, caratterizzata come «città apula», viene «prima conquistata (266 a.C.) ai Messapi» e, dopo poco, ottiene « la cittadinanza romana (240 a.C.)». E mi fermo qui per non martirizzare troppo il lettore.

Fossero avvenimenti controversi su cui gli storici si accapigliano, le diverse opinioni esposte da Wikipedia sarebbero giustificabili e rappresenterebbero, al tempo stesso, una ricchezza; il fatto che siano invece eventi del tutto scontati, la cui conoscenza è acquisibile consultando un qualsiasi testo specialistico, crea parecchio stupore e fondati dubbi sulle conoscenze di chi redige le varie schede.

Appare infatti strano che chi vuol spiegare fatti avvenuti nel III secolo a.C. non sia nemmeno a conoscenza che a quel tempo gli abitanti d’un municipium romano non potevano che essere cittadini romani oppure che la cittadinanza d’una città era conseguente alla configurazione giuridica che Roma aveva consapevolmente imposto, e non certo frutto di estemporanee decisioni.

Nelle espressioni del tipo la prestigiosa cittadinanza romana oppure elevata al rango di municipio si coglie poi una visione alquanto datata delle antichità romane, che rinvia agli stereotipi imposti nella prima metà del secolo scorso, dove la romanità era l’aspetto centrale attorno al quale ruotavano tutti gli altri elementi del mondo latino. In definitiva una riproposizione di cliché talmente consolidati che inibiscono qualsiasi tipo di riflessione, anche quella più spontanea, del tipo: ma davvero la cittadinanza romana era così prestigiosa o invidiabile come si vuol far credere?

Intanto occorrerebbe premettere che al prestigio poteva essere sensibile la ristretta cerchia dei notabili, e non certo il resto della popolazione più istintivamente portato a valutare la questione in base a parametri meno elevati e più concreti. Parlerei piuttosto di convenienza e, da questo punto di vista, sarebbe semplicistico, oltre che irrealistico, liquidare la questione con una risposta valida per tutto il tempo in cui l’Urbe fu egemone. Dipendeva pertanto dal momento e dalle situazioni contingenti, com’è naturale che fosse, e c’è un passo di Livio che lo chiarisce in maniera inequivocabile.

Siamo nel pieno svolgimento della seconda guerra punica, quando Annibale sta prendendo il sopravvento e le città Italiche sono propense ad abbandonare Roma. Durante l’assedio di Casilinum, i Prenestini, che formano il grosso del presidio, si rendono protagonisti d’un valoroso gesto di fedeltà alla causa romana, arrendendosi ai cartaginesi solo dopo aver combattuto sino allo stremo delle forze. Il senato romano per ricompensarli decreta doppio stipendio («Praenestinis militibus senatus Romanus duplex stipendium… decrevit»5) e offre loro la cittadinanza romana per le virtù dimostrate («civitate cum donarentur ob virtutem»6); i Prenestini accettano il denaro, però, rifiutano compatti l’altra offerta preferendo mantenere la propria cittadinanza («non mutaverunt»7).

Non è questo l’unico esempio in cui un popolo respinge la possibilità di ottenere la cittadinanza romana e, volendolo, ci sarebbe pure un caso in cui l’offerta è considerata persino risibile. Diodoro Siculo ci racconta infatti che un Cretese, al dono fattogli dal console della cittadinanza romana, risponde che per i Cretesi quella cittadinanza è una solenne baggianata cui essi preferiscono di gran lunga qualcosa di più utile («Πολιτεία, φησί, παρὰ Κρησὶν εὐφημούμενός ἐστι λῆρος. τοξεύομεν γὰρ ἡμεῖς ἐπὶ τὸ κέρδος»8). Vero è che i Cretesi erano famosi per la dubbia moralità e per l’attaccamento al soldo, tuttavia abbiamo a questo punto più d’un motivo per dubitare che diventare Romani fosse cosa desiderabile in assoluto.

Per altro la civitas non era slegata dalla formula organizzativa che i Romani sceglievano di adottare per la città sottomessa. Semplificando il più possibile9, vediamo i possibili regimi giuridici che venivano attuati nel periodo in cui, come racconta Eutropio, fu fatta guerra ai Salentini ed i Brindisini furono conquistati («Sallentinis in Apulia bellum indictum est, captique sunt cum civitate simul Brundisini»10).

Il sistema più utilizzato era quello federativo che derivava da specifico accordo (foedus) stipulato con la comunità sconfitta. Nel 267 a.C., data più probabile per la presa del Salento, erano sempre più rari i foedera aequa, dove le parti si ponevano in una posizione di formale parità, mentre più comuni erano i foedera iniqua, con cui Roma imponeva un limite alla sovranità delle città conquistate, che divenivano alleate dell’Urbe ma in condizione subordinata. In pratica gli alleati (socii) rinunciavano a svolgere una propria politica estera (ius belli ac pacis) rimettendosi così del tutto alle decisioni prese in merito dai Romani (servare maiestatem populi Romani). Chi era amico o nemico di Roma lo diventava di conseguenza anche dei socii (pure chiamati foederati) che avevano l’obbligo di assistere Roma in qualsiasi attività militare questa intendesse avviare fornendo un contingente di truppe prefissato, che operava nei reparti ausiliari dell’esercito romano.

Il foedus però consentiva alle comunità di conservare la propria cittadinanza, le proprie leggi ed i propri ordinamenti, oltre ad una estesa autonomia di carattere amministrativo-finanziario, essendo loro concessa l’autorità di battere moneta.

 

Dal canto suo, il municipium era in origine una città privata dell’autonomia politica e soggetta ad oneri, come si evince dal termine stesso che riflette la condizione di dover sopportare (capere) obblighi (munera), e rappresentava il sistema organizzativo con cui di solito Roma annetteva un territorio conquistato. Sino alla guerra sociale, i municipia non erano organizzati in maniera uniforme in quanto fruivano di condizioni giuridiche diverse e del tutto conseguenti al modo con cui l’annessione era avvenuta.

I popoli sconfitti, che si riteneva utile incorporare nello Stato romano, erano organizzati in municipia sine suffragio et iure honorem e, pertanto, pur godendo della cittadinanza romana, erano limitati nei principali diritti politici, non avendo titolo a votare e ad aspirare alle cariche politiche. Le comunità, la cui annessione era avvenuta (se così si può dire) in maniera pacifica, erano invece dotate della cittadinanza piena (cives optimo iure) e quindi in possesso dei medesimi diritti di un qualsiasi altro cittadino romano. In ogni caso, i municipes erano tutti dotati di cittadinanza romana.

C’era una certa dinamicità nelle configurazioni dei municipia per cui, con il passare del tempo, quelli sine suffragio potevano divenire optimo iure, così come, a seguito di ribellione, essere degradati in stato di soggezione pari a quella dei provinciali.

Il municipium era generalmente soggetto al tributo e, in ogni caso, doveva fornire proprie truppe all’esercito romano; nel contempo, fruiva di un’ampia autonomia amministrativa.

Oltre che con gli accordi (foedera) e con le annessioni (municipia), i Romani controllavano il territorio conquistato con le coloniae che avevano funzioni in prevalenza militari ma che erano anche un modo per diffondere la romanità.

Le colonie erano di due tipi, quelle romane (coloniae civium romanorum), dove chi vi partecipava come colono conservava la cittadinanza romana, e quelle di diritto latino (coloniae latinae), dove i cittadini romani che vi partecipavano dovevano espressamente richiedere di diventare latini e registrarvi il proprio nome («qui cives Romani in colonias Latinas proficiscebantur fieri non poterant Latini, nisi erant auctores facti nomenque dederant»11) perdendo così la cittadinanza romana.

Le colonie romane erano dedotte con lo scopo principale di creare dei presidi sulle coste prossime al territorio romano; quelle latine per controllare i punti di maggiore rilevanza strategica in zone da poco conquistate e magari ancora non del tutto pacificate. Le diversità si riflettevano nei rispettivi assetti: i coloni romani, facendo parte d’un presidio cittadino, non potevano allontanarsi dalla colonia, se non per periodi limitati, non erano soggetti alla leva, non potevano emettere moneta ed avevano un’organizzazione istituzionale che si rifaceva a quella dell’Urbe; i coloni latini avevano, al pari dei socii Italici, l’obbligo di fornire un contingente militare quando Roma lo richiedeva, secondo l’elenco dei togati (formula togatorum12), vale a dire degli uomini in età militare, e di non stipulare accordi con altre città, ma, a parte questi limiti, avevano un’ampia autonomia interna che consentiva loro anche l’attività giurisdizionale, oltre all’adozione d’un proprio statuto, di propri organi ed alla possibilità di battere moneta.

Il diritto latino consentiva inoltre di contrarre iustae nuptiae con i cittadini romani (ius connubii13) e di commerciare con essi (ius commercii14); probabilmente di acquisire la cittadinanza romana previo trasferimento a Roma (ius migrandi15); di votare, se ci si trovava in quel momento a Roma, con la tribù che veniva di volta in volta sorteggiata («sitellaque lata est ut sortirentur ubi Latini suffragium ferrent»16). Non consentiva invece, almeno in quel periodo, lo ius honorum, vale a dire la possibilità di concorrere per le magistrature romane.

Nella scelta i Romani salvaguardavano i propri interessi ma tendevano anche a non deprimere le popolazioni conquistate. Per questo seguivano anche un criterio logistico e, di conseguenza, non adottavano il sistema del municipium per città lontane dal territorio romano in quanto, a causa della lontananza, non avrebbero potuto attuare un concreto controllo sulla città annessa e, nel contempo, non avrebbero consentito alla popolazione una effettiva fruizione dei diritti.

Si pensi, ad esempio, ai Brindisini. Fossero stati inseriti in un municipium, avrebbero dovuto affrontare ogni cinque anni un viaggio di circa quattro settimane, solo per il censimento, cui erano tenuti a partecipare i cittadini romani, che veniva svolto a Roma. E lo stesso tempo ci avrebbero messo per esercitare l’eventuale diritto al voto, perché tanto durava allora andare avanti e in dietro da Brindisi a Roma.

La cittadinanza sarà stata pure prestigiosa; il rango municipale il non plus ultra ma, agli effetti pratici, in quel periodo, avrebbe comportato notevole disagio e quasi nessun beneficio.

LaffiColonozzazione

Con tutti gli indubbi problemi iniziali che la deduzione a colonia latina comportava sia per l’elemento romano, per la rinuncia alla cittadinanza romana, sia per l’elemento indigeno, per la preliminare ristrutturazione della città che comportava una ridefinizione delle proprietà, essa rappresentava in ogni caso la soluzioni con le migliori prospettive future. In tal senso, sintomatico è il caso capitato agli abitanti di Anzio una settantina di anni prima.

In un passo non del tutto chiaro17, Livio ci fa infatti intendere che Anzio, colonia latina, viene punita per la sua condotta ribelle con la perdita del diritto latino e con la confisca del territorio che viene rifondato come colonia romana («Et Antium nova colonia missa») a cui gli Anziati, se lo vogliono, possono comunque iscriversi come coloni («ut Antiatibus permitteretur, si et ipsi adscribi coloni vellent»). Al resto della popolazione anziate viene invece vietato il mare e concessa la cittadinanza («interdictumque mari Antiati populo est et civitas data»).

Di là del fatto che Livio si riferisca ad una colonia d’un periodo anteriore allo scioglimento della lega latina (le cosiddette priscae latinae coloniae), e quindi con un assetto giuridico diverso da quelle che qui trattiamo, quel che emerge è che la concessione della cittadinanza non fosse poi tanto da considerarsi in assoluto un privilegio. E, ciò che più importa, che la condizione giuridica di colonia latina fosse, tra quelle che Roma imponeva ad un popolo vinto, la preferibile.

D’altra parte le scelte dei Romani erano improntate al più ferreo pragmatismo: Brindisi aveva un porto che rappresentava la chiave di volta per ogni possibile rapporto con il mondo orientale e, in senso regionale, poteva costituire il giusto contrappeso a Taranto, città di cui l’Urbe per secoli non si sarebbe mai fidata. Per questo c’era tutto l’interesse a valorizzarla riconoscendole la posizione istituzionale che la rendeva la più autonoma possibile.

Nel 247 a.C. fu formalmente decisa la deduzione a Brindisi d’una colonia di diritto latino e nel 244 a.C., completatasi la centuriazione prevista, la città celebrò la sua nuova nascita.

“Il 5 agosto giunsi a Brindisi” («Brundisium veni Nonis Sextilibus»), scrive Cicerone18 ad Attico; lì l’attendeva la figlia Tulliola, nel giorno stesso del suo compleanno che coincideva con la ricorrenza della fondazione della colonia di Brindisi («ibi mihi Tulliola mea fuit praesto natali suo ipso die qui casu idem natalis erat et Brundisinae coloniae»). Per cui il 5 agosto 244 a.C.19 fu fondata la colonia latina di Brindisi, i cui abitanti erano cittadini brindisini di diritto latino. E non cittadini romani. Le altre città salentine stipularono invece un foedus e, quindi, furono federate con l’Urbe.

Che Brindisi sia stata colonia latina, e che tale struttura sia rimasta in vigore almeno sino alla lex Iulia de civitate latinis (et sociis) danda del 90 a.C., è un fatto innegabile che trova d’accordo tutti gli storici. È pertanto del tutto scontato che Wikipedia commetta un errore nell’anticipare al 240 a.C.20 l’ottenimento della cittadinanza romano e/o la costituzione di Brindisi a municipium, forse condizionata dalle ipotesi formulate in merito dalla gran parte dei cronisti brindisini, i quali, a loro volta, tendono ad oscurare il passato coloniale della città oppure, nel migliore dei casi, ad annacquarlo con la civitas romana.

Sembrerà strano ma questa linea di pensiero — forse inaugurata dal canonico Camassa che, come meglio vedremo la prossima volta, almeno aveva qualche convenienza a spacciarla per vera — trova tuttora istintive adesioni. Ad esempio, A.M. Caputo anticipa addirittura al 276 a.C. — ma forse intende 267 a.C. — il momento in cui i Romani «elevarono Brindisi alla dignità di Municipio, riconoscendole tutti i diritti della cittadinanza romana»21; G. Perri la retrodata al 244 a.C. quando vi fu dedotta «una colonia romana di diritto latino»22, vale a dire proponendo una forma giuridica mista (al tempo stesso romana e latina) mai adottata da Roma che fondava, invece, o colonie romane o colonie latine, perché il diritto di riferimento, e conseguentemente la cittadinanza, non poteva che essere unico. Non a caso i Romani per diventare coloni latini dovevano rinunciare alla loro cittadinanza originaria.

La conclusione amara, e per certi versi ridicola, è che la configurazione che i cronisti brindisini per lo più stentano ad accettare è appunto quella alla base della notorietà della Brindisi antica: la nominale autonomia, di cui beneficiò in virtù d’essere una colonia latina, le consentì di mantenere una propria identità e di non rimanere appiattita nel gruppo anonimo dei municipia.

Wikipedia da parte sua non sa neppure di questo passato illustre, tanto è vero che nella scheda in cui mescola le colonie romane con quelle latine, trattandole come se facessero parte d’un mondo ibernato per secoli23, Brindisi non compare nemmeno.

Il mondo romano era invece sufficientemente dinamico ed anche i significati ed i valori s’andavano modificando con il tempo. La stessa cittadinanza romana, che, come riportato, un Cretese aveva ritenuto una baggianata, divenne con il passar degli anni sempre più apprezzabile, tanto da scatenare una sanguinosa guerra che avrebbe comportato il totale riassetto delle città italiche.

Una riorganizzazione che, come scopriremo nella prossima puntata, coinvolse pure Brindisi.

Secondo me, senza che lo desiderasse troppo.

 

 

Note

1 Consultabile al link https://it.wikipedia.org/wiki/Brindisi#Il_periodo_romano (17.12.2017).

2 Consultabile a questo link https://it.wikipedia.org/wiki/Salento#Storia (17.12.2017).

3 Link https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Salento#Il_periodo_romano (17.12.2017).

4 Consultabile al link https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Ramnio (17.12.2017).

5 livio (I secolo a.C. – I secolo d.C.), Dalla fondazione di Roma, XXIII 20, 2.

6 Livio, Cit., XXIII 20, 2.

7 Livio, Cit., XXIII 20, 2.

8 Diodoro Siculo (I secolo a.C.), Biblioteca Storica, XXXVII 18.

9 Per gli inizi della primavera prossima, spero di poter completare un lavoro di più ampio respiro sulla conquista del Salento e sull’assetto organizzativo della Brindisi romana.

10 Eutropio (IV secolo d.C.), Breviarium ab urbe condita, II 17.

11 Cicerone (II secolo a.C. – I secolo a.C.), De domo sua, 77.

12 Nella lex agraria epigrafica del 111 a.C. figura l’antica locuzione «socii nominisve latini, quibus milites ex formula togatorum inperare solent» (gli alleati ossia il nome latino, ai quali [i Romani] comandano di fornire i soldati sulla base della formula dei togati).

13 La prole godeva quindi dei diritti civili.

14 Si poteva così ricorrere al pretore, o ad un suo delegato, per tutelare i propri atti negoziali.

15 Occorreva però lasciarvi un figlio, per non depauperare la colonia.

16 Livio, Cit., XXV 3, 16.

17 Livio, Cit., VIII 14, 8.

18 Cicerone, Epistole ad Attico, IV 1, 4.

19 Oppure 245 a.C.

20 Resta invece un mistero da dove si sia potuta ricavare la data del 240 a.C. che ricorre puntuale nelle varie schede.

21 A.M. Caputo, Presentazione, in G. Perri, Brindisi “raccontata”, Lulu.com 2015, p. 8.

22 G. Perri, Brindisi nel contesto della storia, Edizioni Lulu.com 2016, p. 24.

23 Consultabile al link https://it.wikipedia.org/wiki/Colonia_romana (17.12.2017).

 

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Un commento a Wikipedia, la cittadinanza romana e Brindisi. Ovvero come svilire la storia cittadina (prima parte)

  1. ToriNovoli- News di grande attualità , si ragiona se tumulare al Pantheon di Roma Vittorio Emanuele III.

    Brindisi rimane anche nella memoria della Repubblica Italiana del Re Vittorio Emanuele III, di lui restano le ombre di quel ‘sostegno’ dato al fascismo e della sua firma sulle leggi razziali,l’8 settembre del 1943 preoccupato solo della sua salvezza personale si mette in ‘fuga’ per arrivare a Brindisi.
    Ersilio Teifreto

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