Uno stemma coniugale nella biblioteca di Manduria

DUE SPOSI, UNO SCUDO: ANALISI E ATTRIBUZIONE DELLO STEMMA CONSERVATO NELLA BIBLIOTECA COMUNALE MARCO GATTI DI MANDURIA

di Marcello Semeraro

Manduria

L’araldica intrattiene stretti rapporti con l’antroponimia. Gli studi di Michel Pastoureau sulle armi parlantisono così chiamate quelle armi che contengono figure che richiamano direttamente o indirettamente il nome della famiglia del possessore dello stemma[1] – dimostrano come in questo particolare ambito gli interessi delle due discipline convergano[2].

Si tratta di una tipologia di armi che esiste sin dalla nascita del sistema araldico nel XII secolo e che costituisce circa il 20% degli stemmi medievali, con un aumento significativo in epoca moderna grazie soprattutto alla diffusione che queste armi ebbero fra i non nobili e le comunità[3].

L’individuazione della natura parlante di uno stemma può talvolta costituire l’unico mezzo che l’araldista ha per riconoscere armi che altrimenti, a causa della lacuna nelle fonti araldiche di un determinato territorio, resterebbero anonime. Istruttivo è il caso dell’esemplare araldico oggetto di questa disamina.

Si tratta di uno stemma litico di grandi dimensioni, privo del suo contesto originario, che giace come pezzo erratico all’ingresso della biblioteca comunale “Marco Gatti” di Manduria (fig. 1).

Non esistono, che io sappia, studi specifici su questa insegna, ma solo descrizioni occasionali e attribuzioni parziali che certamente non aiutano a individuarne committenza, cronologia e provenienza[4]. La presente indagine si propone dunque di colmare questa lacuna, cercando altresì di situare il manufatto nello spazio e nel tempo. Osservando la composizione dello stemma, l’araldista riconosce facilmente all’interno dello scudo ovale e accartocciato[5] un’arma d’alleanza matrimoniale che riunisce, per mezzo di uno scudo partito[6], due insegne araldiche differenti, appartenenti di due persone sposate. Associazione del blasone del marito (posto a destra, sinistra per chi guarda) con quello del padre della sposa (a sinistra, destra per chi guarda) lo scudo partito rappresenta, sin dal XIII secolo, il procedimento più impiegato per indicare due famiglie unite in matrimonio e mostra, in particolare, come una donna sia stata donata da un uomo a un altro uomo.

Dal punto di vista cronologico, la forma dello scudo[7] e lo stile generale della composizione invitano a datare il manufatto in esame a un periodo compreso fra la seconda metà del XVI secolo e gli inizi del XVII.

Nel secondo quarto[8] del partito si riconosce chiaramente l’arma della famiglia Pasanisi[9], dalla quale proviene la sposa: d’azzurro, inquartato da un filetto in croce d’argento: nel 1° e nel 4° un leone d’oro; nel 2° e nel 3° tre anelletti intrecciati del secondo[10].

Se dunque l’identificazione della famiglia di provenienza della moglie non pone problemi, non altrettanto si può dire per quella del marito, rappresentata nella prima parte dello scudo. Il blasone che si vede (troncato: nel 1° tre stelle male ordinate[11]; nel 2° un quadrupede[12] dormiente) costituisce, infatti, un vero e proprio apax che non trova altre attestazioni su stemmari, monumenti o altre testimonianze materiali o narrative.

In casi di questo genere può rivelarsi fruttuoso il ricorso alla genealogia familiare, restringendo ovviamente il campo di ricerca al periodo documentato dalla cronologia dello stemma. Per Manduria, la fonte per eccellenza per questo genere di ricerche è il Libro Magno delle famiglie di Casalnuovo, il celebre manoscritto iniziato dall’arciprete Lupo Donato Bruno nel 1572 e continuato da altri dopo la sua morte, che contiene le genealogie di tutte le famiglie casalnovetane dalla metà del Quattrocento alla fine del Settecento[13].

Ebbene, fra tutte le famiglie i cui membri, fra seconda metà del XVI secolo e gli inizi del XVII, presero in moglie una Pasanisi, solo una può aver portato uno scudo recante un quadrupede rappresentato nell’atto di dormire, posizione, quest’ultima, piuttosto rara nelle armi, tanto da costituire nel caso specifico la chiave di lettura per la decifrazione dell’intero manufatto araldico. Mi riferisco alla famiglia Dormio, di origine mesagnese, definita “nobile” dal Foscarini, diramata a Lecce nel XVII secolo, estinta nel 1883 e titolare di vari feudi in Terra d’Otranto[14].

Sebbene di questa schiatta non sia noto il blasone, l’estrema caratterizzazione della posizione del quadrupede che si vede nel quarto in esame, la sua natura parlante allusiva al cognome (Dormio/animale dormiente) e l’impossibile sovrapposizione con lo stemma di altre casate imparentate con i Pasanisi nel periodo di riferimento contribuiscono a rendere inequivocabile tale l’attribuzione. Dall’esame comparato dei dati provenienti dal Libro Magno e dagli atti notarili emerge che negli anni ottanta del XVI secolo i fratelli Donato Antonio e Alessandro, figli di Francesco Dormio di Mesagne, impalmarono le sorelle Minerva e Pollonia Pasanisi, figlie del notaio Carlo e di Isabella Barbera[15].

Lo stemma partito per alleanza matrimoniale è attribuibile, dunque, a una di queste due coppie. Ci chiediamo, a questo punto, se sia possibile risalire all’edificio sul quale lo stemma era originariamente collocato. Purtroppo la decontestualizzazione del manufatto e l’assenza di informazioni sulle circostanze che ne determinarono il trasferimento in biblioteca non permettono di dare risposte adeguate a questo quesito. Occorre dunque indirizzare la ricerca altrove, segnatamente agli atti notarili.

Una prima verifica effettuata sui regesti dei rogiti del XVI secolo ha offerto, da questo punto di vista, un quadro interessante ma parziale che va necessariamente approfondito attraverso ulteriori e più complete indagini. Le ricerche, in particolare, vanno condotte sia su eventuali beni immobili facenti parte del patrimonio dotale assegnato ai due fratelli mesagnesi, sia su quelli da loro acquisiti per compravendita[16]. Come si vede, il materiale documentario per future e auspicabili investigazioni non manca.

L’attribuzione dello stemma conservato nella biblioteca Marco Gatti pone comunque l’accento sull’importanza dell’araldica come scienza documentaria della storia, in particolare sulla sua utilità nella risoluzione di problemi legati alla committenza e alla cronologia di un determinato manufatto. L’auspicio è che gli storici e gli storici dell’arte ne facciano tesoro!

 

Note

[1] Qualche esempio: una scala per gli Scaligeri, una colonna per i Colonna, tre pignatte per i Pignatelli, un castello per Castiglia, un leone per León, ecc. La relazione parlante che si stabilisce fra le figure dello scudo e il cognome può articolarsi in modo diretto, allusivo o attraverso un gioco di parole.

[2] Cfr. M. Pastoureau, Une écriture en images: les armoiries parlantes, in “Extrême-Orient Extrême-Occident”, 30 (2008), pp. 187-198.

[3] Anche in Terra d’Otranto l’indice di frequenza delle armi parlanti fu particolarmente elevato, Manduria compresa, come dimostrano i seguenti casi: un basilisco per i Basile, una candela per i Candeloro, un calice per i Coppola, un cuore per i Corrado, un leone per i De Leonardis, un fagiano per i Fasano, una fontana per i Fontana, un Gatto per i Gatti, un lupo per i Lupo, un colombo per i Palumbo, ecc. Cfr. N. Palumbo, Araldica civica e cenni storici dei comuni di Terra Jonica, Manduria 1989, pp. 355-362.

[4] Vedi, ad esempio, P. Brunetti, Manduria: tra storia e leggenda, dalle origini ai giorni nostri, Manduria 2007, p. 253. L’autore assegna genericamente lo stemma alla famiglia Pasanisi, ma, come vedremo più avanti, questa attribuzione è vera solo per la seconda parte dell’arma.

[5] Dietro lo scudo si vedono inoltre dei nastri svolazzanti, aventi una semplice funzione decorativa.

[6] Si dice partito lo scudo diviso in due parti uguali da una linea verticale.

[7] Sull’evoluzione della forma dello scudo v. O. Neubecker, Araldica: origini, simboli e significato, Milano 1980, pp. 76-77.

[8] Il quarto (detto anche punto dell’arma) indica ciascuna delle singole armi che, nella loro interezza, compongono stemmi più complessi, purché ognuno di essi rappresenti un’arma separata.

[9] Una delle più importanti e antiche famiglie di Manduria, proveniente da Pasano, antico villaggio costiero in agro di Sava e forse originaria dell’area greco-bizantina. Documentata sin dal XIV secolo con Pietro Pasanisio, la casata (tuttora fiorente) annoverò fra i suoi membri notai, giureconsulti, chierici e sindaci e si imparentò con importanti famiglie feudali come i Montefuscolo, i Luzzi e i dell’Antoglietta. Cfr. B. Fontana, Le famiglie di Manduria dal XV secolo al 1930: capostipiti, provenienza, uomini illustri, Manduria 2005, pp. 153-154.

[10] Lo stemma inquartato dei Pasanisi, del quale esistono varianti soprattutto nella rappresentazione degli smalti, è stato impropriamente blasonato dallo studioso Nino Palumbo come Pasanisi-Dragonetti (cfr. Araldica civica cit., p. 361), dal nome della diramazione omonima generata agli inizi del Settecento dal matrimonio fra Francesco Antonio Pasanisi e Laudonia Dragonetti. L’esame comparato delle testimonianze araldiche superstiti e della genealogia familiare permette invece di affermare che l’uso dell’inquarto è comune a tutti i rami della famiglia, perlomeno sin dal XVI secolo. Istruttivo è, sotto questo profilo, il caso dell’esemplare Pasanisi che appare nel secondo quarto dello scudo partito oggetto di questo studio. Allo stato attuale delle ricerche non è possibile fornire una spiegazione certa circa l’origine dell’arma inquartata innalzata dalla storica famiglia manduriana.

[11] Si dice di più figure uguali fra loro e poste a triangolo, ma con la maggior parte di esse verso la punta dello scudo anziché, come invece avviene di norma, verso il capo.

[12] Utilizzo volutamente il termine quadrupede perché non è stato possibile individuarne l’esatta natura. Potrebbe essere un felino o un cane, ma comunque si tratta di un animale non inquadrabile in una specifica tipologia araldica.

[13] Cfr. Libro Magno delle famiglie di Casalnuovo, Manduria, Biblioteca comunale Marco Gatti, Manoscritti, MS. Rr/1-3; G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli (XV-XIX secolo), Torino 1988, p. 207.

[14] A. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Lecce 1903, rist. anast. Bologna 1978, p. 88.

[15] L’atto di costituzione della dote apportata da Minerva a Donato Antonio fu rogato a Casalnuovo dal notaio Felice Pasanisi l’11 novembre 1581. Il dotante fu Isabella Barbera, madre della futura sposa, in quanto vedova del notaio Carlo Pasanisi. Un altro istrumento, rogato dallo stesso notaio il 22 ottobre 1588, riporta invece i capitoli matrimoniali firmati da Francesco Dormio e Isabella Barbera in occasione delle nozze dei rispettivi figli Alessandro e Pollonia, celebrate nella chiesa matrice di Casalnuovo il giorno dopo. Cfr. M. Alfonzetti, M. Fistetto, I protocolli dei notai di Casalnovo nel Cinquecento: regestazione degli atti notarili dei notai casalnovesi conservati nell’Archivio di Stato di Taranto, Manduria 2003, pp. 212 (n. 14) e 239 (nn. 31, 32). Grazie al Libro Magno (cfr. cc. 487r e 811r) sappiamo inoltre che Donato Antonio e Minerva ebbero tre figli (Teodoro, Giovanni Giacomo e Artemisia) e che altrettanti ne ebbero Alessandro e Pollonia (Francesco Antonio, Anna e Caterina).

[16] L’1 marzo del 1592 Geronimo delli Fiori, di Casalnuovo, vende a Alessandro e Donato Antonio Dormio una casa dotata di un giardino retrostante e di un luogo aperto davanti, sita nel Borgo della Porta Grande, nel luogo detto avante la Porta Grande, per 110 ducati. Il 3 agosto 1592 Antonio Schiavone, di Casalnuovo, vende a Donato Antonio Dormio 10 pezze di vigna, site in Casalnuovo, in località Piterta, ed un clausorio parietato, con dentro una casa, corte, giardino e 30 tomoli di zafferano, sito nello stesso feudo, alla via della Vetrana, per 190 ducati. Il 20 febbraio 1587 Donato De Ugento vende a Donato Antonio Dormio una casa palacciata, sita intus terram Casalis novi, in Plateam pubblicam dicte terre, per 70 ducati. Cfr. Alfonzetti, Fistetto, I protocolli cit., pp. 264 (n. 55), 271 (n. 109) e 320 (n. 253).

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