Giovan Battista Crispo di Gallipoli e due plagiari

di Armando Polito

Nel diritto romano si definiva plagiarius colui che si rendeva colpevole di plagium, cioè del furto dello schiavo altrui. Che la cosa fosse disdicevole lo dichiara la stessa etimologia, essendo derivato plagium dal greco πλάγιον (leggi plàghion) che come aggettivo neitro sostantivato significa cosa obliqua, inclinata e, in senso figurato, cosa non retta, equivoca, insidiosa. Fu Marziale (Epigrammata, I, 52) ad aggiungere al significato giuridico di plagiarius quello che oggi diremmo di ladro di proprietà intellettuale. Data la sua brevità riporto il testo integrale, con la mia traduzione,  del componimento in cui il personaggio fu immortalato:

Commendo tibi, Quintiane, nostros,/nostros dicere si tamen libellos/possum, quos recitat tuus poeta):/si de servitio gravi queruntur,/adsertor venias satisque praestes,/et, cum se dominum vocabit ille,/dicas esse meos manuque missos./Hoc si terque quaterque clamitaris,/impones plagiario pudorem.

(Ti raccomando, o Quintiliano, i miei opuscoletti, se tuttavia posso dire miei quelli che recita il tuo poeta); se essi si lamentano di una pesante schiavitù, venga tu come difensore e a sufficienza garantisca e quando quello se ne dichiarerà il padrone dica che sono miei e non asserviti. Se dirai queso a voce alta, costringerai il plagiario a vergognarsi).

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti ed ha finito per annacquare, con gli altri, anche questo reato, tant’è che nel 1981 esso, riferito alla riduzione in stato di totale soggezione psicologica di una persona da parte di un’altra, fu cancellato dal codice penale con la sentenza n. 96 della Corte costituzionale. Rimane reato, invece, il plagio inteso come violazione dei diritti d’autore, con sanzioni civili e penali. La tecnologia digitale ha reso più facile e meno costoso che in passato soddisfare la tentazione di spacciare come frutto del proprio ingegno quello che, invece, è dell’altrui. E il fenomeno si presenta in forma estremamente variegata: si va dalla riproduzione brutalmente fedele di brani più o meno lunghi, viziata dal difetto capitale del mancato uso delle virgolette o di altro espediente grafico atto ad evitare l’inganno, a quella che prevede il camuffamento con una spruzzatina di sinonimi a sostituire in ordine sparso qualche parola, alla più sofisticata che prevede l’utilizzo della parafrasi. Si comprende bene come quest’ultima sia la più faticosa ma anche l’unica in grado d’ingannare anche i più sofisticati motori di ricerca. Insomma, paradossalmente, il modernissimo copia-incolla sta all’antichissima parafrasi come, in alcuni interventi,  il bisturi al laser …

C’è da sperare, comunque, che la facilità con cui la moderna tecnologia consente già oggi di individuare rapidamente scopiazzamenti di ogni tipo scoraggi i plagiari che si erano illusi di aver trovato la pacchia proprio nell’agevolante tentazione che quella stessa tecnologia offriva loro nel commettere il peccato.

Nei secoli passati i colpevoli potevano contare sulla limitatissima diffusione delle opere a stampa e della cultura in genere, il che rendeva meno diffuso il riscontro o volontario o casuale del lettore e il conseguente mascheramento di plagi parziali o totali. In riferimento al Salento, per quanto riguarda il plagio parziale, ho già fornito un esempio in https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/05/14/se-non-e-plagio-ditemi-voi-cose/. Oggi, più che di un plagio totale, parlerò di quello che può essere definito un plagio editoriale.

Nel 1593 il gallipolino Giovan Battista Crispo (1550 circa-1598 circa), del quale mi sono già occupato  in più di un’occasione (https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/05/13/giovan-battista-crispo-lillustre-gallipolino-che-secondo-wikipedia-avrebbe-trovato-e-salvato-a-napoli-larcadia-del-sannazzaro-12/ e https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/09/gallipoli-dintorni-carta-aragonese-del-xv-secolo/), pubblicava il canzoniere del napoletano Ascanio Pignatelli (1550-1601) per i tipi dell’editore Giovanni Tommaso Todino1 a Napoli.

L’opera si apre con la dedica, già annunziata nel frontespizio e nello stesso evocata dallo stemma Sangro, All’illustrissimo et eccellentissimo Signor Paolo di Sangro Prencipe di Sansevero. In essa, forte del giudizio espresso da intenditori di poesia del valore delle rime del Pignatelli, ritiene giusto fargliene omaggio. Segue l’avvertimento al lettore, in cui il Crispo, dopo aver ricordato la modestia dell’autore che fino a quel momento ne aveva impedito la pubblicazione, così continua: perché non si veggano le sue compositionui, si come di mano in mano, trasportate, oltre dalla prima sua penna, anco di senso, & di parole: & sonovi hoggimai tanti sonetti dispersi, che quasi pochi ne restano nel proprio originale: di che essendone io stato buona parte cagione, per haverglimi di continuo l’istesso Signor Ascanio confidati nelle mani, nè havendo io potuto usar discortesia alla richieſta di molti, i quali & di presenza, & per lettere potevano comandarlomi, perciò pareva che foſſe à me richiesto di provedere al danno, che tuttavia l’isteſſe compositioni dal cortese mio errore hanno ricevuto, & di anteporre alla volontà dell’Autore, la stima di lui medesimo. Laonde fattone una raccolta quanto ho potuto interamente corretta, deliberai col mandarle fuori, prevenire l’ultimo assalto della sua ricusa.

Dopo la dedica, della quale ho riportato la parte che ci interessava, si leggono i soliti componimenti elogiativi. Sono 2 sonetti, il primo a firma di  Fra’ Giulio Caraffa, il secondo di Pier Antonio Caracciolo. Le pp. 1-10 contengono i sonetti I-XX, le pp. 11-15 la canzone I, le pp. 16-25 i sonetti XXI-XL, le pp. 26-29 la canzone II, le pp. 29-42 i sonetti XLI-LXVII, le pp. 43-45 la canzone III,  le pp. 46-52  i sonetti LXVIII-LXXX, le pp. 52-59 la canzone IV, le pp. 59-81 i sonetti LXXXI-CXXV. Le pp. 82-86 contengono altri dieci sonetti elogiativi a firma di Ascanio Piccolomini (due), Scipion Bargagli, Verginio Turamini, Giovanni Battista D’Alessandro, Paolo Pacelli, Ascanio Ramirez, Pietro Antonio Corfuto, Giovanni Battista Marino e Fabritio Marotta.

Le pp. 87-94 ospitano l’indice e la 94 in calce gli errata corrige. L’ultima pagina, non numerata, contiene l’imprimatur e il colophon, che riproduco di seguito.

Il lettore comprenderà dopo la descrizione quasi maniacale della struttura della pubblicazione, che potrà leggere, esercitando, quindi, il suo personale controllo, all’indirizzo https://books.google.it/books?id=3e74ZdQ0U30C&pg=PA31&dq=rime+di+ascanio+pignatelli&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjXqsr2g5LUAhUBIsAKHaFaAC8Q6AEIRzAI#v=onepage&q=rime%20di%20ascanio%20pignatelli&f=false.

Esattamente dieci anni dopo (il Pignatelli era morto da due anni) usciva un’altra edizione.

Il filologo questa volta è Cesare Campana2, come si evince dalla dedica Al molto illustre Signore, il Sig. Conte Sforza Bissaro. Vi si legge fra l’altro: Le Rime del Sig. Ascanio Pignatelli, Cavaliere Napolitano di candidi, & incorrotti costumi, non meno che di acuto ingegno, di gran sapere, mentr’egli visse poterono a pena gustarsi dal mondo, molto più vago essend’egli di avanzarsi continuamente nell’opere pregiate, che di aprirsi quell’ampia porta, ch’era in suo potere alla gloria del mondo. Aspettossi alcuni anni, sperandosi che sì giudizioso padre, con maggior carità si portasse verso le sue nobili creature, di quali poche, quasi per altrui pietù, si eran vedute comparer’alla luce. Ma mentre s’attendeva di loro pomposa mostra, e che l’autore volesse guardar al beneficio universale, egli, già di grand’età, se ne volò a miglior vita, lasciando il mondo nel medesimo desiderio di gustare à sazietà l’abbondanza de suoi pretiosi frutti; de’ quali anche si mostrava maggior carestia in questi paesi, da che in Napoli pur n’era pubblicata una parte. Trovandomeneio dunque alcuni, non anchor veduti, ho voluto aggiungerli agli altri e farli ristamparein quella forma, che possa ciascuno sempre haverne appresso …   

Sintetizzo anche qui la struttura del libro, cui il lettore potrà accedere in https://books.google.it/books?id=g-QGougSvbcC&pg=PA50&dq=Cesare+campana+rime+di+ascanio+pignatelli&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjokICIiJLUAhULIcAKHS8yDsEQ6AEIKjAB#v=onepage&q=Cesare%20campana%20rime%20di%20ascanio%20pignatelli&f=false.

Alle pp. 1-10 i sonetti I-XX, alle pp. 11-14 la canzone I, alle pp. 15-26 i sonetti XXI-XLIV, alle pp. 27-29 la canzone II, alle pp. 30- 43 i sonetti XLV-LXXI, alle pp. 44-45 canzone III, alle pp. 46-52 i sonetti LXXII-LXXXIV, alle pp. 52-58 la canzone IV, alle pp. 58-80 i sonetti LXXXV-CXXIX, alle pp. 81-87 i dieci sonetti elogiativi dell’edizione Crispo, riportati nello stesso ordine. Alle p. 88-97 gli indici.

Se Antonio Bulifon avesse atteso ancora un anno, la sua edizione del canzoniere del Pignatelli sarebbe uscita esattamente un secolo dopo quella del Crispo. Chissà, però, se avrebbe sfruttato la ricorrenza per ricordare il pioniere gallipolino, visto che nella dedica né altrove viene mai citato, nonostante anche lui mostri di tenerne presente la pubblicazione. Il lettore potrà effettuare anche qui il controllo in https://books.google.it/books?id=hR9DjeMQYykC&pg=PP19&dq=bulifon+rime+pignatelli&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjDgbn9lJLUAhXMJcAKHecsDGgQ6AEILzAD#v=onepage&q=bulifon%20rime%20pignatelli&f=false.

Dal frontespizio il lettore noterà che il Bulifon compare prima nelle vesti di filologo (di nuovo date in luce da Antonio Bulifon) e,nella consueta posizione in calce, come editore vero e proprio (in Napoli presso Antonio Bulifon). Di origini francesi, attivo a Napoli, il Bulifon (1649-1707) fu senz’altro uno dei più famosi e prolifici editori del suo tempo. Il suo legame con Napoli è evidente nella sirena campeggiante nella sua marca editoriale col motto NON SEMPRE NUOCE. E poi, per non farsi mancare nulla …, , in basso al centro (li ho evidenziati con la circonferenza bianca) la doppia croce con il suo monogramma.

Questa, delineata sinteticamente, la struttura della pubblicazione: alle pp. 1- 11 sonetti I-XX, alle pp. 12-15 la canzone I, alle pp. 16-25 i sonetti XXI-XL, alle pp. 26-28 la canzone II, alle pp. 29-42 i sonetti XLI-LXVII, alle pp. 43-45 la canzone III, alle pp. 46- 52 i sonetti LXVIII-LXXX, alle pp. 53-58 la canzone IV, alle pp. 59-81 i sonetti LXXX-CXXV, alle pp. 82-96 i dieci sonetti elogiativi nella sequenza già vista nel Crispo e nel Campana; segue l’indice in nove pagine non numerate. L’ultima pagina, anch’essa non numerata, reca l’imprimatur, anzi il reimprimatur cioè si ristampi,

 

In un secolo la tecnica di stampa si era senz’altro affinata e i mezzi economici del Bulifon erano certamente notevoli; tuttavia l’edizione ricalca pedissequamente quella del Campana e l’unica differenza rispetto a questa ed a quella del Crispo, che ormai possiamo definire come l’editio princeps, è rappresentata dalla tavola dell’antiporta (di seguito riprodotta) e, subito dopo la dedica a Domenico Giudice, da un avviso che nella parte finale incorpora la notizie biografiche sul Pignatelli tratte da Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli di Carlo De Lellis uscito per i tipi degli Eredi di Roncagliolo a Napoli nel 1671.

Provo a leggerla dall’alto in basso.  Nel cartiglio il titolo dell’opera. Poi la Fama con fattezze che ricordano più modelli tardo-rinascimentali che barocchi (non è certamente il mostro alato descritto da Virgilio nei versi 173-188 del libro IV dell’Eneide).Alla sua destra (evidenziato in bianco) un putto alato regge sulle spalle lo stemma della famiglia Pignatelli ed un altro alla  sinistra (evidenziato in rosso) quello della famiglia Giudice. La dea sembra quasi delicatamente aiutare a reggere la sua tromba un giovane nudo dal viso femmineo, alla cui sinistra si nota la rappresentazione divinizzata del fiume Sebeto (evidenziato in giallo) e a destra una figura bambinesca dallo strano copricapo che suona un violino (evidenziato in verde)3.

In conclusione: oggi Cesare Campana (fra l’altro nato dieci anni prima del Crispo, dunque perfettamente in grado, se avesse voluto e potuto. di bruciarlo sul tempo) sicuramente sarebbe stato accusato di plagio, anche se probabilmente all’epoca nemmeno il dedicatario si accorse che gli era stato fatto una sorta di regalo riciclato o, tanto la sostanza non cambia, contraffatto. Se la sarebbe cavata forse il Bulifon per trascorsi limiti temporali dalla prima edizione. Rimane, comunque, consegnata alla storia la disonestà quantomeno intellettuale di entrambi per non aver fatto il minimo cenno al nome del gallipolino ed al suo lavoro che pure, come ho ampiamente provato, mostrano di conoscere. E il testo di Ascanio Pignatelli non poteva essere considerato come quello di un autore classico latino o greco, cioé quasi terra di nessuno e, perciò, di tutti, soggetto a multiple rivendicazioni di paternità editoriale.

___________

1 Si servì della stamperia dello Stigliola, come si legge in questo frontespizio e in quelli, anch’essi del 1593, di Discorso di Guglielmo Guilleo Alemanno sopra i fatti di Annibale, nel quale dimostrandosi lui essere stato nel valor delle arme superiore a tutti gli altri capitani, si discriue generalmente l’vfficio di perfetto capitano. Tradotto nella volgar lingua dal Signor Giacomo Mauro, 1593 e di Discorso del signor Giacomo Mauro, nel quale oltre la notitia che s’ha di molte belle cose mai piu udite, si proua con l’autorità delle sacre lettere, e di molti santi dotti huomini, e giureconsulti, quanto sia piu degna la donna dell’huomo, e di quanta piu illustre nobiltà et eccellenza dalla natura dotata. La stamperia Stigliola fu condotta da Nicola Antonio sostituito dal figlio (secondo alcuni fratello) Felice nei due anni (1505-1597) che trascorse in carcere. Prima della pubblicazione del Crispo era apparso isolato solo qualche sonetto del Pignatelli: per esempio il n. CXXII (in risposta ad un sonetto di Benedetto Dell’Uva) nella raccolta curata dal mesagnese Scipione Ammirato  Scipione Ammirato Parte delle rime di Benedetto Dell’Uva, Gioovanbattista Attendolo, et Cammillo Pellegrino, Sermartelli, Firenze, 1584, p. 48.

2 Cesare Campana (1540-1606), aquilano, detto il Vario Olimpico presso lo stesso editore aveva pubblicato nel 1595 Assedio e racquisto d’Anuersa, fatto dal sereniss. Alessandro Farnese prencipe di Parma, &c. Luogotenente, gouernatore, e capitan generale ne’ Paesi Bassi, del catholico, e potentissimo Filippo secondo re di Spagna. Historia di Cesare Campana, diuisa in due libri. Con una breue narratione delle cose avvenute in Fiandra, dall’anno 1566 fin al 1584, che cominciò detto assedio; e con l’arbore de’ conti di Fiandra. Innumerevoli le opere poetiche e, prevalentemente, storiche pubblicate presso altri editori.

3 Superfluo dire quanto sarebbe gradita l’integrazione delle identificazioni mancanti grazie alla competenza, che io non ho. di qualche lettore.

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