L’antica casa Carcioffa di Manduria e il suo stemma

di Marcello Semeraro

Fra gli stemmi più curiosi che si possono osservare nel centro storico di Manduria, un posto di primo piano spetta sicuramente a quello della famiglia Carcioffa, antica casata di origine albanese, oggi estinta.

L’arma si trova scolpita sulla facciata dell’edificio sito al civico n° 15 di Piazza Plinio ed è racchiusa da uno scudo ovale, con contorno a cartoccio (nella parte superiore) e a foglie di acanto (in quella inferiore), ornato da nastri accollanti e svolazzanti (fig. 1).

 

Fig. 1 - Manduria, casa Carcioffa, particolare dello stemma murato sulla facciata
Fig. 1 – Manduria, casa Carcioffa, particolare dello stemma murato sulla facciata

 

Il manufatto, diversamente da quanto dovette essere in origine, si presenta oggi acromo e costituisce l’unica attestazione a noi nota del blasone di questa antica famiglia. All’interno dello scudo è rappresentata una pianta di carciofo, gambuta e fiorita di sette pezzi, sostenuta da due leoncini controrampanti; il tutto è posto su un terreno e accompagnato, nei cantoni destro e sinistro del capo, da due stelle di otto raggi. L’araldista riconosce subito che si tratta di un caso di stemma parlante, una particolare tipologia di arma, cioè, che contiene raffigurazioni che alludono (direttamente o indirettamente) al nome di famiglia.

Nel caso specifico, la relazione che si stabilisce fra la figura principale dello scudo e il cognome (ovvero fra il significante e il significato) è talmente diretta da risultare chiara e comprensibile anche a chi sia digiuno di cose araldiche. Cronologicamente parlando, l’esemplare litico è databile alla prima metà del Seicento e presenta, nella tipologia di scudo e nei suoi ornamenti esterni, delle affinità stilistiche con altri manufatti coevi, come ad esempio l’arma della baronessa Filippa di Cosenza, visibile all’interno della chiesa di San Giovanni Battista di Oria e realizzata, come recita la sottostante epigrafe, nel 1613, ovvero quasi tre secoli dopo la sua morte (1348).

Seicentesca è, del resto, la stessa casa Carcioffa, un edificio che ricalca una tipologia costruttiva che proprio in quel secolo si sviluppò a Casalnuovo (l’antico nome di Manduria) durante la signoria degli Imperiali. Come abbiamo già accennato, la famiglia Carcioffa è di origine albanese e come tale viene annoverata nel Librone Magno delle famiglie manduriane, il celebre manoscritto iniziato nel 1572 dall’arciprete della Collegiata Lupo Donato Bruno, sulla cui attendibilità non sussistono dubbi (figg. 2 e 3).

Fig. 2 - Note genealogiche sulla famiglia Carcioffa. Librone Magno, Manduria, Biblioteca comunale Marco Gatti, Manoscritti, ms. Rr/1-3 (1572-1810), c. 806v.
Fig. 2 – Note genealogiche sulla famiglia Carcioffa. Librone Magno, Manduria, Biblioteca comunale Marco Gatti, Manoscritti, ms. Rr/1-3 (1572-1810), c. 806v.

 

Fig. 3 – Frontespizio stemmato del Librone Magno, Manduria, Biblioteca comunale Marco Gatti, Manoscritti, ms. Rr/1-3 (1572-1810), c. 3r. La pluralità di insegne disegnate e acquerellate mette in scena la gerarchia dei poteri (religiosi e laici) esistenti all’epoca della compilazione del manoscritto (1572): il papa Gregorio XIII (in alto a sinistra), il re di Napoli Filippo II di Spagna (in alto a destra), l’arcivescovo di Oria Bernardino Figueroa (in basso a sinistra), il feudatario Davide Imperiali (in basso a destra). Al centro, lo stemma dell’Universitas, in alto quello del Capitolo della Collegiata di Manduria e in basso, quello dell’arciprete Lupo Donato Bruno.
Fig. 3 – Frontespizio stemmato del Librone Magno, Manduria, Biblioteca comunale Marco Gatti, Manoscritti, ms. Rr/1-3 (1572-1810), c. 3r. La pluralità di insegne disegnate e acquerellate mette in scena la gerarchia dei poteri (religiosi e laici) esistenti all’epoca della compilazione del manoscritto (1572): il papa Gregorio XIII (in alto a sinistra), il re di Napoli Filippo II di Spagna (in alto a destra), l’arcivescovo di Oria Bernardino Figueroa (in basso a sinistra), il feudatario Davide Imperiali (in basso a destra). Al centro, lo stemma dell’Universitas, in alto quello del Capitolo della Collegiata di Manduria e in basso, quello dell’arciprete Lupo Donato Bruno.

È noto che il fenomeno dell’immigrazione albanese, iniziato nella seconda metà del ‘400 a seguito della caduta dell’Impero bizantino (1453), interessò una vasta area del tarantino ed ebbe una presenza significativa anche nella stessa Manduria.

 

Fra le famiglie manduriane di sicura origine albanese ricordiamo i Bianca, i Biasca, i Greca, i Magiatica, i Masculorum, i Piccinni, i Pellegrina, gli Sbavaglia e gli stessi Carcioffa.

Grazie agli studi condotti da Benedetto Fontana su documenti d’archivio, sappiamo quest’ultima famiglia ebbe una forma cognominale molto variabile fra i secoli XVI e XVII. Nel Libro dei Battezzati e negli Status Animarum, infatti, i Carcioffa sono indicati anche come “Fercata” (LB 1579), “Forcata alias Carcioffo” (LB 1584), “Scarcioppola” (SA 1665) e “Schiaccioppola” (SA 1693).

Se le origini di questa famiglia sono note, non altrettanto si può dire invece della sua supposta “nobiltà”. Secondo Pietro Brunetti, essa sarebbe provata proprio dall’uso dello stemma, “segno che tra gli immigrati vi furono anche famiglie nobili o, col tempo, divenute tali”. Si tratta, tuttavia, di un’affermazione priva di fondamento, che si basa su una percezione errata, ma purtroppo molto diffusa, del fenomeno araldico: la limitazione alla sola classe nobile del diritto allo stemma.

La realtà è invece un’altra: in nessuna parte dell’Europa occidentale, in nessun momento storico, l’uso dello stemma è stato appannaggio di una sola classe sociale. Ogni individuo, ogni famiglia, ogni gruppo è sempre stato libero di adottare un proprio stemma e di farne un uso privato, a condizione di non usurpare quelli altrui.

Le rare restrizioni documentate – che tuttavia restarono spesso lettera morta – hanno riguardato semmai l’uso pubblico delle armi, ma queste limitazioni non hanno mai interessato il Regno di Napoli, dove non è possibile rinvenire alcuna specifica regolamentazione in tal senso. In Terra d’Otranto, in particolare, sono numerosi gli esempi di armi appartenenti a famiglie borghesi o notabili che dir si voglia.

Del resto, il principio della libera assunzione degli stemmi fu enunciato già nel XIV dall’insigne giurista Bartolo da Sassoferrato, il quale nel suo trattato De insigniis et armis, assegnando all’arma una funzione simile a quella del nome, a tal proposito così scrisse: “[…] sicut enim nomina inventa sunt ad cognoscendum homines [… ] ita etiam ista insignia ad hoc inventa sunt […]”. Quanto ai Carcioffa, essi non raggiunsero mai nessuno status nobiliare, ma furono sicuramente una famiglia borghese e agiata. Tutto ciò non gli impedì affatto di dotarsi di un’insegna araldica e di impiegare, al momento della scelta, il procedimento più facile per crearsene una: l’arma parlante. Così facendo, aderirono a una pratica emblematica molto diffusa nell’araldica europea, il cui indice di frequenza, pari a circa il 20% degli stemmi medievali, crebbe ancora di più in epoca moderna, quando numerose famiglie non nobili e comunità fecero uso di insegne.

Quello delle armi parlanti, del resto, fu un fenomeno ben noto a Manduria. Ne cito qualche esempio, tratto dal saggio di Nino Palumbo Araldica civica e cenni storici dei comuni di Terra Jonica: una candela (Candeloro), un calice (Coppola), un leone (De Leonardis e Leo), un fagiano (Fasano), un ferro di cavallo (Ferri), una fontana (Fontana), quattro X (Quaranta), ecc.

La figura principale che campeggia nello scudo in esame – la pianta di carciofo, figura rarissima nelle armi – conferma, inoltre, una tendenza specifica che caratterizza l’araldica non nobile rispetto a quella nobile, vale a dire una maggiore diversificazione nel repertorio delle figure utilizzate. Gli studi di Michel Pastoureau hanno dimostrato come tale repertorio comprenda un maggior numero di oggetti della vita quotidiana, strumenti vari e figure vegetali, come quella che appare nell’arme Carcioffa.

Ora, agli occhi dell’osservatore moderno un emblema come può apparire burlesco e peggiorativo, ma occorre sottolineare che così facendo si incorre nell’anacronismo, il cancro della ricerca storica. Allo storico dei segni, invece, tale stemma appare per quello che è, ovvero un autentico documento di storia culturale e sociale, che, come tale, va compreso e contestualizzato. All’epoca, la famiglia era fiera di esibire il proprio emblema araldico, tanto che, nel pieno dello sviluppo urbanistico di Casalnuovo nel XVII secolo, decise di collocarlo non su un posto qualsiasi, ma sulla facciata della propria abitazione, con la triplice funzione di segno di riconoscimento, marchio di proprietà e motivo ornamentale.

Ancora oggi, dopo quattro secoli, lo stemma campeggia su questo antico edificio e si accompagna al motto di famiglia, CONSTANTIA ET LABORE, inciso sull’architrave della sottostante finestra, che risuona come una dichiarazione programmatica di intenti, un’ideale di vita che si beffa del trascorrere del tempo e delle mode. “Le blason est la clef de l’histoire“, disse Gérard de Nerval: mi piace concludere così queste brevi note.

 

Bibliografia

  1. Brunetti, Manduria, tra storia e leggenda. Dalle origini ai giorni nostri, Manduria 2007.
  2. Fontana, Le famiglie di Manduria dal XV secolo al 1930. Capostipiti, provenienza, uomini illustri, Manduria 2015.
  3. Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Lecce 1903, rist. anast. Bologna 1978.
  4. Greco, Immigrazione di albanesi e levantini in Manduria desunta dal Librone Magno, in “Rinascenza Salentina”, 8 (1940), pp. 208-220.
  5. Palumbo, Araldica civica e cenni storici dei comuni di terra jonica: genealogie ed armi di feudatari e di casate estinte e viventi, Manduria-Bari-Roma 1989.
  6. Pastoureau, Medioevo simbolico, Bari 2014.
  7. Pastoureau, Une écriture en images: les armoiries parlantes, in “Extrême-Orient Extrême-Occident”, 30 (2008), pp. 187-198.
Condividi su...

Lascia un commento

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!