I comizi in piazza di una volta, con correlate razzie e abbuffate di nespole

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di Rocco Boccadamo

Ieri sera, mi sono messo ad assistere, arrivando a trattenermi solamente sino a un certo punto, allo spettacolo, propinato come interessante e, però, più che altro triste e avvilente, del talk show di turno, in onda nel palinsesto di una nota ed estesa rete televisiva privata.

Fra gli argomenti proposti, a spiccare maggiormente, è stata la vicenda, invero affatto nuova e/o originale, della diffusione, anzi pubblicazione, di alcune intercettazioni telefoniche, dal contenuto, se non clamoroso, indubbiamente ad alto effetto in seno alla pubblica opinione, aventi per protagonisti un padre e un figlio, o viceversa.

Con la speciale peculiarità, che uno degli interlocutori s’identifica con il più importante esponente politico e, fino a poco tempo fa, anche governativo, del nostro Paese.

Di fronte al conduttore della trasmissione, un esperto e affermato giornalista (l’autore, diciamo così, dello scoop) e un parimenti conosciuto personaggio politico dello schieramento del dianzi richiamato leader, chiaramente lì mandato come panzer contraddittore e negatore all’estremo delle evidenze, o per lo meno verosimili evidenze, emerse dalla faccenda, che, forse, doveva rimanere segreta.

Tra le parti sono sprizzate scintille e, addirittura, volati insulti a ripetizione, eccessi certamente non cancellati, alla fine, dalla stretta di mano di pura maniera.

Segno e conferma, cotanta scena, della campagna elettorale che, dalle nostre parti, si svolge e sussegue ormai in permanenza.

Esausto, anche perché erano suonate le ventitré, ho pigiato sul tasto stop del telecomando, non senza, tuttavia, in quell’attimo, ricondurre alla memoria, nitide e fresche, le immagini di stagioni elettorali lontane, circoscritte in archi di due/tre mesi, vere, autentiche e animate, con la medesima intensità, dai protagonisti, o candidati come meglio dir si voglia, da una banda e dalla gente, dall’altra.

Sia che fossero elezioni politiche, sia che si trattasse di consultazioni amministrative, l’impostazione e il clima erano quasi identici e, soprattutto, non esistevano, allora, distanze o distacchi fra le popolazioni e il cosiddetto palazzo.

Anche se, di là dalle procedure ufficiali e dalle regole burocratiche, gli eventi si tenevano alla buona, con veicoli di comunicazione consistenti appena in immaginette propagandistiche (santini) degli aspiranti consiglieri o onorevoli e manifesti, con o senza l’effige della persona in lista, che ricoprivano i muri delle case e degli edifici in genere.

E poi, ovviamente, i comizi all’aperto, tenuti dai gareggianti locali o dai potenziali parlamentari.

A comprova della sopra ricordata vicinanza fra la gente e il potere politico, a queste ultime manifestazioni in piazza partecipava l’intera comunità paesana; chi amava assistervi, in piedi o accomodato su una seggiola portata da casa, nelle prime file rispetto al palco dell’oratore, arrivava sul posto anche due ore prima dell’evento, già annunciato per le vie del paese anche per opera del pubblico banditore, che girava in bicicletta, con tanto di suoni di tromba per richiamo.

Pure noi piccoli marittimesi, con riferimento al periodo dal 1948 al 1958, eravamo coinvolti nell’atmosfera delle tornate elettorali e nella relativa “macchina” organizzativa, in ciò agevolati dalla circostanza che coincidevano con la fase finale dell’anno scolastico, le verifiche erano terminate e si attendevano solamente gli scrutini.

Ad esempio, collaboravamo con gli adulti nell’affissione dei manifesti e nella distribuzione dei santini.

Ma, con la furberia propria della fanciullezza e dell’adolescenza, la sera, in concomitanza con i comizi, compivamo spesso un’altra azione.

In sostanza, sicuri di aver spazio libero e di non essere scoperti, anziché trattenerci in piazza dove si raccoglieva la totalità della popolazione, sciamavamo in direzione di giardini e campi in zone periferiche della località. Lì, varcando agevolmente muretti di recinzione o dischiudendo precari portoncini, ci portavamo ai piedi o sui rami di alberi di nespole, piante di cui possedevamo un vero e proprio inventario logistico, cogliendone e mangiando a più non posso i succosi frutti, che giungevano a maturazione giusto in quel tempo.

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Da notare che, per via delle cene frugali appena consumate in famiglia e, quindi, dello stomaco ancora capiente, tali scorpacciate clandestine si protraevano a lungo, all’incirca per tutta la durata dei comizi.

Le nostre missioni per incette di nespole iniziavano, di solito, dal fondo “Monticelli” del mio nonno paterno Cosimo e, dopo, proseguivano in vari altri appezzamenti di parenti o semplici conoscenti, dove sapevamo perfettamente che ci fossero piante della specie.

Ad agevolare la nostra opera, rispetto al manto del buio, timido nella prima sera e via via più fitto, il brillio delle stelle e, quando c’era, il raggio delicato della luna, mentre, qua e là, grilli, lucciole delicate e civette stanziali davano l’impressione di non accorgersi o non curarsi delle nostre invasioni, seguitando, invece, a manifestare le loro abituali voci e lucine color verde azzurro.

Tutto si compiva, alla fine, con il rientro nelle nostre abitazioni, abbinato o confuso con il ritorno dei nostri genitori e parenti che avevano partecipato ai comizi.

Morale, vuoi mettere quelle antiche esperienze di campagne elettorali con le manifestazioni e caratteristiche che hanno luogo adesso?

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Un commento a I comizi in piazza di una volta, con correlate razzie e abbuffate di nespole

  1. Ce ne andremo da questo mondo forse più sereni, con tanti bei ricordi che “aprono” l’anima e che tanti altri, più giovani, non potranno avere.

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