NNARGIARE (marinare la scuola): due ipotesi etimologiche

di Armando Polito

Come tutte le cose proibite l’azione espressa da nnargiare ai miei tempi aveva una valenza tutta particolare: da un lato la paura per le conseguenze, a scuola e in famiglia, che ne potevano derivare, dall’altro il piacere di sottrarsi a quella gran rottura di scatole che era pur sempre la scuola, per cui il girovagare, da soli o in compagnia, risultava più gratificante che partecipare a una lezione, volevo dire ascoltare una lezione; e credo che proprio per questo la lezione fosse (e probabilmente è rimasta …) una gran rottura dei nominati contenitori. E il maschilismo pure linguistico allora (e oggi?) imperante sanciva la menzogna  che almeno le ragazze ne fossero immuni …

A me il nemmeno tanto sottile piacere della nnargiatura  è stato negato perché quella carabiniera di mia madre mi ha accompagnato in classe (non lasciandomi al portone …) fino al primo liceo e anche mio padre riusciva a mantenere periodici contatti con i miei insegnanti nonostante le oggettive difficoltà: essendo ferroviere doveva sacrificare per incontrarsi con loro  un poco del tempo destinato al riposo dopo il turno di notte.

Con quel servizio di controllo così efficiente ho dovuto aspettare il primo liceo per realizzare la possibilità teorica di nnargiare, ma, ormai, l’imprinting (fa senso, vero?, leggere a così poca distanza l’uno dall’altro un vocabolo così antico ed uno così moderno) ricevuto mi aveva immunizzato da qualsiasi peccaminosa tentazione. E così le mie uniche  nnargiature furono quelle, per così dire, istituzionali, cioè propiziate dagli scioperi studenteschi che allora cominciavano a verificarsi: di fronte ad una classe con un solo alunno, io appunto, il preside non poteva far altro che convocare un genitore per prelevarlo.

E oggi? Preferisco tacere (dico solo che si è passati da un eccesso all’altro, ma le lezioni probabilmente son rimaste una gran rottura di scatole, con la differenza che la rottura di allora qualche risultato lo ha dato, quella di oggi …) o, meglio,  continuare a parlare del passato, perché a questa fase temporale è, inevitabilmente, legata ogni etimologia.
Ecco cosa ne pensa il maestro di tutti coloro che abbiano intenzione di occuparsi di questo: il Rohlfs.

 

La voce nnargiare risulta raccolta sul campo (l=Lecce; posso, però, assicurare che essa è in uso anche a Nardò), oltre che attestata letterariamente: L6= Fernando Manno, Dizionario del dialetto salentino leccese (manoscritto  stilato dal 1929 al 1932); (L)21=Francesco d’Elia, Vita ed opere di Giuseppe De Dominicis (Capitano Black. Poesie edite ed inedite, Lecce, 1926. Per nnargiatura, invece, la sola attestazione letteraria (L6).

Per il Rohlfs,inoltre, l’etimo di nnargiare (e, si deduce, del derivato nnargiatura sarebbe gergale, cioé in uso esclusivo  in un determinato ambiente (in questo caso quello studentesco). In questo caso, però, trattandosi di una voce dialettale, la ricerca etimologica si complica rispetto agli altri linguaggi definiti settoriali; tant’è che egli non avanza nessunna proposta etimologica, come se per ogni voce gergale (o per la maggior parte di esse) non esistesse etimo; anche se è più complicato individuarlo (infatti etimo incerto è nei dizionari una costante una costante per la maggior parte delle voci gergali)  proprio per il ristretto numero, almeno all’inizio, di utenti e per lo stesso utilizzo riservato  a pochi, quasi da setta segreta.

Probabilmente scoraggiato da quanto letto nel Rohlfs, Antonio Garrisi nel suo Dizionario leccese-italiano, Capone, Cavallino (Le), 1990 tratta il lemma nel modo che segue:

“nnargiare tr. e intr.; pres. nnàrgiu, ecc.; impf. nnargiàa, ecc.; p. rem. nnargiài, ecc.; pp. nnargiatu. Marinare disertando i propri còmpiti: me ene biri cu nnàrgiu la fatìa mi viene voglia di marinare il lavoro. DE D.  L’angelieddi nnargiànu la lezione / e lle pinne ca aìanu se sçiucànu.”. Nulla di più se non la riproduzione  del testo del De Dominicis.

Si ricollega al Rohlfs pure Giuseppe Presicce autore del pregevole Il dialetto Salentino come si parla a Scorrano consultabile solo in rete (http://www.dialettosalentino.it/i.html), dove il lemma si presenta così trattato.

Non vorrei che quanto sto per dire fosse interpretato come il velleitario tentativo di proseguire (tanto meno portare a termine) il cammino partendo dal punto in cui gli altri si sono fermati, proponendo, addirittura (ma non esiste il senso della misura?) già nel titolo due ipotetiche soluzioni.

Prima ipotesi

Connessione con il greco ἀνέργεια (leggi anèrgheia)=inattività, a sua volta connesso con l’aggettivo ἄνεργος/ἄνεργον (leggi ànergos/ànergon)=inattivo, composto da -ἀ con valore privativo+ –ν– eufonico +ἕργον (leggi ergon)=lavoro.

Seconda ipotesi

Connessione con il verbo greco ἀνέργω (leggi anergo) o ἀνείργω (leggi anèirgo)=far indietreggiare, respingere, distogliere, che è composto da ἀνά (leggi anà)=sopra+εἴργω=chiudere fuori, tenere lontano.

In entrambe le ipotesi l’aferesi di – (leggi a-) spiegherebbe l’nn- di nnargiare, raddoppiamento che sarebbe di compenso e non di natura espressiva.

Il concetto base di allontanamento si conserva pure nel prima ricordato sciopero, che è deverbale da scioperare, a sua volta da ex=lontano da+operare=occuparsi di qualcosa. E mi piace ricordare che ai miei compagni scioperanti, cui il preside aveva obiettato che lo sciopero era riservato ai soli lavoratori, suggerii di ribattere la volta successiva che la loro attività di studenti era assimilabile al lavoro evocato da opera e che di quella, intesa nel senso più nobile, non potevano essere considerate protagoniste solo la componente direttiva, l’amministrativa  e la docente. A modo mio mi sdebitavo una volta per tutte del piacere che il loro sacrificio mi aveva procurato (anche se non immediato, perché allora il telefono, almeno in casa mia, il bidello non era Pietro Mennea e mia madre non sarebbe venuta a prendermi a meno di mezz’ora dal fattaccio.

A pensarci bene chissà che carrierona avrei fatto come sindacalista ! E pure voi non sareste incorsi nella disgrazia di leggermi …

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4 Commenti a NNARGIARE (marinare la scuola): due ipotesi etimologiche

  1. Marinare la scuola

    * PUGLIA
    Andria: fare fruscio; Gioia del Colle: filone, asso; Barletta: fare filone; saltare la piomba; Foggia: fare salasso; Molfetta: fare friana; Bari: fare x; Bari provincia: bollo, Bisceglie “fare friana”,
    *SALENTO
    Novoli: nnargiare; uei vagnunì…. osce nnargiamu la scola, Brindisi: zumpari, fare zumpo, ; Casarano “Salarsela” metterla sotto sale e conservarla per la mattina dopo, si dice pure così a Grosseto e Piombino, Taranto”fare filone”,
    Ersilio Teifreto http://www.torinovoli.it

  2. Buongiorno Prof. Armando, come è cambiato il modo di parlare dei Salentini,
    le parole sono importanti e questa che lei ha scritto la ricordo bene “me ene biri cu nnàrgiu la fatia”
    però da un po di giorni che rifletto sul significato di “ Biri” si usava dire solo in qualche comunità Salentina?
    vorrei trovare una risposta anche con l’aiuto dei frequentatori di questo importante portale,
    io non lo trovo scritto da nessuna parte,
    a Novoli: si poteva dire: “me ene biri cu ne tau nnu baciu”

    un cordiale saluto da Torino
    Ersilio Teifreto

    • “Biri” corrisponde all’italiano “avere”, sicché “me ene bbiri cu nne tau nnu bbaciu” tradotto parola per parola suonerebbe “mi viene (di) avere che le dia un bacio”, cioé “sento la voglia di darle un bacio.

  3. Prof. Armando,grazie a nome di tutti i Salentini per la tempestiva traduzione in italiano della parola antica “Biri” non da tutti conosciuta.
    La sua passione per il lavoro, e professionalità rappresentano il miglior modo per rispondere alle mille curiosità che vagano nella testa di chi si avventura a parlare il dialetto Salentino.
    Ersilio Teifreto

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