Su quella bici di Rocco…

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SU QUELLA BICI DI ROCCO BOCCADAMO E …DI COME ABBIAMO PEDALATO QUANDO POI FINALMENTE È ARRIVATA

di Vanni Greco

Mi domando spesso se le attese deluse (come per “la bici desiderata e non avuta” di Rocco Boccadamo) (https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/04/08/92481/) di noi ragazzi e adolescenti di qualche tempo fa, che hanno dovuto fare i conti con padri poco disposti ad assecondare richieste di beni non strettamente necessari, e madri impegnate a rimodulare con affetto e con successo la frustrazione del figlio e l’intransigenza del marito, siano state utili allo sviluppo della personalità e della capacità di coltivare speranze e progetti per la vita adulta che avessero più probabilità di essere realizzati. Se la necessità di dover spesso rinunciare e quasi sempre accettare il rinvio del bene giudicato superfluo, abbia favorito una distanza dalle pulsioni dell’istinto e maggiore equilibrio e stabilità nei confronti dell’alternarsi di vittorie e sconfitte che, senza eccezioni, segnano la vita di ogni essere umano.
O se, invece, la limitata soddisfazione di tutti i bisogni che esprimeva quell’età abbia rappresentato un limite allo sviluppo della capacità di sognare e di realizzare, con la spinta creativa che li accompagnava, un progetto di vita radicalmente migliore per sé e per gli altri.
Oppure ancora, se quelle rinunce abbiano garantito un accumulo tale di energia che, una volta approdati all’autonomia personale e professionale, si sarebbe liberata in capacità di cambiamento della propria parte di mondo e con esiti decisamente positivi ed oggettivamente apprezzabili.

A distanza di alcuni decenni, il tentativo di fare un bilancio della propria vita credo non aiuti molto nella ricerca di risposte a queste domande, perché non è mai agevole prender le misure reali di ciò che è stato, dei successi e delle sconfitte e ricondurli a meriti ed errori propri, dei propri genitori o di chi ha avuto un ruolo importante nella nostra vita. E senza nemmeno scomodare il “caso”, benigno o meno, che pure entra in misura determinante negli eventi umani.
Si tratta di domande che mi sembra mantengano tutta la propria legittimità anche di questi tempi che pare abbiano abbandonato del tutto il modello nel quale molti della mia generazione e delle precedenti sono cresciuti, e dal quale ne hanno preso talmente le distanze da risultare, forse, agli antipodi. L’impressione, infatti, è che oggi il genitore debba e voglia assecondare qualunque richiesta dei figli. Mi domando se ciò accada per reazione alla propria esperienza adolescenziale, se per saggia consapevolezza sugli effetti dell’uno o dell’altro modello oppure ancora se dipenda dal bisogno degli odierni genitori di evitare qualunque ostacolo alla continua ricerca della propria felicità individuale; una ricerca che l’attenzione e l’impegno verso i figli rischia di compromettere e che risulti, quindi, più facile facendosi sostituire da beni materiali in abbondanza che possano opportunamente distrarre e tenere occupati i figli.
Un ribaltamento, ammesso che corrisponda alla realtà, che rischia di indurre quelli come noi, che pure portano ancora qualche cicatrice del passato, a riversare giudizi talvolta pesanti sulle nuove generazioni di genitori e figli; e che, nel migliore dei casi, alimenta l’inquietudine per il loro futuro che appare senza sbocchi e senza speranza.
Giudizi e paure che ritornano, di generazione in generazione. E, ogni volta, l’ultima generazione di giudici ed osservatori sembra convincersi o teme d’essere la penultima nel computo totale.
È, dunque, davvero a rischio, ogni volta per colpa delle nuove generazioni, il regolare processo di sviluppo e di benessere che continua da alcuni millenni o, secondo altre letture, la storia delle nostre tutto sommato giovani democrazie?

Comincio a dubitare che i giudici più severi in realtà siano gli stessi che, nel pieno delle loro forze, sopravvalutavano o nemmeno s’interrogavano sul valore del proprio contributo al miglioramento del mondo, preferendo puntare il dito sui loro contemporanei, responsabili di tutti i mali.
Mentre, gli osservatori realmente più angosciati forse confondono il destino dell’intero mondo con la crescente, ma non ancora ben riconosciuta paura di chi si avvicina alla propria uscita individuale dal mondo; proiettando così sulle nuove generazioni un destino che è solo personale.

E se, invece, finché c’è ancora tempo, provassimo a fare e, soprattutto, a fare meglio di quanto non abbiamo fatto finora?

O, in alternativa, lasciare responsabilmente il campo a chi, magari sorprendendoci, potrebbe fare meglio, anche molto meglio di noi.

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Un commento a Su quella bici di Rocco…

  1. Anch’io, e forse più dei miei coetanei, sono frutto di un’educazione probabilmente troppo severa. Fino a quando non ho raggiunto l’indipendenza economica ho, non mi vergogno a confessarlo, odiato mio padre che predicava, e, cosa fondamentale, con l’esempio non ammetteva la minima deroga ai principi di onestà (comprendente anche, fra l’altro, il non mentire …), di coerenza e di sacrificio. Poi son diventato padre anch’io e il destino ha voluto benignamente che facessi in tempo a manifestargli la mia gratitudine per quanto mi aveva insegnato e fare in modo che intuisse, prima di perderlo per sempre (tuttavia, si può perdere per sempre una persona che si è prima odiato e poi amato? Foscolo ha detto di no, almeno finché vive il suo ricordo), che anch’io avrei educato le mie figlie alla luce del testimone che lui mi aveva consegnato, pur con qualche leggera, inevitabile variante per adeguarsi con spirito critico ai tempi (che rottura di scatole sarebbero pure per noi vecchi, se non cambiassero ! …),senza soccombere alle loro lusinghe.
    Condivido, perciò,tutte le riflessioni dell’autore, compresi i se ed i ma e ritengo anch’io che forse ogni generazione nel giudicare quella precedente utilizza il microscopio e nel giudicare se stessa (ma si può mai, oltretutto, giudicare se stessi imparzialmente?) il telescopio.
    Da parte mia riconosco senza difficoltà di avere avuto un’esistenza fortunata: sono nato meno di due mesi prima che la seconda guerra mondiale finisse e, giunto a 72 anni, ho poche probabilità di vedere la terza. È questa una constatazione obiettiva e personale che non susciterà l’interesse di nessuno, ma anche l’augurio che la maggior parte delle generazioni che verranno (sarebbe bello tutte, ma la bestia peggiore rimane l’uomo …) siano più fortunate di me e ne restino indenni dal primo vagito, anzi dal momento del concepimento, fino all’ultimo respiro, disposte a farsi “sorprendere” sì, ma non da epidermici effetti speciali buoni solo ad abbagliare, tra cui la parola sganciata dall’esempio …
    P. S.
    Per Rocco oggetto del desiderio fu una bicicletta, anzi, la bicicletta; per me una macchinina, anzi la macchinina (nemmeno a pedali, era un modellino, per giunta non più lungo di 10 cm. e non più largo di 3) che adocchiai nella vetrina di un negozio di giocattoli e che corteggiavo con lo sguardo quasi giornalmente, finché un altro ragazzo più fortunato di me (oggi non lo penso …), grazie ad un genitore più abbiente ma certamente (lo penso oggi …) non più genitore del mio, me la portò via per sempre. Eppure, non appena mi è stato possibile, non ho invaso la casa di modellini o l’ho ipotecata per comprarmi una macchina vera, di quelle che fanno tanto status symbol e, dimenticavo, non ho privato, per una forma di idiota vendetta, le mie figlie di qualche giocattolo né, per contrasto forse più idiota, le ho sommerse sotto una quantità industriale …

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