Ancora sulla carta aragonese di Otranto e dintorni

di Vanni Greco

 

Mi associo ai commenti soddisfatti per l’ampia partecipazione alla comune riflessione sulle carte, che ci confermano come la chiave per il coinvolgimento delle persone stia sempre in una felice combinazione di stimoli colti e popolari insieme che, quando opportunamente curati, si affrancano dai rispettivi rischi, assai frequenti, di esclusività elitaria e di becera faciloneria.

Un buon lavoro coordinato da Armando Polito che il Prof. La Greca, che ringraziamo ancora, ha voluto cortesemente onorare riservandoci la sua attenzione.

Provo qui ad offrire un nuovo contributo al dibattito sulla datazione dopo aver cercato qualche approfondimento direttamente sia attraverso il coinvolgimento della dott.ssa Antonella Candido che ringrazio per la considerazione che ha mostrato per il nostro lavoro e, soprattutto, per il contributo professionale che ci ha dato, oltre che per avermi autorizzato a render noto il suo punto di vista.

Rispetto alla chiesa di S. Eligio non ho, purtroppo, novità significative. Una delle prime narrazioni organiche dei fatti di Otranto è forse la Historia del Laggetto[1], canonico e giureconsulto otrantino, venuto a conoscenza dei fatti di cui narra attraverso il racconto del padre testimone oculare, il quale riporta che il duca Alfonso:

« la prima cosa che fece dopo venuto andò a visitare quei beati corpi uccisi, che stavano di tanto tempo sopra la terra nel Monte della Minerva, …costrinse tutti quei Signori che erano ivi presenti a lacrimare; ordinò che fussero discesi dal Monte, e fussero portati dentro una chiesa, quale era appresso il Pozzo della Minerva al piano; Così fu fatto dove stiedero poi fino alla recuperazione della Città.»

Poiché Daniele Palma[2] colloca la datazione dell’opera del Laggetto tra 1544 e 1571, si sarebbe tentati di affermare che ancora fino a questi anni la chiesa di S. Eligio non esistesse.

Una testimonianza di due secoli successiva (1751) è quella di Francesco D’Ambrosio, sacerdote di Castiglione, frazione di Andrano, che nel suo Saggio[3] riporta:

«Nel 1481, ritornato la seconda volta Alfonso all’assedio della Città di Otranto, …ordinò, che con tutta l’attenzione, e riverenza fussero trasferiti, e collocati in una Chiesa detta del Fonte della Minerva sita alle radici dello stesso monte, come si disse nel cap. 9 del 2. Lib. Oggi la detta Chiesa va sotto il titolo di S. Eligio, ed è titolo di Canonicato.

La seconda Traslazione successe, dopo che i turchi resero ad Alfonso la Città: e questa per esser stata una solennissima funzione, …con ordine di Sisto IV radunati i Vescovi suffraganei, ed i Sacerdoti della Diocesi, e delle vicine Città coll’intervento dell’Arcivescovo di Brindisi, il quale celebrò tal solenne funzione, furono trasferiti dalla Chiesa di S. Eligio nella Metropolitana, cioè nell’Oratorio di basso; essendo stato prima riconciliato, e benedetto, perché profanato da’ Turchi.

Non saprei dire se il D’Ambrosio sia stato il primo a fare il nome della Chiesa di S. Eligio, certo è che nulla chiarisce sul possibile anno di titolazione. In attesa che emergano altre fonti, potremmo affidare le nostre speranze ai documenti dell’Archivio storico diocesano di Otranto e a qualche generoso collaboratore o studioso dello stesso.

Una seconda pista, per così dire di natura più creativa, verso la datazione della carta mi ha portato a considerare che la densità urbanistica delle diverse località riportate non fosse generica, ma piuttosto rispondente alla realtà dell’epoca di rilevazione. In questo senso, ho trovato conferma che le mappe siano disegnate con grande cura per i dettagli in un articolo di Antonio Capano[4] che si occupa del territorio potentino rappresentato nelle carte aragonesi: «…più case intorno ad un campanile sormontato da croce, o intorno ad una chiesetta a pianta rettangolare, con tetto a doppio spiovente e campanile; sono visibili la facciata ed uno dei lati, con un accenno di porte e finestre. Considerando il numero degli elementi disegnati, in particolare le case, è abbastanza evidente che il cartografo intendeva in tal modo dare un’indicazione, sia pure sommaria, sul numero degli abitanti di ciascun insediamento, forse in base ad un elenco di “fuochi” o di famiglie di cui disponeva; come è noto, fu Alfonso I d’Aragona ad attuare per primo i censimenti della popolazione del Regno di Napoli con il sistema della numerazione dei focolari, a partire dal 1443. Forse la mappa poteva essere usata anche come guida per gli addetti ai censimenti dei fuochi, i “numeratori delli fuochi”. I toponimi con i valori più bassi, da 1 a 4 elementi, solitamente indicano santuari, monasteri o località di interesse religioso e, invece del solo campanile, troviamo il disegno schematico di una chiesa. Le Città fortificate, …sono rappresentate a volo d’uccello da una cerchia di mura turrite, e/o con una rocca o castello che sovrasta il paese, con numerose case addensate all’interno. Sono anche le più importanti dal punto di vista militare».

Città fortificata era anche la nostra Otranto.

Essendomi imbattuto, nel corso delle mie ricerche, nella documentata tesi di laurea su “Le Mura e il Castello di Otranto” della dr.ssa otrantina Antonella Candido, non ho resistito alla tentazione di contattarla (grazie alla cortese e preziosa mediazione di Marcello Gaballo e Marcello Semeraro) per avere un suo punto di vista specialistico sulla descrizione di Otranto riportata dalla mappa, nella quale si riconosceva la cittadella protetta da mura, torri e torrioni. Anticipo che la mia ipotesi non è risultata poi così peregrina. Con il mio ringraziamento, ecco la sintesi delle sue risposte alle mie domande, idee e obiezioni:

«Supponendo che la mappa sia stata disegnata con fedeltà alla realtà, tenderei ad escludere con certezza una datazione a metà ‘500 e ancor meno successiva. Mancano, infatti, del tutto i tre bastioni poligonali che a partire dal 1540 vennero man mano aggiunti all’impianto iniziale della fortificazione.

Escluderei anche il periodo precedente all’attacco turco, in quanto è già presente abbastanza chiaramente la successiva struttura aragonese dell’impianto murario, con rondelle circolari e merlate in cima e addirittura la doppia rondella della Porta Alfonsina (quella visibile al centro delle mura della parte ovest). Inoltre, gli studi fatti finora, nonché le poche fonti scritte, tendono ad escludere un impianto murario aragonese prima del 1481.

Secondo il mio parere questa mappa dovrebbe essere del periodo immediatamente successivo alla primissima ricostruzione del castello e delle mura da parte di Alfonso d’Aragona. Quindi, in un lasso di tempo che andrebbe dal 1482 al 1540 massimo quando fu effettuata anche la nuova fodera delle mura da parte di Carlo V, che qui non sembra esserci. Si può notare infatti la struttura abbastanza squadrata del castello, con le quattro rondelle ad ogni lato, tipica del primo impianto, ma soprattutto la presenza di un paio di torri non tondeggianti ma squadrate, che è possibile appartenessero all’impianto precedente (o vestigia addirittura più antiche inglobate nella struttura di epoca federiciana) e che furono forse inizialmente incorporate nel nuovo progetto aragonese. Come conferma, invito a notare la forma delle rondelle sulla mappa, che sono raffigurate non in maniera verticale e quindi perfettamente dritta (com’erano invece costruite in epoca federiciana), ma risultano rastremate verso l’alto, secondo la tipologia aragonese di costruzione, che prevedeva un toro marcapiano a metà della torre che segnava anche un cambio di inclinazione delle pareti esterne.

Un’ulteriore prova che la mappa possa essere riferita al periodo dopo la riconquista aragonese e non prima può sicuramente essere la stessa grandezza della città e delle mura urbiche: la città risulta molto piccola e pressoché ridotta all’interno della “cittadella”. Prima della conquista turca infatti la città contava quasi 5.000 abitanti (all’incirca la popolazione attuale) ed era estesa in un’area molto più ampia di quella della mappa. Tant’è che si parla per il periodo precedente addirittura di tre circuiti murari, uno che racchiudeva la cittadella appunto (quella visibile sulla mappa), uno che racchiudeva la cosiddetta “città bassa” e infine un circuito esterno formato esclusivamente da torri di vedetta. Anche il Galateo descrive la cinta muraria otrantina, al momento dell’attacco turco, come molto imponente, dotata di profondissimi fossati e di mura. Subito dopo la presa turca la città e la popolazione decimata non resero più necessario il circuito murario esterno, riducendo così la sua area al solo “centro storico” attuale.

In definitiva, rispetto alla datazione propenderei per l’ultimo decennio del XV secolo, soprattutto se il possibile autore, il Pontano, era molto attivo proprio in quegli anni e al seguito di Alfonso d’Aragona sul quale, durante le mie ricerche, sono giunta alla conclusione (forse solo una suggestione) che fosse molto fiero del lavoro di fortificazione svolto ad Otranto quando ancora non era sovrano e che quindi avesse deciso di inserire nelle mappe del tempo la nuova fortificazione di cui aveva dotato la città.»

Si trova conferma, quindi, a quanto autorevolmente sostenuto dal Prof. La Greca che richiama un’elaborazione della mappa in fasi successive a partire dalla fine del Quattrocento fino alla metà del Cinquecento e che però, grazie al presente contributo della dr.ssa Candido, forse possiamo limitare al 1540.

Tuttavia, a mio giudizio, rimarrebbe da chiarire anche il riferimento al Pontano, che già in un mio precedente intervento ho provato a collocare temporalmente, che penso meriterebbe una precisazione ulteriore rispetto all’attribuzione che viene fatta a lui di tali mappe, in qualità di autore o, più verosimilmente, di coordinatore del progetto complessivo.

In conclusione, ci stiamo avvicinando alla meta, ma c’è ancora del lavoro da fare. E noi, non rinunceremo a cercare ancora.

 

[1] Giovanni Michele Laggetto, Historia della città di Otranto. Come fu presa da’ Turchi, e martirizzati i suoi fedeli Cittadini. Scoperto nell’archivio della chiesa metropolitana il 3 aprile 1660, fu pubblicato, per la prima volta, a Maglie nel 1924 nella trascrizione dei can. Luigi Muscari e ripubblicato, a cura di Antonio Antonaci, nel volume Otranto. Testi e documenti, Galatina, 1955.

[2] Daniele Palma, L’autentica storia di Otranto nella guerra contro i Turchi, Kurumuny, 2013.

[3] Francesco D’Ambrosio, Saggio istorico della presa di Otranto e stragge de’ Santi Martiri di quella Città successa nel 1480, Napoli 1751, Libro Terzo, Delle varie traslazioni dei Santi Martiri, Cap. 1, pagg. 117-119.

[4] Antonio Capano, La provincia di Potenza nelle carte aragonesi della seconda metà del XV secolo, in Basilicata Regione Notizie, N. 131-132, 2013, pag. 156-178.

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18 Commenti a Ancora sulla carta aragonese di Otranto e dintorni

  1. La ringrazio delle osservazioni e delle integrazioni, soprattutto perché, nel limite delle umane possibilità, corredate della citazione della fonte. Anch’io fin dal primo sguardo avevo pensato che i simboli potessero essere un elemento determinante anzitutto per la datazione, quanto più possibile precisa, della carta.
    A tal proposito credo che il range temporale proposto (1482-1540) possa, anzi debba, essere posticipato nella sua parte iniziale, che, cioè, il 1482 vada sostituito almeno con il 1507 (in via prudenziale, altrimenti ci si potrebbe spingere, senza troppa audacia e rischio di errore, al decennio successivo). Nel 1507, infatti, gli Olivetani iniziarono la costruzione della chiesa di S. Caterina Novella (1), ben visibile e con un profilo molto probabilmente simile a quello originario nel dettaglio esaminato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/21/nardo-altri-centri-limitrofi-carta-aragonese-del-xvi-secolo/.
    Credo pure che la data di costruzione delle torri costiere, laddove essa è certa (indagine da svolgere sugli studi pubblicati) ridimensionerà, e non di poco, spostandolo in avanti, pure il 1507.
    Ritengo plausibile come altro estremo il 1540 (che tiene conto di alcuni dettagli della simbologia rappresentativa ed ha un valore parzialmente congetturale) ma un primo dato, per così dire, storico è il 1583 (vedi a tal proposito il toponimo S.to Justo in https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/09/gallipoli-dintorni-carta-aragonese-del-xv-secolo/), alla cui limatura contribuirà senza dubbio la datazione della torre più recente tra quelle rappresentate.
    Sono convinto che un esame in generale più approfondito potrebbe limare ancor di più, e notevolmente, il range prudenziale 1507-1583 e penso pure io che lo zampino del Pontano in questa carta cominci a vacillare. Una cosa, tuttavia, è certa: presto sarò costretto a cambiare (l’avevo già preventivato all’inizio del post cui rinvia il link appena indicato), con riferimento al secolo, in XVI il XV che ancora campeggia nei titoli di ciascun post dedicato alla nostra carta. Magari fosse questo l’unico problema! …
    ____________
    (1) Baldassar Papadia, Memorie storiche di Galatina nella Japigia, Orsini, Napoli, 1792, p. 46.

  2. Il toponimo Brindisi non è attestato prima del 1519. Per cui la carta parrebbe successiva.
    Una curiosità, c’era un’isola al largo di Otranto? In caso affermativo, se ne sa il toponimo?
    Grazie.
    Nazareno Valente

  3. Se dunque ci dovessimo confermare, come ormai appare piuttosto probabile, lo slittamento della datazione almeno al 1507 e, quindi, al secolo XVI, allora mettiamoci l’animo in pace perché va a farsi benedire anche la qualificazione “aragonese”, visto che sul Regno di Napoli la dinastia si chiude con Federico nel 1501. Forse, ora potremmo definire quelle mappe “asburgiche” o, a mio giudizio in modo più pertinente, “vicereali”. Comincia dunque a farsi strada l’ipotesi molto concreta che le radicali trasformazioni volute da Carlo V, che in tutto il Regno hanno lasciato traccia profonda anche nell’impianto militare e difensivo, siano state accompagnate da un altrettanto radicale aggiornamento, fin nei dettagli, della descrizione del Regno; descrizione che le nostre mappe, direi, testimoniano davvero molto bene, rispetto a quelle coeve a noi note.
    Tuttavia, fino all’acquisizione di riscontri ragionevolmente certi, mi sto convincendo che rincorrere un’ipotesi di datazione puntuale dell’intera carta possa non essere l’approccio giusto, e che l’indicazione di un intervallo temporale rappresenti meglio la verità storica. O, in alternativa, che ci si possa inizialmente dedicare alla migliore datazione possibile di ciascun toponimo e solo a lavoro concluso ipotizzare una datazione complessiva. Anche perché sarebbe saggio convenire con l’autorevole parere del Prof. La Greca che ci ricorda come quelle carte siano state elaborate per diventare strumenti di lavoro di natura militare (circostanza che spiegherebbe anche la segretezza con cui sono state trattate e che ci ha impedito di venirne a conoscenza se non a distanza di qualche secolo) e suscettibili di aggiornamento; piuttosto che per un’esigenza estetica e di pubblicazione che, in realtà, tradisce forse un ragionamento ed una sensibilità propria dei nostri tempi.
    Il piacere, almeno per quanto mi riguarda, continua…

    • Non vedo approccio metodologico diverso da quello che abbiamo a più riprese esposto e che fino ad ora, secondo me, ha dato risultati importanti, anche se parziali. Condivido con lei anche la necessità di cambiare a breve (rimane l’ultimo dettaglio che sarà oggetto del prossimo post sull’argomento) nei titoli dell’intera serie il “XV” in “XVI” e di eliminare l”aragonese” che finora ha accompagnato la nostra carta.

  4. Se puo’ servire, le torri di S.Emiliano, Badisco e Porto Russo (torre del Vento) furono erette solo dopo il 1567. La mappa mi sembra presenti varie mprecisioni: risultano invertite le torri Palascia e S.Emiliano così come i centri di Giurdignano e Casamassella. Viene poi riportato quasi un centro abitato per Porto Badisco. Enigmatico Cocumola soprana e Cocumola sottana. Madonna del Soccorso, forse S. Maria di Torlazzo. Comunque bellissima e affascinante

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