Otranto e dintorni in una carta aragonese del XVI secolo

di Armando Polito

Caccumoli sopr(ana):  oggi Cocumola

Caccumoli sot(tana) dir(uta)

Casale delle Fantanelle: da leggere Fontanelle; ha dato il nome ad un agriturismo sulla strada provinciale 366 Otranto-Alimini. Fontanelle nelle carte di Ianssonius e del Bulifon (XVII secolo):

Casa Massella: oggi Casamassella

Corfiniano: oggi Cerfignano

Fanale della Serpe: oggi Torre del Serpe. Si ritiene che la prima costruzione risalga al periodo romano e fungesse da faro. Fu restaurata in età federiciana. Il toponimo è legato ad una leggenda narrante di un serpente che ogni notte saliva sulla torre per bere l’olio che alimentava la lanterna del faro. Un’altra leggenda, probabilmente più recente, narra che, pochi anni prima della presa di Otranto nel 1480, i Saraceni avevano già tentato di prendere la città ma l’impresa era fallita perché il serpente, bevendo l’olio, aveva provocato lo spegnimento del faro.

Jordiniano: oggi Giurdignano

Porto2 badiscio: il successivo Porto fondo fa pensare ad un nucleo abitato del vicino entroterra.

Porto fondo: oggi Porto Badisco; il toponimo aragonese sembra quasi una nota etimologica, una sorta di traduzione dal greco βαθύς (leggi bathiùs), che significa profondo. Il riferimento sarebbe a prima vista al mare e in tal caso bisogna ipotizzare che la parte finale di Badisco sia il suffisso –ίσκος (leggi –iscos) con valore diminutivo; in tal caso l’allusione sarebbe alla modesta profondità del mare. Tuttavia, proprio il badiscio della carta aragonese apre la possibilità che il nome derivi dal greco βαθύσκιος  (leggi bathiùschios) composto dal ricordato βαθύς e da σκιά (leggi schià) che significa ombra, per cui il riferimento sarebbe alla folta vegetazione, di cui abbiamo un indizio nel in Girolamo Marciano (1571-1628) che, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto, opera usscita postuma per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855, dove, a p. 375 si legge: Vadisco è piccola ed amenissima valle vestita di oliveti, dalla quale trascorrono nel mare alcuni ruscelli di acque ov’è il Porticciolo, ricovero di piccoli vascelli. E subito dopo cita un passo del De situ Iapygiae del Galateo: Quarto ab Hydrunto lapide convallis parva, attamen amoenaissima et oleis consita est, quam incolae pomarium nuncupant; per hanc rivulis acqua decurrit. Haec pusillum portum efficit, quem ideo Vadiscum incolae dicunt; parvarum navicularum statio est (A quattro miglia da Otranto c’è una valle piccola ma amenissima e ricca di olivi, che gli abitanti chiamano frutteto; attraverso questa valle l’acqua scorre a ruscelli. Essa forma un piccolo porto un piccolo porto che perciò gli abitanti chiamano Vadisco; è riparo di piccole navicelle).

S.a M(aria) del Soccorso. Attendo notizie.

S.ta Pelagia: oggi Punta Palascìa; vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/27/antonio-maria-il-pescatore-etimologo-di-punta-palascia/

S.to Emiliano: oggi Torre di S. Emiliano. La mappa mostra, come già in altri casi, un nucleo abitato in corrispondenza del toponimo e la torre distante sulla costa. È legittimo pensare, quando ciò succede con l’implicazione del nome di un santo che il nucleo abitato ne abbia tratto il nome per motivi devozionali che intuitivamente si perdono nella notte dei tempi e in epoca successiva l’abbia trasmesso alla torre. Se tutto ciò corrisponde al vero la mappa costituirebbe una sorta di ibrido sospeso tra il passato e il presente, Molto più, insomma, di quello che s’intende per carta storica.

S.to Francesco: oggi Convento dei Cappuccini. (vedi nei commenti)

S.to Stephano: l’attuale Torre di S. Stefano presenta un’ubicazione in corrispondenza orizzontale sulla costa per cui quella che si nota in basso probabilmente è frutto di un errore di rappresentazione. 

Torre [di] Coccoruccio. Nelle carte di Hondius,  di Magini e di Ianssonius (XVII secolo) Torre di Cocorizzo.

  

Nella carta di Bulifon (XVII secolo) Torre di Coccorizzo

Nella carta del De Rossi (1714), aggiornamento di quella del Magini, la torre e il toponimo sono assenti. Cocoruccio, Cocorizzo e Coccorizzo potrebbero essere italianizzazione  del salentino cucuruzzu (Cicirizzu è pure il nome di una località nel territorio di Nardò) che indica l’insieme di pietre che dopo il dissodamento del terreno venivano sistemate in un cumulo conico. Se è cosaì il nome della torre potrebbe essere connesso con la sua forma oppure con la sua dislocazione nel punto più alto del promontorio. Di essa, comunque, oggi non v’è traccia.

Torre della Vecchia: oggi Torre di Specchia di guardia)

Torre di S. Cesarea: oggi S. Cesarea terme

Torre Pelagia: vedi Santa Pelagia e il relativo link.

Torrione di Orte: oggi Torre dell’Orte o dell’Orto

Ugiano: oggi Uggiano la Chiesa

E siamo al caso disperato che non a caso ho lasciato per ultimo:

Il nunc S.to Eligio (?), che mi pare di poter leggere nel secondo rigo, grazie al nunc (ora) ci fa intuire che il primo rigo reca la forma antica del toponimo, che, per quanti sforzi abbia fatto, anche con l’ausilio delle carte precedentemente usate per la comparazione degli altri e con gli strumenti messi a disposizione dai migliori programmi di grafica, non sono riuscito a decifrare a causa dellevidente degrado del supporto. Chiudo con la speranza, ormai ricorrente, che ci riesca qualcun altro. (vedi nei commenti)

 

Per altri dettagli della stessa carta:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/21/nardo-altri-centri-limitrofi-carta-aragonese-del-xvi-secolo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/13/lecce-territori-sud-est-carta-aragonese-del-xv-secolo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/09/gallipoli-dintorni-carta-aragonese-del-xv-secolo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/04/castro-dintorni-carta-aragonese-del-xv-secolo/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/15/brindisi-suo-porto-carta-aragonese-del-xv-secolo/

___________

1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/15/brindisi-suo-porto-carta-aragonese-del-xv-secolo/ 

2 Anche se appare scritto Porta.

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28 Commenti a Otranto e dintorni in una carta aragonese del XVI secolo

    • Quando i Turchi lasciarono Otranto, Casole versava in pessime condizioni, i Monaci erano stati tutti uccisi, la sua importanza era molto diminuita. Questo potrebbe essere il motivo, ma chissà…

      • A NON PERDERE TUTTA L’IMPORTANZA DI QUESTA BREVE NOTAZIONE di RITA PAIANO, io ricorderei che lo SCENARIO è decisamente importante sia per capire l’assenza sulla carta ARAGONESE del XVI secolo di San Nicola di Casole (Otranto e dintorni), sia la presenza … sulla (eventuale e ipotetica!) carta SPAGNOLA della fine del XVI o degli inizi del XVII secolo della Chiesa di santa Maria di Casole a Copertino (Nardò e dintorni).

        N. B.

        DOPO OTRANTO. La rinascita della Chiesa di SANTA MARIA di CASOLE (a Copertino), è da collocare, come sostengono Marcello Gaballo e Armando Polito (cfr.: Santa Maria in Casole a Copertino (Le) e altri repertorti di Sibille”, Nardò, Fondazione Terra d’Otranto, 2017), proprio “al principio del XVI secolo” (p. 19).

        IMPERIALISMO SPAGNOLO. IL REPERTORIO DELLE SIBILLE, presente e sopravvissuto nella Chiesa di Santa Maria di Casole (op. cit., pp. 17-36), dice chiaramente di una sua realizzazione avvenuta anni dopo il grande “lancio” delle SIBILLE nel lavoro di MICHELANGELO (cfr. Volta della Cappella Sistina,1512) e nel solco dell’utilizzo che ne fanno (tra gli altri) i Carmelitani Scalzi e le Carmelitane Scalze (sull’onda di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce), nella seconda metà del 1500 e nei primi anni del 1600.

        Federico La Sala

            • SAN NICOLA DI CASOLE DI OTRANTO E S. MARIA DI CASOLE A COPERTINO …

              CERTO CHE RESTANO DISTINTI: SIAMO SU DUE LATI OPPOSTI DEL TERRITORIO SALENTINO.

              Ho solo onore a RITA PAIANO per l’acutezza dell’osservazione e, al contempo, ho sottolineato l’importanza dello SCENARIO, e del CONTESTO, per spiegare l’assenza o la presenza (nel tempo e/o nello spazio) di un DATO, di una indicazione su una mappa.

              NIENTE di più, niente di meno. Una semplice sottolineatura di metodo e, insieme, una semplice allusione alla vicinanza spazio-temporale della rinascita della Chiesa di Santa Maria di Casole a Copertino (Nardà e dintorni).

              BUON-LAVORO!!!

              Federico La Sala

  1. Carissimo Polito, tranne per qualche rara eccezione, che però la ricongiunge a noi fallaci esseri umani, è sempre un piacere (lo dico sinceramente) leggere i suoi arguti, dotti e documentati post.
    Su quest’ultimo, se mi permette, direi che l’interpretazione del toponimo non era poi cosi difficile da decifrare. Qualche volta, la realtà ci stupisce e, con la sua semplicità, si prende gioco dei nostri tentativi di ricondurla a fenomeni complessi.
    Credo, con buona certezza, che si tratti del luogo, forse il più noto, dell’amara vicenda dei martiri di Otranto: il Colle della Minerva, che la preziosa carta aragonese, che lei ci sta proponendo a puntate, riporta semplicemente con “la Minerva”.
    Peraltro, una rapidissima ricerca, mi ha condotto al recente testo di Vito Bianchi, “Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista”, Laterza 2016, da cui riporto: “Il duca Alfonso ne aveva intercettato i resti, insepolti, sul colle della Minerva, e in giugno li aveva fatti raccogliere e trasportare alle falde dell’altura, in una chiesetta (detta del Fonte della Minerva e successivamente di Sant’Eligio) allestita apposta per ospitare le spoglie degli sventurati”.

    In attesa dei suoi prossimi contributi, la saluto cordialmente
    Vanni Greco

    • Condivido perfettamente tutte le sue osservazioni di carattere generale, soprattutto quelle relative al fenomeno, non raro, che la scarsa propensione alla superficialità spesso serve solo a complicare la vita ed a giocare brutti scherzi, come è capitato a me con il toponimo in questione. Debbo dire, però, di aver apprezzato enormemente lo stile umile, quasi pudico, con cui ha voluto generosamente giustificare la mia figuraccia: il “caso disperato” non era il toponimo, ero io …
      Se avessi letto nel libro del Bianchi il riferimento a “S. Eligio”, probabilmente (dipende anche dall’irrorazione cerebrale del momento …) non avrei avuto eccessive difficoltà, nonostante le condizioni del supporto in quel punto, a leggere “la Minerva”, dopo essermi imbattutto centinaia di volte nel “Colle della Minerva”, sul quale, questa volta, certamente non per qualche bicchiere di troppo, sono andato a sbattere …
      Dopo la sua indicazione bibliografica, digitando nel motore di ricerca (non avrei potuto farlo prima?) la locuzione-chiave “Colle della Minerva Eligio” sono giunto al link (https://books.google.it/books?id=VaGODAAAQBAJ&pg=PT151&dq=lcolle+della+minerva+sant%27Eligio&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjcwdSXgbDSAhUlMZoKHS-WByoQ6AEIHDAA#v=onepage&q=lcolle%20della%20minerva%20sant'Eligio&f=false) dove è leggibile la pagina con parte del brano da lei riportato. Purtroppo la pagina successiva non è visibile. Approfitto, perciò, della sua cortesia per chiederle se alla fine del brano c’è in nota qualche citazione della fonte da cui la notizia (Colle della Minerva>S. Eligio) è stata tratta. Tale indicazione, se c’è, potrebbe tornare utile soprattutto per la datazione della mappa, anche se rimane la soddisfazione di aver letto correttamente su di essa, senza saperne l’esistenza, almeno “S. Eligio”. Grazie di tutto e … mi tenga d’occhio!

      • Il brano che ho riportato, purtroppo, è tratto dalla stessa pubblicazione on line. Tuttavia, seguendo il suo invito, ho fatto qualche ricerca e le riporto l’esito al quale, per il momento, sono pervenuto.

        Le fortune dell’autore della Mappa, lo spoletino Giovanni Pontano, nel Regno di Napoli sono legate a Re Ferrante I d’Aragona che regnerà a partire dal 1458, ma che si potrà dire pieno sovrano solo dopo la sconfitta di Giovanni d’Angiò nel 1462-63 che metterà la parola fine alle residue ambizioni angioine sul Regno. Non a caso, nel dicembre 1463 Re Ferrante deciderà di visitare Terra d’Otranto e Lecce anche per ribadire la riacquisizione (confisca) del Principato di Taranto e della Contea di Lecce in qualità di Re e di marito di Isabella di Chiaramonte, nipote del Principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, tra i più potenti feudatari del Regno, assassinato meno di un mese prima.
        Il Pontano, già precettore del figlio di Ferrante, il Principe ereditario e Duca di Calabria Alfonso (il futuro “liberatore” di Otranto del 1481), dal 1486 sarà primo ministro (“Secretario maiore”) di Re Ferrante e poi dal 1492 anche del figlio Re Alfonso II, che ha già seguito e seguirà in tutte le sue imprese fino alla morte nel 1494; da quest’anno in poi anche il Pontano non avrà più un ruolo di rilievo nel Regno.

        Secondo Vladimiro Valerio e Fernando La Greca (a cui la prego di far pervenire la mia e nostra gratitudine per aver riportato alla luce un’opera di straordinario valore storico dimenticata per oltre cinque secoli) la Mappa è stata realizzata nell’ultimo decennio del Quattrocento. Di questa alcune copie sono state fatte eseguire tra il 1767 e il 1769 dall’abate Ferdinando Galiani, segretario dell’ambasciata napoletana a Parigi, che aveva avuto modo di consultare gli originali negli archivi dei Dépôts militari a Versailles.
        Con tutto il rispetto per i due studiosi, io sarei tentato di ritenere poco probabile che la datazione della Mappa possa essere ricondotta ad una data successiva la presa di Otranto dell’agosto 1480, in quanto il clamore di quell’attacco al mondo cristiano avrebbe imposto, almeno credo, di lasciare un segno evidente nella rappresentazione di quei luoghi devastati dall’assedio, dagli scontri e dall’anno di occupazione, quando invece Otranto sembra ancora piuttosto integra. E se non dell’offesa Turca, un segno quanto meno della cosiddetta “riconquista” da parte del Duca Alfonso.
        Sarei, dunque, propenso a ritenere che la datazione della Mappa, almeno per il territorio in questione, possa essere collocata, nell’ipotesi più estesa, nel trentennio 1464-1494 oppure, secondo il mio modesto parere, più probabilmente nel quindicennio tra il 1464 ed il 1480: anni nei quali, peraltro, il rischio di un’invasione delle armate della Porta, puntualmente sobillate da Venezia, era già piuttosto noto (Valona viene conquistata nel 1478) e quindi una dettagliata ricognizione e rappresentazione delle coste del Regno si poteva considerare utile e doverosa per valutarne le capacità di difesa.

        Spero di esserle stato utile.

        PS: ho apprezzato molto, anche nella sua risposta, la consueta padronanza della lingua, grazie alla quale ha avviato la sua autocritica qualificandosi “poco propenso alla superficialità” (che si può leggere: “dotato di profondità”), come anche ha sfiorato i complimenti alla mia persona qualificando il mio stile “umile, quasi pudico” (che si può leggere: “modesto, quasi timoroso”). Sono sicuro che apprezzerà questa mia postilla sulla nostra splendida lingua (emoticon sorridente).

        La ringrazio e saluto cordialmente

        • Ho già invitato il professor La Greca a leggere il suo commento, non fosse altro che per il piacere con cui constaterà direttamente come si stia avverando il suo desiderio, manifestatomi all’inizio della storia in un messaggio privato, che, parole più o meno testuali, “il sasso gettato possa creare onde che qualcuno avvisterà”. Debbo dire che, a differenza di altre occasioni, il Salento sta rispondendo con una quantità inaspettata e una qualità ineccepibile (a parte la mia: vedi, fra gli altri, lo sfracellamento recente sul colle della Minerva …) all’invito del professore che, come pochi, intende la cultura e la conoscenza (compreso ogni tipo di fonte da cui esse germogliano) come un bene dell’umanità e non come un orticello personale da difendere dalle altrui intrusioni (mi permetto di credere, io semplice ex insegnante di liceo, una rara eccezione nel panorama accademico, italiano,e non solo …).
          I suoi lavori, da lei segnalati, li conoscevo (e la loro immissione in rete è una riprova del suo modo di intendere la cultura e la riprova di quanto ho appena affermato), ma la ringrazio per avermi dedicato spassionatamente, oltre che con competenza, una fetta del suo tempo.
          Ho riflettuto sulla sua ipotesi di datazione della carta, che la renderebbe, addirittura, più preziosa perché più antica, sia pure solo di pochi anni, rispetto a quella del professore, che è motivata da ragioni interne o esterne ma, comunque, riferite al solo Cilento.
          In fondo il professore, lanciando il suo sasso campano, sperava proprio che le onde da esso generate giungessero a tutte le aree interessate dalla carta e provocassero di riflesso la reazione di qualche studioso ufficiale o semplice appassionato di storia locale.
          Il suo augurio, come ho detto, non è andato deluso. Tuttavia, sempre nell’ambito della datazione della carta, debbo osservare che mi pare strano che essa possa essere anteriore alla presa o anche alla ripresa di Otranto proprio per via di quel “nunc S. Eligio”. Ecco perché mi pare importante trovare la fonte,se c’è …, da cui il Bianchi avrebbe tratto la notizia del passaggio “Fonte della Minerva”>”S. Eligio” e chiarire, una volta per tutte, quell’ambiguissimo “successivamente”. Appare strana anche l’assenza nella carta, se veramente è anteriore alla presa di Otranto, di un monumento importantissimo della cultura del tempo qual è stato S. Nicola di Casole (vedi commento di Rita Paiano).
          Ho apprezzato, ancora una volta in modo particolare, il suo P. S. (qualche lettore che ancora crede in quella cianciosa prostituta che è la politica dei nostri tempi penserà che ci stiamo organizzando per fondare un nuovo partito …), a riprova di una totale sintonia. Grazie di tutto e cordiali saluti.

  2. Leggo che San Francesco viene indicato oggi come Convento dei Cappuccini. Credo che non sia esatto, dal momento che è esistito il convento intitolato al Santo nei pressi del Fiume Idro dove ora esiste la chiesa di S. Antonio di Padova. Il Convento si dice sia stato fondato dallo stesso San Francesco di Assisi, che al ritorno dal suo viaggio verso la Siria nel 1219, si fermò ad Otranto. Si intitolarono a lui sia la chiesa che il convento annesso. Una antichissima iscrizione che si trova in un piccolo oratorio del Cenobio di San Francesco, in Lecce, riporta il passaggio del Santo sia ad Otranto che a Lecce. Una lapide commemorativa nella chiesa otrantina riporta il nome dei frati francescani che furono uccisi in cattedrale dai Turchi nella presa di Otranto del 1480, segno che il convento all’epoca era in attività Lo stesso Francesco Maria de Aste, arcivescovo di Otranto dal 1696 al 1719, nel suo In memorabilibus Hydruntinae Ecclesiae Epitome in duas partes partita, lo include nei conventi della città, specificandone la data di fondazione, il fondatore e la sua ubicazione nella zona più vicina alla porta della città. Nel 1809 il convento venne soppresso dalle leggi dei Napoleonidi e tutti i suoi beni furono venduti a privati. Cosimo De Giorgi fa una descrizione della Chiesa nei suoi Bozzetti di Viaggio, apponendogli proprio il nome di San Francesco di Assisi. Nella toponomastica risultava ancora intitolata al Santo. Nel convento compì gli studi e divenne poi egli stesso insegnante, il francescano Pietro Colonna (1460-1540), detto il Galatino, a cui si deve una testimonianza storica della vicenda otrantina del 1480 Per quanto riguarda iI convento dei Cappuccini ” non vi sono molte notizie a riguardo. Solo il Maggiulli, in “Otranto Ricordi”, ne fa cenno, scrivendo che “venne eretto sopra il porto dalla parte di settentrione per spontanee e pietose obbligazioni di tutti gli Otrantini nel 1594”, come era consuetudine in quel periodo storico”( da una nota del Comune di Otranto).. .Le notizie riguardanti il Convento di San Francesco di Assisi sono state tratte da Santi nostri e feste di mons. Paolo Ricciardi, Editrice Salentina Galatina.

    • Credo che sia ormai evidente come la serie è il frutto acerbo di un’indagine che non pretende di avere, almeno per ora, tutti i crismi della scientificità, oltre che per i miei limiti, anche per il tempo dedicatole e per l’obiettiva, dominante difficoltà dovuta alla scarsa o alla nulla conoscenza diretta o indiretta (tramite studi specifici pubblicati e più o meno facilmente reperibili) di alcuni luoghi (sotto questo punto di vista non sono nemmeno in grado di garantire un miglioramento quando sarà il turno di Nardò e dintorni …). La ringrazio, perciò, del suo contributo, anche se per correttezza e onestà intellettuale mi limiterò per questa, come per ogni altra svista reale, presunta o discutibile, ad aggiungere nel post originale solo la dicitura “vedi nei commenti”.

      • E’ impossibile per chiunque conoscere approfonditamente i toponimi, soprattutto quelli caduti in disuso o che non hanno avuto la ventura di diventare famosi per varie circostanze. Trovo molto interessante l’aspetto partecipativo di lettori studiosi “seri” e soprattutto mi sono meravigliata di me stessa, che studiosa non sono, ma che ho sentito la necessità di elaborare quella piccola ricerca, presa dall’entusiasmo di aggiungere un piccolissimo contributo.

    • Buongiorno ai redattori e utenti di Fondazione Terra d’Otranto,
      complimenti per il sito e per le vostre competenze, vorrei chiedere se avete ulteriori informazioni sul convento dei Cappuccini in particolare sulla campana che nel 1600 fu oggetto di contesa tra questo convento e la Chiesa di S.Maria delle Site di Cursi da cui era stata spostata per volonta’ del Vescovo Marcello Acquaviva, don Lupantonio della Monica indirizzo’ delle suppliche per riottenerla.. Ho fatto qualche ricerca ma non sono riuscito a sapere se quella campana fu mai restituita.
      Saluti
      Anselmo G. Santoro

  3. Possiedo il libro del Bianchi su Otranto è non c’è alcun riferimento alla fonte dell’informazione riguardante Fonte della Minerva/Sant’Eligio.
    Per quanto riguarda la possibile datazione della mappa, mi consento di fornire la mia modesta collaborazione facendo però riferimento alla parte pubblicata sulla mia città di Brindisi. Se la torre de la Pena fu probabilmente una delle risposte date dagli aragonesi alla presa di Otranto, il “Castello di Isola” lo è con certezza, considerato che fu iniziato nel 1481, quando ancora Otranto era occupata. Ma quello che mi fa propendere per una datazione sicuramente ancor più successiva è la dizione utilizzata nella mappa per la mia città. “Brindisi” fu infatti usato come toponimo per la prima volta nel 1519 nel glossario di Lucio Cristoforo Scobar e, poco dopo, nel 1525, nell’opera “History of Venice” di Pietro Bembo; solo alla fine della prima metà del XVI secolo prese piede. Sul declinare del XV secolo erano invece in uso Brandizo, Branditio e molto meno Brindese o Brindise. Per questo, io propenderei per una datazione non anteriore al 1550 circa.
    Ho potuto inoltre riscontrare che molti dei toponimi combaciano con quelli utilizzati dall’Alberti nella sua opera “Descrittione di tutta l’Italia, et isole pertinenti ad essa” che, se non ricordo male, fu pubblicata per la prima volta nel 1550.

    • Otranto che appare integra ed altre prove che stanno via via emergendo fanno ritenere pure a me che la carta sia da postdatare. A tal proposito allego il messaggio inviatomi dal professor La Greca dopo la sua lettura, su mio invito, dei commenti pubblicati. Rimane il fatto che il Bianchi avrebbe fatto bene, a proposito di S. Eligio, a citare la fonte, che potrebbe essere proprio la ca nostra carta. Ma, mi chiedo, che gli costava dichiararlo?

      “Caro Armando, mamma mia! E’ tutto un fiorire di osservazioni, note, precisazioni, a vantaggio della ricerca e di una maggiore approssimazione alla verità storica (di per sé non raggiungibile). Da parte mia vorrei ringraziare Vanni Greco, e aggiungere che se i segni dell’assedio di Otranto non sono visibili sulla carta, è perché questa va datata verso la metà del ‘500, quando Otranto aveva avuto tutto il tempo per riprendersi. Infatti dobbiamo immaginare queste carte come una specie di IGM del tempo, di scuola o prima realizzazione aragonese (metà ‘400), ma poi di volta in volta “aggiornate”, fino alla metà del ‘500 circa, per fortuna lasciando sulle carte gli elementi più antichi, e aggiungendo il nuovo, come ad es. le torri costiere vicereali. Gli elementi davvero più antichi sembrano gli elementi fisici del territorio: fiumi, laghi, lagune, profili costieri. Sulla base della parte fisica, tracciata da esperti cartografi (aragonesi? o addirittura romani, di secoli addietro?) non era difficile ricopiare il tutto e aggiungere eventualmente toponimi,scritte e disegni in rosso (città, mura, case, torri), lasciando però le cose precedenti, con l’eventuale precisazione “diruto”, “ruinato”, “nunc…”, eccetera.”

  4. Gentile Prof. Armando Polito, seguo con interesse i suoi scritti. In particolare attendo di vedere (e leggerne la descrizione relativa) la zona ad Ovest della carta che sta analizzando. Interesserebbero i villaggi che si affacciavano sul mare Ionio (Porto Cesareo) e quelli dell’hinterland vicini (Veglie, Novoli, Carmiano, ecc.), Grazie dell’attenzione e buon lavoro. Con stima. Dino Levante

  5. Sia la chiesa di Santa Pelagia, dirimpetto alla Torre omonima, sia la chiesa di Santa Maria di Badisco, con annesse saline, dipendevano direttamente dal Cenobio di Casole , come risulta dall’Atto Notarile redatto dal Notaio Carlo Pasanisi in data 25 aprile 1665, su incarico dell’abate commendatario di Casole card. Laurentiis giacente presso l’Archivio di Stato di Lecce, studiato poi dal Tanzi.

  6. E la zona di Vernole / Melendugno e relativa costa sarà oggetto di successiva pubblicazione? Mi interesserebbe particolarmente.

    • Purtroppo della zona che le interessa, come di quella (Nardò e dintorni) che interessa me in modo particolare, non ho i dettagli relativi della carta e non ho nessuna intenzione di approfittare della gentilezza e disponibilità del professor La Greca.

      • Se mi dice come poter contattare il prof. La Greca, proverò a chiedergli se può farmi avere una riproduzione di quella zona. Oppure potrebbe fargli presente questa mia esigenza e dargli la mia mail. Come preferisce. Grazie. R. C.

        • Chiederò io al professore, che già mi aveva gentilmente pregato di fare un uso “discreto” dei preziosi spezzoni, di poter avere quello di suo interesse e, giacché ci sono, anche quello di Nardò e dintorni. Ma voglio essere chiaro e franco: altre richieste che dovessero venirmi da altri lettori per altre zone “trascurate” non saranno prese in considerazione. Ribadisco quanto già detto nella prima puntata: chi voglia avere copia delle carte in questione e, nel caso, l’autorizzazione per la loro pubblicazione integrale, può rivolgersi alla Biblioteca Nazionale di Francia; ma sappia che probabilmente passerà molto tempo perché la sua richiesta sia soddisfatta e che certamente dovrà sborsare qualche decina di euro.

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