Le masserie come basi strategiche della guerriglia antiunitaria in Terra d’Otranto

Masseria Petrose
Masseria Petrose

 

Le masserie come basi strategiche della guerriglia antiunitaria. L’editto prefettizio di chiusura, e il reclamo dei massari di Sava

 

di Gianfranco Mele

Le problematiche legate all’unificazione del Regno e alla resistenza antiunitaria investono e sconvolgono, come tanti altri paesi, anche la tranquilla cittadina di Sava, che ne è coinvolta, nel periodo di maggior tumulto, per almeno tre aspetti fondamentali: 1) una rivolta popolare inaspettata; 2) la permanenza dei briganti filo-borbonici nell’agro di Sava e negli immediati dintorni, e i loro scontri con la Guardia Nazionale documentati anche dalla stampa dell’epoca; 3) l’ Editto della Prefettura della Provincia di Terra d’ Otranto e le rimostranze dei massari.

Il primo episodio si verifica l’8 dicembre del 1860: una schiera di 500 cittadini, per lo più di ceto contadino, scende in Piazza S. Giovanni al grido di “viva Francesco Secondo” e insorge ribellandosi all’ unità d’Italia e alle autorità che la rappresentano. La resistenza filo-borbonica è capeggiata, in questa occasione, da Francesco Pichierri, inserviente comunale, che raduna le genti al suono di un tamburo. Vengono bruciati gli stemmi reali e gettate pietre alle finestre delle autorità filo-governative. L’indomani i ribelli si recano nella vicina Torricella cercando di sollevare anche quella popolazione. Nei giorni successivi la Guardia Nazionale arresterà 28 savesi e 3 torricellesi. Via via la protesta antiunitaria si fa sempre più clandestina e si organizza in bande armate che nel territorio saranno guidate dal sanmarzanese Cosimo Mazzeo detto Pizzichicchio. Le boscaglie, le campagne e le masserie divengono i luoghi d’incontro e di organizzazione logistica dei briganti filo-borbonici.

Le masserie disseminate nelle campagne del Meridione costituirono una importante e funzionale base strategica per la guerriglia antiunitaria. Questi luoghi divennero basi di rifornimento e di viveri per i briganti e sedi del loro pernottamento, e anche di reclutamento di nuovi briganti e di organizzazione delle strategie di guerriglia. I briganti solevano occuparle per brevi periodi spostandosi di volta in volta da una masseria all’altra.

Contrariamente a quanto divulgato da qualcuno e anche dalla stampa dell’epoca, i rapporti tra massari e briganti in genere erano buoni, sia perchè molti massari erano filo-borbonici, sia perchè ricavavano degli utili dall’occupazione brigantesca. Tuttavia, per ovvie ragioni, i massari non dichiaravano apertamente (e tantomeno alle autorità) qualsivoglia forma di loro connivenza con i briganti. Le bande di briganti si sdebitavano nei confronti dei massari, per gli aiuti ricevuti (pernottamenti, alimenti, foraggi e ricoveri per animali, e quant’altro di cui avessero bisogno) con regolari pagamenti che provenivano dalle casse del fondo loro elargito dai Comitati Borbonici. Potevano assicurarsi in tal modo, oltre all’ospitalità e al vitto, varie altre prestazioni: difatti le masserie a quei tempi avevano un insieme di servizi e di attività che tornavano utili al soggiorno e al sostentamento dei briganti: dagli alloggi, ai laboratori del maniscalco utili a ferrare i cavalli, all’occorrente per sfamarsi, ecc. ecc.

Non di rado le masserie erano anche luoghi in cui venivano ricoverati e curati i briganti feriti dagli scontri con le Guardie o nei quali, essendo braccati e ricercati, potevano segretamente incontrarsi con i loro familiari.

Le autorità delle forze repressive piemontesi si accorsero dell’importanza strategica delle masserie nell’organizzazione della guerriglia e come luoghi di ospitalità dei briganti, e iniziarono a prendere provvedimenti contro di esse.

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In data 23 ottobre 1862 la Prefettura della Provincia di Terra d’Otranto emise, a firma del Prefetto G. Gemelli, un editto mirato a reprimere il brigantaggio nei suoi diversi aspetti; con questo provvedimento, tra le varie cose, si comandava la chiusura di tutte le masserie e case di campagna della provincia, il loro svuotamento e il ritiro nei centri abitati del bestiame e dei foraggi:

“Nei comuni più minacciati saranno adottati i seguenti provvedimenti: a) Vietarsi a ciascuno uscir di paese durante la notte, e portare il giorno viveri in campagna oltre la quantità necessaria allo stretto bisogno proprio; b) impedire che massari, coloni, lavoratori, domestici, e simili vadano o si trattengano alla campagna senza essere muniti d’una carta di sicurezza rilasciata dal Sindaco, e coi debiti connotati; c) Chiudersi, e murarsi, a spese de’ proprietarii, le masserie e case di campagna vuotandole d’ogni prodotto, commestibile, e foraggio, e trasportando il bestiame in luoghi ove sia meno esposto ad essere depredato; d)  astringere i proprietarii, che a ciò si rifiutassero con mezzi amministrativi e spediti; e) permettere soltanto di ritenere le masserie aperte a quei proprietarii che si obbligassero farle custodire da una guardia stabile non minore di dieci uomini.”

Questa disposizione colpiva duramente il ceto dei massari (oltre che, più in generale, l’industria agricola e degli allevamenti di bestiame che aveva proprio nelle masserie il suo fulcro). I massari savesi si affrettarono così a produrre un reclamo nei confronti delle autorità, sotto forma di supplica. Tale supplica verrà parzialmente presa in considerazione dal Prefetto il quale, pur nel rispetto dell’ Editto, rimetterà al Sindaco di Sava la decisione di individuare le masserie da chiudere quali potenziali ricettacoli di briganti, sulla base della “loro posizione topografica” o dell “indole sospetta dei padroni o dei massari”.

Masseria Coppola
Masseria Coppola

 

Le restanti masserie, per concessione del prefetto, sarebbero potute restare aperte “vuotandosi però di foraggi e commestibili, non dovendosi serbare che la quantità strettamente necessaria alle persone che vi abitano” (questo provvedimento, sempre al fine di evitare che i briganti vi si stanziassero trovandovi quanto a loro necessario).

Di fatto, a quanto sembra l’ Editto non riuscì a scongiurare quanto prefissatosi oppure non venne mai applicato alla lettera, in quanto i pernottamenti dei briganti nelle masserie continuarono per un certo periodo di tempo anche dopo la sua emissione, fin quando, in ogni caso, la repressione della guerriglia non raggiunse il suo apice con la cattura e la fucilazione di molti rivoltosi.

Cinque giorni dopo l’emissione dell’ Editto, il massaro Donato Nardella della masseria di Pasano in Sava, chiede al Sindaco di Sava “giusto la lettera E dell’art. II° dell’ Editto di Prefettura, di tenere aperta la sua masseria e di farla custodire da una Guardia di dieci uomini, che prega volergli concedere dalla Guardia Nazionale di Sava”. In alternativa, e nel caso il Sindaco dovesse decidere, sulla base dell’Editto prefettizio, di far murare la masseria di Pasano, il Nardella chiede con questa missiva di potersi trasferire con il bestiame nella vicina masseria Grava o nella masseria Monaci. Due giorni dopo la data della lettera inoltrata al Sindaco, il Nardella è co-firmatario insieme ad altri dieci massari savesi di un reclamo indirizzato direttamente al Prefetto.

A seguire, il il documento del Nardella, il documento-reclamo sottoscritto dai massari di Sava e la risposta del Prefetto, da questi trasmessa al Sindaco di Sava. Occorre notare che nel documento i massari prendono le distanze sia dalla resistenza borbonica che da ogni forma di connivenza con i briganti, asserendo anche che le loro masserie non sono mai state oggetto di visite da parte dei guerriglieri.

In realtà da ricostruzioni storiche, da notizie degli organi di stampa dell’epoca e dagli stessi documenti del Tribunale di Taranto relativi al processo a Cosimo Mazzeo detto Pizichicchio, emergerà che oltre a frequentare le campagne savesi, i guerriglieri avrebbero stanziato nel novembre 1862 (successivamente all’ Editto) presso la masseria di Pasano e in altri luoghi dell’agro di Sava, nonchè in zone limitrofe; il periodico “Il Cittadino leccese” in data 4 dicembre 1862 riporta ancora notizie relative alla presenza di briganti in agro savese e più in generale nella provincia e nelle masserie della zona, dedicandovi un numero speciale e ospitando le dichiarazioni del deputato manduriano Schiavoni che polemizza rispetto alla mancata applicazione ferrea dell’ Editto.

Masseria di Pasano
Masseria di Pasano

 

A.C. Sava

Richiesta del massaro Donato Nardella

Al Signor Sindaco del Comune di Sava

Il massaro Donato Nardella, conduttore della masseria Pasano, richiede al Sig. Sindaco di Sava a volergli permettere, giusto la lettera E dell’art. II° dell’ Editto di Prefettura, di tenere aperta la sua masseria e di farla custodire da una Guardia di dieci uomini, che prega volergli concedere dalla Guardia Nazionale di Sava. Ovvero che murando la sua masseria, vuotandola di ogni prodotto commestibile e foraggio, gli fosse fatta facoltà tramutarsi col bestiame o nella masseria Grava o a quella de’ Monaci, riunendosi al fittuario Orazio Schifone e mantenere …… la Guardia richiesta. Si prega inoltre al Sig. Sindaco a voler concedere giusto la lettera B del predetto art. II la carta di sicurezza a tutti i coloni e lavoratori del sottoscritto.

Taranto 28 ottobre 1862

F.to

Donato Nardella

Reclamo dei Massari di Sava avverso l’ Editto di chiusura delle masserie.

All’ Egregio Signor

Prefetto della Provincia di terra d’Otranto Lecce

 

Li qui sottoscritti e crocesegnati Orazio Schifone fu Pietro, Luigi Antonucci, Giovanni Toma, Pasquale Spagnolo, Salvatore Schifone, Donato Nardella, Luigi Schifone fu Giovanbattista, Michele Melle, Oronzo Malagnino, Tommaso Pizza, Luigi Schifone di Orazio del Comune di Sava, massari il primo della masseria Torre, il secondo della masseria Tima, il terzo del masseria Monache, il quarto della masseria Agliano, il quinto della masseria Grava, il sesto della masseria Pasano, il settimo e l’ottavo delle due masserie Coppola, il nono della masseria Petrose, il decimo della masseria Scersa, l’undicesimo della masseria Prati. In omaggio dell’ Editto del 2° ottobre 1862, spedito all’ E.S. ed in conseguenza delle disposizioni del Sindaco locale, loro notificate a 28 spirante mese di chiudere, e murare le dette masserie, vuotandole di ogni prodotto, commestibile e foraggio di ogni specie, trasportando il bestiame in luogo sicuro vicino al paese. Umilmente sottopongono al retto sentire dell’ E.S. affliggenti di loro posizioni di dare sfogo alle lodate disposizioni, può l’ E.S. compenetrarsi della loro precisa rovina, e del danno incalcolabile alla società, per la mancanza dei prodotti all’anno venturo, sicchè si benigna le stesse modificare per la tenuta Sava per le sopralodate masserie. E per accettare di buon grado la presente supplica umiliano le presenti industriali circostanze, la posizione topografica delle masserie, ed i rapporti morali nelle quali si vive.

Le masserie descritte ai numeri 1, 3, 4, 5, 6, 8, 11, hanno ognuna la dotazione di 500, a 700, animali pecorini e caprini, gravide e partorienti, che ammovendoli dai loro siti, è un rinunciare ai loro capitali, per la mancanza del pascolo, del sito naturale, del ricovero, per quell’assistenza che non possono ricevere gli animali partorienti, la 2, 6, 7, 10 masserie hanno un gregge ognuno da 300 a 400 animali pecorini e caprini: ed il peso tenero di detti animali mancherebbe di pascolo immediato dell’orzame, che trovasi seminato accanto delle masserie, non essendo animali da transitare da un fondo all’altro.

Li bovi non sono a (illegibile) ma addetti alla coltura e continua aratura delle terre, ed alla semina delle biade, a stento si trascinano a passo grave alla masseria, dopo aver solcato la terra per una giornata. Essendo lavoro che deve farsi, e sia permesso dirlo, per avere tutti di che mangiare e pagare li vistosi fitti per il maggior numero di esse di doc. D. 1600,00, come ritirare gli animali in vicinanza del paese, che non sono distanti che da un miglio e mezzo? E dove poggiarli ? Per sfinirli, non più per seminare. E le paglie che a rimetterle ne i serbatoi han costato un’estate, dove posarle e custodirle? E per l’acqua onde abbeverarli ad ora, e tanti animali come farsi ritirandoli in paese, mentre manca per gli uomini?

Ottimi provvedimenti in casi così estremi, in cui si geme. Ogni uomo che ha un cuore, ed interesse freme di ira contra i malvagi, ogni uomo vuole fare, i supplicanti vogliono ancor essi fare e più ardenti degli altri, perchè si hanno beni, industrie agrarie, dove vogliono essere presenti essi, co’ propri figli e tutti i loro cari. I supplicanti vogliono sottomettersi a ogni misura draconiana, la implorano, essendo in grado di ottenerla per la posizione territoriale:

Tramontana strada Francavilla   masseria Torre,
Strada S. Marzano masseria Tima,
Strada S. Marzano masseria Monache,
Strada cons.re per Taranto masseria Agliano,
Strada cons.re per Taranto masseria Grava,
Strada per Lizzano masseria Pasano,
Strada per Torricella masseria Prati (Monache),
Strada per Torricella masseria Coppola,
Strada per Maruggio masseria Petrose,
Strada per Maruggio masseria Scersa.

Le dette masserie distano dal paese un miglio, circa due miglia le più lontane e circoscrivono il paese; fra loro distano un miglio l’una dall’altra. Per andare a Torre si va con la via per Francavilla; a Tima colla via per S. Marzano; alle Monache e Agliano colla via nuova per Taranto; per la Grava e Pasano per quella di Lizzano; per le masserie Prati e Coppola colla via nuova per Torricella; per le Petrose e Scersa colla via per Maruggio. Tutte strade popolatissime in ogni ora. Tutte territorio aperto e piano, e le masserie si veggono le une le altre. Nel paese si vive bene. Tutti gli sbandati, e tutte le reclute del Comune un dì si presentarono e servono militarmente. Lo spirito pubblico è lodevole; le nostre campagne non sono state mai minacciate dal Brigantaggio. I supplicanti vogliono concorrere con tutte le loro forze alla loro distruzione; han tolto dalle masserie quanto di meglio avevano per il comando della vita, i viveri per essi e per i coloni si portano mattina per mattina. Voler dieci uomini a masseria sarebbe denudare il paese di tutta la forza, e per salvare una parte potrebbesi perdere tutto. S’ingegneranno masseria per masseria avere un fidato vigilatore per avvertire di volo il paese, se alcun brigante osasse mettere piede su questo territorio. Sono utilissime le continue perlustrazioni delle nostre Guardie Nazionali, e con queste ci offriamo di concorrere allo sterminio degli assassini.

Supplichiamo di rimanere fermi ai rispettivi interessi, alle proprie industrie, svincolati dall’ordine di smettere tutto, ed essere di vanguardia alla forza che gira, anzicchè i nostri abituri potessero tornare centri di agguato alla Guardia Nazionale, ove siamo, abbiamo figli di sangue nostro.

 

Da Sava, 30 ottobre 1862

F.to

Oronzo Malagnino

Giovanni de Toma

Luigi Antonucci

Pasquale Spagnolo

Salvatore Schifone

Luigi Schifone ( fu Giovanbattista)

Luigi Schifone (di Orazio)

Michele Melle

Segno di croce di Orazio Schifone

Segno di croce di Tommaso Pizza

Segno di croce di Donato Nardella

da-il-cittadino-leccese-del-13-ottobre-1862
Da “Il Cittadino leccese” del 13 ottobre 1862
da-il-cittadino-leccese-del-22-novembre-1862
Da “Il Cittadino leccese” del 22 novembre 1862
da-il-cittadino-leccese-del-29-novembre-1862
Da “Il ciiradino leccese” del 29 novembre 1862

 

BIBLIOGRAFIA

Pichierri, Resistenza antiunitaria nel tarantino, Lacaita Editore, Manduria, 1988

Durelli, Colpo d’occhio su le condizioni del reame delle Due Sicilie nel corso dell’anno 1862, stampato nel 1863 e rieditato da Ripostes Ed., 2010

Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l’Unità, Nuovo Pensiero Meridiano, Madrid, 1983

Gemelli, Editto Provincia di Terra d’Otranto del 23.10.1863

Archivio Comunale di Sava cat. XV, cart. 174, v. 5 (documenti raccolti e trascritti da G. Pichierri, op. cit.)

Internet Culturale, Cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche italiane, testi a stampa www.internetculturale.it

 

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