Sedere e potere

di Armando Polito

 

Domenica scorsa a Che tempo che fa è intervenuto il primo amministratore del nostro Paese; scrivo Paese con l’iniziale maiuscola solo perché qualcuno non pensi, anche se cambia solo l’aspetto territorial-dimensionale, che l’amministratore sia il sindaco di Nardò, con il nostro riferito solo ai miei concittadini.

Approfitto, perciò, della popolarità che questo blog si è conquistato anche oltre i confini della Terra d’Otranto per condividere una mia brevissima riflessione sull’ultima performance di colui che viene considerato un mago della comunicazione, affermando preliminarmente, senza mezzi termini,  che ci sono i maghi perché ci sono i creduloni.

Egli non può fare a meno di ricorrere ogni volta al gioco di parola che, riconosciamolo, fa il suo bell’effetto su chi ascolta, e suscita tanta, tanta simpatia, tant’è che Crozza, per quanto bravo, non poteva fare a meno di non stigmatizzare questo dettaglio nelle sue imitazioni.

Questa volta, dopo l’incidente di cultura umanista per cultura umanistica (nel corso dell’illustrazione dei punti cardinali della sua Buona scuola!) il nostro ha affermato che Potere è un verbo, non un sostantivo!

Ora non si pensi che questa sorta di ripasso grammaticale sia nelle intenzioni la compensazione parziale ed autorevole dei danni culturali che la Buona scuola sta producendo, completando, per la verità, un’operazione iniziata qualche decennio fa. Chi conosce la grammatica sarà rimasto sbalordito dalla banalità dell’affermazione e chi non la conosce sarà rimasto solamente sbalordito e si sarà precipitato ad annotarla in attesa di fare un figurone  sfruttandola su Facebook …

A qualche conoscitore della grammatica, però, sarà sfuggito il probabile (sottolineo probabile …) significato profondo della frase, giocato sul fatto che il sostantivo prevede solo il genere ed il numero, mentre il verbo, oltre al tempo ed al modo, anche le persone. La frase, perciò, sottenderebbe uno slancio democratico, anche se, come al solito, arriviamo in ritardo, essendo un ricalco del Yes We Can di Obama …

Non voglio minimamente perdere tempo con la reale o presunta democraticità dello slancio e mi avvio a concludere.

Va ricordato che potere, come qualsiasi altro verbo, può assumere un valore sostantivato se preceduto dall’articolo, ma il presunto significato profondo della frase andrebbe riconosciuto concretamente (prima di tutto a livello legislativo, cominciando dalla famigerata riforma della Costituzione) anche a sedere. Ma sedere, come verbo è riservato a pochi (fra poco manco eletti …) dalle chiappe dorate e che abbandonano una poltrona solo per assidersi su un’altra più prestigiosa; e sempre sedere, però come sostantivo, vale, invece, per tutti gli altri accomunati da un destino riassumibile in una metafora tanto amara da far rimpiangere anche l’immagine pornografica da cui ha avuto origine …

P. S. Qualcuno potrebbe osservare che il titolo poteva essere Potere e sedere. Già, ma anche io debbo tutelare i miei interessi (?): con l’antipolitica galoppante, chi sarebbe andato a leggere oltre? Sedere, invece …

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4 Commenti a Sedere e potere

  1. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA E I DUE CORPI (E LE “DUE SEDIE”) DEL RE

    A “CHE TEMPO CHE FA”, COSI’ PARLO’ IL PRIMO AMMINISTRATORE DEL NOSTRO PAESE: “POTERE è UN VERBO, NON UN SOSTANTIVO!”. C’E’ TRONO E TRONO (https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/17/sedere-e-potere/): IL PROF. ARMANDO POLITO HA BEN FATTO A RICHIAMARE L’ATTENZIONE DI TUTTE E DI TUTTI SULLA FRASE E SUL TEMA – ONORE A LUI.

    !Il significato profondo del messaggio porta a galla (è il caso di dire) il PODERE, la Proprietà, la Poltrona! E dà un significato beffardo alla frase di Michel E. de Montaigne: “Anche sul trono più elevato del mondo, si è pur sempre seduti sul proprio sedere”!!! Con tutta la sua boria, il PADRONE (di sempre e di turno) così dichiara *Urbi et Orbi*: La Poltrona è mia, e guai a chi la tocca (sul tema, cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=697) !!!

    MONARCHIA DEL PENSIERO UNICO: “FORZA ITALIA” (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3515). Solo al PADRONE è possibile l’uso delle “DUE SEDIE”, la salita (dalle stalle alle stelle) e la discesa (dalle stelle alle stalle). Per tutti gli altri e per tutte le altre, alla luce della grammatica del PODERE, ogni META-FORA è vietata, e SEDERE vale solo come sostantivo!!!

    COSTITUZIONE E MONARCHIA DEI “DUE SOLI”. A ben vedere e a ben leggere DANTE con la sua teoria dei “DUE SOLI” non a caso fu giudicato eretico: aveva lanciato il programma delle “due sedie” per tutti e per tutte, e non per uno SOLO!!!

    Dopo 700 ANNI e più, non solo non abbiamo ancora capito il messaggio di Dante (e la lezione di Kantorowicz, “I due corpi del re”: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/forum.php3?id_article=5726&id_forum=2635841), ma nemmeno quello della nostra “sana e robusta” COSTITUZIONE (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3811), e ci lasciamo prendere per i fondelli, allegramente: “Forza Italia” ( cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4282 ). la misura non è ancora colma?!

    Federico La Sala

    • Cambiare per cambiare, io proporrei una nuova traduzione di URBI ET ORBI. Non più ALLA CITTÀ E AL MONDO ma (considerando “urbi” sempre dativo, ma non di vantaggio, bensì di possesso; “orbi” non come dativo da “orbs” ma come nominativo plurale di “orbus”, con il verbo “sunt” sottinteso); ROMA HA PURE I CIECHI, in cui i ciechi, per antonomasia, sono i signori (si fa per dire) che non vedono minimamente i bisogni reali della gente comune e che, tra l’altro, perdono tempo a riformare in un attimo qualcosa che non sono riusciti in decenni a portare a realizzazione nei suoi punti fondanti.

  2. L’***AMOR*** CHE MUOVE IL SOLE E LE ALTRE STELLE ….

    OTTIMA PROPOSTA! A BEN VEDERE, sono facce di una stessa moneta – falsa, dall’uno e dall’altro lato!

    Evidentemente, CHI può arrivare a tale boriosa delirante altezza, sino a pensare di poter parlare *Urbi et Orbi* – *ALLA CITTÀ E AL MONDO*?!

    Se “Urbi et orbi [sunt]”, se “ROMA HA ANCHE I CIECHI”, solo questi possono arrivare a tanto: accecare tutti e tutte e parlare ALLA CITTÀ E AL MONDO-Paese!!!

    NON è solo FANTASCIENZA (https://it.wikipedia.org/wiki/Il_paese_dei_ciechi). SIAMO NEL PAESE DEI CIECHI (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5116).

    A ROMA, cosa possono mai sapere dell’AMOR che muove il SOLE e le altre STELLE?!

    COSÌ VA IL *MONDO*! Il quadro di Pieter Bruegel il Vecchio, infatti, lo possiamo vedere e ammirare a/da “Nea-Polis” (“Nuova Città”), a/da NAPOLI (https://it.wikipedia.org/wiki/Parabola_dei_ciechi), non a/da Roma!!!

    Federico La Sala

  3. ***DOC.*** — DALLA GRAMMATICA ALL’ EPICA (E ALL’ETICA, PROFESSIONALE E NON): iL TELEMACO DI OMERO E IL TELEMACO DI MASSIMO RECALCATI

    Verità nascoste. Il Telemaco, il messia e la Costituzione

    di Sarantis Thanopulos (il manifesto, 19.11.2016)

    Massimo Recalcati nell’elogiare, alla Leopolda, Matteo Renzi, ha accusato la sinistra del No di essere masochista, paternalista e di odiare la giovinezza (http://www.tribunapoliticaweb.it/politica-nazionale/referendum-societa/leopolda-7-massimo-recalcati-il-fornte-del-no-e-malato-di-conservatorismomasochismo-e-di-insopportabile-paternalismo-36214.html). Accuse fondate su luoghi comuni.

    Un discorso aforistico, privo di argomenti, teso a screditare l’avversario piuttosto che ad esprimere una propria opinione sui quesiti referendari.

    L’andazzo è proprio questo: la grande maggioranza degli italiani nel referendum prossimo voterà pro o contro Renzi, a prescindere dalla valutazione di una riforma che modificherà in modo sostanziale la costituzione italiana.

    La personalizzazione del conflitto politico ha finito per espropriarci della cura nei confronti delle regole fondamentali della nostra convivenza democratica. Si è fatta strada una corrente di «eccezione dalla costituzione», che mentre aspira formalmente a riformarla, di fatto crea il clima di una sua sospensione sul piano emotivo.

    Questo tipo di sospensione dell’ordinamento costituzionale è il più pericoloso. La restrizione diretta e apertamente autoritaria delle garanzie costitutive dei nostri diritti, crea opposizione e ribellione.

    La loro sostituzione con l’affidamento regressivo all’«uomo della provvidenza», da una parte sposta l’attenzione su un quesito fuorviante – se costui è quello «vero» o quello «falso» – e dall’altra favorisce la deresponsabilizzazione.

    La nota identificazione del premier con Telemaco, nella versione ideata da Recalcati come riparazione (impropria) dell’assenza del padre, è espressione di un vissuto di delegittimazione collettiva. Di questa delegittimazione, della cui origine non è responsabile, Renzi si è costituito come l’interprete più importante.

    L’ha fatto per negazione, cioè oscurandola: più incerta sente la propria legittimità, più insiste sulla delegittimazione degli altri.

    La rottamazione pura e semplice di una classe politica inadeguata non produce di per sé legittimazione. Se resta come unica opzione perpetua il senso di delegittimazione. Infatti, Renzi, il rottamatore, si identifica con Telemaco: un figlio reso illegittimo dall’assenza del padre e dalla solitudine, vedovanza «bianca», della madre (le due condizioni sono inscindibili).

    Dimentica che il ritorno della legge nel regno di Itaca, non è opera di Telemaco. Deriva dal ritorno di Ulisse nel letto coniugale, dal suo riconoscimento e legittimazione come uomo e come padre dall’amore di Penelope.

    Le regole «costituzionali» che garantiscono la buona gestione delle relazioni familiari, sono fondate sulla capacità dei genitori di essere soggetti paritari nel loro legame di desiderio. I figli che rottamano il padre, cercando di sostituirlo nell’amore della madre, finiscono per assumere un ruolo messianico.

    In modo analogo al governo familiare, il governo della Polis non può essere affidato a un Telemaco capovolto nel suo significato, che non sa attendere il suo tempo. Aspettare il momento giusto per sentirsi adulti – l’accesso alla piena comprensione della congiunzione erotica dei genitori e della sua problematicità – è il senso vero dell’attesa del padre in Odissea.

    Un leader capace di identificarsi con Penelope e Ulisse, cioè con il senso di corresponsabilità che costituisce le relazioni cittadine in termini di condivisione e di scambio, è molto più affidabile di un figlio che si sostituisce ai genitori. Costui si imprigiona nel destino del redentore e, diversamente da Telemaco di Omero, si considera il frutto di una unione spirituale tra un padre ideale e una madre/figlia vergine. Promuove la deresponsabilizzazione che gli ha assegnato la sua funzione immaginaria e si/ci illude di poter farcela.

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