Una specialità orticola salentina. Le rape e le sue ricette

 

rape

di Massimo Vaglio

Le “Rape salentine” (Brassica rapa subsp. sylvestris var. esculenta), omologhe delle baresi “Cime di Rapa”, gustose rappresentanti della famiglia delle Brassicaceae o Crociferae, costituiscono una specialità orticola pressoché esclusivamente italiana e in particolare meridionale. Infatti, le sue numerose varietà orticole vengono coltivate in Puglia e in Campania, seguite a distanza il Lazio, ove la loro odierna e piuttosto ampia diffusione, discende da una più recente contaminazione culturale.

Questi gustosi ortaggi rientrano infatti nella schiera di quei prodotti con più forte connotazione identitaria, sono evidentemente, una di quelle specialità di cui gli emigranti soffrono maggiormente la mancanza, ragion per cui le cime di rapa vengono coltivate anche in numerosi distretti statunitensi e australiani ove è maggiore la presenza di datate comunità italiane.

Allo stesso modo, le comunità salentine presenti in Germania e Svizzera se le fanno puntualmente recapitare a mezzo corriere, insieme al Negroamaro ai lampascioni e al caffè Quarta, una predilezione che diviene quasi una dipendenza e che non conosce differenze di ceto, se è vero, come è vero, che persino il segretario del partito fascista Achille Starace non mancava mai di farsele recapitare in quel di Roma e le faceva puntualmente coltivare persino nel giardino della sua dimora romana.

Non se ne conosce l’origine, comunque, senza paura di essere tacciati di campanilismo, possiamo affermare che le selezioni effettuate dall’orticoltore salentino hanno fatto raggiungere a questo ortaggio una perfezione mai eguagliata in altri contesti. La Cima di rapa, è una pianta di origine ignota ma certamente mediterranea che si differenzia dalla rapa comunemente detta per il ciclo annuale e la radice fittonante non ingrossata. All’inizio si sviluppa una rosetta di foglie allungate provviste di picciolo, irregolarmente lobate e dentate, glabre o poco pelose. Dopo un breve periodo di tempo variabile a seconda della precocità della cultivar emette uno scapo fiorale carnoso e molto ramificato con i racemi ossia le infiorescenze serrate, ombrelliformi che vengono raccolte prima dell’apertura dei fiori che sono di colore giallo oro. L’attitudine al ricaccio permette di fare più raccolte nel corso del ciclo.

I fiori e la biologia fiorale, sono simili a quelli della rapa vera e propria (Brassica rapa subsp. Rapa), da cui la nostra potrebbe essere stata derivata. Infatti, la rapa propriamente detta, è un ortaggio originario del nord Europa, di cui, come è noto, viene utilizzata la radice globosa, in genere di colore biancastro o a seconda delle varietà, che sono svariate, più o meno variegata di rosso, la polpa di colore bianca o giallognola è croccante e di gusto dolciastro, la sua presenza è di rigore nella classica giardiniera e nelle cosiddette insalatine capricciose.

Vengono estirpate in diversi periodi dell’anno, ma essendo molto resistenti al freddo nelle zone di produzione costituiscono un tipico ortaggio vernino. Vennero introdotte nella penisola dai Romani, e per la loro facile e produttiva coltivazione, divennero, secondo quanto riportato dallo storico Plinio, il terzo prodotto in assoluto più coltivato dopo il frumento e la vite, nonché elemento base della dieta, utilizzato, però come alimento dozzinale, destinato soprattutto all’alimentazione degli schiavi, dei ceti meno abbienti e come foraggio per il bestiame. Dobbiamo aspettare il Medioevo perché questo ortaggio venga, per così dire, riabilitato per merito di presunte proprietà afrodisiache, ed essere così finalmente universalmente accettato e ammannito anche sulle tavole dei nobili.

Probabilmente, per quanto riguarda la Puglia, il consumo di queste rape, alimento principe dei popoli nordici, ovvero dei cosiddetti barbari, suonava un po’ come abdicazione della cultura locale, di nobile derivazione magnogreca, all’imbarbarimento, ragion per cui, forse anche un po’ inconsapevolmente, fu iniziata una progressiva opera di selezione, tendente ad ottenere un incremento della parte aerea di queste piante a scapito della porzione sotterranea.

Si era così iniziata, la selezione della “Rapacàula”, ossia di una rapa con caratteri più tendenti verso il congenere cavolo che verso quelli della progenitrice rapa. A testimonianza di ciò, anello intermedio di questa lunga opera di selezione è rimasta la cosiddetta “Rapestre”, “Lapistra” o “Rapa ti Massaria” , un’ antica varietà di cima di rapa, un tempo intensamente coltivata nel Salento e oggi sul filo dell’estinzione, che presenta appunto la radice ingrossata, e per tale ragione, sino ad un recente passato veniva intensamente coltivata presso tutte le masserie ad indirizzo zootecnico con il duplice scopo di fornire alimento agli uomini tramite la parte aerea e foraggio per il bestiame attraverso le grosse e appetite radici.

Le varietà orticole, o più propriamente gli ecotipi, ricordano nella denominazione le località ove sono stati selezionati, oppure ove sono oggetto di coltivazione: Cima di rapa Cassanese, Rapa Riccia di San Marzano, Rapacàula di Galatina, oppure la lunghezza del ciclo vegetativo (Quarantina, Sessantina, Novantina, Natalina, Marzatica) oppure ancora derivano dalla combinazioni tra i due caratteri (Quarantina di Otranto, Novantina di Nardò, Tardiva di Fasano, Aprile di Carovigno).

Le varietà precoci impiegano 80 giorni dalla semina alla fioritura (es. Quarantina) quelle più tardive (es. Cima di rapa di aprile, Maggiaiola di Sala Consilina) 190-200 giorni. L’altezza della pianta è di norma proporzionale alla lunghezza del ciclo di crescita: le popolazioni precoci sono generalmente di taglia bassa mentre le tardive sono un po’ più alte.

Questo umile ortaggio non richiede grandi cure e non richiede terreni particolarmente fertili e profondi, è infatti una di quelle colture poco esigenti che un tempo venivano classificate come: “uertu te chiesura” onde distinguerle da colture più esigenti cui dovevano essere destinate le “ciardine” ossia i fertili, e sovente irrigui orti suburbani. Per cui, qualunque campo, anche se costituito da terreno poco profondo e ricco di scheletro, purché ben drenato ovvero non soggetto a ristagni idrici e blandamente concimato si presta proficuamente a questa coltura. Si semina a partire dall’estate, a spaglio, direttamente in pieno campo, oppure si trapiantano le piantine prodotte in appositi semenzai approntati sempre in estate o all’inizio dell’autunno.

Nel Salento, tale incombenza viene ricordata da un antico detto:

Male, a queddhra rapa ca ti acostu nu n’è nata,

e ci no è nata, armenu cu si troa siminata

Il trapianto lo si esegue generalmente alla distanza di 30 cm tra le file e 30 cm sulla fila, mettendo così a dimora circa 11 piante per metro quadrato. La pianta nella prima fase vegetativa emette una rosetta basale di foglie, mentre in fase riproduttiva sviluppa steli terminanti in infiorescenze tenere e carnose. La raccolta è scalare, e si esegue a seconda della precocità e della lunghezza del ciclo dell’ecotipo, a partire dall’autunno, oppure, può iniziare in inverno o nella successiva primavera e si esegue recidendo le infiorescenze con lo stelo fino all’inserzione delle infiorescenze laterali, con tutte le foglie annesse.

L’apertura dei fiori, che può essere accelerata da un andamento climatico mite o influenzato dalla prevalenza di venti sciroccali, deprezza notevolmente la qualità del prodotto, che viene in questo caso scarsamente apprezzato. La succitata attitudine al ricaccio, permette di fare più raccolte nel corso del ciclo, sempre che, non ostacolata da un andamento climatico fortemente umido o piovoso che può provocare la marcescenza delle piante.

La Rapacàula salentina, ha mediamente un basso valore calorico, 25 kcal su 100 g. La sua composizione chimica media presenta circa il 92% di acqua, 2,9% di proteine, 0,3% di lipidi, 2% di carboidrati e 2,9% di fibra, è ricca di ferro, calcio, fosforo, vitamina C, A, B2, possiede un buon contenuto di polifenoli ed è un naturale disintossicante per l’organismo e infine, importanti studi la accreditano come potenziale coadiuvante nelle cure anticancro.

 

Rape ‘nfucate

Mondate le cime di rapa, asportando la parte più dura e fibrosa, fate imbiondire leggermente due spicchi d’aglio in una casseruola con olio di frantoio ed unite le cimette ben mondate e lavate, salate, coprite e abbassate la fiamma in modo che queste cuociano, per quanto possibile, “con la loro stessa acqua”, aggiungendo solo se occorre qualche mestolo d’acqua; potrete ottenere un gusto piccante aggiungendo del peperoncino. Se vorrete invece ottenere un gusto meno marcato potrete lessare precedentemente le cime di rapa sino a metà cottura.

 

Pane cuèttu cu li rape

Questo antico piatto pastorale, ha come la più nota, acqua e sale inequivocabilmente una stretta analogia con lo spagnolo gazpacho, un altro probabile retaggio quindi della lunga denominazione spagnola, anche se è difficile uscire dal campo delle ipotesi. E’ una cosa certa invece che questa minestra di pane ha costituito da tempo immemorabile il principale piatto invernale per i pastori e i braccianti durante la loro permanenza nelle masserie, lontano dalle proprie case, proprio come per i loro omologhi spagnoli appunto il gazpacho . La versione base era costituita da pane, acqua e olio, ma a seconda della stagione rientravano nella sua preparazione gli ingredienti più vari: ortaggi, verdure, erbe spontanee e oggi si contano decine di varianti, alcune delle quali prevedono anche l’inserimento di uova. Il tipo di pane occorrente è naturalmente quello salentino di grano duro, che deve essere piuttosto raffermo. Mettete in una pentola poco più di mezzo litro di acqua per commensale, quindi, sempre per ogni porzione, mezza cipolla, qualche oliva nera e una manciata di cime di rapa, completate con peperoncino, qualche foglia di alloro e un giro di ottimo olio di frantoio, salate, portate ad ebollizione e lasciate cuocere il tutto per una ventina di minuti. Ponete le fette di pane rappreso in singoli piatti fondi, versatevi sopra questo rustico saporito brodo con tutte le verdure, completate con un altro filo d’olio e coprite con un altro piatto. Lasciate riposare per qualche minuto prima di consumare.

 

Scarfatu

Questo nutriente quanto gustoso piatto costituiva sin ad un paio di generazioni fa la colazione quotidiana per i contadini salentini, veniva velocemente preparato tutte le mattine utilizzando i le rimanenze di legumi e di verdure dei pasti principali del giorno precedente. Mettete a bagno la sera prima i ceci e fagioli. Accomodateli in una pignatta di terra cotta, copriteli d’acqua fredda e cuoceteli possibilmente al fuoco del camino. Aggiungere altra acqua calda durante la cottura perché i legumi devono rimanere sempre coperti. A metà cottura schiumate e aggiungere sedano, pomodori, alloro, cipolla o cipollotti, olio extravergine d’oliva e aggiustate di sale. Nel frattempo, mondate, lavate le rape e lessatele a parte. Completata la cottura dei legumi, aggiungete le rape lessate ed infine “dei tocchetti di pane salentino di grano duro raffermo o di pane raffermo fritto dorato in olio di frantoio. Portate il tutto nuovamente a bollore e, trascorsi una decina di minuti, servite.

 

Orecchiette con le cime di rapa

Per sei porzioni occorrono mezzo chilo di orecchiette ed un chilo di cime di rapa al netto degli scarti.

Mettete abbondante acqua in una capace pentola e quando arriva a bollore calate le cime di rapa e salate; quando queste saranno a metà cottura calate le orecchiette. Nel frattempo mettete ad imbiondire in una padellina 3-4 spicchi d’aglio in un bicchiere scarso d’olio extra vergine d’oliva e non appena questi saranno imbionditi spegnete la fiamma e aggiungete 4-5 acciughe sotto sale diliscate. Scolate le orecchiette con le rape ponetele in una zuppiere e versatevi sopra il contenuto della padellina, mescolate bene, e servite. A piacere potrete aggiungere pepe o peperoncino

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5 Commenti a Una specialità orticola salentina. Le rape e le sue ricette

  1. Professore Massimo Vaglio ho un ricordo molto bello di lei quando faceva l’ora d’ integrazione all’Aberghiero di Lecce e sin da sempre divoratore dei suoi libri di cucina tipica e anche antica/cultura della nostra Regione Salento., mi piacerebbe essere suo amico su Facebook ho avere un suo contatto telefonico la saluto sperando in una sua risposta.

  2. Negli ultimi anni i Salentini residenti a Torino le rape le troviamo sui mercati rionali alleviando la nostalgia di questa prelibata verdura tipica delle nostre terre, a Novoli oltre le classiche ricette con le orecchiette, l’usanza per i contadini che si recavano in campagna era quella di praticare un buco nella parte più alta “te lu piezzu te pane fattu a casa” sollevando la mollica e inserendo le “rapacàule nfucate” per richiuderlo con la mollica e condire l’intorno con olio d’oliva.
    Ersilio Teifreto

  3. Grazie Gionatan, le tue parole mi fanno grande piacere, mi onora il fatto di essere ricordato da te come da molti degli stufenti a cui ho fatto lezione seppure per poche ore. Inutile dire che annoverati fra i miei amici di Facebook non può che farmi altrettanto piacere! Il mio numero di telefono è: 330/907277, chiamami quando vuoi!!!

  4. Per mia esperienza le rape cuociono in 6/7 minuti, le orecchhiette in non meno di 12. metto in acqua prima le orecchiette

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