Gli ulivi, la musica e i volti: intervista a Paola Rizzo

Particolare del ritratto di Giuliano Sangiorgi
Particolare del ritratto di Giuliano Sangiorgi

 

di Gianluca Fedele

 

La prima volta che vidi Paola Rizzo all’opera fu nel 2011 sulla “liama” della “Vinotecheria Musicale Vite”, un luogo nel centro storico di Nardò che purtroppo oggi non esiste più. La pittrice, durante un’estemporanea, dipingeva un ulivo accompagnata dalle note della canzone “Arbulu te ulie” del cantautore tugliese Mino De Santis. Conservo ancora dei bellissimi ricordi di quella serata e quando ho ritrovato Paola è stata una tra le prime cose che ci siamo raccontati. Ciò che colpisce della sua arte è la fedeltà dell’immagine, caratteristica che si esprime al massimo attraverso i ritratti realizzati con grafite; un osservatore poco attento ai dettagli infatti troverebbe veramente arduo distinguere un’opera frutto della sua maestria rispetto a un’immagine fotografica.

Anche se piena di impegni l’artista mi concede volentieri un paio d’ore di un sabato mattina e quando la raggiungo nella sua abitazione immersa nelle campagne di Sannicola (LE) è divertente scoprire che aveva completamente scordato il nostro appuntamento. Ad accogliermi ci sono tre cucciolotti vivaci che ci terranno compagnia durante tutta la chiacchierata.

 

D.:

Guardandomi intorno vedo finalmente dal vivo le opere che avevo potuto apprezzare solo sul web. Mi stupisce la varietà degli stili e della tecnica, indice di una elevata capacità espressiva: da quanto tempo dipingi?

 

R.:

Le mie prime e precoci attrazioni nei confronti della grafica risalgono ai tempi delle scuole elementari. Ricordo che all’epoca omaggiai una mia insegnante regalandole un intero blocco di disegni; a quei tempi disegnavo perlopiù il mondo nel quale ogni bimba di quell’età ama immergersi, abitato naturalmente dalle beniamine dei cartoni animati. Nel percorso scolastico ho poi incoraggiato questa propensione per il disegno frequentando il liceo artistico, nonostante mio padre non fosse particolarmente felice della scelta che mi avviavo a compiere; anche perché comportava il doversi spostare da Galatina, la mia città, a Lecce per studiare. A convincerlo ci pensò un nostro parente che, dopo aver visto un mio dipinto, lo esortò a tal punto da farlo cedere. Dopo il diploma ho proseguito intraprendendo l’Accademia delle Belle Arti, sempre a Lecce. Successivamente ho approfondito la mia esperienza con il restauro e da poco mi sono catapultata anche nel settore del make up che in questo momento mi completa artisticamente.

Omaggio ad Adolphe Sax
Omaggio ad Adolphe Sax

 

D.:

A proposito di make up, ho visto che collabori spesso nei set cinematografici: dov’è che si trova il punto di congiunzione tra le polveri del trucco sulla pelle e la grafite sul foglio di carta?

 

R.:

Si, sono stata su importanti set di cortometraggi, shooting fotografici, spot, quelli dei videoclip sono la mia passione, soprattutto quando incontrano il mio stesso gusto musicale. Paolo Conte, Carmen Consoli, Eros Ramazzotti, Daniele Silvestri, Carolina Marquez, Sud Sound System, Boomdabash e J-Ax per citarne alcuni. Iniziamo col dire che personalmente considero il make up al pari di una qualsiasi altra forma d’arte e che per essere make up artist è certamente necessario possedere una non trascurabile manualità tecnica e conoscenza dell’anatomia umana. L’interesse per questa nuova attività è stato quasi fisiologico, oltre che voluto, poiché da sempre nutro una profonda attrazione nei confronti dei volti, oggetto di tante mie opere, per cui ora che mi trovo a utilizzare la pelle come supporto vivente del disegno, si è concretizzata ancora di più questa sinergia.

C’è da aggiungere anche un altro aspetto, che è quello prettamente legato al mio percorso di studi, in quanto la conoscenza delle tecniche di lavorazione della creta, acquisita già ai tempi del liceo, mi ha consentito di perfezionare abilità manuali necessarie al fine di operare anche con prodotti del make up per gli effetti speciali.

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D.:

Sempre sfogliando il tuo profilo Facebook mi è capitato di osservare diverse fotografie di te all’opera in set di film d’azione o horror, intenta nel ricreare ferite e lacerazioni: c’è una predisposizione da parte tua per questi generi?

 

R.:

Assolutamente no! Non riesco nemmeno a vederli i film dell’orrore. Io poi ho una grande paura del sangue e per un taglio mi è anche capitato di svenire, figuriamoci. Però sul set so scindere bene la realtà dalla finzione e quando riproduco un taglio alla trachea o il foro di un proiettile, nonostante mi impegni a rendere l’effetto conclusivo assai realistico, non ho alcuna impressione perché so bene di cosa è fatto.

Gianluca Fedele e Paola Rizzo
Gianluca Fedele e Paola Rizzo

 

D.:

Ora vorrei che mi parlassi degli ulivi, anch’essi importantissimi soggetti della tua produzione: da dove scaturisce il bisogno di dipingerli?

 

R.:

Per ben quindici anni ho dipinto tele che avevano come protagonisti indiscussi gli alberi d’ulivo. Una dipendenza quasi ancestrale tra me e quest’albero considerato da molti un nume tutelare del luogo. Ho visto nell’albero d’ulivo un soggetto nel quale io stessa mi sono spesso identificata.

Tocchi di pennelli sulla tela e gli ulivi in campi di natura isolati, in cammino a passo lento, sospesi in volo, in abbandono, vittoriosi dopo una lunga battaglia. C’è un legame intimo con questa pianta ed è quel forte richiamo che amo assecondare.

Ricordo che da bambina adoravo trascorrere del tempo arrampicata sui rami più alti di questi autorevoli padroni delle nostre campagne, forse per quello resta il sogno di possedere una casa sull’albero.

Ho percorso un quindicinale con accanto questo amabile compagno, l’ulivo. Con esso sono cambiate varie stagioni creative, senza tralasciare neppure l’interminabile parentesi legata al fenomeno della xylella che, come tutti, non mi ha assolutamente colta indifferente.

Forse ho già detto tutto, forse è solo una pausa, forse sono in piena profonda crisi d’identità, fatto sta che mi sono fermata con questa produzione. Le mie energie sono convogliate nel campo del trucco, del cinema e degli effetti speciali. Sono appagata.

 

D.:

Ritieni che la tua capacità di riprodurre fedelmente volti e figure sia una dote anacronistica al giorno d’oggi, in un’epoca nella quale la duplicazione delle immagini è facilitata dalla diffusione della tecnologia?

 

R.:

No, assolutamente. Molti artisti, anche famosi, lo fanno. Credo che ogni artista debba esprimere il proprio pensiero attraverso il mezzo che gli viene più congeniale. Personalmente sperimento tanto e ho attraversato anche momenti di grafica informale , ma è col figurativo che do il meglio di me.

Grafite è Musica. Ritratto matita su carta di Nandu Popu
Grafite è Musica. Ritratto matita su carta di Nandu Popu

D.:

Quali sono gli artisti che ti hanno ispirata?

 

R.:

Sarò controtendenza ma penso di essere stata ispirata da artisti musicali più che di altro genere.

In ogni caso, tutta la storia dell’arte è fonte di ispirazione, sicuramente Giovanni Segantini e le sue opere mi hanno influenzata per certo periodo, benché la mia tecnica differisca completamente dalla sua.

Un artista che mi lascia a bocca aperta è Roberto Ferri, profondamente ispirato dai pittori del barocco, in particolare Caravaggio, ed altri antichi maestri del Romanticismo, dell’Accademismo e del Simbolismo, quali: David, Ingres, Girodet, Gericault, Gleyre, Bouguereau, Moreau, Redon, Rops, ed altri. Un contemporaneo capace di dimostrare che, persino al giorno d’oggi, il figurativo guidato dalla mano di un genio è sempre vincente.

 

D.:

In che modo la musica contagia la tua arte?

 

R.:

La musica sfiora l’anima ed è questo il presupposto da cui bisogna partire. Un compositore che non mi stanco mai di ascoltare, ad esempio, è Ludovico Einaudi al quale ho anche realizzato un ritratto che ora è in suo possesso. Come con lui, ho lasciato traccia di grafite nelle abitazioni di artisti di fama internazionale come Bay-C, Giuliano Sangiorgi, Terron Fabio. Mi lascio accarezzare i sensi da qualsiasi genere musicale: da Chopin ai Pink Floyd, senza alcuna discriminazione.

Gli artisti che vedi ritratti gli incontrati personalmente e con loro ho innanzitutto stabilito un contatto. Il primo ad essere ritratto fu Terron Fabio, da quella commissione la mia matita non ha smesso di tracciare su carta l’anima di questi artisti. Poi fu la volta di Giuliano Sangiorgi che volevo conoscere assolutamente, Caparezza, Luca Aquino e Nandu Popu dei Sud Sound System e tanti altri.

Volti come quello di Nandu Popu, mi hanno particolarmente ispirata e appassionata in quanto sul suo viso leggo la stessa forza di un albero di ulivo; non a caso da anni si batte come me e tanti altri nella tutela di questo albero che è natura vivente e non morta.

E’ divertente ascoltare i commenti, durante le mostre, degli spettatori che leggono nei tratti della mia grafite l’anima nel soggetto ritratto.

Un’opera invece che per le dimensioni mi ha portata ad avere un approccio ancora più intimo con la grafite plasmandola con i polpastrelli delle dita, consumandoli quasi, è quella concepita ed esposta a Lecce nella splendida cornice dell’accademia delle belle arti nel 2014 e ispirata ad Adolphe Sax: un sassofono e le mani dell’artista in atto di pigiar tasti per creare musica. Un enorme manifesto di chiaroscuri dalle dimensioni 200 x 150.

Nella stessa occasione Attilio Berni esponeva alcuni pezzi della sua più grande e importante collezione di sassofoni al mondo nella mostra Saxophobia.

 

D.:

Ti segue qualche galleria d’arte?

 

R.:

Francamente non ho dei rapporti particolarmente idilliaci con i galleristi e critici d’arte anzi, posso raccontare di un’esperienza con un noto truffatore che fingendosi critico mi ha sottratto due opere e del denaro.

So comunque che il successo di un artista e la sua notorietà passano anche attraverso quei meccanismi di commercio ma per il momento non sono predisposta per questo tipo di scelta e dunque dipingo soltanto per me stessa.

 

D.:

Oltre agli ulivi e ai ritratti ci sono altri soggetti ai quali ti ispiri o altre tematiche?

 

R.:

Mi è capitato di realizzare su commissione dei dipinti di arte sacra.

 

D.:

E tu sei credente?

 

R.:

Sono credente. Esistono vicende della vita in cui ho percepito la presenza di qualcuno che c’è sempre accanto a noi. Quella voce è presenza eterea che ci guida e ci sorregge nel duro cammino che è la vita. Non sono una praticante ma credo che gli angeli esistano. L’ho dipinto il mio Angelo Custode, inconsciamente ma l’ho dipinto.

Vi racconto un piccolo aneddoto: avevo realizzato un dipinto raffigurante la figura di un angelo il quale era improvvisamente scaturito da una esigenza intima e profonda, non da una commissione. Era un esperimento, si è rivelato essere un segnate tangibile e un messaggio di luce d’anima. Ho infatti scoperto durante la sua esecuzione di avere un carcinoma al seno. Dopo essere rientrata da Modena, a seguito dell’operazione – la prima e mi auguro l’ultima della mia vita – ho avuto modo di rimanere a tu per tu col mio dipinto ed è stato in quel momento che ho notato con meraviglia che la mia tavolozza di colori si era arricchita di una tonalità mai mescolata prima: lo sfondo verde che non avevo mai usato prima, aveva lo stesso tono dei camici indossati dai medici nella sala operatoria. La sua mano era posata sul seno destro corrispondente al seno operato.

Credo che se non fossi stata guidata da una mano angelica forse non avrei mai scoperto lo strano nodulo e di conseguenza non sarei qui a parlarne.

Le dita erano aperte sul numero tre, come a simboleggiare la mia età, trent’anni appena compiuti.

È rimasto incompiuto per molto tempo, l’ho ultimato qualche anno dopo e ora è luce d’anima. Non ho avuto bisogno di altri segnali.

 

D.:

Credi sia utile fare arte oggi?

 

R.:

L’arte è un potente mezzo espressivo. La storia dell’arte ci insegna come grandi artisti hanno denunciato la realtà mediante espressione artistica. Ma quella la ritengo una missione per pochi. Allo stato attuale, attraverso un periodo di confusione, dovuta alla mancanza di certezze e le tendenze della società mi destabilizzano. Il senso di impotenza di fronte ai poteri forti, padroni della comunicazione e di ogni mercato, rende il mio disagio insopportabile e per questa ragione faccio arte solo per me stessa, senza ipotesi né aspettative altrui.

 

D.:

L’essere donna secondo te indebolisce il messaggio che tenti di lanciare?

 

R.:

Sicuramente non sono agevolata in questo ma non demordo. È proprio attraverso l’arte che voglio riscattare la figura della donna. Ricordo che quando ero a Noha (LE), il paesino nel quale ho avuto per quindici anni il mio primo atelier di pittura, in molti mi scrutavano con aria perplessa e ironica, non riuscendo a comprendere il senso del mio lavoro. Soltanto ora che sono andata via forse qualcuno mi rimpiange.

L'Infinito - Olio su tela
L’Infinito – Olio su tela

 

D.:

Cosa dovrebbe accadere perché tu riacquistassi fiducia nel mondo?

 

R.:

Ci vorrebbe un miracolo! Un mondo senza il male.

Consapevole che questo sia un irraggiungibile sogno traggo fiducia e forza da ciò che mi fa vivere serenamente. Mi accontento di continuare a fare arte.

Amo questa casa nel bosco e non mi faccio mancare l’affetto dei miei cari, dei nipoti, degli amici veri e degli amici a quattro zampe. Per ora tutto in solitudine.

L’amore che aspetto e che tarda ad arrivare troverà in ogni caso una donna forte che ama la vita e la natura.

 

Pubblicato su “Il delfino e la mezzaluna” n°4-5 (2016)

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