Gli animali nei proverbi salentini (2/x): la giumenta e la capra

di Armando Polito

Le immagini che seguono, con cui mi piace iniziare, sono tratte dal profilo di SALENTO COME ERAVAMO su Facebook.

I proverbi di oggi si riferiscono a due animali diversi, ma, come per quello presentato nella prima puntata e quelli che lo saranno nelle prossime, è evidente l’incorporato significato metaforico, cioè la loro traslazione dalla sfera bestiale a quella umana. Senza scomodare per questo Esopo, Fedro e tanti loro epigoni basta pensare al disinvolto e ormai quasi meccanico uso dei nomi di animali in cui detta traslazione è stata consacrata nella stragrande maggioranza dei casi con connotazione simbolica negativa e pure qualche voce di origine dialettale (sottolineata nella serie che segue) in questa accezione ha visto facilitato il suo trasferimento nella lingua nazionale:  porco, troia, talpa, zoccola, oltre allo sgarbiano capra, l’unico, forse,  che senza la tv oggi non sarebbe comparso in questo, pur parziale, elenco; meno male che un residuo senso di sportività da parte nostra (ma sempre ammantato di maschilismo …) è forse ravvisabile nelle due voci che definiscono colui che ha un’attività sessuale molto intensa, nonostante potesse essere messo in campo Ercole che, secondo la versione della sua tredicesima fatica riportata nell’Antologia Palatina (compilazione risalente al X secolo di raccolte antologiche precedenti) XVI, 92, 13-14), avrebbe avuto in una sola notte un rapporto con le cinquanta figlie di Tespio, ingravidandole, fra l’altro, tutte: le due voci in questione sono satiro (anch’esso di ascendenza mitologica) e mandrillo, che ormai nell’uso, con l’ignoranza dilagante, e non solo dei miti, ha soppiantato il primo. Non mi meraviglierei se, poi, sulla scia della riproposizione della commedia sexy all’italiana degli anni ’70 e del metaforico trapano di Renzo Montagnani immancabile protagonista della serie, complici l’ignoranza e la pigrizia (leggi superficialità, mancanza di quella sana curiosità che è lo spirito critico), pure il povero mandrillo si vedesse trasformato nel meccanico mandrino

Chiedo scusa per la divagazione e passo ai proverbi, non senza aver prima detto che, per i due animali e la loro figliolanza,  primitive cognizioni genetiche finiscono per sfociare, soprattutto nel secondo, in un teorico e qualunquista pregiudizio, anche se rimane fermo il principio che in campo educativo il buon esempio, se non garantisce il successo, ne costituisce, comunque, la più valida e promettente condizione, credo anche sotto il profilo meramente statistico.

Ti na sciumenta ccàmbara no ppigghiare mai la figghia, ca puru ca no ggh’è ttotta ccambara alla mamma si ssimègghia (Di una giumenta sbilenca non comprare mai la figlia, perché anche se non è tutta sbilenca  somiglia alla mamma).

Pecura è ssciumenta ti occa mangia e ddi culu spenta(Pecora e giumenta con la bocca mangia e col culo sventa). Non so se il fenomeno è più frequente in questi animali (ad ogni modo, come vedremo in un’altra puntata, la pecora sarà protagonista di altri proverbi), né se è indotto da qualche particolare alimento, come succede tra noi umani con i fagioli e con i lampascioni. Chi ne abbia voglia faccia sentire nei commenti la sua voce; a scanso di equivoci: quella  superiore, che lo è in tutti i sensi …

Ti ddo’ zzumpa la crapa zzumpa la crapetta (Dove salta la capra salta la capretta). Corrisponde all’italiano Tale madre tale figlia e il salto di cui si parla non è certamente quello in alto o in lungo, tutt’al più quello con l’asta .

 

(CONTINUA)

Per la prima parte (la gatta): https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/12/gli-animali-nei-proverbi-salentini-1x-la-gatta/

Per la terza parte (la pecora): https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/18/gli-animali-nei-proverbi-salentini-3x-la-pecora/

Per la quarta parte (l’asino): https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/05/23/gli-animali-nei-proverbi-salentini-4x-lasino/

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1 Spenta è la forma con cui il proverbio mi è stato comunicato da mio cognato e confermato da altri. Credo, tuttavia, data l’età relativamente giovane dei miei referenti e la comune natura fonetica di p e di b (entrambe labiali), che la forma originale fosse sbenta (da sbintare, che nel dialetto neretino è usato per indicare il dissolversi di una puzza ed anche dei fumi dell’alcol).

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